Bereft of Light – Hoinar

Quella marchiata Bereft Of Light è musica dal grande impatto emotivo, che non può lasciare indifferenti per la sua aura tragica stemperata dalle frequenti rarefazioni acustiche.

Quello di Daniel Neagoe è un nome caro a tutti gli appassionati del funeral/death doom più atmosferico e melodico, genere che ha contribuito a spingere verso vette qualitative difficilmente superabili con gli Eye Of Solitude prima, e con i Clouds più recentemente.

Il musicista rumeno è, però, un artista nel senso più autentico del termine e la sua ispirazione pare attingere ad un pozzo senza fondo, anche quando il genere non è quello che gli ha dato la maggiore visibilità.
Del resto il nostro non è nuovo ad incursioni nel black metal, prima con i Sidious assieme ad altri suoi compagni negli Eye Of SOlitude, poi nei Vaer assieme al suo storico sodale Déhà e, infine, in un precedente progetto solista denominato Colosus, che però, probabilmente è stato soppiantato da questo nuovo denominato Bereft Of Light.
In Hoinar, Daniel prende dichiaratamente le mosse dalla corrente cascadiana che è stato uno degli sviluppi recenti più efficaci e segnanti in ambito black, rendendo peculiare e ben riconoscibile il sound in gran parte della scena nordamericana: ovviamente il tutto viene eseguito da uno che ha scritto un album di rara drammaticità come Canto III e l’umore del lavoro non può non risentirne, portandosi appresso ben delineato il proprio marchio stilistico e conferendogli più d’una sfumatura depressive, a partire dalla scelta di uno screaming disperato che solo nella meravigliosa Freamăt trova un suo contraltare nelle clean vocals.
L’opera consta fondamentalmente di tre brani portanti (Legamânt, Freamăt e Tarziu), oltre a due tracce strumentali di ambient atmosferico (Uitare e Pustiu), esibendo anche un giusto senso della misura ed evitando di saturare l’ascoltatore con una durata eccessiva.
Del resto, quella marchiata Bereft Of Light è musica dal grande impatto emotivo, che non può lasciare indifferenti per la sua aura tragica stemperata dalle frequenti rarefazioni acustiche, eseguite in maniera limpida quanto lineare e propedeutiche ai tipici crescendo che sono parte integrante dello stile di Neagoe, resi ancor più evocativi dall’utilizzo compatto e all’unisono di tutta la strumentazione assieme alla voce. Detto di Freamăt , resa più meoldica e relativamente accessibile proprio dalle parti di cantato pulito, Legamânt e Tarziu sono brani intrisi di una drammaticità a tratti parossistica, nei quali il dolore tracima da un songwritibng sempre ad altissimo livello.
Del resto il doom ed il depressive black sono solo due maniere leggermente diverse per esprimere la propria sensibilità artistica da parte di un musicista come Daniel Neagoe che, davvero, oggi può essere considerato uno dei due (l’altro è Déhà, ma che ve lo dico a fare …) più influenti ed attivi in un settore musicale che sarà pure di nicchia (sicuramente lo è in Italia, purtroppo) ma che resta ugualmente uno degli strumenti di elezione per raccontare le paure, le sofferenze e le miserie dell’umana esistenza.

Tracklist:
I – Uitare
II – Legamânt
III – Pustiu
IV – Freamăt
V – Târziu

Line-up:
Daniel Neagoe – everything

BEREFT OF LIGHT – Facebook

Neve – Tales From The Unknown

Prima uscita discografica per i napoletani Neve, autori di un black atmosferico e melodico dalle buone prospettive ma ancora da rifinire e limare in più di un aspetto.

Prima uscita discografica per i napoletani Neve, autori di un black atmosferico e melodico dalle buone prospettive ma ancora da rifinire e limare in più di un aspetto.

Clouds of melancholy ci accoglie riportandoci di peso alle sonorità dei primi Old Man’s Child, band di quel Galder che poi diverrà membro stabile dei ben più famosi Dimmu Borgir, però già a metà del brano si coglie la volontà dei ragazzi partenopei di non accodarsi ad un modello precostituito, provando ad inserire qualche variazione sul tema, rarefacendo il sound e preparando il terreno alla successiva traccia This Ancient Cliff, episodio dai tratti sognanti e contraddistinto da un bell’impatto melodico.
Indubbiamente è proprio questo il punto di forza sul quale i Neve dovrebbero sviluppare poi tutto il resto della loro idea compositiva, perché il potenziale evocativo che si riesce a cogliere in diversi passaggi, disseminati nei vari brani, viene talvolta affossato da un’esecuzione ancora perfettibile e da una produzione che va di pari passo.
Interessante, in Tales From The Unknown, si rivela peraltro l’utilizzo del basso, molto più in evidenza rispetto ai normali parametri del genere, assieme ad un approccio volto a ricercare soluzioni tutt’altro che scontate (emblematica in tal senso la componente acustica evidenziata in Perpetual Nightmare).
In sintesi, questo primo passo dei Neve, al netto delle screpolature evidenziate, mostra più di un dato incoraggiante, in particolare perché in questo caso quello che deve essere rifinito non è tanto lo sviluppo compositivo quanto la sua messa in pratica, un aspetto destinato a progredire naturalmente con il passare del tempo e l’acquisizione di ulteriore esperienza.

Tracklist:
1.Clouds Of Melancholy
2.This Ancient Cliff
3.The Night
4.So Many Times
5.Perpetual Nightmare
6.Pure

Line-up:
Raffaele Ferrara – Vocals, lyrics, keyboard, drum programming
Emanuele Landri – Guitars
Alessandro Stasio – Bass

The Reptilian Session – The Reptilian Session

Il lavoro è ricco di spunti interessanti, a partire dalla volontà di proporre un black metal sicuramente contaminato da altre pulsioni di carattere estremo ma, nel contempo, ben radicato nel suo alveo tradizionale

Questa uscita omonima dei The Reptilian Session è la riedizione in formato cd dell’ep pubblicato già in cassetta nel 2015.

