Tense Up! – Tense Up!

Un viaggio senza freni in film che parlano di crimine e sesso, di morte e di vita, di grida lancinanti, il tutto per mezzo di una chitarra che viaggia velocissima e di una batteria che le copre le spalle con un corposo fuoco di copertura: non ci rimane che metterci all’inseguimento.

Direttamente dalle nebbie della pianura reggiana arriva questo fulmineo debutto di surf e psych rock and roll.

Questi due ragazzi riuniti sotto il nome Tense Up! hanno una grande urgenza di esprimere il loro amore per la musica veloce e coinvolgente, per i film di serie b e per tutto un immaginario che Quentin Tarantino amerebbe alla follia. Tutto nasce agli inizi del 2015 nella mente del chitarrista Vincenzo Melita, che si mette alla ricerca di qualcuno che possa aiutarlo a mettere in musica ciò che vorrebbe. Trova così un complice nel batterista Luca Bajardi, con il quale comincia a porre le basi del presente disco. Eccoci quindi a questo debutto, un viaggio senza freni in film che parlano di crimine e sesso, di morte e di vita, di grida lancinanti, il tutto per mezzo di una chitarra che viaggia velocissima e di una batteria che le copre le spalle con un corposo fuoco di copertura: non ci rimane che metterci all’inseguimento. Di coppie musicali in Italia ve ne sono molte, quasi tutte composte da un chitarrista e da un batterista, ma poche hanno l’efficacia e l’appassionante velocità dei Tense Up!. Il disco comincia con un vetro rotto e non si ferma più, per sei tracce vertiginose e coinvolgenti come un b movie anni sessanta o settanta. I Tense Up! riportano l’attenzione su un immaginario molto vivido e assolutamente non conforme come quello delle produzioni underground americane ed italiane degli anni sessanta e settanta, la cui vitalità ed originalità era pari alla musica di questo duo, per una stagione creativa forse irripetibile. Gli spezzoni sonori di questi film, i dialoghi e vere proprie scene, sono parte integrante di questo disco come se fossero il terzo componente del gruppo e sono assai efficaci, diventando anzi la spina dorsale del disco. Importante e molto funzionale è anche il lavoro dell’organo, che sottolinea in maniera importante certi momenti ed è un ottimo contrappunto. Un disco assi godibile e molto attraente, per un debutto notevole da parte un duo tra i migliori in Italia.

Tracklist
1 MR.MEMORY
2 CARRUSEL
3 I KILLED HIM
4 ASTRAPHOBIA
5 THE KEY
6 PRIVATE TRAPS

Line-up
Vins – Guitars –
BJ – drums –

TENSE UP! – Facebook

Yearnin’ – Take A Look

Si respira un’aria molto fresca in questo disco, un entusiasmo di fare musica e non un peso, una voglia di macinare note distorte e cavalcate ritmiche.

Dalla provincia di Livorno arrivano gli Yearnin’, progetto di tre amici che cominciano nel 2015 a fare un suono che non si sente spesso in Italia e non solo.

Al centro di tutto c’è il blues, vero e proprio cardine del progetto, declinato in forme non tradizionali e molto efficaci. Ma non c’è solo il blues, ad esempio la penultima traccia, Rescue Me, è un pezzo che sembra dei migliori Alice In Chains, non è affatto derivativo ed è bellissimo. Si respira un’aria molto fresca in questo disco, un entusiasmo di fare musica e non un peso, una voglia di macinare note distorte e cavalcate ritmiche. Oltre al blues e al grunge qui possiamo trovare anche del garage fatto molto bene e del rock bruciante, quasi southern. I riff sono taglienti, la voce ci porta per mano in un mondo più vero e vizioso, su strade polverose di campagna, che posso essere nel delta del Mississipi come in provincia di Livorno. I tre ragazzi hanno trovato una bilanciatura perfetta, vanno come dei treni e non c’è mai un momento di noia o di stanchezza. Rielaborare in questa maniera il blues non è cosa facile, eppure loro lo fanno molto bene riuscendo anche a portare elementi innovativi, in un suono nel quale è già stato detto tutto e solo i più bravi riescono ad aggiungere qualcosa. Il disco è davvero una goduria così come lo deve essere uno loro spettacolo dal vivo. Il suono è rustico, credibile e ben strutturato, figlio di tante jam in saletta, che è poi il luogo dove tutto nasce. La produzione fa risaltare tutta la loro bravura e, inoltre, gli Yearnin’ sanno usare diversi registri, dalle cose più veloci a quelle più lente e sensuali, sempre con un accento originale. Take A Look è un disco che fa godere e allevia un po’ le nostre sofferenze quotidiane, il che non è poco.

