Imber Luminis & Eyelessight – As The Sun In Your Eyes

As The Sun In Your Eyes è una mirabile sintesi tra quanto ha saputo fare Déhà con il suo progetto più vicino al depressive, Imber Luminis, e il più diretto e straziante approccio alla materia di Kjiel, accompagnata anche dal sempre presente HK alla batteria e, per l’occasione, anche alla voce.

L’incontro di anime sensibili e tormentate non può che produrre musica che rispecchia in toto queste caratteristiche.

La collaborazione di Kjiel, colei che non esito a definire l’artista di punta del movimento DSBM italiano, con il genio multiforme di Déhà ha preso forma in occasione dell’album degli Angor Animi, progetto della musicista abruzzese sbocciato lo scorso anno con lo splendido Cyclothymia, e si è rafforzata oggi con questo lungo brano di venticinque minuti, scaturito da un’improvvisazione nata agli Opus Studio di Bruxelles nel corso delle sessioni di registrazione di Athazagorafobia, il nuovo album degli Eyelessight.
As The Sun In Your Eyes, per quanto possa avere, in base a quanto detto, caratteristiche estemporanee, è in realtà una mirabile sintesi tra quanto ha saputo fare Déhà con il suo progetto più vicino al depressive, Imber Luminis, e il più diretto e straziante approccio alla materia di Kjiel, accompagnata anche dal sempre presente HK alla batteria e, per l’occasione, anche alla voce.
Gli ascoltatori più attenti potranno così cogliere con un certo agio le due anime fondersi in un sound unico, capace di conservare gli elementi peculiari di ciascuna di esse senza che l’una vada e prevaricare l’altra; sarebbe stato un vero peccato che quanto scaturito da questo incontro fosse rimasto inascoltato perché As The Sun In Your Eyes è una dimostrazione dell’enorme potenziale a disposizione dei musicisti coinvolti, senza dimenticare che tutto questo rappresenta anche, in fin dei conti, un’ideale viatico all’ascolto del nuovo album degli Eyelessight, appena uscito per Talheim Records.
Non mancano quindi i buoni motivi per ascoltare a far proprio questo doloroso e malinconico frammento musicale visitando il bandcamp degli Imber Luminis (https://imberluminis.bandcamp.com/album/as-the-sun-in-your-eyes).

Tracklist:
1. As The Sun In Your Eyes

Line-up:
Kjiel : Vocals, guitars
HK : Vocals, drums
Déhà : Vocals, guitar, bass, producing

IMBER LUMINIS – Facebook

EYELESSIGHT – Facebook

Bethlehem – Bethlehem‬

L’ottava fatica su lunga distanza dei Bethlehem è sicuramente un qualcosa che non deve essere trascurato, anche per il tentativo, spesso riuscito, di scandagliare l’oscurità in musica in tutti i suoi meandri, specialmente quelli più inaccessibili e ripugnanti: resta il fatto che, per il mio gusto personale, manca sempre il canonico centesimo per fare l’euro.

Ho sentito più di una persona attendere con una certa fiducia questo nuovo album dei Bethlehem, alla luce di una storia che colloca la band tedesca tra quelle fondamentali per la crescita e lo sviluppo di un certo modo di interpretare la materia estrema.

