The Gotobeds – Debt Begins At 30

Una delle migliori uscite noise rock dell’anno che piacerà moltissimo a chi ha amato questo genere negli anni novanta.

Nervoso ed affascinante rock che sfocia nel noise e nel grunge, il tutto di alta qualità e con ottimi ospiti.

Si potrebbe descrivere come sopra in maniera assai riduttiva il nuovo disco dei The Gotobeds da Pittsburgh, città che non capita spesso di associare ad un gruppo musicale, patria però dei Pittsburgh Steelers, e non è poco. Il loro nuovo lavoro è un piccolo manuale del migliore noise rock che si può trovare in giro, partendo dalla tradizione americana per arrivare a nuovi standard. Debt Begins At 30 è un lavoro assai notevole, dove ogni canzone è un flusso di energia molto forte e che investe l’ascoltatore. In mezzo a tutta questa energia la melodia non manca, ed è il vero asse portante della loro costruzione sonora. Per darvi una vaga idea di cosa siano i The Gotobeds prendete i Pavement, metteteci un po’ di Sonic Youth e poi mescolate con il meglio grunge di Seattle e avrete un qualcosa che si avvicinerà. Come al solito la migliore rappresentazione possibile è ascoltare il disco, immergendosi in questo suono minimalista eppure molto ricco e potente. Ci sono tracce urgenti con un’attitudine punk hardcore, altre con una tendenza maggiore al noise, ma è tutto bilanciato molto bene e, soprattutto, il quartetto funziona alla perfezione. Notevoli gli ospiti, c’è la voce di Tracy Wilson dei Positive NO! mentre Mike Seamans e la leggenda Bob Weston suonano su Debt Begins at 30. Visto la relazione strettissima tra le due band, no sorprende che i Protomartyr appaiano su un paio di brani, con Joe Casey su Slang Words e Greg Ahee su On Loan. Il chitarrsta dei Silkworm, Tim Midyett, suona su Parallel e sulle altre tracce compaiono Gerard Cosloy, Matt Barnhart dei Tre Orsi, la bellissima Victoria Ruiz dei Downtown Boys, per finire coi poeti di Pittsburgh Jason Baldinger e Scott MacIntyre. Un parterre ricchissimo, che porta un contributo notevole ad un disco già molto interessante, una delle migliori uscite noise rock dell’anno che piacerà moltissimo a chi ha amato questo genere negli anni novanta.

Tracklist
1. Calquer The Hound
2. Twin Cities
3. Slang Words
4. 2:15
5. Poor People Are
6. Revolting
7. Debt Begins At 30
8. On Loan
9. Dross
10. Parallel
11. Bleached Midnight
12. Debt Begins At 30 (Alt)

Line-up
COOL-U
Depressed Adult Male
OPEN CARY
HAZY LAZER

THE GOTOBEDS – Facebook

Fear Not – For The Wounded Heart

I Fear Not si ripresentano dopo ventisei anni con For The Wounded Heart, ep composto da una manciata di brani che tornano al rock di Seattle e all’hard rock pregno di groove del dopo Kurt Cobain.

Era il 2017 quando dalla Roxx Records, label statunitense specializzata in metal e rock cristiano, ci arrivava la ristampa del bellissimo ed unico lavoro dei Fear Not, combo che in piena era grunge licenziava un album dalla spiccata vena hard rock tradizionale ma spogliato dagli estremismi estetici degli anni ottanta.