La band romana è autrice di un black metal piuttosto tradizionale, diretto e con qualche spunto prossimo al punk. Ne scaturisce così un sound ruvido, anche a livello di produzione, ma abbastanza ficcante e spontaneo per meritare la giusta attenzione. Indubbiamente il fulcro dell’opera è la notevole Cosmic Glorification of Evil,una canzone meno immediata delle altre per impatto, sviluppandosi inizialmente su un mid tempo: la lunga traccia, impreziosita dal contributo vocale di Fabban degli Aborym, cambia più volte registro nel suo incedere mantenendo comunque il proprio approccio privo di ammorbidimenti di sorta.
Nelle varie edizioni che si sono succedute, il lavoro si è arricchito prima della versione edit di The Dungeon Before the Void, brano incisivo che nella nuova veste viene letteralmente stravolto da una rielaborazione industrial ambient quanto mai sperimentale, e poi della cover di Double Dare dei Bauhaus, che anche in questo caso viene interpretata con un approccio tutt’altro che fedele dell’originale, venendo restituita in maniera molto personale ma comunque riconoscibile.
Il lavoro è ricco di spunti interessanti, a partire dalla volontà di proporre un black metal sicuramente contaminato da altre pulsioni di carattere estremo ma, nel contempo, ben radicato nel suo alveo tradizionale; alla luce di queste buone premesse non resta che attendere l’uscita di nuovo materiale che dovrebbe dire qualcosa di più sull’effettivo potenziale dei The Reptilian Session.

Tracklist:
1. Dark Matter of Anti-Universe
2. The Feast of the Reptiles
3. The Dungeon Before the Void
4. Cosmic Glorification of Evil
5. The Dungeon Before the Void (Sirio Gry J ‘March To Hell’ Edit)
6. Double Dare

Line-up:
M. Puliani – Bass
C. Usai – Drums
T. Aurizzi – Guitars

THE REPTILIAN SESSION – Facebook

Muka – Sveta Stoka

Con Sveta Stoka i Muka tengono perfettamente fede al loro monicker, che in croato significa angoscia, andando a scandagliare i punti dolenti di un’umanità fragile ed insicura, al di là dell’ostentazione di una spensieratezza di facciata.

Black death dai tratti molto rallentati è quanto ci offrono i croati Muka, giunti con Sveta Stoka al loro secondo ep.

Oscuri e tendenzialmente lontani da ogni tentazione melodica, i ragazzi di Zagabria interpretano la materia con il giusto piglio, cercando di non scimmiottare nessuno ma provando ad immettere, per quanto possibile, una cifra stilistica propria nel sound: l’operazione riesce al meglio, alla luce dell’intensità che viene conferita ad una scrittura dai tratti soffocanti, nella quale certe dissonanze possono riportare a realtà simili ai Blut Aus Nord dello scorso decennio, tanto per fornire un’idea di massima.
In realtà, i Muka si muovono seguendo una strada personale, scegliendo intanto di comunicare le proprie istantanee di una realtà desolante tramite l’utilizzo della lingua madre, un’opzione che è adottata con sempre maggiore frequenza e che, nella maggior parte dei casi, si rivela sicuramente azzeccata. Sonorità aspre, che fondono il black ed il death conferendo sovente loro ritmiche fangose dai rimandi doom/sludge, sono gli elementi che rendono questa mezz’ora di musica estrema un qualcosa assolutamente da non trascurare: con Sveta Stoka i Muka tengono perfettamente fede al loro monicker, che in croato significa angoscia, andando a scandagliare i punti dolenti di un’umanità fragile ed insicura, al di là dell’ostentazione di una spensieratezza di facciata.
Una piacevole sorpresa che potrebbe fornire esiti ancor più fragorosi in previsione di un futuro full length, specialmente se i Muka avranno anche il supporto di una label capace di valorizzarne adeguatamente le doti.

Tracklist:
1. Sutra?!
2. O tvom soju
3. Šonje
4. Od panja do panja
5. Ona koje nema

Line up:
Stjepan Dianić Bass
Goran Tatalović Guitars
Edin Karabašić Guitars, Vocals (additional)
Ivan Borčić Vocals (lead)
Stanislav Muškinja Drums

MUKA – Facebook

Irdorath – Denial Of Creation

Un album che entusiasma, probabilmente il migliore nel suo genere di questo 2017 che ha visto il ritorno in pompa magna del metal estremo e dei suoi mille modi di suonarlo: quello del gruppo austriaco è sicuramente uno dei più riusciti.

Il black metal che si fonde con il thrash non è certo una novità, il problema è che molte volte questa dissacrante alleanza finisce con l’essere sconfitta da album tutti uguali, prodotti malissimo e senza lasciare traccia del proprio passaggio, con tanto fumo ma poco arrosto in quanto a songwriting e belligeranza musicale.

Ovviamente un album targato Wormholedeath è sempre da tenere in considerazione, vista la qualità dei gruppi proposti dalla label nostrana, ed infatti questo devastante ultimo lavoro degli austriaci Irdorath non delude le attese, confermandosi come uno dei lavori più belli del genere capitati sotto le grinfie del sottoscritto.
Il quartetto proveniente dalla Carinzia licenzia quindi il proprio quarto album, questo bellissimo esempio di metal estremo dal titolo Denial Of Creation.
Più di dieci anni di attività ed una manciata di lavori bastano per arrivare al culmine della propria discografia in questa estate dove le notti nelle foreste alpine verranno invase dalle truppe del male, massacri e barbarie verranno commessi al suono di Devoured by Greed e degli altri dannati inni che compongono quest’ora scarsa di metallo nero, furioso ma impreziosito da sfumature melodiche che portano il disco su un altro livello.
Rabbia, devozione al male, dannazione eterna, ma con in bella mostra un approccio melodico straordinario e dove non arriva la melodia ci pensano ritmiche perfette, da far impallidire i migliori Kreator, fulminati sulla via del black metal e omaggianti i Dissection.
La furia ritmica spazza via l’odore di morte, come il vento gelido che da nord soffia dopo l’imbrunire, mentre da lontano gli echi di Sacred Deception, Purification e la title track accompagnano la discesa a valle di Markus e compari,  in un delirio di accelerazioni e mid tempo (Blessing From Above).
Un album che entusiasma, probabilmente il migliore nel suo genere di questo 2017 che ha visto il ritorno in pompa magna del metal estremo e dei suoi mille modi di suonarlo: quello del gruppo austriaco è sicuramente uno dei più riusciti.

Tracklist
1.Devoured by Greed
2.Trail of Redemption
3.Sacred Deception
4.The Curse that Haunts the Earth
5.Purification
6.Covenant of the Unbounded
7.Blessings from Above
8.In the Name of Decay
9.Denial of Creation

Line-up
Markus – Guitar, Vocals
Craig – Guitar
Mario – Bass Guitar
Thomas – Drums

IRDORATH – Facebook

Heathen Beast – $cam

Tornano gli agitatori sonori Heathen Beast, voce musicale del dissenso anti governativo in un paese come l’India, nel quale il livello della corruzione e dell’asservimento dei politici ai ai poteri forti e a quelli religiosi riesce persino a superare quello della nostra povera Italia.

