Directo – … Al Infierno

…Al Infierno è quello che vuole essere, una corsa verso le regioni a sud del paradiso, una perdizione sonora per fans dello stoner, dell’hard rock e del metal più stradaiolo, ed è un disco piacevole ed un ottimo inizio discografico per un gruppo che ha cose da dire ma soprattutto da suonare.

Ascoltare i Directo è come trovare o ritrovare dei compagni di vizi che si credevano perduti, qualcuno che capisce le fiammate che a volte ci ardono dentro senza rimedio e che le hanno messe in musica.

I Directo nascono a Città di Castello provincia di Perugia nel 2010, fondati da ragazzi che amano le sonorità di Black Sabbath e Kyuss, ed infatti i loro concerti si basavano agli inizi sulla discografia del gruppo desertico. Questo …Al Infierno è il loro esordio ed è un disco che contiene uno stoner desert con molte influenze diverse di grande qualità, e che rilascia molte emozioni mai scontate; ascoltandolo si viene trasportati in un luogo molto caldo e con gente non proprio raccomandabile, le chitarre disegnano riff fumosi e sabbiosi, la sezione ritmica spinge in maniera lussuriosa come dei lombi, e la voce è molto adeguata a questo tipo di musica. Nel mondo ci sono moltissimi gruppi simili ai Directo, ma pochi hanno una loro impronta originale, che qui invece è molto marcata e ne rappresenta la natura più profonda. Ascoltando il disco ci si accorge che alla fine questo loro suono così affascinante si può annoverare sotto la dicitura blues, sì questo potrebbe essere blues del deserto, perché il deserto non è per forza quello popolato da scorpioni e bestie varie, ma anche qualsiasi delle nostre provincie italiane, dove non succede mai nulla ma in realtà solo il brutto accade, e dove ci sono forze che ti spingono a fare musica più forte e i Directo ne sono una dimostrazione molto forte.
… Al Infierno è quello che vuole essere, una corsa verso le regioni a sud del paradiso, una perdizione sonora per fans dello stoner, dell’hard rock e del metal più stradaiolo, ed è un disco piacevole ed un ottimo inizio per un gruppo che ha cose da dire ma soprattutto da suonare.

Tracklist
1. Enter The Darkness Gate
2. Electric Phoenix
3. Immortal King
4. Planet’s Dying. Pt.1 (Empty Oceans)
5. Planet’s Dying. Pt.2 (Burning Metal)
6. Bitches, Whorses and Other Furnishings
7. Satan Is A Friend Of Mine
8. Memories Of A Dead Star

Line-up
Zyus (Igor Laurenzi) – Voice
Rado (Simone Radicchi) – Lead Guitar
Bechi (Alberto Rubechi) – Rhythm Guitar
Gaglia (Gabriele Gagliardini) – Bass
Razzola (Stefano Razzolini) – Additional Bass
Bracco (Giacomo Bracchini) – Drums

DIRECTO – Facebook

Speechtones – Step

Step è un primo passo, una fondazione di un nuovo mostro sonoro che nasce non a caso in Sardinia, una terra molto fertile per l’underground di qualità.

Dalla Sardegna esordio assoluto per gli Speechtones, un gruppo che fa musica diretta e di sostanza, scegliendo come generi lo stoner, l’heavy rock e sua maestà il desert, tutto in maniera ben fatta e coerente.

Ascoltare la loro prima prova, in download libero sul loro bandcamp, oltre a far scoprire un nuovo valido gruppo underground riesce a regalare bei momenti a chi si vuol lasciare rapire da un suono che è meglio lasciar fluire ad alto volume. In questo gruppo sardo convivono diverse anime e i generi cambiano con facilità, anche grazie al talento compositivo e alla freschezza musicale e mentale. La produzione può essere ampiamente migliorata, ma questo ep Step è la pietra miliare di una strada ancora in costruzione, dato che il lavoro è stato registrato con il primo batterista che non è più in formazione. I tre pezzi possono sembrare pochi, ma illustrano molto bene ciò che è e ciò che potrebbe diventare questo gruppo. Come tante band al proprio esordio le idee sono giustamente tante e spingono tutte per uscire fuori. Il risultato sono tre canzoni, tre appunti di ciò che è e di ciò che sarà. Perché questo gruppo è solido e andrà avanti. La psichedelia è presente in forme diverse, ma sicuramente gli Speechtones non la interpretano nella concezione classica del termine, anche se hanno dei bei momenti stupefacenti soprattutto nel primo pezzo, che è anche quello di maggior respiro dato che supera gli otto minuti. La coppia di canzoni rimanente è più breve e mette in luce altre peculiarità della band, come la capacità di usare lo stoner e il desert rock anche se in realtà lo stile parte da questi assiomi ma è una miscela originale e in totale divenire. Step è un primo passo, una fondazione di un nuovo mostro sonoro che nasce non a caso in Sardinia, una terra molto fertile per l’underground di qualità.

