Questo disco è molto divertente, ci porta in un incrocio e si sa, gli incroci sono luoghi satanici dove si incontrano punk, metal e trash, con una spruzzata di black metal
Il bello del metal, oltre ad essere metal, è che può essere declinato in molti modi, essere suonato da gruppi o anche da singoli.
Il metal suonato da una sola persona è praticamente un genere a sé stante e vi sono molti ottimi esempi di ciò. In questo caso troviamo la creatura del croato di Spalato Wastelander, War Atrocities, un coagulo di black, trash e scorie radioattive di Venom, Hellhammer, Celtic Frost e di velocità ed attitudine metalpunk. Ma ciò che ricorda maggiormente sono i Bathory dei primi dischi, anche se il croato è più veloce e punk. Il risultato è un disco incalzante e debitore di più di una bevuta a quel signore che è appena venuto a mancare, Lemmy, che con i suoi Motorhead ha anfetaminizzato il rock, spingendolo in territori metal. Infatti l’ultima canzone è il rifacimento di Armageddon dei Bathory, tratto dall’omonimo album del 1984. Questo disco è molto divertente, ci porta in un incrocio e si sa, gli incroci sono luoghi satanici dove si incontrano punk, metal e trash, con una spruzzata di black metal, anche perchè il black deriva da quei generi di cui sopra. Necromantical Legions raggiunge in pieno lo scopo di dare nero piacere metallico, portandoci fra schiere di demoni che schizzano veloci verso i loro supplizi. Qui si può trovare quello spirito che animò il giovane Quorthon per cambiare le carte in tavola, più dei Venom e di tanti altri gruppi. Un disco notevole per pura e semplice devastazione.
TRACKLIST
1.Screams From The Pits
2.Destruktor of Eternal
3.Mayhem Mongers
4.Cryptic Calls
5.Storm of The Tyrants
6.Ripper Lust
7.Armageddon (Bathory)
Gli Xpus non scherzano e le varie Desecration of the Image of God, The Cherub’s Throne, Primordial Evil Essence non lasciano spazio all’ascolto distratto di ascoltatori che non siano amanti del genere.
Esordio sulla lunga distanza per gli Xpus, band italiana nati dalle ceneri degli Unholy Land, black metal band nata a Bergamo nel 1998 e con all’attivo due album tra il 2003 ed il 2008 ( The Fall of the Chosen Star, Dethrone the Light).
Il gruppo tricolore è protagonista di un oscuro e devastante black metal d’ispirazione satanica, dove non mancano accenni al death, specialmente nel growl, il resto del sound è totalmente devoto all’oscuro signore, malatissimo e putrido metal estremo, dove non mancano parti cadenzate pesanti come macigni, cori ecclesiastici e furiose sfuriate evil.
Quaranta minuti scarsi di delirio black/death, blasfemo e senza compromessi, una via di mezzo tra la tradizione polacca ed il black metal oltranzista della scena nordica, il tutto circondato da un’aura satanica difficile da riscontrare nelle band di ultima generazione.
Impatto, attitudine anti cristiana ed una buona dose di violenza, fanno di Sanctus Deus Sabaoth il classico album must per i true black metal fans, un inno di glorificazione alla morte, alla distruzione del genere umano ed al satanismo davvero notevole.
Gli Xpus non scherzano e le varie Desecration of the Image of God, The Cherub’s Throne, Primordial Evil Essence non lasciano spazio all’ascolto distratto di ascoltatori che non siano amanti del genere.
Il trio composto da questi sacerdoti del male vede Aren al basso e a vomitare blasfemie con un growl demoniaco, mentre la sei corde di Normak sputa riff black direttamente dall’inferno, accompagnata dalla batteria di L.(Luca Mazzucconi), per una tempesta di note estreme, malvagie, disturbanti e brutali.
Album affascinante e pregno di vero male in musica, una vera opera oscura.
TRACKLIST
01. Intro
02. Desecration of the Image of God
03. Die as a Sinner
04. The Cherub’s Throne
05. LHP
06. Wirlwind of Fire
07. The Great Worm of the Third Circle
08. Primordial Evil Essence
09. Eternal Flame
10. Outro
I Seventh Genocide hanno ottime potenzialità e grossi margini di miglioramento, seguirli nelle loro crescita è un passo obbligatorio, per chiunque ami la musica fuori dai soliti schemi.
I Seventh Genocide provengono da Roma e sono attivi dal 2006, ma solo cinque anni dopo licenziano il primo demo, seguito dal full length omonimo del 2012.
Il gruppo gira intorno al leader Rodolfo Ciuffo, bassista, cantante ed alle prese con la chitarra acustica, che viene affiancato nella line-up de altri tre musicisti, Stefano Allegretti e Jacopo Pepe alle chitarra e Valerio Primo alla batteria.
Partiti come gruppo black metal, la loro musica nel tempo si è evoluta in un metal estremo dove è sempre presente la componente black, ma accompagnata ora da parti atmosferiche vicine al post rock, intimiste, ed intrise di reminiscenze alternative. Breeze Of Memories è un ep composto di cinque brani che alternano feroci sfuriate black a sprazzi di ariose aperture acustiche, abbastanza suggestive ed originali: detto che le tracce tendono ad assomigliarsi, va dato atto alla band di una buona personalità, che si riscontra proprio nelle parti dove il black lascia spazio al rock, creando intensi momenti di musica che superano i soliti confini per cercare una propria strada, riuscendoci con sufficiente convinzione.
Quando è la tempesta black a prendere il sopravvento, le sferzate portate dal vento estremo non lasciano tregua, i Seventh Genocide sanno come suonare il genere e lo scream di Ciuffo risulta perfetto nella sua estrema drammaticità.
Mezzora scarsa, non molto, ma abbastanza per arrivare tranquillamente in fondo al lavoro senza incontrare riempitivi, solo musica dalla doppia anima, quella agguerrita e violenta del black e quella solare del rock alternativo, con qualche passaggio dal sapore folk.
Un’opera che ha bisogno di crescere dentro l’ascoltatore, per far proprie le atmosfere di cui è composta, risultando così un ascolto intrigante e suggestivo.
I Seventh Genocide hanno ottime potenzialità e grossi margini di miglioramento, seguirli nelle loro crescita è un passo obbligatorio, per chiunque ami la musica fuori dai soliti schemi.