Tracklist
1.Take a Look
2.The One You Want
3.Poor Boy
4.No Man’s Land
5.Back for More
6.Her Walking
7.If I’m Nothing (Why Are You Knocking At My Door?)
8.No Soul
9.Rescue Me
10.Grave

Line-up
Lorenzo Rossi – Batteria
Gabriele Taddei – Voce, Chitarra
Gianluca Valentini – Voce, Basso

YEARNIN’ – Facebook

Mudhoney – Digital Garbage

La nuova fatica dei Mudhoney non fa tornare ai tempi del grunge, ma rende molto chiaro e vibrante che si può ancora fare musica di qualità ed altamente corrosiva.

Tornano i Mudhoney, uno dei gruppi principali dell’indie americano dei novanta ed anche dopo, e lo fanno con un disco clamoroso, che ascende nell’Olimpo della loro discografia.

Era dal 2013, anno di Vanishing Point, che i Mudhoney non facevano uscire nulla di nuovo, ed eccoli tornare, ovviamente su Sub Pop. Il disco suona come e meglio dei loro lavori migliori, è un concentrato di puro suono rock bastardo, come se il passare degli anni avesse affinato la già loro grande capacità compositiva. Inoltre questi tempi veloci ed oscuri hanno affinato la loro cattiveria, ed il disco è un po’ un punto sulla situazione dal quale non se ne esce molto bene. Con Digital Garbage i Mudhoney confermano e portano alla sublimazione ciò che hanno sempre fatto, ovvero andare oltre gli steccati nei quali si è provato a chiuderli. Nonostante siano stati uno dei gruppi principali della cosiddetta ondata grunge, essi erano già oltre all’epoca, perché il loro è un rock totalmente americano, figlio delle distorsioni e costruito su una capacità compositiva superiore a quella delle band a loro affini. Il lavoro della chitarra, della voce e della sezione ritmica rendono queste canzoni una diversa dall’altra: ci sono infiniti cambi di tonalità, di ritmo e di situazione che tengono incollato l’ascoltatore a Digital Garbage, il miglior rimedio a tanta insipidità attuale, ovvero quella musica di maniera magari bella e ben prodotta, ma che non ha nulla al suo interno. Qui si balla e si sbatte la testa contro il muro ridendo, c’è cattiveria e sostanza, una certa urgenza punk che i Mudhoney hanno sempre avuto, da osservatori distaccati e tristemente divertiti da ciò che vedono. La nuova fatica dei Mudhoney non fa tornare ai tempi del grunge, ma rende molto chiaro e vibrante che si può ancora fare musica di qualità ed altamente corrosiva, perché grida fotti il tuo Gesù in una canzone clamorosa come 21 St Century Pharisees: è un qualcosa che sveglia come un pugno in faccia, e i pugni in faccia più belli sul mercato li tirano i Mudhoney. Un lavoro che durerà a lungo perché ha mille risvolti positivi, poi se dovrete andare oltre per sentire le ultime cazzate pseudo indie fate pure.