La band era composta da 3/4 dei Love Life, altro gruppo sconosciuto se non ai più attenti consumatori del genere: i quattro musicisti diedero alle stampe un album bellissimo, incentrato su tematiche cristiane ma dal forte impatto rock’n’roll, una serie di brani adrenalinici, dai riff taglienti, i chorus dall’appeal melodico spiccato che non mollavano la presa dall’inizio alla fine.
Tale ristampa di spessore trova oggi un seguito in questo nuovo ep di cinque brani per quello che si spera possa essere un nuovo inizio per i Fear Not.
Larry Worley, alla chitarra e ai cori, Chris Howell alla chitarra solista, Rod Romero al basso e Gary Hansen alla batteria son i quattro membri originali che, con l’aggiunta del cantante Eddie Green, formano la nuova line up dei Fear Not che si ripresentano dopo ventisei anni con For The Wounded Heart, ep composto da una manciata di brani che tornano al rock di Seattle e all’hard rock pregno di groove del dopo Kurt Cobain.
Don’t Want None (Come Get Some), Shadows Fade e gli altri tre brani che formano questo nuovo ep sanno di post grunge come di hard rock, un sound che porta tatuato sulla pelle la targa dello stato di Washington, non andando molto lontano da quello fatto a suo tempo dai Creed e dai Nickelback, ma con un appeal straordinario, tanto che possiamo sicuramente affermare che la nuova strada intrapresa dal gruppo risulta sicuramente quella giusta.
Cinque bellissime radio songs che avrebbero fatto il botto a cavallo del nuovo millennio, mentre non resta che aspettare un probabile full length che sicuramente non sfuggirà ad ogni fan del rock americano degli ultimi venticinque anni.

Tracklist
1. Don’t Want None (Come Get Some)
2. Shadows Fade
3. Carry Me
4. Love Is Alright
5. Shipwrecked Hypocrite

Line-up
Eddie Green – Vocals
Larry Worley – Guitars
Chris Howell – Guitars
Gary Hansen – Drums
Rod Romero – Bass

FEAR NOT – Facebook

Static Tension – Ashes To Animation

Ashes To Animation è un buon lavoro, anche se fuori tempo massimo, perchè la band sa come muoversi tra le note che hanno fatto la fortuna dei gruppi citati, amalgamando il classic rock dei Led Zeppelin con il metal dei Black Sabbath e le note provenienti dalla scena grunge e dai suoi massimi esponenti.

Esordio sulla lunga distanza per questo quartetto proveniente da Cincinnati, ma che nei primi anni novanta avrebbe potuto trovare casa in quel di Seattle.

Infatti gli Static Tension suonano hard rock che prende ispirazioni dagli anni settanta, salta tutto il decennio successivo e ritrova vigore tra la pioggia incessante che bagna la città nello stato di Washington.
Un buon lavoro questo Ashes To Animation, che negli anni di maggior successo della scena grunge sarebbe stato sentito e risentito più volte, inserito tra quelli delle grandi firme e di chi ci provava e poi spariva nel nulla, con tutti i cliché al posto giusto per solleticare i fans di Soundgarden, Pearl Jam e Alice In Chains.
Di suo la band dell’Ohio ci mette tanto rock vecchia scuola, riff sabbathiani e a tratti qualche ritmica più intricata che prende le sembianze di jam in cui troviamo schegge di blues rock e progressive, come in Serpentine e In Spite.
Ashes To Animation è un buon lavoro, anche se fuori tempo massimo, perché la band sa come muoversi tra le note che hanno fatto la fortuna dei gruppi citati, amalgamando il classic rock dei Led Zeppelin con il metal dei Black Sabbath e le note provenienti dalla scena grunge e dai suoi massimi esponenti.
Il problema è che un lavoro del genere probabilmente passerà inosservato ai più, mentre venticinque anni fa avrebbe fatto scrivere fiumi di parole sulle riviste di settore.

Tracklist
1.Kindling
2.Bury My Body
3.No Return
4.In Spite
5.Absence
6.Got To Give
7.serpentine
8.Blank Silhouette
9.Where’s The Air?
10.Bloody Shadow

Line-up
Rob Rom – Vocals
Greg Blachman – Guitar, Vocals
Brian Spurrier – Bass
Anthony Sager – Drums, Percussion

STATIC TENSION – Facebook

Uncledog – Passion Obsession

Gli Uncledog ripartono per un excursus musicale sul rock alternativo che ha caratterizzato gli ultimi venticinque anni di musica, tramite dieci brani, assolutamente perfetti, convincenti, zeppi di melodie e urla elettriche che tornano a far parlare di grunge rock, senza per forza trasformarsi in copie sbiadite di più famose e riconoscibili canzoni provenienti dall’altra parte dell’oceano.

Tornano i grunge rockers padovani Uncledog con il secondo lavoro sulla lunga distanza, successore di Russian Roulette licenziato nel 2014.