TRACKLIST
1. Breeze of Memories
2. Be
3. Behind This Life
4. Summer Dusk
5. Il Lampo
Per chi segue con attenzione la floridissima scena metal finlandese questo disco è molto importante, e pieno di grandi nomi.
Per chi segue con attenzione la floridissima scena metal finlandese questo disco è molto importante, e pieno di grandi nomi.
La nuova etichetta italiana Goatmancer ristampa questo gran disco del 2010. Gli Evemaster sono stati fondati nell’autunno del 1996 da Tomi Mykkanen dei Battlelore e da Jarno Taskula, dalle ceneri dei Mortal God. La musica degli Evemaster è un black death composto molto al di sopra della media dei soliti gruppi, con un’orchestrazione generale davvero notevole. Questo disco, come dice il titolo, è la loro terza prova, e ne segna il percorso, poiché il discorso musicale è portato ben la di là dei consueti canoni del black e del death, come i testi che sono di uno spessore superiore, ed hanno un valore letterario. Tanto per dare una caratura dei personaggi coinvolti il missaggio e la masterizzazione sono stati svolti da Dan Swano, un personaggio che ha sempre firmato cose ottime. IIIè l’opera fin qui più matura del gruppo e oltre che dare piacere agli ascoltatori del black e del death, darà molte gioie anche a chi apprezza cose più gothic. Questa ristampa precederà il nuovo album del gruppo che dovrebbe vedere la luce nel 2016, e mette sulla mappa la nuova etichetta italiana The Goatmancer che inizia con un’opera notevoel e dalle mille sfaccettature, che lascia soddisfatti ad ascolti ripetuti e continuati.
TRACKLIST
1.Enter
2.New Age Dawns
3.Humanimals
4.Losing Ground
5.The Great Unrest
6.The Sweet Poison
7.Harvester of Souls
8.Fevered Dreams
9.Absolution
LINE-UP
Jarno Taskula – vocals
Tomi Mykkänen – music
Aornos fa sicuramente parte dell’ambito tradizionale, suona un black metal d’atmosfera ma non atmosferico, con grande uso di tastiere, ed il risultato non è affatto male.
One man band di black metal in stile classico scandinavo con riferimenti al black metal sinfonico inglese.
Dopo anni di gestazione ecco qui l’esordio discografico di Algras in arte Aornos, musicista ungherese che produce un buon album di black metal. Quest’ultimo è un genere sempre in bilico tra forte innovazione e tradizione, tendenze che non affatto in contrasto. Aornos fa sicuramente parte dell’ambito tradizionale, suona un black metal d’atmosfera ma non atmosferico, con grande uso di tastiere, ed il risultato non è affatto male. Restano da limare alcuni aspetti della produzione, che rendono il suono con troppi alti in certi passaggi del disco poco comprensibile. A parte ciò rimane un buon debutto che termina con una bella cover degli Emperor.
Black metal crudele. ruvido e misantropico, atmosfere old school che si stagliano nell’oscurità illuminata da due occhi diabolici, quelli di Chaoswolf.
Black metal crudele. ruvido e misantropico, atmosfere old school che si stagliano nell’oscurità, illuminata da due occhi diabolici, quelli di Chaoswolf, vocalist e padrone di questa one man band, che vede agli ordini dell’artista messicano in sala d’incisione due musicisti come Senectus e Berserker, volta a diffondere il male, il disordine ed il caos lungo le terre del Centro America.
Scrive musica dal 2007 Chaoswolf, da quando licenzia il demo Lycanthropic Passages and Mystic Blackness, da allora una serie di demo ed un primo full length uscito un paio di anni fa, The Fall of the Idols.
Cantato nella sua lingua madre, il nuovo lavoro è un classico esempio di black metal old school, che riprende la tradizione scandinava( Darkthrone), con qualche sfumatura che richiama i Necromantia, comunque sempre tenendo altissima la tensione, brutale, oscura e malvagia.
Produzione vecchia maniera, screaming catacombale, ed attitudine misantropica fanno da concept alla musica del singer messicano, un demone liberato dalle catene, che lo legavano al pavimento di una caverna al centro della terra, ed ora libero di destabilizzare con il suo efferato esempio di musica estrema, completamente devota al all’oscurità. Templo de palabras muertas, è il classico disco che arriva in ritardo di almeno vent’anni, pregno di attitudine vecchia scuola e senza compromessi, risultando comunque un buon prodotto per i fans più oltranzisti del genere.
D’altronde la scena underground è lungi da non considerare opere del genere, specialmente quando vivono di passione come questo lavoro.
Le atmosfere non concedono tregua e Templo de palabras muertas risulta così un omaggio al true black metal, dove Orgasmortem(o de la Libido Perpetua), El discurrir de un cáncer del ser e la conclusiva The End of Black Metal Paradise, risultano le songs più convincenti di un’opera only for fans.
TRACKLIST
1. La escisión de Ouróboros
2. Orgasmortem (o de la Libido Perpetua)
3. Irreverencia (o el evangelio negro de la VeraLux)
4. Tanatema
5. La muerte de Calvarium Funestus (o el gesto irónico de su sepultamiento)
6. El retorno de lo reprimido
7. El discurrir de un cáncer del ser
8. Extraducción a lo inconsciente
9. Wings of Paradox (In the Cynic Valley)
10. The End of Black Metal Paradise
Black Metal veloce, tirato e classicheggiante per questo progetto solista dalla Russia.
Black Metal veloce, tirato e classicheggiante per questo progetto solista dalla Russia.
Il suono è un misto di black e di sonorità più vicine al metal classico, e l’esecuzione è pulita, come in qualche classico scandinavo. Le liriche in russo trattano a quanto pare, di religione massacri ed amenità varie, ma è la musica che la fa da protagonista, regalandoci un disco mai scontato né banale, composto con nera sapienza e tanta cattiveria. Lo stile classico di Amezarak regala molte gioie agli ascoltatori e lo apprezzerà anche chi vuole qualcosa di nuovo dal black metal, perché la vecchia scuola è sempre fondamentale.