Allo stesso modo, da parte mia, c’erano diversi dubbi legati al precedente Hexakosioihexekontahexaphobia, album che non mi aveva lasciato ricordi indelebili, e questa nuova fatica autointitolata ne dissipa alcuni ma ne fa crescere altri.
Sicuramente la creatura che, ormai da molti anni, viene guidata dal solo Bartsch , non produce musica che possa lasciare indifferenti e, nonostante la matrice black sia sempre bene in vista, il risultato finale non può essere mai scontato.
D’altra parte, però, pur non volendo togliere ai Bethlehem il titolo di band seminale e imprescindibile per quella che sarebbe diventata poi la scena black metal tedesca, resta il fatto che la loro produzione è sicuramente di buon livello, considerando anche che il leader si e circondato di musicisti di spessore (tra tutti il notevole batterista Stefan Wolz) ma senza raggiungere picchi corrispondenti allo status acquisito.
Anche questo nuovo lavoro, quindi, non sposta il mio giudizio pur se, rispetto al suo predecessore, si rivela leggermente più diretto e meglio focalizzato su un’indole black doom che offre più di un passaggio avvincente e ben memorizzabile.
Un altro aspetto che potrebbe fungere da spartiacque per più di un ascoltatore è l’interpretazione fornita dalla vocalist polacca Onielar, improntata su un registro isterico, a tratti anche molto teatrale, comunque più adatto a un disco di natura totalmente depressive piuttosto che ad un contesto simile, e che a mio avviso, oltre che stucchevole alla lunga, si rivela decisamente inferiore e meno versatile rispetto alla prova fornita da Guido Meyer su Hexakosioihexekontahexaphobia.
In definitiva, l’album dei Bethlehem mostra diversi sprazzi di genialità, ma i passaggi che si ricordano più volentieri sono quelli strumentali afferenti alla matrice doom e non quelli che, invece di stupire, finiscono solo per compromettere la fluidità di certe tracce.
Così è la diretta opener Fickselbomber Panzerplauze a convincere, così come i brani più meditati e melodicamente lineari quali Kynokephale Freuden im Sumpfleben e Arg tot frohlockt kein Kind, nelle quali trova spazio in maniera più concreta il qualitativo lavoro chitarristico di Karzov, mentre tra le tracce più anomale spicca Verderbnisheilung in sterbend’ Mahr, oscillante tra riff plumbei e minacciosi e liquide pulsioni dark wave .
Bartsch si conferma compositore di vaglia e senz’altro una delle migliori menti musicali in circolazione, ma sono troppe le scelte che personalmente ritengo cervellotiche e non del tutto funzionali al risultato finale, incluso il rutto che accoglie l’ascoltatore all’inizio del lavoro e che fa solo venire voglia di restituirlo al mittente …
Detto questo, l’ottava fatica su lunga distanza dei Bethlehem è sicuramente un qualcosa che non deve essere trascurato, anche per il tentativo, spesso riuscito, di scandagliare l’oscurità in musica in tutti i suoi meandri, specialmente quelli più inaccessibili e ripugnanti: resta il fatto che, per il mio gusto personale, manca sempre il canonico centesimo per fare l’euro.

Tracklist:
1. Fickselbomber Panzerplauze
2. Kalt’ Ritt in leicht faltiger Leere
3. Kynokephale Freuden im Sumpfleben
4. Die Dunkelheit darbt
5. Gängel Gängel Gang
6. Arg tot frohlockt kein Kind
7. Verderbnisheilung in sterbend’ Mahr
8. Wahn schmiedet Sarg
9. Verdammnis straft gezügeltes Aas
10. Kein Mampf mit Kutzenzangen

Line-up:
Bartsch – Bass, Keyboards
Wolz – Drums
Karzov – Guitars, Keyboards
Onielar – Vocals

BETHLEHEM – Facebook

Damnatus – Io Odio La Vita

Una buona prova d’esordio, alla quella forse manca soltanto qualche spunto melodico più incisivo e melodico in grado d’imprimersi più a lungo nella memoria.

Damnatus è il nome dato al proprio progetto solista dal musicista alessandrino Oikos, all’esordio con questo ep intitolato Io Odio La Vita.

Ci troviamo mani e piedi negli anfratti più oscuri e dolenti del depressive black, che qui viene offerto in maniera molto esplicita anche dal punto di vista lirico. Se le coordinate sonore e stilistiche sono quelle consuete del dsbm, con i protagonisti che urlano tutto il loro disagio su una base piuttosto malinconica e melodica, non si può mai fare a meno di apprezzare questa particolare forma musicale, capace di far riflettere ciascuno sui pensieri più negativi ed autodistruttivi che ognuno prova in determinati momenti della propria esistenza.
L’operato dei Damnatus rientra nella media per la sua resa finale, rivelandosi ben eseguito, tutto sommato ben prodotto per gli standard del genere e convincente anche a livello lirico, pur evidenziando a volte qualche accentuazione retorica di troppo: di sicuro, però, alla fine dell’ascolto resta la consapevolezza del fatto che l’alienazione ed il desiderio di fuga del protagonista verso un solo approdo, la morte, rappresentano un qualcosa appartenente al vissuto di tutti noi e con il quale, prima o poi, si è destinati a dover fare i conti.
Anche per questo amo il depressive, per il coraggio di chi lo suona nel mettere in piazza, con un auspicabile effetto catartico, quel malessere che spesso viene nascosto sotto maschere di convenienza che non riescono a celare del tutto l’inanità di gran parte dei nostri gesti quotidiani.
Per Oikos, quindi, una buona prova d’esordio, alla quella forse manca soltanto qualche spunto melodico più incisivo e melodico in grado d’imprimersi più a lungo nella memoria.