Tracklist
1.Popular Express
2.Sharks and Dogs
3.Speechless

SPEECHTONES – Facebook

Nosexfor – Nosexfor

A differenza di ciò che deve essere compreso attraverso i social media, questo disco, fatto in maniera antica ma non per questo antiquata, mette la musica al centro di tutto rendendola strumento di narrazione.

Esordio per il duo vicentino Nosexfor, composto da Severo Cardone e Davide Tonin.

Al primo ascolto non si rimane particolarmente impressionati dalla loro musica e dai loro testi, ma dopo un po’ che li si ascolta si rimane stupiti di quanto siano bravi e capaci nel rendere melodie e pensieri, fissandoli su piccoli bassorilievi musicali che colpiscono per la loro originalità e credibilità.
La prima impressione non era certo colpa del duo veneto, che infatti poi convince appieno, ma della nostra abitudine a sentire cose in poco tempo cercando di trovarci del senso e delle cose che in realtà non ci sono. In questo periodo storico, nel più completo rovesciamento della realtà, il cosiddetto indie è diventato più mainstream del mainstream stesso, attraverso formule musicali che sono per lo più vuote e barocche; quando contano più i followers su Instagram che la musica, l’atto musicale passa quasi in secondo piano, sotterrato da nuovi guru sonori. Poi arrivano dischi come questo d’esordio dei Nosexfor che, con parole adeguate e musica minimale e veritiera, ti aprono gli occhi riportandoti dove vorresti sempre essere stato. La formula chitarra e batteria è stata percorsa da molti gruppi negli ultimi anni, c’è chi lo ha fatto bene chi un po’ meno, ma i Nosexfor appartengono decisamente al gruppo di chi ha qualcosa da dire e lo grida bene. Non ci sono pose particolari, nessuna costruzione senza fondamento, ma un uso intelligente e potente della musica e delle parole. Melodie inusuali, momenti accelerati e fasi più intime che si incontrano e danno vita ad una formula assai inusuale per l’Italia, ovvero una specie di stoner rock dai molti risvolti, con tanta realtà raccontata in maniera mai isterica e puntuale. A differenza di ciò che deve essere compreso attraverso i social media, questo disco, fatto in maniera antica ma non per questo antiquata, mette la musica al centro di tutto rendendola strumento di narrazione. Inoltre c’è un sentore di blues che aleggia per tutto il lavoro, arricchendolo di una forza calma ed inoppugnabile. I Nosexfor fanno un qualcosa che è nell’aria e che c’è per chi ne sa cogliere la presenza, un piccolo tesoro che aspettavamo da tanto, con quella voce in italiano su un tappeto di suoni che sgorgano incessanti.

Tracklist
1Pensavo fosse ok
2 Zero Meno
3 Perdere la testa
4 Ma non ti preoccupare
5 L’America
6 Niente luci in centro
7 Noi
8 Bambino Vodu’
9 Eva
10 Quello che resta

NOSEXFOR – Facebook

Il Vile – Zero

Questo ep di quattro pezzi ha un suono desert rock stoner assai valido, tra riff che guardano dall’altra parte dell’oceano e momenti maggiormente legati al meglio della nostra scena alternativa.

Nuova prova, anche se risale al 2017, per il gruppo stoner rock Il Vile da Verbania.