TRACKLIST
1.Амезарак – Запах гроба
2.Амезарак – Здесь Зло
3.Амезарак – Некромант
4.Амезарак – Без инфантильной красоты
5.Амезарак – Лёд сердец
6.Амезарак – Жертва
7.Амезарак – Элоа
8.Амезарак – Finale (Part 1)
9.Амезарак – Finale (Part 2)
L.A.C.K. è al al momento una delle migliori espressioni del DSBM nazionale, un progetto da seguire senza indugi lungo questa via dolorosa quanto affascinante.
Secondo album per L.A.C.K. (Life Affliction Can Kill), progetto di Acheron, musicista italiano dedito ad una forma di DBSM di qualità convincente, come già evidenziato con l’ep When Everything Is Gone, risalente alla scorsa primavera
In quest’occasione il nostro struttura la sua creatura come una vera e propria band, avvalendosi della sezione ritmica degli Eyelessight formata da Ky e HK; inoltre, raduna diversi personaggi della scena nazionale, come Tenebra (Dreariness), Kjiel (Eyelessight) e The Haruspex (Selvans), ed il loro contributo arricchisce non poco il lavoro specie dal punto di vista vocale, apportando diverse varianti a quello che resta, comunque, il classico disperato screaming che è marchio del genere.
Assieme al funeral doom, il depressive black è lo stile musicale che più di altri riesce ad evocare in maniera compiuta il male di vivere, sfruttando nello specifico la dicotomia tra una struttura spesso delicatamente malinconica o di matrice acustica e lo strazio prodotto da un approccio vocale urticante.
Il lavoro di Acheron si sviluppa così in tal senso, aderendo all’ortodossia del genere ma facendolo attraverso una serie di brani splendidi nel loro unire linee melodiche toccanti alla struttura ritmica del black metal.
L’apporto delle strazianti voci femminili di Tenebra e Kjiel, rispettivamente in The Fragile e Your Reflection, si rivela indubbiamente un bel valore raggiunto per due brani che fotografano in maniera eloquente le doti compositive di Acheron, in grado di imprimere al proprio sound quella patina di disperazione ottundente che non urta ma imprigiona irrimediabilmente l’ascoltatore in un grigio e soffocante bozzolo.
Magnifiche anche Nothingness e la lunghissima Stains, mentre Distress Supernova si sposta su territori più propriamente black, assecondando in parte la presenza dell’ospite The Haruspex; ad aprire e chiudere il lavoro troviamo due tracce strumentali, l’acustica While the silence of the night… e l’ambientale ..It’s the soundtrack of a torment, composte rispettivamente da Kjiel e Ky, a dimostrazione dell’intento di Acheron di sfruttare al massimo l’ispirazione dei propri compagni d’avventura.
La scena DBSM nazionale è decisamente vivace e ben rappresentata un gruppo di band o progetti di grande qualità (diversi dei quali sono appunti rappresentati in questo The Fragile) che forniscono un interpretazione del genere sufficientemente peculiare: L.A.C.K. ne è al al momento una delle migliori espressioni, da seguire senza indugi lungo questa via dolorosa quanto affascinante.
Tracklist:
1 – While the silence of the night…(intro)
2 – Nothingness
3 – Distress Supernova
4 – Your Reflection
5 – Stains
6 – The Fragile
7 – …It’s the soundtrack of a torment (outro)
Line-up:
Acheron : Vocals,Guitars,Arrangements
Ky : Bass
HK : Drums
Benissimo ha fatto la Transcending Obscurity a prendersi cura della distribuzione di questa compilation che riassume il lavoro di un grande gruppo.
L’India è ormai un laboratorio sempre attivo dove nascono creature musicali in tutte le frange metalliche, se si parla di suoni estremi poi c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Death metal, brutal e come in questo caso black, sono i generi dove quella terra lontana, produce ottimi gruppi in abbondante quantità, molto conosciuti nei paesi asiatici, troppo poco considerati in Europa, dove gli amanti della musica dura sono da sempre poco inclini alle novità di casa loro, figuriamoci se si tratta di band fuori dal solito circuito Europa/Stati Uniti.
Gli Heathen Beast sono una band di Calcutta, dopo aver dato alle stampe un tris di mini cd , immettono sul mercato questa compilation dove sono compresi tutti e tre i lavori prodotti, andando a formare un album completo, opera sopra le righe che conferma la qualità della musica estrema prodotta nel loro paese d’origine.
Black metal feroce, ateo come ben sottolineato dalla band, una denuncia contro tutte le religioni, la politica e il livello sociale in cui letteralmente annega il paese Indiano, con la loro città, sorta di megalopoli dove la povertà è ai minimi storici da sempre e la violenza dilaga.
Un inferno, un antro dove l’uomo si divora l’anima e si nutre dei suoi simili, Calcutta esprime il lato peggiore del genere umano, lasciato a se stesso e dove la vita non vale neppure un pasto caldo, le malattie dilaniano corpi e menti e solo pochi riescono a sopravvivere ad una calamità che non ha fine.
La Band tutto questo lo trasporta in musica, elargendo metal estremo di spiccata personalità tra la tradizione black e ottime parti dove la loro cultura esce allo scoperto e si amalgama perfettamente al sound devastante, costruito dal gruppo.
Grandiose le ritmiche di questo lavoro, riprese dalla musica tradizionale(The Carnage Of Godhra) che fanno da tappeto a solos di lancinante black metal rabbioso, ed ottime le parti più in linea con la musica metallica, con uno scream talmente disperato, violento e vissuto da mettere i brividi(Carvaka anche alla sei corde)
Il gruppo il meglio di sé lo dà quando riesce ad uscire dai soliti binari estremi, con questa alleanza tra metal e musica popolare che rende le songs davvero clamorose.
Un lavoro straordinario quello fatto da Mimamsa alle pelli, accompagnato dal basso di Samkhya, mai sentito sinceramente un gruppo black con una varietà così accentuata nelle ritmiche, ed enorme il lavoro del chitarrista/cantante, una belva ferita, un urlo bestiale che trasuda puro odio iconoclasta. Religious Genocide è disturbante nella sua inumana violenza, Ayodhya Burns è un crescendo tragico dove la chitarra accenna riff classici, violentati dalla voce abrasiva del singer, Gaurav Yatra (The Aftermath) nel suo violento incedere riesce a trasmettere un mood progressivo, mentre le percussioni disegnano ricami di musica orientaleggiante per quasi sette minuti di spettacolare musica metallica.