L’urgenza compositiva che ha fatto scaturire questo nuovo ep da parte del misterioso trio, sempre alle prese con la propria rischiosa missione di denuncia, nasce dalla delirante decisione presa dal primo ministro Modi quando, nello scorso autunno, senza alcun preavviso, ha comunicato alla popolazione che sarebbero state messe fuori corso da subito tutte le banconote da 500 e da 1000 rupie (l’85% dei tagli in circolazione) allo scopo di stanare gli evasori fiscali. Non era necessario essere dei grandi economisti per capire che tali misure avrebbero avuto il solo effetto immediato di ridurre alla fame le fasce più deboli della popolazione, costrette a file oceaniche per le operazioni di cambio delle banconote/carta straccia presso banche incapaci di fare fronte alla situazione. Così i più ricchi continuano a prosperare, visto che i grandi evasori, per lo più, non detengono i loro beni in contanti, mentre la low-middle class si ritrova depauperata di gran parte dei propri beni, causa l’impossibilità di cambiare nei termini previsti il proprio denaro per finire, nella migliore delle ipotesi,  nella rete  del mercato nero.
Di fronte a tutto questo resta solo rabbia, da parte di chi almeno riesce a svincolarsi dall’ideologia religiosa, che rende gran parte degli indiani convinti che anche la misura più impopolare faccia parte di un «bisogno collettivo di sofferenza per la nazione, sicuri che la sofferenza li renda liberi, e che sia la strada per la salvezza personale e collettiva»
Gli Heathen Beast interpretano il rifiuto nei confronti di questo stato delle cose con tutta la furia e la convinzione che in questi anni hanno messo nella loro musica, stavolta utilizzando uno stile ancora più estremo del solito, sostituendo il black death relativamente più accessibile e contaminato dalla musica tradizionale indiana con nove granate di grind/black inframmezzate da numerosi voci campionate, mantenendo qualche sfumatura etnica per lo più nel particolare uso delle percussioni.
Ancor più che nelle precedenti occasioni, l’operato musicale degli Heathen Beast corre il rischio di passare in secondo piano rispetto al potente impatto della denuncia sociale che ritengo sia, comunque, il loro obiettivo primario. Ma è da sempre questo il destino di chi ritiene la musica non solo una forma d’arte ma anche lo strumento ideale per scuotere le coscienze, specialmente in paesi in cui le forme di dissenso vengono sopite da un controllo pressoché totale degli organi di informazione da parte delle classi dominanti (ci siamo di mezzo anche noi, non crediate, andare a vedere dove è collocata l’Italia nella graduatoria mondiale relativa al livello di libertà di stampa).
Resta il fatto che il trio indiano è una delle realtà più fresche e, a suo modo, innovative della scena metal mondiale, peccato solo che si manifesti con poca frequenza e con lavori per lo più dal minutaggio ridotto, ma si tratta ovviamente di un fatto contingente alla condizione di una band non convenzionale ed ad una vita artistica irta di ostacoli.

Tracklist:
1. Surgical Strike (De-modi-tisation)
2. It’s Only A Minor Inconvenience
3. Fuck Poor People, I Have Paytm
4. Reliance Is The Secret Of My Energy, Jio Mere Lal!
5. If The Army Can Do It, So Can You
6. Bailing Out The Banks
7. If You Disagree You Are Anti-national, Go To Pakistan
8. My Note Has GPS
9. Chutiya Banaya Bada Maza Aaya

Line up:
Carvaka – Vocals/Guitars
Samkhya – Bass
Mimamsa – Drums

HEATHEN BEAST – Facebook

The Committee – Memorandum Occultus

Dietro alle identità celate c’è una band che maneggia a suo piacimento una materia sempre delicata come il black metal, plasmandolo e trasformandolo in un venefico ed annichilente flusso.

Sono passati circa tre anni dall’uscita di Power Through Unity, primo full length del misterioso combo denominato The Committee, composto da musicisti della scena black metal provenienti da diverse nazioni.

La band, nata come solo project del vocalist igor Mortis, ha la sua base in Belgio, ma al di là della collocazione geografica, ciò che importa è, in effetti, la qualità enorme del black metal prodotto da questo gruppo capace di unire tematiche poco rassicuranti dal punto di vista sociale ad un sound cupo e allo stesso tempo melodico, con più di un momento che va a lambire i confini più epici del genere.
Memorandum Occultus, rispetto al suo predecessore che presentava un contenuto lirico pervaso dall’ossessione per la guerra, riporta la barra sulla contemporaneità mettendo in luce senza falsi moralismi il lato più cinico ed oscuro dei potenti ed i diversi strumenti da costoro utilizzati per soggiogare le masse, mentre lo stile musicale si mantiene saldamente ancorato ad un black strutturato su mid tempo avvolgenti, dall’ampio impatto atmosferico ed evocativo, sicuramente tutt’altro che asettico come il concept potrebbe invece indurre a pensare.
Sei ottimi brani si susseguono così nel raccontare una realtà dalla quale siamo più portati a distogliere lo sguardo per il nostro quieto vivere, risultando piuttosto uniformi nel loro incedere ritmico e, tutto sommato, anche melodico, ma terribilmente convincenti e alo stesso tempo ammantati di un oscura inquietudine.
Se è magnifica Treacherour Teachings – Weapons Of Religion, con tanto di vocalizzi femminili arabeggianti, non sono da meno le altre tracce, nel corso delle quali questi ottimi interpreti del genere non mollano mai la presa, offendo fino alla fine momenti di sicuro impatto emotivo.
I The Committee si confermano molto più di un progetto estemporaneo, capace di colpire soprattutto per l’identità dei suoi membri che si celano anche in versione live presentandosi al pubblico incappucciati: in realtà, dietro ai paraventi c’è una band che maneggia a suo piacimento una materia sempre delicata come il black metal, plasmandolo e trasformandolo in un venefico ed annichilente flusso.