Tracklist:
1. Intro
2. Primavera depressa
3. Ricaduta
4. Le ferite non si rimarginano
5. Il ricordo inesistente di una vita andata a male

Line-up:
Oikos – Vocals, All Instruments

Yhdarl – A Prelude to the Great Loss

L’ennesima epifania di un talento per il quale una sorta di compulsività espressiva non va minimamente a discapito della qualità delle diverse proposte.

Un preludio alla grande perdita: per raccontare gli stati d’animo che accompagnano questo tragico momento c’è bisogno di uno dei massimi cantori moderni di tutto ciò che rappresenta il dolore, il disagio esistenziale, la disperazione e l’alienazione di chi è condannato, suo malgrado, a trascorrere l’esistenza su questo pianeta.

Il suo nome è Déhà, lo abbiamo testato fin troppe volte ed in mutevoli forme per nutrire dei dubbi sul suo valore, e anche questa volta non delude, utilizzando quale mezzo uno dei suoi innumerevoli progetti, Yhdarl, dove si accompagna alla musicista francese Larvalis Lethæus.
Il monicker in questione rappresenta l’ incarnazione più prolifica del musicista belga e, forse, anche quella in cui riesce davvero compiutamente a racchiudere tutte le sue oscure visioni, proprio perché, ascoltando con attenzione A Prelude to the Great Loss, si riescono a cogliere sfumature, provenienti dagli altri suoi progetti, che vengono espresse come sempre in maniera mirabile.
L’ep regala una mezz’ora complessiva di musica, suddivisa in due brani complementari ma diversi per approccio ed intensità: la furia parossistica che spesso contraddistingue Unblessed Hands è sintomatica di un dolore che pare non trovare vie d’uscita ed è il punto d’incontro tra la furia distruttiva dei COAG, il nichilismo dei Merda Mundi ed il rabbioso sgomento degli Imber Luminis, mentre ben diverso è l’impatto emotivo provocato da Primal Disgrace, laddove il dolore ottundente degli Slow va a fondersi idealmente con la poetica malinconica dei We All Die (Laughing).
Il tutto viene accompagnato dalla cangiante e sempre convincente interpretazione di Déhà e dai vocalizzi strazianti di Larvalis Lethæus, elemento vieppiù disturbante in un ambito che di rassicurante e confortevole di suo ha già ben poco.
Gli Yhdarl rappresentano l’ennesima epifania di un talento per il quale una sorta di compulsività espressiva non va minimamente a discapito della qualità delle diverse proposte, un qualcosa che trova ben pochi eguali nella storia recente della musica, non solo di quella circoscritta al metal.

Tracklist:
1. Unblessed Hands
2. Primal Disgrace

Line-up:
Déhà – All instruments, Vocals
Larvalis Lethæus – Vocals, Piano

YHDARL – Facebook

Cepheide – Respire

I Cepheide raffigurano in maniera credibile una dimensione di afflizione e disperazione che si staglia su un tappeto atmosferico di buona fattura.

Ancora dalla fertile Francia arrivano i Cepheide, band che, con questo Respire, giunge alla seconda uscita dopo il demo d’esordio De silence et de suie, pubblicato nel 2014.

I parigini sono autori di un black metal molto atmosferico che sconfina spesso e volentieri nel depressive, aiutato in questo dalle urla costanti che, più che declamare testi, assumono alla fine la funzione di vero e proprio strumento aggiuntivo.
Tutto ciò raffigura in maniera credibile una dimensione di afflizione e disperazione che si staglia su un tappeto melodico di buona fattura: il lavoro si rivela così molto interessante per la sua intensità anche se, per converso, alla lunga potrebbe pagare dazio a causa della sua uniformità espressiva.
Per sfuggire a questo rischio bisogna considerare Respire (uscito in origine come autoproduzione nel 2015 e riedito oggi dalla Sick Man Getting Sick Records in formato vinilico) quasi come una sorta di flusso sonoro volto a disegnare lo stato d’animo di chi, su questa terra, ha rinunciato a scendere a patti con il modo circostante e, soprattutto, con se stesso.
I due lunghissimi brani, che brillano per un’intensità a tratti spasmodica, differiscono parzialmente in quanto Le souffle brûlant de l’immaculé possiede un incedere più apocalittico ed in qualche modo aderisce agli stilemi del black metal nella sua forma più cupa e depressiva, mentre La chute d’une ombre esibisce passaggi ambient e, anche quando riesplode la furia ritmica, si ammanta di una certa aura cosmica.
Respire è un lavoro decisamente intrigante, anche se non per tutti, in virtù dei suoi pregi, rappresentati in primis dall’elevato impatto emotivo, che superano di gran lunga i difetti, tra i quali si segnala invece una produzione non proprio limpidissima.
I Cepheide hanno posto le basi per produrre prossimamente qualcosa in grado di lasciare un segno profondo, perché il malessere e la disperazione che vengono espressi in quest’opera, ancora perfettibile, assumono quei tratti tangibili che band appartenenti allo stesso segmento stilistico non riescono ad esibire con analoga profondità.