Benissimo ha fatto la Transcending Obscurity a prendersi cura della distribuzione di questa compilation, che riassume il lavoro di un grande gruppo.
TRACKLIST
1. Blind Faith
2. Religious Genocide
3. Ayodhya Burns
4. Drowning of the Elephant God
5. Contaminating the Ganges
6. Bakras to the Slaughter
7. The Carnage of Godhra
8. Ab Ki Baar Atyachaar
9. Gaurav Yatra (The Aftermath)
Primi Dark Tranquillity e Dissection sono i gruppi di maggiore ispirazione per la band, a cui auguro quella stabilità che potrebbe favorire una presenza più costante sul mercato
La Germania continua ad essere da anni la patria dei suoni metallici, dall’hard rock al metal estremo la tradizione metal è ben radicata nel popolo tedesco, ed i vari generi continuano a trovare nuovi estimatori proprio nella terra posta al centro dell’Europa.
Non solo come si potrebbe pensare l’heavy classico o il più tradizionale power metal, ma anche le frange più estreme hanno sempre trovato terra fertile da quelle parti, sia per quanto riguarda il numero di fans che di gruppi dediti al genere.
I Tranquillizer sono una band di Francoforte attiva dal 2008, ma arrivata solo ora al primo lavoro sulla lunga distanza, lasciando alle spalle un ep targato 2011.
Dunque ci hanno messo un po per entrare in modo deciso sul mercato, ma il risultato non è affatto male e Des Endes Anfangaccontenterà una buona fetta degli amanti del death metal melodico dai richiami black e fortemente influenzato dall’onnipresente scena scandinava.
Il quintetto tedesco sempre in difficoltà per i vari cambi di line up che, in questi anni, ne hanno rallentato la carriera nel mondo metallico underground, si presenta con un buon esempio di metal estremo melodico, strutturato sull’alchimia tra black e death, ma reso vario ed interessante da ottime cavalcate di classico metal dai tratti epici e dark, che conferisce al sound un’aurea oscura e drammatica.
Le veloci parti ritmiche, si attorcigliano come serpenti in amore, a solos melodici, ottimi stacchi acustici e refrain trascinanti, le songs non perdono molto in impatto lungo la durata del lavoro, certo non mancano i difetti, ma sono ben bilanciati da una forma canzone ben strutturata.
Appunto, i difetti : non tutto funziona perfettamente, per esempio l’ottimo scream, viene accompagnato da un growl in stile brutal che non ci azzecca un granché con la proposta del combo tedesco e in alcuni casi il fantomatico già sentito affiora tra le tracce di questo Des Endes Anfang, contribuendo a far scendere un poco il valore dell’album, che rimane comunque un’opera prima dignitosa.
Primi Dark Tranquillity e Dissection sono i gruppi di maggiore ispirazione per la band, a cui auguro quella stabilità che potrebbe favorire una presenza più costante sul mercato, mentre ai fans del melodic death un ascolto al disco è consigliato, visto che potrebbero trovare in Des Endes Anfang qualcosa di sufficiente per crogiolarsi tra i cliché del genere.
TRACKLIST
1. Agonie
2. Eine andere Welt
3. Bestie Krieg
4. Werde Zu Staub
5. Kapitulation
6. Blutrot
7. Welk
8. Ins Licht
9. Seelenreiter
Chiaroscuro (titolo originalmente made in Italy) esce dalle casse in un’esplosione di note estreme, donandoci una buona mezzora di metal ignorante e potente.
Dalle fredde lande norvegesi arrivano a far danni i Vingulmork, attivi da più di tre anni e con un ep all’attivo nel 2014, The Long March.
Thrash metal con richiami al black è la proposta dei nostri vichinghi, un massacro perpetrato a colpi di metallici martelli nel nome di Odino e furiosi attacchi ai padiglioni auricolari, il tutto impreziosito da un riffing davvero notevole.
Le ritmiche trascinano come non mai in questo lavoro, i brani si susseguono compatti e veloci, mettendo in mostra non solo un buon songwriting ma l’ottima padronanza dei mezzi dei quattro musicisti di Oslo.
Lo scream/growl del buon Jostein Stensrud Køhn, accompagna queste nove burrasche di metal estremo con piglio e personalità, la chitarra si scaglia all’attacco dei nemici con riff e solos incendiari(Martin Kandola) e la sezione ritmica è un bombardiere impegnato a distruggere a colpi di cannonate devastanti( Simen Kandola alle pelli e Steffen Grønneberg al basso).
Ne esce un lavoro di ottimo metal estremo, ben bilanciato tra l’anima Thrash old school e quella black che, ovviamente estremizza ancora di più la musica con sfuriate estreme come l’opener Collapse and Rebuild, (I Am) The Darkness You Can touch e le alquanto esaltatanti From Promise e White Dress, Black Heart.
Poco più di mezzora, travolti da questo uragano sonoro, magari non troppo originale ma ben congegnato dal quartetto norvegese, che non ne vuole sapere di rallentare i ritmi, aggredendo l’ascoltatore dalla prima all’ultima nota.
Registrato ai Toproom studios e mixato da Børge Finstad and Matias Aaveren, Chiaroscuro(titolo originalmente made in Italy) esce dalle casse in un’esplosione di note estreme, donandoci una buona mezzora di metal ignorante e potente….insomma, una goduria.
TRACKLIST
1. Collapse and Rebuild
2. Hold Your Ground
3. (I Am) The Darkness You Can touch
4. The Haunting
5. Old Hate
6. From Promise
7. Painting Lives
8. White Dress, Black Heart
9. It Will Suffice
Gli Atrorum sono sorpendenti nel loro mescolare aperture ariose e lievi a passaggi decisamente massicci e grumosi, l’ascoltatore viene in alcuni momenti completamente spiazzato da momenti schizofrenici
Quando ascolti un disco come questo, la prima azione da compiere è aprire la mente. Mi spiego meglio: “aprire la mente” in questo caso significa porsi nella disposizione d’animo più ricettiva possibile, eliminare pregiudizi, preconcetti, il rapporto predeterminato tra vista ed udito e lasciarsi coinvolgere in un’opera che trattasi di un dipanarsi di stanze musicale concettualizzate in profondi rapporti di passaggio tra influenze stilistiche varie, disparate, spesso antipodiche ma amalgamate con sapienza, logica e rigore.