Tracklist:
1. Dead Diplomacy – Weapons Of War
2. Synthetic, Organic Gods – Weapons Of Genocide
3. Golden Chains – Weapons Of Finance
4. Treacherour Teachings – Weapons Of Religion
5. Flexible Facts – Weapons Of History and Chronology
6. Intelligent Insanity – Weapons Methodology And Duality

Line-up:
Igor Mortis – Guitar – Vocals
William Auruman – Drums – Percussion
Aristo Crassade – Guitar – Vocals
Marc Abre – Bass
Urok – Keyboards
Navigator – Guest Vocals

THE COMMITEE – Facebook

Nargaroth – Era Of Threnody

Era Of Threnody è uno dei momenti più alti della discografia dei Nargaroth e una delle migliori uscite di black metal di quest’anno.

Tornano i tedeschi Nargaroth, uno dei gruppi europei più influenti in campo black metal, e ascoltando Era Of Threnody si capisce facilmente il perché.

Fondati nel 1989 da Kanwulf, pseudonimo di René Wagner, i Nargaroth sono sempre stati dediti ad un black metal ortodosso e capace di ricreare le sensazioni degli esordi del genere, cercando di mantenersi il più possibile fedele allo spirito. Dopo aver cambiato il suo pseudonimo in Ash, Renè continua a guidare il gruppo mantenendolo su livelli qualitativi molto alti, e se prenderete in mano anche questo ultimo disco non vi sbaglierete. I Nargaroth non sono mai stati molto prolifici, questo disco arriva dopo otto anni dal precedente, ed è un richiamo a continuare la battaglia cominciata in Norvegia anni fa, ma da sempre nelle nostra testa. Il disco possiede diversi registri, da un black metal ortodosso non velocissimo ma molto incisivo, a momenti più sinfonici ed epici. La sensazione è di qualità e solidità, di potenza espressa nei termini giusti, ma soprattutto di quelli che rimangono in testa e che fa amare ciò che si ascolta. Il disco si sviluppa molto bene, è prodotto molto bene, e ciò ci fa cogliere tutte le sfaccettature delle ottime composizioni di Renè. Era Of Threnody è uno dei momenti più alti della discografia dei Nargaroth e una delle migliori uscite di black metal di quest’anno. Qui possiamo trovare non solo la tradizione, ma anche una parte importante di storia del genere che continua ad avanzare, accogliendo nuove istanze ma rimanendo fedele più che al suono allo spirito di questa musica, che non è solo musica ma è molto di più.

TRACKLIST
1.Dawn of Epiphany
2.Whither Goest Thou
3.Conjunction Underneath The Alpha Weel
4….As Orphans Drifting In A Desert Night
5.The Agony Of A Dying Phoenix
6.Epicedium To A Broken Dream
7.Love Is A Dog From Hell
8.Era Of Threnody
9.TXFO
10.My Eternal Grief, Anguish Neverending
11.Era Of Threnody – Broadcast (Bonus)

NARGAROTH – Facebook

Anamnesi – La Proiezione Del Fuoco

Parlando del livello di lettura musicale il disco è di immenso valore, ma ancora più grande è il valore storico, e superiore ad esso si trova il livello spirituale, chiudete gli occhi mettete le cuffie e ascoltate cosa ha da dirvi la vostra vera anima.

Certe opere vanno ben oltre la musica, poiché sono dei paradigmi, dei momenti di vera comprensione di quello che siamo, o di ciò che siamo stati.

La Proiezione Del Fuoco è uno di questi momenti, un ricordarci ciò che siamo stati e ciò che siamo veramente, nonostante duemila e più anni di menzogne. Anamnesi è la creazione di Emanuele Prandoni, un nome che possiamo trovare dietro a grandi nomi dell’underground metal italiano, tanto per citarne alcuni Simulacro, Absentia Lunae e Progenie Terrestre Pura. Questo suo progetto è ora giunto al terzo disco edito da Dusktone, mentre i precedenti sono stati pubblicati da Naturmacht Productions. La Proiezione Del Fuoco è un disco incentrato sul culto mitraico, un’antica religione che era in voga nell’antica Roma, e che viene quindi da molto lontano. Purtroppo, a causa della scarsità di fonti non si sa molto su questa religione salvifica e piena di misteri, a cui si veniva iniziati attraverso sette gradi. Molto devoti a Mitra erano i legionari romani, ma Mitra viene dall’India e forse ancora da più lontano, ed era un culto legato al Sole, vero e forse unico dio di noi umani. In questo disco risuona fortissimo questo spirito antico, legato ad un percorso iniziatico molto difficile e preciso, per scoprire sé stessi e la verità su ciò che ci circonda. Anamnesi ci accompagna nel sotterraneo del nostro inconscio con un black death di ottima fattura, debitore alla scena svedese ma molto originale anche grazie al cantato in italiano, che si comprende bene e che è davvero una lezione di storia all’ennesima potenza. Vi sono momenti del disco nei quali si percepisce la forza e la profondità di questo culto che portiamo dentro, grazie all’immenso lavoro di ricerca di Emanuele, e soprattutto grazie alla sua altrettanto grande capacità di rendere musica le sue sensazioni. Parlando del livello di lettura musicale il disco è di immenso valore, ma ancora più grande è il valore storico, e superiore ad esso si trova il livello spirituale, chiudete gli occhi mettete le cuffie e ascoltate cosa ha da dirvi la vostra vera anima. La sesta traccia Apathanatismos è la resa musicale dell’unico culto mitraico a noi pervenutoci in una redazione successiva del quarto secolo; ascoltare queste parole suscita sensazioni davvero forti e dimenticate, ma non siamo quello che vogliono farci credere, siamo molto di più, fuoco e sole.
Un’opera immensa, testimonianza di ciò che può essere il metal, un veicolo per farci tornare a casa.

TRACKLIST
1.Origine Prima
2.Fautor Imperii
3.La Proiezione Del Fuoco
4.La Precessione Degli Equinozi
5.Lo Ierofante Dei Misteri
6.Apathanatismos
7.I Sette Raggi Del Myste

ANAMNESI – Facebook

Saille – Gnosis

Siamo al cospetto di un ottimo album di genere, che si lascia ascoltare con un certo agio in tutto il suo sviluppo, beneficiando anche di più di un  passaggio interessante, ma nel quale sono del tutto assenti minimi spunti innovativi.

Quarto full length per i belgi Saille, auguri di un symphonic black di stretta derivazione scandinava.