Tracklist:
1. I. Le souffle brûlant de l’immaculé
2. II. La chute d’une ombre

Line-up:
Thomas Bouvier
Gaétan Juif

CEPHEIDE – Facebook

CEPHEIDE – Bandcamp

Depicting Abysm – Passage

Passage è un album che sicuramente comunica un senso di algida alienazione e, se questo era l’intento dei due ragazzi San Pietroburgo, l’obiettivo viene sicuramente raggiunto, permane però sullo sfondo una certa monotonia provocata da un incedere senza particolari strappi.

I russi Depicting Abysm, duo dedito ad un atmospheric depressive black, pubblicano il loro secondo full length intitolato Passage.

Al netto di una esecuzione pregevole e di una produzione buona per gli standard abituali del genere, va detto che nell’album latitano quegli spunti emotivi che sarebbe lecito attendersi con maggiore continuità in una proposta simile. I ritmi sono costanti, così come le melodie tenui ma non troppo incisive, che creano un sottofondo senza sobbalzi allo screaming disperato di matrice DSBM e a clean vocals per lo più recitate
Anche il doom entra nel novero delle influenze mostrate dai Depicting Abysm, specie nelle parti iniziali di alcuni brani, laddove l’incedere si fa più soffocante.
L’opener Shelter è sicuramente un buon brano, resta il fatto che la formula si ripete poi per oltre mezz’ora salvo le impennate finali di Gathering, in cui un violino fornisce quella variabile lungamente attesa, e di Unity, in cui un dolente chitarrismo di matrice doom, regala il picco di drammaticità dell’album.
Passage è un album che sicuramente comunica un senso di sottile afflizione e, se questo era l’intento dei due ragazzi di San Pietroburgo, l’obiettivo viene sicuramente raggiunto, permane però sullo sfondo una certa monotonia provocata da un incedere senza particolari strappi.

Tracklist:
1.Shelter
2.Shadow
3.Disbelief
4.Gathering
5.Unity

Line-up:
A. – All instruments, Programming
K. – Vocals

DEPICTING ABYSM – Facebook

Black Whispers – Shades of Bleakness

L’inquietudine che trasuda da Shades of Bleakness viene efficacemente veicolata verso l’ascoltatore con un disco relativamente breve e dalle sonorità piuttosto uniformi, ma che hanno in comune linee melodiche molto efficaci

Ecco un bellissimo disco di depressive black metal proveniente dalla Costarica: fino a qualche tempo fa un simile incipit avrebbe destato una certa sorpresa ma, oggi, è ormai assodato che certe pulsioni dell’animo umano non hanno limiti di tempo e luogo né, soprattutto, di espressione.

In effetti, l’unico costaricense del trio è il giovane J.F., chitarrista e vocalist che si fa coadiuvare dal messicano Nergot e dall’italiana Kjiel, personaggio di spicco della scena DSBM nostrana, qui rappresentata anche da HK, che si occupa del drumming sull’album.
Quello che fa la differenza nell’ambito di questo genere, dato per scontato uno stesso desiderio da parte degli autori di rappresentare stati di alienazione dalla realtà propedeutici a comportamenti suicidi o autolesionistici, è la capacità dei singoli musicisti di rendere credibili e nel contempo fruibili le loro soluzioni espressive. Nei Black Whispers entrambi gli aspetti vengono proposti al meglio, sicché l’inquietudine che trasuda da Shades of Bleakness viene efficacemente veicolata verso l’ascoltatore con un disco relativamente breve (4 tracce più intro) e dalle sonorità piuttosto uniformi ma che hanno in comune linee melodiche molto efficaci e, soprattutto, in grado di comunicare manifestamente tutto il senso di disagio.
Una piccola pecca è rinvenibile nel canonico screaming disperato che, essendo un po’ piatto, talvolta si rivela quasi un elemento di disturbo se inserito in un ambito musicale sovente dai tratti melodici, per quanto foschi; è anche vero, però, che questo aspetto è parte integrante di un genere che, per sua natura, non deve né rassicurare né consolare, quindi a chi apprezza tutto ciò non risulterà sgradito più di tanto.
Una lieve imperfezione che, comunque, non va inficiare quello che si rivela come uno dei migliori album depressive black metal ascoltati negli ultimi tempi e, come detto in fase di introduzione, non stupisca il fatto che l’artefice di tutto ciò provenga dalla Costarica: la musica è un qualcosa di universale, impossibile da delimitare erigendo muri o reti elettrificate …