Gli Atrorum sono un duo proveniente da Monaco, in Baviera, attivo dal 1998, alla loro terza prova ufficiale. Non musicisti di primo pelo, quindi, ma elementi attivi dell’underground bavarese da quasi venti anni; l’esperienza maturata negli anni emerge tra le note di questo Structurae: un edificio musicale costruito con pazienza e professionalità, in cui in un universale impronta progressive marezzata di black metal sinfonico proprio di Dimmu Borgir e Borknagar, fa variegatura un impianto digitale disturbante, figlio (o nipote) del kraut-rock geograficamente legato agli Atrorum ed individuabile in reminiscenze che ricordano i primi Aborym.
Sorprendenti nel loro mescolare aperture ariose e lievi a passaggi decisamente massicci e grumosi, l’ascoltatore viene in alcuni momenti completamente spiazzato da momenti schizofrenici popolati di partiture free-jazz, come nella sorprendente Amapolas o nell’onirico confluire jazzistico del pianoforte in Menschein.
Fiore all’occhiello di questa produzione risulta il lucidissimo lavoro di postproduzione, in cui ogni velo di caratteristica strumentistica viene esaltato e reso nitido; ulteriore punto di merito è la meravigliosa impronta artistica e culturale degli Atrorum che hanno, in questo Structurae esaltato le loro composizioni poetiche con un songwriting in sette lingue diverse: inglese, francese, tedesco, russo, spagnolo, latino e greco per esplorare concettualmente la struttura e la capacità razionale e non della mente umana.
The Dying Beauty ha tutte le carte in regola per soddisfare chi ricerca un approccio più emotivo che fisico al black metal
Terzo album per i Nocturnal Degrade, nati nati nello scorso decennio come progetto solista del musicista romano Cold, al quale ora si affianca il batterista M.VII.F.
I territori battuti in questo lavoro sono quelli del black metal di matrice nordica, con ampi riferimenti a Burzum ma con una decisa componente depressive che permea l’intero sound di un’aura di oscura e talvolta disperata malinconia.
L’opener Consequence è sufficientemente esemplificativa del contenuto di The Dying Beauty, con il suo incedere negli alvei della tradizione del genere sovente arricchita, però, da passaggi chitarristici che rimandano ad umori darkwave.
Se, come è naturale, il disco non apporta novità sostanziali a sonorità ampiamente codificate in passato, ciò che fa piacevolmente la differenza è la capacità di Cold di pervadere ogni brano di linee melodiche struggenti, che scavano tunnel di dolore all’interno delle montagne di riff e blast beat.
Se In December e Iceberg Of Memories ricalcano in qualche modo la pregevole struttura mostrata in Consequence, l‘anima dark emerge con prepotenza nella title track, traccia splendida e picco assoluto di un lavoro che riserva un’altra coppia di episodi meno convenzionali ma non per questo di minore interesse: Of My Soul and the Macrocosm e Celeste (Pale Blue Ocean) mostrano, infatti, due volti diversi della materia ambient, con la reiterazione di un dilatato fraseggio chitarristico nella prima e il delicato minimalismo della seconda, composta per l’occasione da Gianni Pedretti (Colloquio e Neronoia).
Cold riesce ad impirimere alla sua musica quell’intensità che spesso manca in interpretazioni del genere, dove l’attenzione alla forma porta inevitabilmente ad esiti intrisi di manierismo: anche se di durata inferiore ai quaranta minuti The Dying Beauty ha tutte le carte in regola per soddisfare chi ricerca un approccio più emotivo che fisico al black metal.
Tracklist
1. Consequence
2. In December
3. Of My Soul and the Macrocosm
4. Iceberg of Memories
5. The Dying Beauty
6. Celeste (Pale Blue Ocean)
Questo stuzzicante connubio tra black metal e musica araba non è affatto qualcosa di banale, possa piacere o meno, e se sviluppato ulteriormente, potrebbe portare in tempi brevi a risultati sorprendenti.
Nel parlare di metal proveniente da paesi arabi, specialmente poi in questo caso che vede la band in oggetto arrivare proprio dall’Arabia Saudita (anche se ho la sensazione che la sua base sia altrove), in questi tempi grami è facile finire per occuparsi di questioni che esulano dal contesto prettamente musicale.
Cercherò quindi di non cadere in questa trappola, raccontando brevemente di questo quarto full length dei sauditi Al Namrood, autori di un black death fortemente influenzato dalle sonorità tipiche della loro area geografica.
Diciamo che l’interpretazione del genere non appare né raffinata né artefatta: il trio ci va giù bello pesante, ed anche le parti suonate con gli strumenti tradizionali (ad opera di Ostron) conservano un’aura selvaggia che le rende ancor più intriganti; detto del lavoro di mero accompagnamento di chitarra e basso, a cura dell’altro membro fondatore Mephisto, il ringhio di Humbaba è forse l’elemento meno convincente del contesto, visto che più che cantare strepita in lingua madre testi che, ahimè, sono di impossibili da comprendere senza una traduzione.
Non riesco darmene una spiegazione logica, ma dopo il primo ascolto di Diaji Al Joor ho pensato che dei Rammstein, risvegliatisi dopo un trip susseguente ad un’orgia dall’ambientazione araba, suonerebbero esattamente così, un po’ perché ogni tanto il vocalist può ricordare una versione più grezza di Lindemann, ma soprattutto perché si intravvede negli Al Namrood quello stesso spirito sardonico che è una delle più sottovalutate doti della grande band teutonica.
Detto ciò, anche se quaranta minuti non sono tanti, per godere appieno di questo lavoro è basilare apprezzare la musica tradizionale araba: io che, devo confessare, la digerisco sostanzialmente solo se assunta in dosi moderate, ho fatto una certa fatica a completare i diversi ascolti del disco, ma è innegabile che lo stesso racchiuda un suo fascino ancestrale che potrebbe non lasciare indifferente chi è alla ricerca di qualche sonorità estrema dai tratti meno convenzionali.