Di per sé quest’ultima affermazione dice molto sui contenuti del lavoro, visto che in Gnosis gli stilemi del genere reso famoso dai Dimmi Borgir ci sono tutti, pur se resi con buona perizia e competenza.
In sintesi, siamo al cospetto di un ottimo album di genere, che si lascia ascoltare con un certo agio in tutto il suo sviluppo, beneficiando anche di più di un  passaggio interessante, ma nel quale sono del tutto assenti minimi spunti innovativi.
Poco male quando a farlo è una band capace come i Saille, i quali sciorinano brani di sicuro impatto come gli iniziali Benei Ha Elohim e Pandaemonium Gathers, però la sensazione è che sentiti questi sentiti tutti e, nonostante il gruppo di Gent suoni forse anche meglio e più ispirato di quanto non facciano oggi le band seminali per il genere,viene lo stesso meno un buon motivo per non andarsi a riascoltare direttamente Enthrone Darkness Triumphant piuttosto che indugiare con Gnosis.
Tutto qua, chi ama il genere potrà anche goderne non poco, ma resta la consapevolezza che si tratta di un surrogato e che, a parte i nomi storici, ormai dediti solo a monetizzare il passato, ci sono comunque alcune band contemporanee in grado di proporsi in quest’ambito con sufficiente personaliltà: questo non succede per ora ai Saille e, anche se i numeri li avrebbero tutti per riuscirci, è difficile immaginare che ciò possa verificarsi dall’oggi al domani da parte di una band dalla discografia già piuttosto consistente.

Tracklist:
1.Benei Ha Elohim
2.Pandaemonium Gathers
3.Blot
4.Genesis 11-1-9
5.Before the Crawling Chaos
6.Prometheus
7.Thou, my Maker
8.Magnum Opus
9.1904 Era Vulgaris

Line-up:
ReinieR Schenk – Guitar
Kristof Van Iseghem – Bass
Collin Boone – Guitar
Dennie – Vocals
Kevin De Leener – Drums

SAILLE – Facebook

A Mournful Path – From The Wreckage Of Humiliation

Gli A Mournful Path sono un duo di black metal da Newcastle, Australia, e il loro black metal non vi lascerà tregua, figlio maledetto della scuola australiana, con quella saturazione dello spazio sonoro che rende bellissimo questo viaggio tra l’atmospherical e il black più tendente al death.

Questa traccia che vi proponiamo è un appunto, un piccolo assaggio di qualcosa che vi atterrerà nelle orecchie entro la fine dell’anno.

Gli A Mournful Path sono un duo di black metal da Newcastle, Australia, e il loro black metal non vi lascerà tregua, figlio maledetto della scuola australiana, con quella saturazione dello spazio sonoro che rende bellissimo questo viaggio tra l’atmospherical e il black più tendente al death. Il duo ha rilasciato questa traccia per la Inverse Records che pubblicherà il loro mini di debutto. Gli A Mournful Path si inseriscono in quel novero di gruppi che riescono a dare al black metal un significato di liberazione, un mezzo per andare verso il cielo o verso il centro della terra a vostra preferenza. Il male ed il disagio escono a mille all’ora dalla voce di Michael Romeo, con il fratello David che fa tutto il resto, ed ad ascoltarli non sembrano davvero un gruppo esordiente. I due fratelli Romeo respirano e suonano come fossero un’unica entità e ciò lo si sente molto bene anche da quest’unica traccia.
Un piccolo raggio nero che preannuncia una tempesta molto interessante e pesante.

TRACKLIST
1. From The Wreckage Of Humiliation

LINE-UP
David Romeo: Song writing and all instruments
Michael Romeo: Words and voice

A MOURNFUL PATH – Facebook

Dødsengel – Interequinox

Un grande ritorno del duo norvegese,con un grande opus di arte nera, esoterica e ricco di mistero e fascino … I am NOTHING, I am EVERYTHING….

Un percorso artistico inattaccabile e sempre votato all’ inesplorato!

Il duo norvegese di Alesund fin dal 2009, con il full Visionary, ha creato, alimentato, sviscerato una sua particolare idea di black metal devota alla tradizione ma ricca di soluzioni particolari sia nel suono, sia nelle vocals che nelle atmosfere arrivando, forse, all’apice visionario con il doppio Imperator del 2010, opera maestosa, occulta capace di creare un universo magico, esoterico dalle molteplici sfaccettature.
I Dødsengel tornano ora dopo uno iato temporale di cinque anni, con un’altra opera di gran qualità per la Debemur Morti, etichetta il cui catalogo è ricchissimo di perle oscure votate alla elaborazione di “mutante” black metal. In questo nuovo opus i Dødsengel (Angel of Death) continuano a lavorare sulla loro ispirazione visionaria sperimentando e aggiungendo antichi aromi psichedelici, mai così presenti fino ad ora (Varaens Korsvei), vocals particolari ed inquietanti (Emerald Earth); il suono nei vari brani alterna accelerazioni velocissime, figlie di una conoscenza approfondita del vero BM (la meravigliosa Opaque con il suo finale epico e ricco di suggestione), con parti rallentate ai limiti del doom dove si esprime maggiormente la loro idea dell’arte estrema sempre imprevedibile e cangiante.
Le capacità vocali di Kark sono veramente mutevoli, passando da un sinistro scream a un suggestivo e funzionale clean simile a una litania inquietante; la band sa suonare e sa emozionare nel profondo e il ritorno dopo la lunga attesa mi ha entusiasmato e mi ha fatto ulteriormente capire la grande qualità della proposta di questo duo che in meno di dieci anni ha creato e suonato, anche con alcuni split con gli statunitensi Nightbringer ed i cileni Hetroertzen, uno stellare black metal sempre creativo, misterioso e ricco di intuizioni “melodiche” ben oltre la media.

TRACKLIST
1. Pangenetor
2. Prince of Ashes
3. Værens Korsvei
4. Emerald Earth
5. Opaque
6. Illusions
7. Palindrome
8. Ved Alltings Ende
9. Rubedo
10. Gloria in Excelsis Deo
11. Panphage

LINE UP
Malach Adonai Drums
Kark Vocals, Guitars, Bass

DODSENGEL – Facebook

Ordem Satanica- Monte Da Lua

Gli Ordem Satanica continuano quel filone che arriva direttamente dai Black Legion, ma che nacque prima in qualche bosco norvegese pur essendo un sentimento ancora più antico che Monte Da Lua sottolinea benissimo.

Disco di black metal lo fi, contro tutto e tutti, ma soprattutto contro la concezione moderna di black metal.