Tracklist
1. Intro (Useless Existence)
2. Gloom
3. Never-ending Unsteadiness
4. Stuck in the Past Ruins
5. Dying (Life Neglected сover)

Line-up:
J.F. – Vocals, Lyrics
Kjiel – Guitars, Additional Vocals
Nergot – Bass
HK – Drums

BLACK WHISPERS – Facebook

Imber Luminis – Veiled

Ennesimo progetto del multiforme Déhà, Imber luminis è quello che per caratteristiche maggiormente si avvicina al depressive metal.

Ennesimo progetto del multiforme Déhà, Imber Luminis è quello che per caratteristiche maggiormente si avvicina al depressive metal.

Questo anche perché, in aggiunta a sonorità melodiche e mai spinte all’estremo, troviamo una prestazione vocale contraddistinta dallo screaming disperato tipico del genere, prestato per l’occasione da Daniel Neagoe, storico sodale del nostro,.
Il breve EP in questione consta di due brani in cui confluiscono diversi influssi che l’eclettico musicista belga riesce a modellare, come sempre, a suo piacimento e il risultato, manco a dirlo, è poco più di un quarto d’ora di splendida e dolorosa musica.
Se Veiled Part I, talvolta, appare una sorta di versione DSBM dei Cure di Disintegration, Veiled Part II va a lambire, a modo suo, il tipico andamento indolente dei Type 0 Negative di October Rust. In quest’ultima traccia l’urlo disperato trova, poi, un suo contraltare sia in un profondo growl, sia in suadenti clean vocals.
Déhà non finisce mai di sorprendere anche chi, come me, ne segue da tempo le diverse incarnazioni, e convince ancora una volte rifuggendo soluzioni arzigogolate, andando invece dritto al cuore dell’ascoltatore.
Non resta che ringraziarlo per questo supportandone l’intero operato con la massima convinzione.

Tracklist
1. Veiled – Part I
2. Veiled – Part II

Line-up:
Déhà – All instruments, Vocals
Daniel Neagoe – Vocals

IMBER LUMINIS – Facebook

L.A.C.K. – The Fragile (Soundtrack for the tormented)

L.A.C.K. è al al momento una delle migliori espressioni del DSBM nazionale, un progetto da seguire senza indugi lungo questa via dolorosa quanto affascinante.

Secondo album per L.A.C.K. (Life Affliction Can Kill), progetto di Acheron, musicista italiano dedito ad una forma di DBSM di qualità convincente, come già evidenziato con l’ep When Everything Is Gone, risalente alla scorsa primavera

In quest’occasione il nostro struttura la sua creatura come una vera e propria band, avvalendosi della sezione ritmica degli Eyelessight formata da Ky e HK; inoltre, raduna diversi personaggi della scena nazionale, come Tenebra (Dreariness), Kjiel (Eyelessight) e The Haruspex (Selvans), ed il loro contributo arricchisce non poco il lavoro specie dal punto di vista vocale, apportando diverse varianti a quello che resta, comunque, il classico disperato screaming che è marchio del genere.
Assieme al funeral doom, il depressive black è lo stile musicale che più di altri riesce ad evocare in maniera compiuta il male di vivere, sfruttando nello specifico la dicotomia tra una struttura spesso delicatamente malinconica o di matrice acustica e lo strazio prodotto da un approccio vocale urticante.
Il lavoro di Acheron si sviluppa così in tal senso, aderendo all’ortodossia del genere ma facendolo attraverso una serie di brani splendidi nel loro unire linee melodiche toccanti alla struttura ritmica del black metal.
L’apporto delle strazianti voci femminili di Tenebra e Kjiel, rispettivamente in The Fragile e Your Reflection, si rivela indubbiamente un bel valore raggiunto per due brani che fotografano in maniera eloquente le doti compositive di Acheron, in grado di imprimere al proprio sound quella patina di disperazione ottundente che non urta ma imprigiona irrimediabilmente l’ascoltatore in un grigio e soffocante bozzolo.
Magnifiche anche Nothingness e la lunghissima Stains, mentre Distress Supernova si sposta su territori più propriamente black, assecondando in parte la presenza dell’ospite The Haruspex; ad aprire e chiudere il lavoro troviamo due tracce strumentali, l’acustica While the silence of the night… e l’ambientale ..It’s the soundtrack of a torment, composte rispettivamente da Kjiel e Ky, a dimostrazione dell’intento di Acheron di sfruttare al massimo l’ispirazione dei propri compagni d’avventura.
La scena DBSM nazionale è decisamente vivace e ben rappresentata un gruppo di band o progetti di grande qualità (diversi dei quali sono appunti rappresentati in questo The Fragile) che forniscono un interpretazione del genere sufficientemente peculiare: L.A.C.K. ne è al al momento una delle migliori espressioni, da seguire senza indugi lungo questa via dolorosa quanto affascinante.