Rivedibile in certi passaggi dal punto di vista della produzione, Diaji Al Joor contiene alcuni brani killer, come il singolo Hayat Al Khezea o Zamjara Alat, ed è sicuramente un disco che lascia una certa acquolina in bocca alla luce del potenziale espresso degli Al Namrood: questo stuzzicante connubio tra black metal e musica araba non è affatto qualcosa di banale, possa piacere o meno, e se sviluppato ulteriormente, potrebbe portare in tempi brevi a risultati sorprendenti.
Da provare, senza pregiudizi.
Tracklist:
1. Dhaleen
2. Zamjara Alat
3. Hawas Wa Thuar
4. Ejhaph
5. Adghan
6. Ya Le Taasatekum
7. Hayat Al Khezea
8. Ana Al Tughian
9. Alqab Ala Hajar
Uno split riservato agli amanti del true black metal, Infection Born of Ending è da evitare se non avete confidenza con il genere proposto.
L’etichetta Appalachian Noise Records ci presenta, in questo Split in edizione limitata a cento copie, due realtà oscure e misantropiche con base aldilà dell’oceano: i canadesi Idolatry e gli statunitensi Unrest.
La black metal band canadese è attiva da solo un anno e formata da ex membri di svariati gruppi della scena di Edmonton come: Ides of Winter, Helgrind, Dead Jesus e Spawned by Rot, ed hanno licenziato un ep omonimo di quattro brani nell’autunno dello scorso anno.
Il brano che presentano su questo split, dal titolo Clefs au Chambre de Tristêsse / …Once Thought of Webs è un buon esempio di black metal dal sound cadenzato, accelerazioni improvvise e claustrofobiche atmosfere oscure, vario nei suoi sette minuti di durata, mantiene alta l’atmosfera di decadente black metal, insano e satanico fino al midollo.
Il gruppo ha, dalla sua, l’esperienza underground dei protagonisti che, senza clamorose prestazioni fa capire l’ottima amalgama tra i musicisti e le buone potenzialità, che potrebbero regalare soddisfazioni nei prossimi sviluppi futuri.
Gli statunitensi Unrest provengono dall’Ohio e sono la one man band del polistrumentista Destroyer, risultano attivi dal 2004, ed hanno esordito lo scorso anno con il primo full length Isolation.
Odio, rabbia e distruzione per un brano (On Filth) di black metal scarno, corrosivo ed assolutamente Only For Fans, devastante nel suo approccio old school, ed alimentato da uno spirito hardcore che rende la proposta ancor più minimale.
Uno split riservato agli amanti del true black metal, Infection Born of Endingè da evitare se non avete confidenza con il genere proposto.
Tracklist:
Side A
1. Unrest – Of Filth
Side B
2. Idolatry – Clefs au Chambre de Tristêsse / …Once Thought of Webs
La musica di Chiral penetra nell’anima principalmente in virtù della sua grande forza evocativa.
Ho avuto la fortuna di conoscere questo splendido progetto denominato Chiral fin dai suoi primi passi e, forse anche per questo, l’ascolto di ogni nuova uscita avviene con un approccio meno asettico di quanto possa accadere con altre produzioni.
Di certo quest’attenzione è del tutto meritata: dopo l’esordio su lunga distanza “Abisso”, che metteva subito il luce le gradi potenzialità di Chiral, lo split album con HaatE confermava quanto di buoni era stato detto in precedenza, grazie ad un brano magnifico come “Everblack Fields of Nightside”.
Un certo estremismo black affiorato nel successivo split “Sed Auis” poteva far pensare ad un progressivo indurimento del suono mentre ciò che avviene è esattamente il contrario: Night Sky costituisce un passo avanti decisivo, con il quale il musicista piacentino esibisce senza più remore e con minori retaggi estremi le proprie malinconiche e melodiche pulsioni. My Temple of Isolation profuma intensamente di Agalloch, ed è un bell’effluvio visto che parliamo di una band unica che, proprio per questa sua peculiarità , raramente viene omaggiata con la stessa proprietà qui esibita: nei dieci minuti tondi del brano, l’impronta folk – post metal della band statunitense viene rielaborata con competenza e, soprattutto, con la giusta componente emotiva.
La successiva Nightside I: Everblack Fields è di fatto una nuova versione del brano presente nel già citato split “Where Mountains Pierce The Nightsky”, con il tema portante che riprende peraltro il brano di apertura di Abisso, “Atto I: Disceso Nel Buio”: se la riproposizione di frammenti utilizzati in precedenti occasioni potrebbe sembrare una carenza di ispirazione, denota invece la volontà di Chiral di rendere tutti i propri lavori un continuum in costante evoluzione, un corpo unico capace di espandersi mantenendo ben saldi i canoni stilistici che l’hanno ispirato.
Dopo esser stati cullati per quasi venti minuti da una musica a tratti sognante, Nightside II: Sky Wonder non giunge certo ad interrompere bruscamente la piacevole attività onirica: un’altra linea melodica apparentemente semplice rapisce e conquista per un ulteriore quarto d’ora.
Il breve strumentale acustico The Morning Passage introduce la conclusiva Beneath the Snow and the Fallen Leaves, traccia dalle atmosfere maggiormente inquiete e meno immediate, più orientate a sonorità vicine ai Wolves In The Throne Room che non ai Lustre, altro importante punto di riferimento per Chiral rinvenibile nelle due Nightside. Con questo brano veniamo così strappati ai suoni più morbidi che ci hanno cullato nella parte iniziale del lavoro, quasi a ricordarci la matrice black del progetto, pur con tutte le sue molteplici sfaccettature.
Questa recensione esce nello stesso giorno di quella, sempre scritta da me, riguardante l’ultimo album dei TesseracT: laddove troviamo l’attenzione spasmodica per i particolari, la ricerca ossessiva del tecnicismo e della pulizia del suono, qui invece abbiamo una musica che penetra nell’anima principalmente in virtù della sua forza evocativa, e le sue piccole imperfezioni formali si rivelano del tutto insignificanti se considerate nell’intero contesto.
Superfluo aggiungere quale preferisca tra questi due modi di intendere e di vivere la musica ….