Questo ep di quattro pezzi ha un suono desert rock stoner assai valido, tra riff che guardano dall’altra parte dell’oceano e momenti maggiormente legati al meglio della nostra scena alternativa. Le canzoni hanno un buon sviluppo e un leggero sentore di blues, ed il cantato in italiano conferisce loro un’aura di malinconia e disillusione che è davvero affascinante. Addirittura, quando il gruppo va leggermente più lento, come in Tagli, dà il meglio e sembra di sentire qualcosa che da tempo si bramava, un suono distorto ma con elementi tipici dell’underground italico. I nostri sono in giro dal 2006, e si sente, poiché riescono sempre ad offrire quello che si sono proposti di fare. Per loro stessa ammissione, il modello è il desert rock stoner, con la differenza che al posto del panorama desertico c’è quello delle valli ossolane, ma la loro sintesi è originale e permette di avere molti sfoghi. Questo disco è il primo dopo l’assestamento nella formazione a quattro, che effettivamente ha dato un qualcosa in più. Zero è anche la conferma che, quando si hanno ottime idee in ambito musicale, il cantato in italiano non sottrae nulla ma anzi aggiunge qualcosa, e in questo caso Il Vile non potrebbe cantare in un altro idioma, perché l’italiano calza a pennello. Questo lavoro è per chi ama il gusto della sabbia e dell’asfalto e cerca qualcosa di qualità, fatto con passione e mestiere.

Tracklist
1. Schiena di serpe
2. Zero
3. Tagli
4. 4 cilindri per l’Inferno

Line-up
Enrico “MAIO” Maiorca – Voce, Chitarra, Parole
Alessandro “CUIE” Cutrano – Chitarra
Paolo “POL” Castelletta – Basso e Cori
Nathan DM Leoni – Batteria

IL VILE – Facebook

Mr. Bison – Holy Oak

Tante influenze mescolate benissimo, un suono molto personale, un giro continuo, un disco solidissimo che fa viaggiare.

I Mr. Bison sono uno dei migliori gruppi italiani di musica pesante con innesti psichedelici.

Provenienti da Cecina sono al quarto disco, e ad ogni uscita si può notare un miglioramento rispetto a quella precedente. Holy Oak è un disco che suona benissimo, potente, bilanciato e con ottime scelte sonore. La loro musica è uno stoner di livello superiore, con intarsi desert e sconfinamenti negli anni settanta, perché la loro musica ha fortissime radici in quegli anni. Il groove generato da questi signori toscani è un qualcosa che vi conquisterà, come ha già conquistato molti, soprattutto coloro che hanno avuto l’occasione di vederli dal vivo. Cosa li differenzia dagli altri gruppi? I Mr. Bison hanno una maniera differente di trattare la musica, la fanno sgorgare libera e fresca dagli ampli, hanno un tocco southern senza esserlo strettamente, hanno gli anni settanta dentro, ma senza essere derivativi, e riescono sempre ad essere piacevoli usando la musica pesante. Nel loro contesto si muovono moltissimi gruppi, la media qualitativa, soprattutto in Italia, è cresciuta molto, ma gruppi come i Mr. Bison ce ne sono pochi. E questo è un fatto oggettivo, non soggettivo, basta ascoltare Holy Oak, o i dischi precedenti, per capire che qui c’è qualcosa in più: sarà talento o gusto, ma esiste ed è tangibile. Tante influenze mescolate benissimo, un suono molto personale, un giro continuo, un disco solidissimo che fa viaggiare.

Tracklist
1.Roots
2.Sacred Deal
3.Heavy Rain
4.Earth Breath
5.Holy Oak
6.The Bark
7.The Wave
8.Red Sun
9.Beyond the Edge

Line-up
Matteo Barsacchi – Guitar, Vocals
Matteo Sciocchetto – Guitar Vocals
Matteo D’Ignazi – Drums, Sounds

MR.BISON – Facebook

Otehi – Garden Of God

Garden Of God non è un disco da fruire velocemente, quanto un qualcosa da godere e da lasciare che ti cada dentro ascolto dopo ascolto, perché non è musica comune fatta per intrattenere, ma comunica qualcosa agli abissi che ci portiamo dentro.

Gli Otehi sono un gruppo romano che parte dallo stoner per andare molto lontano. Il loro suono è un lento e possente incedere di suggestioni sciamaniche messe in musica, come un nativo che ti prende per mano dopo aver mangiato un peyote.

Garden Of God è una mostra di delizie, e i cinque pezzi che fanno parte del disco sono tutte ottime composizioni, si prendono il tempo che devono per arrivare a destinazione, ma in realtà la destinazione non ce l’hanno, perché è il viaggio l’importante, il vero scopo del tutto. Esplorare attraverso il suono, la psichedelia arriva e si maschera, cambiando i contorni di ciò che pensavamo sicuro, cambia il gioco rendendolo più vero. Gli Otehi sono un gruppo che si differenzia per la sua impronta personale, per fare un desert stoner connotato e strutturato molto bene nel quale ogni nota ha la sua importanza, ed è una scala verso il cielo. Nato nel 2011, questo trio ha sempre portato avanti con convinzione un certo tipo di discorso musicale, riuscendo a trovare una via personale e potente. Ascoltando Garden Of God si capisce che la musica pesante può benissimo sposare la psichedelia, un matrimonio alchemico che cambia la composizione chimica di chi lo ascolta e di chi lo suona. Garden Of God non è un disco da fruire velocemente, quanto un qualcosa da godere e da lasciare che ti cada dentro ascolto dopo ascolto, perché non è musica comune fatta per intrattenere, ma comunica qualcosa agli abissi che ci portiamo dentro. Fare musica da meditare per un gruppo stoner è un gran bel obiettivo e questi ragazzi lo hanno centrato in pieno.