Tracklist:
1 – While the silence of the night…(intro)
2 – Nothingness
3 – Distress Supernova
4 – Your Reflection
5 – Stains
6 – The Fragile
7 – …It’s the soundtrack of a torment (outro)

Line-up:
Acheron : Vocals,Guitars,Arrangements
Ky : Bass
HK : Drums

L.A.C.K. – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=7ImMAwJziIg

Поезд Родина / Funeral Tears – Frozen Tranquility

Buon split album proveniente dalla sempre attiva scena dell’est europeo, con protagoniste due realtà del funeral doom minori, ma non per questo trascurabili come Поезд Родина e Funeral Tears.

Buon split album proveniente dalla sempre attiva scena dell’est europeo, con protagoniste due realtà del funeral doom minori, ma non per questo trascurabili come Поезд Родина e Funeral Tears.

La prima band (la cui traslitterazione nel nostro alfabeto diventa Poezd Rodina) è un duo formato dal russo Andrey T., che si occupa di tutti gli strumenti, e dall’ucraino Eugene, che presta il proprio aspro screaming; nel caso dei Поезд Родина parlare di funeral doom è forse un po’ forzato, visto che nel loro sound affiorano non pochi elementi che riportano direttamente al depressive più malato e melanconico.
Un discorso che tutto sommato si può fare in parte anche per la one man band Funeral Tears del russo Nikolay Seredov che, sebbene si muova su territori più propriamente doom, mantiene comunque quei tratti disperati tipici del DSBM
Detto questo, per amor di precisione e per non ingenerare equivoci di sorta in chi si apprestasse all’ascolto, Frozen Tranquillity si rivela un lavoro ispirato, capace di esibire un mood doloroso, spesso in maniera lancinante e sempre con una certa continuità; mediamente più lunghi, i brani dei Поезд Родина sono più atmosferici e dall’impatto maggiormente drammatico, mentre quelli dei Funeral Tears sfruttano frequentemente il contributo della chitarra solista per spingere sul lato malinconico del genere proposto, con una prestazione vocale da parte di Seredov che si fa preferire rispetto a quella del suo dirimpettaio.
Nel complesso, i brani migliori di ciascuna band sono forse i primi in scaletta, Ледяная Голгофа e Разливая по венам усталость, ma se non vengono raggiunti picchi memorabili va detto che il livello medio si mantiene sempre su standard piuttosto buoni, facendo sì che entrambi i nomi entrino di diritto tra quelli da tenere sotto stretta osservazione in occasione di un prossimo full length.

Tracklist:
1.Поезд Родина – Ледяная Голгофа
2.Funeral Tears – Разливая по венам усталость
3.Поезд Родина – Всего лишь смерть
4.Funeral Tears – Eternal Tranquility
5.Поезд Родина – Мертві квіти
6.Funeral Tears – Hope

Line-up:
Поезд Родина
Andrey T. – All instruments, Lyrics
Eugene – Vocals

Funeral Tears
Nikolay Seredov – Everything

FUNERAL TEARS – Facebook

Nocturnal Degrade – The Dying Beauty

The Dying Beauty ha tutte le carte in regola per soddisfare chi ricerca un approccio più emotivo che fisico al black metal

Terzo album per i Nocturnal Degrade, nati nati nello scorso decennio come progetto solista del musicista romano Cold, al quale ora si affianca il batterista M.VII.F.