Tracklist:
1. My Temple of Isolation
2. Nightside I: Everblack Fields
3. Nightside II: Sky Wonder
4. The Morning Passage
5. Beneath the Snow and the Fallen Leaves
Album difficile da assimilare per chi vive di musica a compartimenti stagni, Legio Axis Ka è consigliato agli amanti dell’estremo che non disdegnano soluzioni moderniste ed elettroniche.
I suoni metallici amalgamati a quelli sintetici ed elettronici non fanno più quel clamore di una ventina d’anni fa: anche in questo ibrido musicale si è già detto più o meno tutto e gli album che hanno fatto storia sono stati saccheggiati dalle nuove leve in ogni loro parte.
Vero è che, chi ha raccolto maggiori proseliti sono quei gruppi che, partendo dalla lezione impartita dai Fear Factory, hanno creato mostri di abominevole metal estremo, violentato e reso ancora più devastante dalle soluzioni industriali.
Ma i francesi Pavillon Rouge fanno spallucce e proseguono imperterriti la loro discesa negli inferi con Legio Axis Ka, un monolite di black metal estremizzato da iniezioni di elettro/industrial, dalle forti reminiscenze new wave e dall’appeal straordinario.
Il gruppo estremo di Grenoble, attivo da quasi una decina d’anni, immette sul mercato tramite la Dooweet, questo secondo, splendido lavoro dopo cinque anni dall’ultimo parto, “Solmeth Pervitine”.
Black metal si diceva, feroce, e distruttivo, una bestia malefica che si nutre di suoni drogati e sintetici, atmosfere cyber ed industriali, fanno del nuovo lavoro una massacrante prova di forza da parte della band transalpina, in un viaggio per lo spazio che finisce inevitabilmente con una interminabile caduta tra le braccia di un demoniaco signore residente nel più profondo abisso.
Ottimamente usati, i suoni moderni trasmettono atmosfere che si diversificano ad ogni passaggio: ora disturbanti, molte volte creando sfumature sinfoniche e spaziali, ora tuffandosi nella techno (Kosmos Ethikos), creando un universo di musica estrema varia e dall’ottimo feeling.
Un mostro creato, come dal dottor Frankenstein, impossessandosi di parti che, ricucite assieme prendono vita, richiamando sotto la fiamma nera del black oltranzista una serie di generi nati dai suoni sintetici come l’industrial, la techno e la new wave per un risultato forse ambiguo ma molto affascinante.
Spaziale nel suo incedere, Legio Axis Kla, ha nelle parti estreme , dove la furia black è tenuta per le briglie dalla marzialità dei suoni cyber, i momenti più intensi come nell’opener Prisme vers l’Odysée e L’enfer se souvient, l’enfer sait, ottima accoppiata di songs estreme e furiose. Mars Stella Patria si allontana dall’approccio black sinfonico delle prime due tracce per una canzone molto più sintetica e techno, ed è proprio su questa alternanza di stili che Legio Axis Kavive, lasciando alla monumentale A l’Univers, il compito di inglobare tra il suo spartito tutti gli umori e le sfumature che compongono la musica dei Pavillon Rouge.
Album difficile da assimilare per chi vive di musica a compartimenti stagni, Legio Axis Ka è consigliato agli amanti dell’estremo che non disdegnano soluzioni moderniste ed elettroniche, se ne astengano invece gli adepti del black più oltranzista.
Tracklist:
1. Prisme vers l’Odysée
2. L’enfer se souvient, l’enfer sait
3. Mars Stella Patria
4. A l’Univers
5. Aurore et Nemesis
6. Droge Macht Frei
7. Kosmos Ethikos
8. Notre Paradis
9. Klux Santur
Line-up:
E.Shulgin – Bass
Kra Cillag – Vocals
Mervyn Sz. – Guitars, Programming
François Guichard – Guitars (lead), Vocals
“This Ruin Beneath Snowfall” è una delle cose migliori ascoltate quest’anno in ambito black atmosferico.
Breve Ep d’esordio per Old Graves, ennesimo progetto solista dedito al black metal atmosferico.
Colby Hink è canadese e, tutto sommato, nella sua musica confluiscono in maniera sensibile le emozioni ed il senso di sgomento che gli splendidi scenari paesaggistici offerti del suo paese riescono ad indurre, in chiunque sia conscio della propria sostanza infinitesimale rispetto alla maestosità della natura.
Se il sound porta con sé una brezza tenue ma gelida, d’altra parte possiede anche un respiro più ampio che conduce la mente in spazi sterminati in cui l’uomo è (non sempre gradito) ospite.
Il lavoro è molto breve ma fa intuire l’innata predisposizione di Colby nel produrre atmosfere malinconicamente evocative, pur nella loro semplice struttura. In particolare brilla, baciata da una linea melodica davvero splendida, Hang My Remains from the Crescent Moon, ma Dawn Treader e la title track non sono in fondo da meno, andando a costituire un quadro dall’impatto emotivo non sempre riscontrabile in simili occasioni.
Lo screaming è nella norma ma ha il pregio di non risultare fastidioso, anche se in fase di produzione è stato come da copione del genere seppellito dagli altri strumenti, specialmente quando tutti si muovono all’unisono nell’edificare un muro sonoro avvolgente.
Il musicista nordamericano dimostra buon gusto e talento anche nelle parti acustiche e più riflessive, nelle quali la componente ambient viene sempre e comunque asservita ad un costruzione melodica logica e lineare, che include la presenza di assoli chitarristici di buon pregio.
This Ruin Beneath Snowfall è una delle cose migliori ascoltate quest’anno in ambito black atmosferico: di solito con gli Ep tendo a non sbilanciarmi con le valutazioni ma, in questo caso, mi sento di scommettere senza alcuna remora su una qualità compositiva che non può essere né casuale né transitoria.
Tracklist:
1. Kestrel
2. Dawn Treader
3. Hang My Remains from the Crescent Moon
4. This Ruin Beneath Snowfall
Concludiamo la serie delle interviste alle band che sono state incluse nella compilation UMA 2015: oggi è il turno dei bergamaschi Veratrum.
Concludiamo la serie delle interviste alle band che sono state incluse nella compilation UMA 2015: oggi è il turno dei bergamaschi Veratrum.
