Scimmiasaki – Trionfo

A parte le definizioni, che sono sempre sclerotiche, gli Scimmiasaki sono uno di quei gruppi che fa musica malinconica e dolce al contempo, che ti riportano a gusti che sembravano dimenticati, a momenti che hanno segnato la nostra esistenza.

Gli Scimmiasaki sono un gruppo italiano che appartiene alla nuova onda dell’indie pop rock italiano, attingono da varie tradizioni, in primis quella alternativa italiana declinata verso il punk, prendono qualcosa dell’emo e fondamentalmente sono un gruppo rock altro.

A parte le definizioni, che sono sempre sclerotiche, gli Scimmiasaki sono uno di quei gruppi che fa musica malinconica e dolce al contempo, che ti riportano a gusti che sembravano dimenticati, a momenti che hanno segnato la nostra esistenza. Canzoni come Giostra sono un po’ il manifesto dei nostri anni, dove tutto è stato detto, tutto è stato fatto ma rimane qualcosa, e quel qualcosa deve essere ricercato in profondità. Trionfo è un disco che non è mai ovvio, riesce a portare avanti con dolcezza e fermezza certe istanze molto importanti. Innanzitutto non si atteggiano a fenomeni, nel senso che hanno testi diretti e semplici che gli calzano a pennello, anche la musica è sempre bilanciata e prodotta molto bene. In certi momenti si arriva addirittura in territori power pop, che sono il regno adatto per questo gruppo che è sempre piacevole e riesce ad imprimere delle belle cose nella nostra mente. Quello che si respira qui è una certa lucida serenità in mezzo al disastro che sono i nostri tempi, non ci sono tante coordinate, ma raccontare alla maniera degli Scimmiasaki significa già molto, come raccontano in Vorrei, non sono rimpianti ma desideri. Altra cosa notevole è la bellissima copertina di Riccardo Torti, disegnatore anche di Dyland Dog e di altre collane di casa Bonelli. La copertina illustra la perfetta meccanica del tiro nella pallacanestro, e sarebbe l’optimum, ma l’importante è metterla nel cesto, e difendere ovviamente. Molto buona la produzione di Andrea “Sollo” Sologni dei Gazebo Penguins, che dà un tocco molto personale al suono dei Scimmiasaki.
Un disco da sentire e da guadagnarci tempo, perché qui il tempo non è mai perso.

Tracklist
01.Giardini
02.Tutto Bene
03.Giostra
04.Denti
05.Il Pianto
06.Trionfo
07.Castello
08.Caro Mio
09.Merda
10.Vorrei

Line-up
GIACOMO voce e chitarra
PEPPE chitarra e voce
NIKI basso
SANTIAN batteria

https://www.facebook.com/scimmiasaki/

Holding Patterns – Endless

In Endless ci sono tanti elementi del periodo d’oro della musica alternativa, quando le idee erano valide e volavano leggere, e ascoltando gli Holding Patterns si può avere ancora speranza in quel bitume che viene così denominato.

Gli inglesi Holding Patterns sono in pratica tre quinti della formazione dei Crash Of Rhinos, gruppo di Derby che pubblicò due buoni dischi nel 2011 e nel 2013.

Dopo aver provato una riunione del gruppo poi fallita per problemi di tempo, ecco nascere questo nuovo gruppo. Il debutto è uno dei dischi di musica alternativa fra i più belli degli ultimi tempi grazie ad una freschezza ed un tiro davvero notevoli. Il loro retroterra è molto importante, c’è un po’ di quell’emo rielaborato in maniera speciale che già era presente nei Crash Of Rhinos, in più troviamo una composizione cresciuta e molto matura, un tentativo riuscito di coniugare le forme spigolose del math rock con qualcosa di più smussato, ma altrettanto emotivo. Ci sono tanti elementi del periodo d’oro della musica alternativa, quando le idee erano valide e volavano leggere, e ascoltando gli Holding Patterns si può avere ancora speranza in quel bitume che viene così denominato. Il power trio inglese confeziona un disco che emoziona e colpisce, sia dal punto musicale che da quello dei testi. Sono momenti in cui si tirano le somme, non può essere altro che così, gli Holding Patterns lo fanno senza problemi e con un’ottima forma. Le loro canzoni hanno quella cadenza tipica dei musicisti che finalmente fanno quello che gli pare, e se questo disco fosse uscito anni fa avremmo gridato al miracolo, mentre è ancora più importante che sia uscito ora. Per il nuovo disco il gruppo ha anche cambiato approccio nel modo di scrivere le canzoni, ed il risultato è una forma originale e molto fresca. Ci sono passaggi clamorosi e momenti di sincere lacrime nemmeno fossero i Get Up Kids, ma con addirittura qualcosa in più rispetto agli americani, un quid dato dalla maggior libertà compositiva. Una canzone come Dust, ma potrebbe valere lo stesso discorso per tutte le altre, è qualcosa che davvero mancava, ed è un piccolo miracolo come tutto questo disco.