Prodotto da Pietro Foresti e sul mercato sempre tramite la Vrec, Passion Obsession è un concept sulle passioni, come ben evidenziato dal cuore in copertina, strapazzato da chi appunto vive di emozioni in una vita sempre più piatta e materiale.
Da qui il gruppo riparte per un excursus musicale sul rock alternativo che ha caratterizzato gli ultimi venticinque anni di musica, tramite dieci brani, assolutamente perfetti, convincenti, zeppi di melodie e urla elettriche che tornano a far parlare di grunge rock, senza per forza trasformarsi in copie sbiadite di più famose e riconoscibili canzoni provenienti dall’altra parte dell’oceano.
Gli Uncledog invero le loro personali influenze le manipolano facendo proprie quelle caratteristiche che permettono a Passion Obsession di tenerci ben salde le cuffie alle orecchie, componendo una tracklist che non trova ostacoli, per cui sembra proprio che il cuore in copertina cominci a battere sotto i nostri occhi, mentre O.E.K.E., i ritmi di matrice Funky/reggae del singolo Four Leaf Clover, Wow (brano bellissimo, ed apice del disco) e il crescendo di tensione che si respira in Anything Else ci accompagnano in questo sunto sul rock alternativo firmato dal gruppo padovano.

Tracklist
1.O.E.K.E.
2.Let Me Dive
3.Four Leaf Clover
4.First Time
5.Wow
6.Take a Look
7.Anything Else
8.Blush
9.Thoughtful
10.Her

Line-up
Nico – Lead and Backing Vocals, Guitar
Karma – Lead Guitar, Backing Vocals
Fiore – Keyboards, Backing Vocals
Lele – Bass, Backing Vocals
Silvio – Drums & Percussions

UNCLEDOG – Facebook

Crowhurst – III

Un’opera che grida, un urlo disperato eppure bellissimo, un disco che piacerà a tanti, perché copre un grande arco della musica pesante e non solo.

Jay Gambit aka Crowhurst è un musicista e produttore che ha coperto e copre un’ampia gamma di generi musicali, e potrebbe essere definito a ragione un esploratore sonoro.

Ogni volta visita mondi diversi e in questo caso con III si addentra in territori noise e grunge, creando come sempre qualcosa di bellissimo. III è disperato e struggente, il grido di un animale sempre connesso e però morente, colpevole di aver ucciso il proprio ambiente di vita e quindi sè stesso. La razza umana è una contraddizione in termini che prima o poi sarebbe dovuta esplodere e questo disco rappresenta benissimo il poi. La voce di Jay è disperata e ruvida, passa attraverso i padiglioni auricolari per arrivare al cuore ed esplodere, grazie anche ad una musica che si dimena con lui. Questa è forse l’opera in apparenza meno estrema musicalmente, ma è una cascata di odio e disagio, sublimata da uno spirito musicale davvero superiore. Le uscite discografiche totali di Crowhurst sono oltre settantacinque, contando anche le varie collaborazioni, ma ogni volta è un’epifania. In questa nuova pubblicazione però si è superato andando a creare un ponte temporale tra il grunge e qualcosa di estremamente moderno, di vicino al noise e ad altre cose pur senza appartenere a nessun genere in particolare, andando ad usare i codici musicali più adatti per creare qualcosa di potente e ben definito, di musicalmente unico. III è un disco in cui lo spazio si restringe sempre di più, dove le distorsioni sono solchi sull’asfalto e sulla nostra faccia, anno dopo anno, morte dopo morte. Il disco è inoltre strutturato come la narrazione di un film, infatti Crowhurst ha ammesso di essere stato influenzato da The Natural Born Killers, dal quale trae la disperazione e la violenza. Insieme al film di Oliver Stone, Jay Gambit si ispira anche alla serie tv The Twilight Zone, di cui si serve per andare oltre, infatti l’ultima canzone prende il titolo da un episodio della serie. Un’opera che grida, un urlo disperato eppure bellissimo, un disco che piacerà a tanti, perché copre un grande arco della musica pesante e non solo. Prodotto da Kurt Ballou.