Tracklist
1.Sabbath
2.Naked God
3.The Great Cold
4.Verbena
5.Purified
6.Esbath

Line-up
Domenico Canino – Guitar, Effects, Voice & Tribal Instruments
Maciej Wild Mikolajczyk – Bass, Voice, Effects & Tribal Instruments
Corrado Battistoni – Drums, Percussions

OTEHI – Facebook

Natas – Delmar

Delmar fu il primo lavoro degli argentini Natas, e per molti fu un disco epocale perché portava con sé la scoperta di un suono che stava nascendo in quel momento e che aveva le sue radici nel passato ma guardava in maniera diversa al futuro.

Delmar fu il primo lavoro degli argentini Natas, e per molti fu un disco epocale, perché portava con sé la scoperta di un suono che stava nascendo in quel momento e che aveva le sue radici nel passato ma guardava in maniera diversa al futuro.

La Argonauta Records di Genova ci propone la ristampa rimasterizzata dai nastri originali di questo grande disco, ai tempi per la Man’s Ruin Records. I Natas (leggete al contrario e troverete il marchio di fabbrica del più longevo manager della storia del rock), furono per lo stoner desert quello che i Sepultura furono per il death, ovvero mostrarono che anche in paesi diversi da quelli canonici si produceva un ottimo stoner, fatto in maniera innovativa e con una grande impronta personale. Dischi come questo sono stati possibili solo in quegli anni, che sono stati forse l’ultimo periodo veramente creativo della musica e non solo. In Delmar c’è tutto, dalle cose più Kyuss a passaggi fortemente grunge nella loro essenza. Questo disco è prima di tutto un viaggio, un’esperienza psichedelica con i Natas come sciamani che ci guidano in territori sconosciuti. Riascoltando Delmar possiamo ritrovare quel tocco magico, quella freschezza dell’onda marina che ti tocca sul bagnasciuga durante un rosso tramonto. I Natas sono un gruppo che evoca magia attraverso una musica che porta lontano, e forse questo album è stato il loro momento migliore, anche se i dischi successivi sono molto buoni, ma Delmar è un pilastro, un peyote da prendere quando si vuole, perché soddisferà sempre, ora ancora di più con i suoni ancora più nitidi. La capacità compositiva di questi argentini stupisce ancora adesso, e si capiscono ora la forze e l’influenza che hanno avuto su molti gruppi che li hanno seguiti. Dopo venti anni è ancora potentissimo e bellissimo.

Tracklist
1. Samurai
2. 1980
3. Trilogia
4. I Love You
5. Soma
6. Mux Cortoi
7. Delmar
8. Windblows
9. El Negro
10. Alberto Migré

Line-up
SERGIO CH. – GUITARRA Y VOCALS.
WALTER BROIDE – BATERIA.
GONZALO VILLAGRA – BASS.

NATAS – Facebook

El Rojo – 16 Inches Radial

I Kyuss hanno figliato moltissimo, lasciando un’eredità pressoché enorme, e questi calabresi partono dallo stesso deserto, ma ne creano uno tutto loro davvero magnifico per un debutto che lascia a bocca aperta.

Gruppo stoner desert dalla Calabria, un suono caldissimo ed avvolgente che vi darà grande piacere.