Tracklist
1.Glow
2.At Speed
3.First Responder
4.Centered At Zero
5.No Accident
6.Pyre
7.Dust
8.This Shot Will Ring
9.Endless
10.House Fire
11.Long Dead
12.Momentarily

Line-up
Oli
Draper
Jim

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A Day In Venice – III

Si parte dal post rock, ma non c’è solo quello, si va molto oltre, tenendo sempre come punto di partenza una melodia ed una dolcezza, carezze sotto la pioggia.

Terzo disco per il progetto post rock ed altro del chitarrista triestino Andrej Kralj, che lo ha iniziato nel 2013.

A Day In Venice è un concentrato di calma e tenebrosa bellezza, dal clima carico di sentimento e presentimento, per un’esperienza sonora originale ed inedita in Italia. Si parte dal post rock, ma non c’è solo quello, si va molto oltre, tenendo sempre come punto di partenza una melodia ed una dolcezza, carezze sotto la pioggia. Andrej suona tutti gli strumenti e il tutto è molto ben strutturato, dato che fornisce alla sua musica una veste molto particolare, non scadendo mai nell’ovvio, mentre troviamo alla voce Paolo Brembi, che arricchisce notevolmente i brani. Dentro a questo dolce disco troviamo anche tanto emo, nella sua accezione anni novanta, quando era un qualcosa di indie e di melodico che si fondeva con altri generi. Non c’è fretta qui, le ferite hanno tutto il tempo per cicatrizzarsi, e navigando dentro al nostro mare burrascoso abbiamo un porto chiamato A Day In Venice dove fermarci. In ogni canzone troviamo qualcosa di notevole, siano essi passaggi ben concatenati o più per esteso il sentire generale. Sottovalutare questo album sarebbe un grosso errore, soprattutto per le emozioni che provoca a chi ama la musica non convenzionale, e soprattutto quella che induce ad esprimere ciò che proviamo. I riferimenti sono sicuramente tanti, ma su tutti direi che i Radiohead hanno lasciato un’impronta indelebile su alcuni cuori che poi si sono messi a fare musica. Guardare il mare e le sue onde insieme a qualcun altro, sapendo che un appoggio c’è sempre: III riporta l’attenzione su noi stessi e su chi ci circonda, e questo disco potrebbe essere il vostro migliore amico.

Tracklist
1. Dark electricity
2. Walls of madness
3. Tunnel of ashy lights
4. Her body rocks
5. Prison is a red sky
6. I am nowhere in time
7. The golden stone
8. Temple of the dog
9. Far

Line-up
Andrej Kralj
Paolo Brembi

A DAY UN VENICE – Facebook

AFI – The Blood Album

Gli AFI sicuramente non sono inferiori a molti gruppi odierni, anzi, ma qui sembrano la brutta copia di un gruppo emo punk odierno, loro che hanno scritto grandi pagine di musica.

Decimo disco in studio per i veterani AFI, ed è subito un gran successo commerciale, se oggi si può ancora parlare di successo commerciale per un disco.

The Blood Album arriva quattro anni dopo Burials, ed è un album di cui francamente non se ne sentiva il bisogno. Gli AFI in passato sono stati un grande gruppo di punk hardcore melodico con molte influenze esterne, dal gothic al dark in stile The Cure, ed erano riusciti ad essere uno dei gruppi più interessanti nel panorama del boom del punk negli anni novanta e duemila. In tanti si sono emozionati ascoltando gli AFI, e tanti lo faranno ancora adesso. Ma c’è una grande differenza fra il prima ed il dopo degli AFI, poiché i dischi precedenti erano di buona qualità, mentre questo disco è pieno di commercialità, piattezza e ritornelli tutti uguali, per un prodotto davvero medio basso. Le canzoni sembrano tutte uguali e quando non lo sono è perché, per brevi istanti, riecheggiano i vecchi fasti, ma sono davvero pochi momenti. Gli AFI sicuramente non sono inferiori a molti gruppi odierni, anzi, ma qui sembrano la brutta copia di un gruppo emo punk, loro che hanno scritto grandi pagine di musica. E’ un gran peccato ascoltarli così, ma ora sono anche più famosi rispetto a prima e ciò la dice lunga sui tempi musicali (e non) che stiamo vivendo.

TRACKLIST
1. Dark Snow
2. Still a Stranger
3. Aurelia
4. Hidden Knives
5. Get Hurt
6. Above the Bridge
7. So Beneath You
8. Snow Cats
9. Dumb Kids
10. Pink Eyes
11. Feed from the Floor
12. White Offerings
13. She Speaks the Language
14. The Wind That Carries Me Away

LINE-UP
Davey Havok – vocals
Jade Puget – guitars
Hunter Burgan – bass
Adam Carson – drums

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