Monte Da Lua è concepito per dar fastidio, per urtare la parte migliore di noi stessi, e per sconvolgere in quella
maniera che era lo scopo primario del black metal. Quest’ultimo è diventato come tutte le faccende umane una fucina di soldi per alcuni, ma per altri è rimasto un modo di vivere e di rivolgersi contro. I portoghesi Ordem Satanica appartengono decisamente a quest’ultima categoria, il loro black metal viene direttamente dall’inferno, il suono è lo fi, il disco non è stato masterizzato, e sono frequenti gli inserti di registrazioni ambientali, pioggia e altre amenità naturali. Il cantato è rigorosamente in portoghese, e tratta delle antiche tradizioni di questa terra che è fortemente occulta e legata ad antichi credi, anche se ovviamente il cristianesimo ha combinato molti disastri in quel senso. Tutto in questa cassetta è true black metal, le ambientazioni, il suono e l’attitudine. Infatti, come per la loro prima cassetta In Aeterna Crudelitate, tutto è fatto come agli albori del genere, anche se avere dietro un’etichetta come la Signal Rex è un bel vantaggio. Alcuni dischi di black metal lo fi sono inintelligibili, invece Monte Da Lua è fatto con cura e ha quel feeling che sembra perso a volte. Un disco che conferma la netta supremazia della scena portoghese nel black metal ortodosso, e gli Ordem Satanica continuano quel filone che arriva direttamente dai Black Legion, ma che nacque prima in qualche bosco norvegese pur essendo un sentimento ancora più antico che Monte Da Lua sottolinea benissimo.

TRACKLIST
LADO A-
1. Belial os Bosques e o Pentagrama
2. Monte da Lua
3. Lagoa da Serpente Eterna
4. Pelo Misticismo…

-LADO B-
5. Negras aparições
6. Tempestades Nocturnas e Invocações Satânicas sob os céus de Sintra
7. Solstício de Inverno
8. Entre Árvores Sombrias

SIGNAL REX – Facebook

Prison Of Mirrors – Unstinted, Delirious, Convulsive Oaths

Magia nera medievale, satanismo e un grandissimo black metal per i Prison Of Mirrors, uno dei gruppi italiani da tenere d’occhio nel genere.

I Prison Of Mirrors sono italiani e fanno un black metal underground che è un muro di suono invalicabile, con un cantato growl, e che lascia le stesse sensazioni di dischi di tempi che si pensavano ormai passati.

Questo ep in cassetta è composto da due canzoni, ed è una chiarissima dichiarazione di intenti. Tutto nacque come progetto solista di L.S. nei primi mesi del 2011, a cui poi si unirono le altre due entità Nocturnal Silence e Anubis, e il loro primo ep Nothing vide la luce nel 2014. Dopo tre anni di prove, composizione e dedizione a Satana e al cammino della mano sinistra ecco arrivare questo ep in cassetta. Il suono è al mille per cento black metal underground, l’essenza stessa di questo genere, che può essere mille cose diverse, ma che qui è ortodossia fortissima. La voce è un growl non accentuato e molto adatto, la chitarra è una distorta litania di dolore e il basso disegna passaggi fra le varie dimensioni. Il risultato è un gran disco di black metal, fedele alla linea, ma soprattutto molto ben fatto, dove una produzione accurata riesce a far risaltare tutto al meglio. Magia nera medievale, satanismo e un grandissimo black metal per i Prison Of Mirrors, uno dei gruppi italiani da tenere d’occhio nel genere.

TRACKLIST
A. Litany of Consecration
B. Wounds of Radical Abnegation

LINE-UP
Lord Svart – Guitar, Vocals, Composition
Nocturnal Silence – Bass
Anubis – Lead Guitar

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Eoront – Another Realm

La musica del gruppo siberiano si avvicina molto a quella dei Drudkh, giusto per dare delle coordinate musicali, ma ha una maggiore connotazione mistica.

Da Krasnoyarsk in Siberia arrivano gli Eoront, un gruppo che sta dando un nuovo senso al black metal atmosferico.

Fin dalle prime battute el disco si capisce che gli Eoront fanno un genere a sé stante, che prende spunto dall’atmospheric, con forti venature symphonic grazie ad un ottimo lavoro con le tastiere, ma c’è molto di più. La musica del gruppo siberiano si avvicina molto a quella dei Drudkh, giusto per dare delle coordinate musicali, ma ha una maggiore connotazione mistica. Dentro alle composizioni degli Eoront possiamo ascoltare anche delle derive psichedeliche che ampliano ulteriormente il discorso, portando ulteriori elementi di originalità. Il magma sonoro che esce da Another Realm è molto bello ed originale, ed è un disco che si fa ascoltare con piacere. Gli Eoront hanno una differente idea di black metal e qui la sviluppano, sebbene questo sia per loro un mezzo più che un abito da indossare a tutti i costi. Non è nemmeno un discorso di innovazione, quanto una scelta di stile bene precisa e coerente, che li porta ad essere un gruppo molto interessante. Another Realm entra di diritto nei dischi black metal più belli di quest’anno, e farà la gioia di molti. E dalle foreste siberiane arriveranno ancora nere gioie, perché l’incedere degli Eoront è quello dei grandi gruppi, ma soprattutto di una band che sa quello che vuole.

TRACKLIST
1. The Rain
2. Two Worlds
3. Genesis
4. The Glow
5. The Sea
6. Dreamcatcher Line-up:
7. Zakarum, The Order of
Light

LINE-UP
Foltath – vox, guitars
Eugene – bass
Valea – keys
Ephemiral Gorth – drums, percussions

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Moonaadem – Moonaadem

In poco più di mezz’ora Antonios offre una solida dimostrazione delle proprie capacità compositive, andando a lambire tutte le diverse sfumature racchiuse nel black di matrice atmosferica e dimostrando in tal senso un notevole equilibrio.

Questo nuovo interessante progetto solista arriva dal Libano, altra nazione che di solito rimane fuori dai radar del metal (a memoria in epoca recente mi vengono in mente solo i bravi Kimaera).