Gli El Rojo nascono a Morano Calabro nel 2016, sono un gruppo di amici molto legati fra loro e fanno uno stoner hard rock di alta qualità. Hanno il passo dei Kyuss, ovvero uno stoner rock molto desertico ma hanno anche una serie di soluzioni sonore da hard rock, senza disdegnare qualche passaggio maggiormente psichedelico. Non c’è una cosa in particolare che risalta subito, la loro peculiarità è dare una sensazione di musica di cui non puoi fare a meno, soprattutto per chi ama questo genere. Gli El Rojo arrivano perché è il loro momento, e ascoltandoli lo si percepisce chiaramente: 16 Inches Radial è un disco affascinante e dal suono che ti induce in tentazione. Il gruppo calabrese ti fa percepire una sensazione di appagante soddisfazione sonora e ti induce ad ascoltare il disco più volte, rientrando nella non grande casistica dei gruppi predestinati. Non si può sapere se questi ragazzi faranno carriera nella scena, certo è che far uscire un debutto così è assai notevole. Ci sono delle cose da mettere a posto, e vanno perfezionate certe piccolezze, nell’ottica del massimo miglioramento possibile, ma stiamo parlando di un gruppo che nell’ultima traccia del disco, Red Sand, assomiglia in certi passaggi ai Doors, tanto per capire dove stiamo andando a parare. I Kyuss hanno figliato moltissimo, lasciando un’eredità pressoché enorme, e questi calabresi partono dallo stesso deserto, ma ne creano uno tutto loro davvero magnifico. Un debutto che lascia a bocca aperta.

Tracklist
1.Pontiac
2.Trigger
3.BSS
4.El Rojo (Instrumental)
5.Psilocybe
6.Red Sand

Line-up
Evo Borruso – Vocals
Fabrizio Vuerre – Guitar
Luigi Grisolia – Guitar
Pasquale Carapella – Bass
Antonio Rimolo – Drums

EL ROJO – Facebook

Solaris – L’ Orizzonte Degli Eventi

Ristampa del primo lavoro dei romagnoli Solaris che fanno uno stoner rock desertico in italiano, votato all’occulto e alla metafisica.

Ristampa del primo lavoro dei romagnoli Solaris che fanno uno stoner rock desertico in italiano, votato all’occulto e alla metafisica.

Il suono che ci propongono i ragazzi romagnoli è un qualcosa che nasce nello stoner ma soprattutto nell’innovativa tradizione di gruppi italiani come i Timoria ed i Ritmo Tribale, anche se il tutto è profondamente frutto del gruppo. I Solaris sono anche un’ottima sintesi di quanto di meglio ci sia stato negli ultimi venti anni in un certo sottobosco musicale italiano. Questo ep è stato appunto ristampato in un’edizione limitata di 200 copie, grazie al buon successo avuto nella prima edizione. L’ascolto infatti è molto piacevole, il suono è ipnotico ed incalzante, come se fosse un trip lisergico in mezzo ad una terra molto calda, e il cantato in italiano valorizza enormemente il tutto. I testi parlano di storie viste attraverso un velo mitico, ma anche una lontananza molto vicina, e hanno bisogno della loro musica per essere capiti. A livello compositivo il lavoro è notevole, e e lo si sente in ogni frangente, e la musica si sposa benissimo con le parole. I Solaris non sono affatto un gruppo comune, questo ep lo grida ed è un’altra prova che a cercarlo abbiamo un underground unico in Italia, solo che a volte è più facile cercare altri prodotti in giro di minore qualità. Dentro questo ep c’è anche tanto sentimento, tanta voglia di vedere il leviatano per capire fino in fondo, senza fermarsi ad apparenze digitali. C’è un gusto di antico in questo disco, di pagano e di forte come l’odore dei boschi. Ascoltateli e fatevi un’idea, non vi stancherete di questo ep.

Tracklist
1.Luna
2.Nottetempo
3.Erode
4.Leviatano
5.Specchio

Line-up
Alberto Casadei
Paride Placuzzi
Lorenzo Bartoli
Alan Casali

SOLARIS – Facebook

Drive By Wire – Spellbound

La maturità compositiva è fuori discussione, il gruppo è già da tempo pronto per essere conosciuto dal grande pubblico e questo disco è un fantastico biglietto da visita.

Tornano gli olandesi Drive By Wire al loro decimo anno di attività, festeggiato con la ristampa su Argonauta Records del loro disco The Whole Shebang.