Tracklist
1.I Will Carry You To Hell
2.Self Portrait With Halo And Snake
3.The Drift
4.La Faim
5.Ghost Tropic
6.Five Characters In Search Of An Exi

CROWHURST – Facebook

Lullwater – Voodoo

I Lullwater rifilano una serie di brani che ben si collocano tra la prima metà degli anni novanta nell’era post Kurt Cobain, così da risultare ruvidi, potenti ma, allo stesso tempo melodici quel tanto che basterebbe per non fare prigionieri, se solo si potesse tornare indietro di almeno vent’anni.

Grunge, alternative rock, hard rock, quel poco di influenze southern tanto per ribadire la totale devozione al rock americano, et voilà, il gioco è fatto, ed anche molto bene.

Senza cercare di sembrare originali a tutti i costi, i greci Lullwater licenziano un lavoro ispiratissimo, il quarto della loro discografia iniziata una decina di anni fa e si confermano un gruppo da seguire per gli amanti del rock di ispirazione statunitense nato e sviluppatosi negli anni novanta.
Con la band greca non si va troppo a ritroso con le influenze, il sound si ferma ai primi anni novanta riportando ai maggiori gruppi usciti da Seattle in quel periodo, ed entrando nel nuovo millennio con gli esponenti del cosiddetto post grunge.
Il quarto album della band ellenica, intitolato Voodoo, è stato registrato nei Marigny Studios di New Orleans, prodotto dallo svedese Jakob Herrmann in collaborazione con Justin Davis e presenta una serie di brani grintosi e pregni di groove.
Capitanati dal chitarrista e cantante John Strickland, i Lullwater rifilano una serie di brani che ben si collocano tra la prima metà degli anni novanta nell’era post Kurt Cobain, così da risultare ruvidi, potenti ma, allo stesso tempo melodici quel tanto che basterebbe per non fare prigionieri, se solo si potesse tornare indietro di almeno vent’anni.
Di questi tempi invece ci si accontenta di sorprendere in positivo i fans e gli addetti ai lavori con brani che uniscono Peral Jam, Nirvana e Soundgarden a Nickelback e Theory Of a Madmen, creando un alchimia perfetta tra due generazioni di rock alternativo.
Si fa ascoltare che è un piacere Voodoo e bisogna arrivare al penultimo brano (Yellow Bird) per un accenno di semi ballad, mentre il resto risulta una raccolta di tracce dal sound energico come Dark Divided, Similar Skin, Godlike e Fight Of Your Life.
Un album da ascoltare mentre si guida su strade bagnate dalla rugiada della notte oppure arroventate dal caldo sole del giorno, con lo sguardo verso il confine ed il piede a tavoletta.

Tracklist
1.Curtain Call
2.Dark Divided
3.Empty Chamber
4.Similar Skin
5.This Life
6.Godlike
7.Buzzards
8.Fight Of Your Life
9.Into The Sun
10.Yellow Bird
11.Suffer Not

Line-up
John Strickland – Rhythm Guitar & Lead Vocals
Daniel Binnie – Lead Guitar
Roy ‘Ray’ Beatty – Basso e vocalizzi
Joseph Wilson – Drums & Vocals

LULLWATER – Facebook

Kings Destroy – Fantasma Nera

La musica dei Kings Destroy è fatta per durare, si può ascoltare molte volte, ed ogni volta è come fosse la prima.

Dal 2010 i Kings Destroy fanno musica pesante di gran classe, coniugando sonorità vicino allo stoner, all’hard rock e al noise con melodia e grande tecnica.