Marwan Antonios inizialmente aveva denominato la sua creatura Black Folly, ma di fatto Moonaadem, fin dal nome che significa “non esistenza”, nasce con l’esigenza di cambiare non solo il monicker ma anche l’indirizzo musicale, con il sentire più malinconico che rabbioso espresso dal proprio black metal, sintomo di una necessità di comunicare sensazioni ancor più intime.
Con un sound mai troppo aspro, se non per il consueto screaming, l’album si snoda con buona fluidità tra toni atmosferici e qualche puntata nel depressive, senza ovviamente stravolgere gli schemi usuali, rivelandosi meritevole di attenzione in virtù di un impatto melodico non privo di eleganza unito ad una buona cura dei particolari: forse la sola voce, utilizzata comunque con parsimonia, appare un po’ compressa dagli strumenti ma non è detto che non sia un effetto voluto.
In poco più di mezz’ora Antonios offre una solida dimostrazione delle proprie capacità compositive, andando a lambire tutte le diverse sfumature racchiuse nel black di matrice atmosferica e dimostrando in tal senso un notevole equilibrio.
Molto belle Pleine Lune, la strumentale Désillusion e la conclusiva e la più liquida Marche Funèbre pour la Mort de la Terre, ma nel complesso c’è davvero ben poco da eccepire su questo primo passo targato Moonaadem, senza’altro passibile di ulteriori sviluppi alla luce del buon potenziale già espresso dal bravo musicista libanese.

Tracklist
1. Multivers
2. Pleine Lune
3. Malaise astral
4. Désillusion
5. Désolation et folie noire
6. D’une existence mourante
7. Marche funèbre pour la mort de la Terre

Line-up:
Marwan Antonios

MOONAADEM – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=dZfFeHUN91U

Neige Et Noirceur – Verglapolis

Verglapolis è un disco di grande bellezza, da gustare con le cuffie, travalicando i generi per costruire una narrazione che è un mito moderno, un’opera sopra un evento ben più grande di noi, e che non possiamo capire fino in fondo, ma possiamo sentirlo.

La tempesta di ghiaccio del 1998 in Quebec durò una settimana, e lasciò gran parte del territorio senza elettricità per oltre un mese.

Questa incredibile tempesta è ricordata ancora molto bene dagli abitanti della parte francofona del Canada, e secondo alcuni studi, avrebbe lasciato impresso un segno nel dna dei bambini ancora in gestazione, a causa dello stress vissuto dalle madri.
Tutto ciò è narrato mirabilmente in questo disco di Neige Et Noirceur, il progetto solista di Spiritus nato nel 2002 e che ha una nutrita discografia. Il black metal di Neige Et Noirceur è profondamente influenzato dall’ambiente di provenienza, e la bravura particolare di Spiritus è quella di riuscire a rendere davvero il gelo e la pesantezza dell’ambiente quebecois, grazie alle chitarre distorte e all’uso sapiente e tenebroso di droni e tastiere. Tutto ciò che è ascoltabile nel disco concorre a creare un’ambientazione davvero glaciale e senza vita, se non quella di spiriti maligni, che sottolineano ancora una volta che su questa terra l’uomo è davvero ospite e nemmeno troppo gradito. In Verglapolis, questa città composta di blocchi di ghiacci, si possono sentire le note droniche di Neige Et Noirceur, un requiem della vita e della speranza, un suono affascinante e debitore nella sua poetica a H.P. Lovecraft, perché queste innominabili visioni sono figlie sue. Verglapolis è un disco di grande bellezza, da gustare con le cuffie, travalicando i generi per costruire una narrazione che è un mito moderno, un’opera sopra un evento ben più grande di noi, e che non possiamo capire fino in fondo, ma possiamo sentirlo.

TRACKLIST
1.Le monde est une foret noire
2.L’hiver de force
3.Nordet – Les premieres neiges
4.Pluie verglacante et brouillard de glace
5.Energie noire
6.Ruines electriques

LINE-UP
Spiritus: music and winter’s poems, guitars, Juno60 – synth yamaha, drums, drum machines, voices and howls
Schimaera: voice, noise

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In Reverence – The Selected Breed

Death/black, oscuro e devastante, attraversato da una vena melodica che si evince nei rallentamenti ed in qualche sfumatura dark, ma furioso e tempestoso nelle parti estreme, con un growl cavernoso, qualche accenno allo scream ed un impatto da tregenda.

Attivi dal 2010 in quel di Stoccolma, gli In Reverence debuttano sulla lunga distanza con The Selected Breed, lavoro che al death metal tradizionale aggiunge parti atmosferiche e violente ripartenze al limite del black.

Death/black, oscuro e devastante, attraversato da una vena melodica che si evince nei rallentamenti ed in qualche sfumatura dark, ma furioso e tempestoso nelle parti estreme, con un growl cavernoso, qualche accenno allo scream ed un impatto da tregenda.
Un vortice di metal estremo, un tornado metallico nero come la pece che non manca di regalare attimi devastanti, turbini death/black che si spengono quando escono l’anima dark e le sfumature atmosferiche del gruppo, mentre l’oscurità domina e la luce è ormai lontana.
Bellissima e penetrante Gods Of Dehumanization, devastante la title track: le nove tracce che compongono The Selected Breed alternano metal estremo con parti atmosferiche che smorzano in parte una tensione altissima, ma che a tratti costruiscono muri su cui si infrange la tempesta di note con cui gli In Reverence ci investono senza soluzione di continuità.
Registrato, masterizzato e mixato da Sverker Widgren ai Wing Studios (October Tide, Demonical, IXXI, Diabolical) The Selected Breed si avvale della prestazione al basso di Joakim Antman (Skitarg, Ove25rtorture, The Ugly, Diatonic) in veste di ospite insieme a Joakim Mikiver (One Hour Hell, Tormention) al microfono.
Un album che non porta novità nel panorama estremo, ma sicuramente soddisferà la voglia di morte e distruzione degli amanti del death e del black metal.

TRACKLIST
1. Jahiliah
2. Gods Of Dehumanization
3. Prometheus
4. The Selected Breed
5. The Sixth Bloodletting
6. Anthropogeny
7. Red Waves
8. Gift Of Disintegration
9. Life Rejuvenate

LINE-UP
Filip Danielsson – Vocals
Pedram Khatibi Shahidi – Guitar
Oscar Krumlinde – Drums

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Cult Of Erinyes – Tiberivs

I nove brani offerti in Tiberivs non lasciano un solo attimo di tregua, intrisi come sono di una costante tensione che corre sul filo di sonorità che attingono sicuramente alla parte migliore della scuola scandinava.

Penso che anche i detrattori più accaniti del genere converranno sul fatto che, se black metal deve essere, va suonato e offerto come fatto dai Cult Of Erinyes con questo loro terzo full length intitolato Tiberivs.