Tracklist
1.Nerve Attack
2.Paranoid Core
3.Please Mr. Gunman
4.Kill Yourself Live
5.Night and Fog
6.21st Century Pharisees
7.Hey Neanderfuck
8.Prosperity Gospel
9.Messiah’s Lament
10.Next Mass Extinction
11.Oh Yeah

Line-up
Mark Arm
Steve Turner
Dan Peters
Guy Maddison

MUDHONEY – Facebook

The Julius Peppermint Band – Tides EP

Prendete sotto braccio il surf e cercatevi delle onde da cavalcare perché Tides EP profuma di spiagge assolate, più o meno in uno spazio temporale tra il 1968 e il 1972.

La vita artistica di un musicista non è solo ripetere all’infinito la solita formula, infatti per alcuni diventa vitale cambiare, rigenerarsi e ripresentarsi a chi ascolta sotto altre bandiere musicali.

Ed é così che passare dal metal estremo al rock diventa più facile di quello che si possa pensare: la conferma arriva proprio da questo mini cd di debutto dei The Julius Peppermint Band.
Il gruppo nasce da un’idea di Bertuzz, alias Julius Peppermint, musicista nostrano incontrato più volte nel corso di questi ultimi anni, come chitarrista e cantante nei seminali e quanto mai estremi Anthem Of Sickness e chitarrista degli Underwell, band metalcore di casa Wormholedeath.
Bertuzz torna quindi con un nuovo progetto e con nuova musica, questa volta facendoci fare un viaggio a ritroso nel rock con la sua The Julius Peppermint Band, accompagnato da Tiaz (batteria), Mali (basso) e Clod (chitarra).
Tides EP è composto da cinque brani, registrati e mixati da Bertuzz, con Wahoomi Corvi (guru di casa Wormholedeath) ad occuparsi della masterizzazione nei Realsound Studio.
Prendete sotto braccio il surf e cercatevi delle onde da cavalcare, perché Tides EP profuma di spiagge assolate, più o meno in uno spazio temporale tra il 1968 e il 1972, e la title track è un trip che arriva fulmineo, con quel riff che sa tanto di rock psichedelico e che continua a girare in testa anche quando White Cadillac ci porta a spasso in compagnia di Marc Bolan.
The Mad Cat e With You It’s Alright sono due brani irresistibili che fondono punk rock alla Ramones al garage suonato dai leggendari Miracle Workers, mentre lo strumentale che conclude l’ep (Jellyfish Suite) torna a farci viaggiare sulle ali di un trip dai colori vintage.
Un buon inizio, quindi, per questa nuova avventura del musicista nostrano, lontana dalla musica alla quale ci ha abituato in questi anni, ma altrettanto affascinante.

Tracklist
1.Tides
2.White Cadillac
3.The Mad cat
4.With You It’s Alright
5.Jellifish Suite

Line-up
“JP” Bertuz – Vocals, guitars
Tiaz – Drums
Mali – Bass
Clod – Guitars, backing vocals

THE JULIUS PEPPERMINT BAND – Facebook

Heavy Baby Sea Slugs – Teenage Graveyard Party

Un suono che sta tra gli Oblivians e gli Eyehategod, una fusione che potrebbe sembrare impossibile ed invece è schifosamente bella

Prendete il blues, il garage, e fondatelo con uno sludge metalloso che picchia tantissimo.

Questa bestia è immonda e cattivissima, picchia molto duro e non ha pietà, perché sono le ossa dei teenagers americani che ballavano il rock negli anni cinquanta, e che sono resuscitati incazzatissimi perché hanno scoperto che il sogno americano altro non è che il trionfo del male. Questi zombie hanno deciso di allearsi con dei bluesman vampiri, ed ecco qui che ci stanno attaccando. Un ep folgorante, un trascinarsi tra paludi e fogne. Queste entità vengono dal Texas, e dopo alcune convincenti prove mietono altre vittime con questo ep che è davvero impressionante per potenza, sporcizia e vitalità. Un suono che sta tra gli Oblivians e gli Eyehategod, una fusione che potrebbe sembrare impossibile ed invece è schifosamente bella.

TRACKLIST
1.King Midas of Shit
2.Teenage Graveyard Party
3.Pit Bait
4.Zero One