Fantasma Nera è un disco pieno di canzoni entusiasmanti, che cominciano con un motivo per poi andare davvero lontano, portando l’ascoltatore a spasso per mondi fatti di melodia e grazia musicale. Questi nativi di Brooklyn sono andati a Toronto per collaborare con David Bottrill, già al lavoro con Tool, King Crimson, Stone Sour, ed infatti qui troviamo molto del suono progressivo delle prime due band di cui sopra. Rispetto a Maynard e soci e alla creatura di Fripp, i Kings Destroy hanno una grande facilità nel rendere maggiormente immediata la loro musica, con passaggi molto melodici e fantastici ritornelli. Questo loro quarto album differisce dagli altri, come ogni altro album che hanno fatto gli americani, sempre differente da quello precedente, in una continua ricerca sonora. La musica dei Kings Destroy è fatta per durare, si può ascoltare molte volte, ed ogni volta è come fosse la prima. Dentro alle loro canzoni c’è qualcosa che riesce a dare una notevole pace, come se ci si ricongiungesse con un’altra parte di noi stessi che avevamo perduto. Ogni canzone è una nuova scoperta, si viene avvolti da una grande quantità di luce, anche se la tenebra non è sconosciuta. Nella bella ed esoterica copertina c’è quello che potrebbe sembrare un lago od un mare, comunque tanta acqua, e proprio la sensazione di stare nell’elemento acqueo è una della grandi emozioni che ci regala questo gruppo. Possiamo anche trovare un po’ di grunge in chiave hard rock, ma i Kings Destroy non appartengono ad un genere ben preciso. Ci sono moltissime cose qui dentro e sono tutte da scoprire in un lavoro che è molto superiore e non lo nasconde.

Tracklist
1.The Nightbird
2.Fantasma Nera
3.Barbarossa
4.Unmake It
5.Dead Before
6.Yonkers Ceiling Collapse
7.Seven Billion Drones
8.You’re The Puppet
9.Bleed Down The Sun
10.Stormy Times

KINGS DESTROY – Facebook

Green River – Rehab Doll

I Green River non erano solo dei precursori ma furono un gruppo che fece qualcosa di nuovo partendo da elementi già presenti nella scena musicale del tempo e di quella precedente.

Ristampa di lusso per l’unico disco su lunga distanza dei Green River.

Uscito originariamente nel 1988, Rehab Doll può essere considerato la summa e contemporaneamente il punto più alto della loro carriera: sintomo di un’epoca che stava cambiando musicalmente, a parte le note vicende future dei suoi membri, l’album è un piccolo capolavoro per quanto riguarda la musica e la sintesi fra post punk ed un hardcore altro. Registrato da Jack Endino, vero e proprio fautore di un certo suono, Rehab Doll è un compendio di un certo alternativo americano che in quegli anni da un lato annoverava gruppi come i Black Flag e dall’altro lato i Green River, che stavano facendo qualcosa di veramente differente. Rispetto a Dry As A Bone qui la musica è maggiormente strutturata, le canzoni mutano molto nel loro divenire, e la carica distorsiva è preponderante. Rehab Doll è un disco irripetibile di un gruppo che, oltre che anticipare alcune istanze musicali come il grunge, ha saputo proporre una sintesi molto riuscita fra post punk e il rock. La musica dei Green River non nasce con loro ma è originale la proposta musicale che fanno, di grande importanza ancora adesso. Ascoltando Rehab Doll si può facilmente comprendere come questo disco sia ancora avanti di anni ai giorni nostri e, cosa più importante, sia bellissimo dalla prima all’ultima canzone. Questa ristampa di lusso della Sub Pop comprende gli otto brani originali, più alcune versioni dei brani presi dalle cassette di prova di Jack Endino, e due inediti, un documento prezioso e occasione per poter riascoltare un capolavoro quanto mai attuale. I Green River non erano solo dei precursori ma furono un gruppo che fece qualcosa di nuovo partendo da elementi già presenti nella scena musicale del tempo e di quella precedente. Qualcosa a Seattle si stava muovendo e non sarebbe finito tanto presto.

Tracklist
01. Forever Means
02. Rehab Doll
03. Swallow My Pride
04. Together We’ll Never
05. Smilin’ and Dyin’
06. Porkfist
07. Take a Dive
08. One More Stitch
09. 10000 Things
10. Hangin’ Tree
11. Rehab Doll
12. Swallow My Pride
13. Together We’ll Never
14. Smilin’ and Dyin’
15. Porkfist
16. Take a Dive
17. Somebody
18. Queen Bitch

SUB POP – Facebook

Hauméa – Unborn

La voce, il suono, l’essere portati lontani, una musica coinvolgente, veloce e dura, il metal nel suo lato più melodico e la speranza di essere salvati. Un debutto di sole quattro canzoni ma gigantesco.

L’underground metal è un mondo bellissimo, nel quale le sorprese stanno dove meno te lo aspetti e in cui si possono trovare dischi come questo ep di debutto dei normanni Hauméa, una piccola meraviglia di metal melodico.