Il nuovo Spellbound ci mostra il gruppo nel suo massimo splendore, con un suono che è un felice incrocio di desert rock, stoner e molto blues, soprattutto nell’attitudine e nell’incedere. I Drive By Wire fanno molto bene e con più ruvidezza ciò che i Blue Pills hanno portato alla ribalta con il loro suono, e anche gli olandesi hanno una splendida voce femminile a guidarli, quella di Simone Holsbeek, bravissima a coprire una moltitudine di registri, versatile e calda. Il gruppo ci guida nel suo mondo, fatto di mistero, blues e note ruvide, con una voce calda e sognante che ci porta a seguirla sotto la luce della luna, benedicendo il femmineo. Si viene trascinati in questo sabba desertico da una musica che si fonde benissimo con la voce di Simone, e che raggiunge vette che pochi gruppi nel genere hanno saputo toccare. La qualità media del disco è molto alta, le tracce sono legate l’una all’altra non tanto da un concept, quanto da una comune visione che si esplica in una musica fortemente influenzata dal blues. Proprio quest’ultimo è il mojo principale di questo disco e la sua presenza è fortissima, sia nella composizione che nello spirito dell’album. Il coinvolgimento dello spettatore è una delle peculiarità maggiori degli olandesi, riescono a stimolare la tua curiosità e ti portano con un groove ipnotico. I riferimenti ci sono ma è tutto molto personale ed originale. I Drive By Wire riescono inoltre a dare una propria personale versione del desert rock che è una delle migliori in assoluto in giro, e questo disco è da primi dieci ascolti desertici da fare. La maturità compositiva è fuori discussione, il gruppo è già da tempo pronto per essere conosciuto dal grande pubblico e Spellbound è un fantastico biglietto da visita.

Tracklist
1. Glider
2. Where Have You Been
3. Mammoth
4. Apollo
5. Blood Red Moon
6. Superoverdrive
7. Van Plan
8. Lost Tribes
9. Devil’s Fool
10. Lifted Spirit
11. Spellbound

Line-up
Simone Holsbeek
Alwin Wubben
Jerome Miedendorp de Bie
Marcel Zerb
Rene Rutten

DRIVE BY WIRE – Facebook

Wasted Theory – Defenders Of The Riff 2017 Edition

I Wasted Theory sono semplicemente uno dei gruppi più divertenti e rumorosi che potrete trovare in giro, e Defenders Of The Riff è un disco completo e da sentire dall’inizio alla fine, possibilmente consumando droghe ed alcool.

Ristampa con bonus tracks del secondo disco dei Wasted Theory, ad opera dell’italiana Argonauta Records.

Wasted Theory sono semplicemente uno dei gruppi più divertenti e rumorosi che potrete trovare in giro, e Defenders Of The Riff è un disco completo e da sentire dall’inizio alla fine, possibilmente consumando droghe ed alcool. Il rumore ci salverà, ed in particolare quello di questi americani del Delaware è davvero bello pieno e invita ad un ascolto ripetitivo. Le radici del loro suono sono da ricercare all’indietro nei Kiss e in gruppi come in Thin Lizzy, ovvero rock and roll bastardo, per poi ridiscendere fino a band come High On Fire ed altri, però più duri. I Wasted Theory hanno un suono sudista, che unito ad una fortissima ironia rende molto bello il tutto. Nel loro suono si può adirittura rintracciare qualcosa di blues, ma più che altro nella loro maniera di porsi ed in alcuni giri di chitarra. Il titolo rende benissimo ciò che ascolterete, dato che i riff qui sono tutti validissimi e raggiungono pienamente il loro scopo. Ci sono momenti più veloci, altri più lenti e pesanti, ma ciò che non manca mai è quella sensazione di divertimento e di ascolto di un gruppo che è totalmente in controllo, e che si diverte talmente che straripando lo trasmette al suo pubblico. Certe ripartenze sono degne dei migliori Karma To Burn, ma i Wasted Theory sono di maggior coinvolgimento e comprensione. Southern rock e metal, hard rock, stoner, desert ed un pizzico di heavy metal classico sono solo alcuni degli ingredienti di questo buonissimo moonshine potente ed inebriante. Nel 2016 molti addetti ai lavori hanno incluso questo disco nella loro list di migliori uscite dell’anno, ed in questa ristampa potrete gustare due killer cover di un brano degli Alabama Thunderpussy ed uno dei Nazareth. Lunga vita ai difensori del riff.

Tracklist
1.Get Loud or Get Fucked
2.Black Witch Blues
3.Atomic Bikiniwax
4.AmpliFIRE!
5.Gospel of Infinity
6.Belly Fulla Whiskey
7.Under The Hoof
8….And The Devil Makes Three
9.Throttlecock
10.Odyssey Of The Electric Warlock
11.Rockin’ is Ma Business (ALABAMA THUNDERPUSSY)
12.Changin’ Times (NAZARETH

Line-up
Brendan Burns,
Larry Jackson Jr.
Andrew Petkovic
Rob Michael

WASTED THEORY – Facebook