I territori battuti in questo lavoro sono quelli del black metal di matrice nordica, con ampi riferimenti a Burzum ma con una decisa componente depressive che permea l’intero sound di un’aura di oscura e talvolta disperata malinconia.
L’opener Consequence è sufficientemente esemplificativa del contenuto di The Dying Beauty, con il suo incedere negli alvei della tradizione del genere sovente arricchita, però, da passaggi chitarristici che rimandano ad umori darkwave.
Se, come è naturale, il disco non apporta novità sostanziali a sonorità ampiamente codificate in passato, ciò che fa piacevolmente la differenza è la capacità di Cold di pervadere ogni brano di linee melodiche struggenti, che scavano tunnel di dolore all’interno delle montagne di riff e blast beat.
Se In December e Iceberg Of Memories ricalcano in qualche modo la pregevole struttura mostrata in Consequence, l‘anima dark emerge con prepotenza nella title track, traccia splendida e picco assoluto di un lavoro che riserva un’altra coppia di episodi meno convenzionali ma non per questo di minore interesse: Of My Soul and the Macrocosm e Celeste (Pale Blue Ocean) mostrano, infatti, due volti diversi della materia ambient, con la reiterazione di un dilatato fraseggio chitarristico nella prima e il delicato minimalismo della seconda, composta per l’occasione da Gianni Pedretti (Colloquio e Neronoia).
Cold riesce ad impirimere alla sua musica quell’intensità che spesso manca in interpretazioni del genere, dove l’attenzione alla forma porta inevitabilmente ad esiti intrisi di manierismo: anche se di durata inferiore ai quaranta minuti The Dying Beauty ha tutte le carte in regola per soddisfare chi ricerca un approccio più emotivo che fisico al black metal.

Tracklist
1. Consequence
2. In December
3. Of My Soul and the Macrocosm
4. Iceberg of Memories
5. The Dying Beauty
6. Celeste (Pale Blue Ocean)

Line-up:
Cold – all intruments
M.VII.F – drums

NOCTURNAL DEGRADE – Facebook

Pale From Sunlight – Love Was Never An Option

L’elemento di interesse per i Pale From Sunlight risiede nella maggiore rarefazione delle atmosfere, che non sono mai banali e che, alla fine, riescono ad indurre quel senso di ineluttabile ed interminabile sconforto che il DSBM intende riversare sull’ascoltatore.

Depressive black dagli Stati Uniti con il duo Pale From Sunlight, all’esordio con questo primo lavoro su lunga distanza dopo l’Ep omonimo uscito solo lo scorso febbraio.

L’interpretazione del genere vede Krullnaag e Vemetrith alle prese con i consueti suoni venati di dolore ottundente che dividono la scena con l’altrettanto canonica voce straziante.
L’elemento di interesse per i Pale From Sunlight risiede, dunque, nella maggiore rarefazione delle atmosfere, che non sono mai banali e che, alla fine, riescono ad indurre quel senso di ineluttabile ed interminabile sconforto che il DSBM intende riversare sull’ascoltatore.
Peccato solo che la produzione non riesca a valorizzare appieno il buon lavoro compositivo, ma chi ama tali sonorità ormai ha già fatto abbondantemente l’orecchio a questo aspetto
I cinque brani di Love Was Never An Option appaiono comunque tutti piuttosto efficaci anche se, per gusto personale, ho molto apprezzato la conclusiva Last Sunset, in pratica un esibizione di funeral depressive capace di convogliare in un sol colpo tutto il disagio esistenziale che, ciascuno a modo proprio, entrambi i generi intendono convogliare.
Buona prova comunque per una band che si piazza con buona disinvoltura sulla scia della migliore scuola americana che vede Xasthur e Dhampyr quali portabandiera.

Tracklist:
1. River Oaks
2. ‘Til Death Does His Part
3. Anxious Revelations
4. Out of Reach
5. Love Was Never an Option
6. Last Sunset

Line-up:
Krullnaag – All instruments
Vemetrith – Vocals

PALE FROM SUNLIGHT – Facebook

Imber Luminis – Imber Aeternus

Un disco che va ascoltato con la giusta predisposizione d’animo, pena il rischio di rifiutarlo non appena i suoni si intristiscono e la voce di Déhà esprime senza alcuna mediazione le sensazioni di uno spirito lacerato da un dolore che non può essere in alcun modo lenito né sopportato.

Ci sono al mondo persone particolarmente in gamba, capaci di ottimizzare al massimo il proprio tempo per dedicarsi a molteplici attività, e il fatto che ci riescano pure con buoni risultati crea un senso di leggera frustrazione a chi fatica nell’organizzarsi in maniera decente una normalissima esistenza.