In questi quattro brani che compongono il primo atto discografico di questo gruppo nato nel 2018, sono concentrati molte delle cose che rendono piacevole un disco di metal melodico. Melodia per l’appunto, belle aperture e la sensazione di trovarsi di fronte ad una band mai banale e di talento. Non c’è una netta appartenenza ad un genere, quanto piuttosto la volontà di fare musica ben fatta e piacevole, con molta melodia che si lega alla durezza di un metal che è qualcosa in più di un hard rock. Colpisce la grande maturità di un gruppo formatosi da poco, ma le canzoni di Unborn sono una testimonianza di talento e versatilità. Il pathos è molto alto, le canzoni sono costruite in maniera da rimanere impresse nella testa degli ascoltatori, non sono musiche per un ritornello o per un motivo musicale, ma sono composizioni che vanno ascoltate e degustate nella loro interezza. La direzione è dettata dalle emozioni e da una costruzione che risente molto del gusto grunge, quell’andare su e giù con chitarroni distorti, rendendo bene il gusto di un certo gotico moderno che è qualcosa ci difficile da maneggiare, ma qui è nelle mani giuste. Gli Hauméa sono un gruppo che già al primo colpo ha una fisionomia ed un suono assolutamente precisi e personali, basta ascoltare il primo minuto dell’iniziale Unborn che già si è dipendenti ed assuefatti senza speranza. La voce, il suono, l’essere portati lontani, una musica coinvolgente, veloce e dura, il metal nel suo lato più melodico e la speranza di essere salvati. Un debutto di sole quattro canzoni ma gigantesco.

Tracklist
1.Unborn
2.Not Usual
3.Dad Is Fool
4.Here I am

HAUMEA – Facebook

Subtrees – Polluted Roots

Partendo dall’assennato assunto di Italo Svevo che la vita attuale è inquinata alla radice, i bolognesi Subtrees debuttano con un disco meraviglioso e pieno di tossici gioielli.

Partendo dall’assennato assunto di Italo Svevo che la vita attuale è inquinata alla radice, i bolognesi Subtrees debuttano con un disco meraviglioso e pieno di tossici gioielli.

Tutti portiamo un certo grado di tossicità dentro di noi, abbiamo un lato che come un click difettoso non funziona molto bene, o funziona molto meglio della parte che crediamo sana, comunque c’è e vive assieme a noi come un simbionte. La sensazione più importante fra le tante che regala questo disco è il tremendismo, un senso di catastrofe imminente che fortunatamente non si riesce a cogliere nella sua pienezza perché siamo intossicati, e i nostri pensieri viaggiano molto lentamente. Musicalmente il disco esplora diversi lidi e tocca molte istanze musicali, a partire da un forte retrogusto grunge che permea tutta l’opera, ma si va anche verso il noise anni novanta, tenendo sempre ben presente la propria impronta originale. Procedendo nell’ascolto si trova anche un incedere tipico degli Isis, ovvero un passo musicale davvero ampio e che abbraccia l’ascoltatore mentre lo porta lontano. La musica dei Subtrees è qualcosa che riscalda e che scorre direttamente nelle vene, come un droga salvifica, rinnovando la nostra tossicità, rendendola inevitabile e immanente. La completezza del disco è difficile da descrivere a chi non lo ascolterà, perché è sempre la musica che deve spiegare, qui possiamo solo dare indicazioni di ascolto, e questo è un ascolto da fare assolutamente. Le atmosfere create dal gruppo sono bolle temporali nei quali ci si sente confortevoli e al contempo viene esposto il nostro disagio. Non ci sono momenti particolarmente veloci, è tutto molto incisivo e ben composto, con trame che non si sentivano da tempo per un gruppo davvero notevole.

Tracklist
1.Syngamy
2.Everything’s Beautiful, Nothing Hurt
3.Conversation #1 (Hero’s Death)
4.Conversation #2 (Adam’s Resurrection)
5.Reflections
6.Motorbike
7.Jungle/Overexposure

Line-up
Roberto Andrés Lantadilla – voce, chitarra e testi
Nicola Venturo – basso e sintetizzatori
Riccardo Pantalone – chitarra e ostrich guitar
Alberto Lazzaroni – batteria

SUBTREES – Facebook

Flying Disk – Urgency

Ascoltare Urgency dà l’idea che il noise e il grunge si possano ancora incontrare per fare ottime cose, con un pezzo come Hammer che è nei dintorni dei migliori Unsane.