La band belga è autrice di una forma del genere che non ne stravolge le coordinate ma, semmai ne amplifica e valorizza i tratti salienti, per cui il sound è pervaso allo stesso tempo di un’aura oscura e solenne che fa risaltare l’opera rispetto alle molte uscite di questi tempi.
I nostri, per non lasciare nulle di intentato, si sono circondati di diversi ospiti che forniscono il loro contributo alla riuscita dell’album, tra i quali non si può fare a meno di notare il nome di Déhà (batteria, tastiere e chitarra), la cui presenza è una sorta di evento sentinella capace da sola di determinare a priori la bontà di un album, benché in questo caso la responsabilità compositiva sia tutta di competenza dell’ottimo Corvus.
I nove brani offerti in Tiberivs non lasciano un solo attimo di tregua, intrisi come sono di una costante tensione che corre sul filo di sonorità che attingono sicuramente alla parte migliore della scuola scandinava, ma esibendo tracce evidenti di una rilettura personale e di grande competenza.
Tutti i protagonisti dell’album si esprimono al meglio delle loro potenzialità, portando ognuno un proprio fondamentale contributo alla sua riuscita, a partire da Mastema, il quale, oltre ad aver ideato il concept che trae linfa dalla storia dell’antica Roma e da uno dei suoi più controversi imperatori, si rivela vocalist corrosivo dalla timbrica spesso sconfinante nel growl, portando così il sound più vicino alle maggiori band che utilizzano questa soluzione, prime fra tutte i Dark Funeral; va aggiunto che il vocalist ha interrotto dopo l’uscita dell’album il suo lungo sodalizio con Corvus, il quale è corso ai ripari rimpiazzandolo, come meglio non avrebbe potuto, con lo stesso Déhà.
L’album è piuttosto lungo per le abitudini del black ma la sia intensità elimina alla radice tale problema, rendendolo un prodotto da assaporarsi comunque con la dovuta attenzione, vista anche la presenza di più di un passaggio di natura ambient sparso nei vari brani. I Cult Of Erinyes possono rallentare il sound ai limiti del doom, mantenersi su mid tempo o scaricare la propria veemenza ad andature ben più sostenute, ciò avviene però sempre con grade fluidità, e spesso all’interno degli stessi brani, rendendo ancor più avvincente un sound che si avvale anche di ottimi spunti solistici della chitarra.
Nessun punto debole, solo una violenza sempre sotto controllo ed un gusto melodico che, sebbene compresso dall’attitudine estrema, sboccia all’improvviso con interventi solisti della chitarra che impreziosiscono anche le due tracce migliori dell’album, Casus Belli e Germanicvs, appena superiori al resto di una tracklist che non delude in alcun suo frangente.
Uno dei migliori dischi black dell’anno in corso, almeno secondo i miei personalissimi gusti.

Tracklist:
1.Archaea
2.Nero
3.Casus Belli
4.Bred for War
5. Loner
6. Germanicvs
7. First of Men
8. Damnatio Memoriae
9. For Centuries to Come

Line-up:
Corvus – Guitars, Bass
Mastema – Vocals
Algol – Bass, Guitars (additional)
Baron – Guitars (lead)

Guests:
Déhà – Drums, Keyboards
Alex – Bass (track 1)
Marc DeBacker – Guitars (track 9)

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The Ruins Of Beverast – Exuvia

La musica dei The Ruins Of Beverast va ben oltre qualsiasi etichetta, esplicitandosi in una forma che sfida le convenzioni e la banalità, ma risultando ugualmente, per assurdo, meno ostica di quanto si potrebbe supporre.

Pochi mesi dopo l’ottimo ep Takituum Tootem, ecco giungere l’atteso nuovo full length dei The Ruins Of Beverast.

Alexander Von Meilenwald, il musicista tedesco che è dietro questo progetto, prosegue con questo suo quinto lavoro su lunga distanza l’opera di consolidamento di uno status derivante da un’espressione stilistica peculiare ed in costante evoluzione.
Rispetto all’ep vengono mantenuti i riferimenti etnici riferiti alla cultura dei nativi americani, che in più di un brano si manifestano tramite invocazioni rituali e vocalizzi femminili, il tutto all’interno di una struttura definibile black/doom solo per consentirne un’approssimativa identificazione.
In realtà, la musica dei The Ruins Of Beverast va ben oltre qualsiasi etichetta, esplicitandosi in una forma che sfida le convenzioni e la banalità, ma risultando ugualmente, per assurdo, meno ostica di quanto si potrebbe supporre, in virtù di una capacità si scrittura non comune che consente a Von Meilenwald di piazzare, in ogni traccia, passaggi chiave capaci di attrarre fatalmente l’attenzione avvinghiando l’ascoltatore senza alcuna remissione.
Ne è l’esempio più eclatante la lunga title track posta in apertura, magnifico viaggio rituale di oltre un quarto d’ora nel quale le ossessive note in sottofondo si ripetono come un mantra, mentre la musica fluttua sovrapponendosi a voci salmodianti o a quella più canonica dell’autore, che invece in altri frangenti dell’album esibisce tonalità in scream e un growl.
Il resto di Exuvia si dipana così tra sentori sperimentali, sprazzi industriali, dissonanze che difficilmente si dissolvono in melodie compiute ma che mantengono sempre elevatissimo il carico di tensione, spingendosi oltre l’ora di durata, un qualcosa di molto vicino ad un suicidio artistico per chiunque non fosse in grado di esibire la stessa chiarezza d’intenti del musicista di Aachen .
L’album va ascoltato uscendo dalla logica del track by track, perché ne verrebbe sminuito l’impatto avvolgente, ed arrivare alla nuova versione di Takitum Tootem!, posta in chiusura, risulterà impegnativo quanto gratificante.
Così, come l’exuvia (l’esoscheletro abbandonato da diverse specie di crostacei, insetti e aracnidi dopo la muta), la musica targata The Ruins Of Beverast si trasforma dopo ogni ascolto in un involucro testimone di un estro compositivo che, nello stesso momento in cui viene rilevato si sta già trasferendo altrove, pronto ad mostrare ulteriori e visionari bagliori creativi.

Tracklist:
1.Exuvia
2.Surtur Barbaar Maritime
3.Maere (On A Stillbirth´s Tomb)
4.The Pythia´s Pale Wolves
5.Towards Malakia
6.Takitum Tootem (Trance)

Line up:
Alexander Von Meilenwald

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