Il caso in esame è quello del musicista belga Déhà, che i lettori dotati di migliore memoria ricorderanno d’aver trovato anche nelle recensioni dei Deos, degli Slow e dei C.O.A.G..
Il fatto sorprendente non è solo che tutti questi lavori fossero accomunati da una qualità non comune ma risiede soprattutto nella varietà dei generi trattati, aspetto che depone a favore della versatilità compositiva di Déhà: infatti, se nei Deos, in compagnia di Daniel Neagoe, il genere prescelto era un death-doom di ottima fattura, con il monicker Slow spostava le coordinate sonore verso un funeral altrettanto convincente mente come C.O.A.G., in maniera invero sorprendente, si cimentava con le velocità esasperate del grindcore.
Imber Luminis ci mostra un ulteriore volto del musicista di Mons e, anche se è sempre il doom la base di partenza, in effetti questo è, tra tutti i lavori citati, quello che mostra le maggiori sfaccettature stilistiche.
Due brani lunghissimi, ciascuno ben oltre i venticinque minuti, conducono l’ascoltatore in un viaggio che prende l’avvio con le note dai tono quasi sognanti, ai confini dello shoegaze, di Imber, per poi spostarsi progressivamente, sia nel corso dello stesso brano sia in particolare con la successiva traccia Aeternus, verso una sofferenza priva di filtri, urlata nel vero senso del termine, facendo impallidire in tal senso anche i più estremi esponenti del depressive.
Un’interpretazione vocale sentita, volutamente eccessiva fino a lambire i confini del kitsch, porta l’album a livelli di disperazione quasi parossistici, il tutto assecondato da un impianto sonoro che mette costantemente in primo piano l’impatto emotivo, per un risultato finale francamente stupefacente.
Un disco che va ascoltato con la giusta predisposizione d’animo, pena il rischio di rifiutarlo non appena i suoni si incupiscono e la voce di Déhà esprime senza alcuna mediazione le sensazioni di uno spirito lacerato da un dolore che non può essere in alcun modo lenito né sopportato.
Un altro lavoro splendido per l’indaffarato musicista belga e, peraltro, questa degli Imber Luminis non è detto che sia l’ultima delle sue molteplici incarnazioni; quantità e qualità, non sono invero in molti ad unirle con tale disinvoltura in campo artistico …

Tracklist:
1. Imber
2. Aeternus

Line-up:
Déhà – All instruments, Vocals

IMBER LUMINIS – Facebook

Forgotten Thought – Grey Aura

La strada intrapresa è quella giusta, i margini di crescita sono considerevoli, aspettiamo con fiducia i Forgotten Thought alla prima prova su lunga distanza.

Interessante Ep d’esordio per i Forgotten Thought, realtà nostrana dedita a un cupo depressive black dalle sfumature funeral.

La band è, di fatto, un duo composto da Rodolfo e Nephastal: questi due giovani musicisti, brillantemente sfuggiti alla lobotomizzazione musicale alla quale sono state sottoposte le ultime generazioni nel nostro “bel” paese, hanno deciso di abbracciare un genere che definire di nicchia è forse persino generoso, e questo non fa che aumentare il mio apprezzamento nei loro confronti.
Grey Aura si rivela un frutto forse ancora un po’ acerbo ma ugualmente piacevole; i due ragazzi romani evitano di avvitarsi in passaggi eccessivamente complessi mantenendo un ritmo sempre piuttosto moderato, riuscendo in tal modo a valorizzare sia il piano che la chitarra, che si alternano nell’imprimere ai brani quel mood dolente e malinconico che il genere richiede.
La traccia strumentale, autointitolata, si rivela emblematica in tal senso, mettendo sul piatto melodie davvero efficaci e dal notevole impatto emotivo, ma bisogna dire che tutti i brani non sono da meno sotto questo aspetto.
A far da contraltare a questi aspetti positivi vanno presi in considerazione alcuni difetti che il tempo contribuirà senza’altro a limare, se non ad eliminare del tutto: sia pure con tutte le giustificazioni del caso, se la produzione ha in particolare il difetto di affossare, rendendole ancora più inintelligibili, le scream vocals, e in qualche passaggio strumentale l’esecuzione appare ancora un po’ scolastica.
Ma, tenendo ben presente che nel DSBM, l’aspetto che maggiormente importa è la capacità da parte dei musicisti di trasportare l’ascoltatore alla condivisione delle proprie emozioni, quantunque impregnate di negatività, bisogna ammettere che questo obiettivo viene sicuramente centrato dai Forgotten Thought.
La strada intrapresa è quella giusta, i margini di crescita sono considerevoli, li aspettiamo con fiducia alla prima prova su lunga distanza.

Tracklist :
1. Grey Aura
2. The Endless Path
3. Forgotten Thought
4. Black Ink Soaked Page
5. Just For a Moment… (Austere cover)

Line-up :
Rodolfo Ciuffo – Vocals, Bass, Guitars
Nephastal – Vocals, Piano, Guitars, Drum programming