A tale proposito, facciamo presente che la band è stata già intervistata per IYE da Alberto Centenari verso la fine di maggio, quando ancora non si sapeva di doverlo fare in occasione della UMA Compilation; ci scusiamo quindi con i lettori se ad alcune delle domande standard poste a tutti i gruppi, i Veratrum hanno parzialmente già risposto nella precedente occasione. Ma, tutto sommato, “repetita juvant” …
iye Intanto congratulazioni per l’avvenuto accesso alla compilation: ci raccontate in breve la storia della band?
Ciao a tutti! Noi siamo i Veratrum, una band black/death metal da Bergamo. Siamo attivi dal 2008, abbiamo prodotto un demo nel 2010 (Sangue) e due full length: Sentieri Dimenticati (2012) e Mondi Sospesi che è uscito in aprile. Ci presentiamo come band che fa metal estremo, senza badare troppo alle etichette stilistiche. Chi vorrà ascoltare la nostra musica si troverà a che fare con un misto di black, death e doom metal, amalgamato da atmosfere epiche, linee sinfoniche, melodia unita a potenza d’impatto.
iye Cosa vi ha spinto a partecipare al contest indetto dalla Underground Metal Alliance?
Innanzitutto il rispetto per la UMA che è una agency molto seria, attiva e creativa. E’ già molto difficile trovare chances così, non sfruttarle è criminale! Il CD Mondi Sospesi è in fase di promozione e abbiamo voluto candidare il primo singolo Il Culto della Pietra per entrare nella compilation. Siamo contenti che i giurati abbiano gradito la nostra proposta.
iye Oltre a quelli più immediati, legati alla partecipazione a questa iniziativa, quali sono gli obiettivi che vi siete prefissati nell’immediato futuro?
La promozione dell’album avrà la priorità per tutto il prossimo anno. Vogliamo incrementare la nostra presenza live e migliorare sempre di più i nostri show e, in generale, l’offerta artistica della band. L’8 Agosto appariremo al Fosch Fest di Bagnatica (Bergamo) di spalla a Carcass, Arkona e altri. Contemporaneamente, siamo al lavoro su diversi progetti tutti mirati ad aumentare la visibilità della band fra cui il videoclip de Il Culto della Pietra.
iye Quali sono per voi le band ed i musicisti di riferimento e per quali nomi, attualmente, varrebbe la pena oggi di fare un sacrificio per assistere ad un concerto?
Behemoth, Nile, Fleshgod Apocalypse, Melechesh e altri. Ma non bisogna sottovalutare le “umili” serate death e black che molti locali coraggiosi organizzano. L’underground è florido e solo facendo network si potrà davvero fare utili investimenti e sacrifici per la propria scena.
iye Suonare metal in Italia è un’impresa che porta con sé il suo bel coefficiente di difficoltà; tracciando un consuntivo di quanto fatto finora, siete soddisfatti dei riscontri ottenuti dalla band?
Naturalmente è dura per tutti e i nostri sette anni di attività sono stati a volte difficili. Tuttavia, rispetto ad altre band meno fortunate, possiamo essere soddisfatti. Oltre ad aver lavorato con una certa regolarità con 3 pubblicazioni in 5 anni, abbiamo sempre goduto di recensioni positive. I recenti risultati, come essere selezionati per la UMA Compilation, essere arrivati terzi alla Metal Battle 2015, essere inseriti nella line-up del Fosch Fest sono sicuramente incoraggianti. Quindi il bilancio direi che è in positivo ma bisogna sempre faticare tanto per essere sul pezzo e coinvolgere un numero crescente di fan.
iye Per quanto riguarda invece l’attività dal vivo, anche voi avete incontrato le stesse difficoltà nel trovare date e location disponibili che molti evidenziano? Ci sarà, comunque, la possibilità di vedervi all’opera su qualche palco nel corso dell’estate?
Trovare locali dove suonare è difficile e richiede tanto tempo per inviare promo-pack, telefonare, crearsi un “giro”. Tutte le nostre date sono pubblicizzate sulla nostra pagina Facebook e Reverbnation. Il 17 Luglio saremo al The One di Cassano d’Adda (BG) e, come già ricordato, l’8 Agosto saremo al Fosch Fest di Bagnatica (BG).
iye Per finire, vi lasciamo lo spazio per fornire ai nostri lettori almeno un buon motivo per avvicinarsi alla vostra musica.
Consigliamo i Veratrum a tutti coloro che amano il blackened death metal con tante influenze e nessuna vera band di riferimento. Suoniamo ciò che ci piace senza paura di mischiare death, black, doom, ambient, epic, prog e altro. Crediamo nelle performance tecniche e nel sound epico e drammatico. I nostri pezzi sono cantati in italiano e prestiamo alle liriche la stessa cura che dedichiamo alla musica e agli artwork. Molti nostri pezzi, vecchi e nuovi, sono ascoltabili su youtube nonché su facebook e reverbnation. Vi aspettiamo e contattateci!
Un lavoro complesso ed irto di spine ma ugualmente ricco di una certa attrattiva.
Gli australiani Norse sono in circolazione da quasi un decennio nel corso del quale hanno dato alle stampe due full-length nel 2010 e nel 2012.
La band, che di fatto è sempre stata guidata dal drummer Forge, si cimenta in un black death che non lascia spazio alcuno ad ammiccamenti groove o melodici.
I Norse forse non spaventano ma sicuramente disturbano, con i loro brani all’insegna di una claustrofobica misantropia che si esplicita attraverso un sound capace di unire la vena più sperimentale del black con sfuriate talvolta al limite del grind, creando un impasto sonoro difficilmente digeribile ma ugualmente affascinante.
La repulsione iniziale dovuta all’insistenza di sonorità dissonanti lascia lentamente spazio, infatti, a un percezione che non può essere certamente definita empatia ma che è, quantomeno, una perniciosa attrazione verso questi suoni che Forge, coadiuvato dallo screaming di ADR, riversa senza misericordia alcuna sull’ascoltatore.
Solo la conclusiva Aimless concede spiragli di melodia nelle trame chitarristiche, quasi a voler ribadire che anche l’oscurità più assoluta conserva al suo interno infinitesimali barlumi di luce.
Il formato Ep di Pest, con la sua durata inferiore alla mezz’ora, favorisce indubbiamente l’assimilazione di questo lavoro complesso ed irto di spine ma ugualmente ricco di una certa attrattiva.