I Flying Disk sono giovani, vengo da Fossano provincia di Cuneo e suonano divinamente.

Con questo secondo lavoro i ragazzi superano il già buon esordio del 2014 Circling Further Down, che li ha portati all’attenzione di chi ama le sonorità pesanti ben strutturate e con una melodia solida e che si snoda per tutta la canzone. Il gruppo fossanese ha un tiro micidiale, una naturalezza nel muoversi che rende piacevole e solido tutto ciò che fa. Urgency è il disco perfetto fatto da chi sta in provincia, ma possiede una grande apertura mentale, per quanto riguarda la musica, di chi ha talento e vuole suonare. Ci sono momenti di estrema goduria nell’ascoltare questo disco, e alcuni pezzi hanno un deciso retrogusto grunge, nel senso che si ha quello stato di grazia fra melodia e pesantezza che solo i grandi gruppi possiedono. Sulla risposta alla domanda se i Flying Disk siano appunto un grande gruppo, la risposta è un sì molto deciso. Ascoltare il loro nuovo disco ti da l’idea che il noise e il grunge si possano ancora incontrare per fare ottime cose: un pezzo come Hammer è nei dintorni dei migliori Unsane, creando quella bella tensione musicale che solo il noise sa fare, con mille rivoli che vanno a formare un unico fiume lavico. Inoltre ci sono dei momenti di grazia vera e propria dove sembra di trovarsi con loro in saletta a suonare come se fuori ci fosse l’apocalisse. La chitarra sale e scende, il basso pulsa e la batteria è bella pulita con una voce che è pressoché perfetta per questo tipo di musica. Chi vedrà dal vivo questa band capirà quanta passione e dedizione abbia: i Flying Disk fanno fluire la musica in una provincia che non ti dà molto ma ti dà la spinta e il giusto inquadramento, nel senso che sai che probabilmente non farai mai i soldi, ma resterai sempre te stesso e potrai fare dischi bellissimi come questo Urgency, album che non conosce data di scadenza, e che a ogni nuovo ascolto regala sempre qualche sorpresa.

Tracklist
1. One Way to Forget
2. On the Run
3. Straight
4. Dirty Sky
5. Night Creatures
6. Hammer
7. Young Lizard
8. 100 Days

Line-up
Simone Calvo – Guitars, Vocals
Enrico Reineri – Drums
Luca Mauro – Bass

FLYING DISK – Facebook

Ru Fus – Vita Natural Durante

Vita Natural Durante è una di quelle gemme che vivono nel sottobosco e che sono gioie riservate a chi vuole ricercare, e non a chi vuole trovarsi la pappa pronta.

Ru Fus è un’anima musicale che ha attraversato molti momenti del sottobosco musicale pisano ed è arrivato finalmente all’esordio solista, dopo che è stato in molti gruppi, volendo esprimersi in totale libertà e ne esce una buona prova.

Ru Fus ha cominciato a fare musica tanti anni fa dopo essere stato folgorato da un concerto dei Soundgarden, e fonda nel 1993 gli Akchol Folw che si sciolgono nello stesso anno; entra quindi nella band punk rock Ganzi e Rozzi dalla quale poi esce per andare a far parte del seminale gruppo degli Zen, che poi diventeranno Zen Circus, con i quali rimane fino alla fine del 1999. Da qui comincia una peregrinazione in vari gruppi, con tanti concerti e tante canzoni macinate. Questo suo primo disco solista arriva al momento giusto ed è un piacere da sentire, sia perché è grunge fino al midollo, sia perché è un qualcosa di molto differente rispetto a ciò che si sente ora in giro. Innanzitutto la grande esperienza di Ru Fus è seconda solo al cuore che ci apre e ci fa vedere ogni suo battito, attraverso la lente della musica. La voce di Ru Fus è carica, calda e si potrebbe definire grunge blues, ti scava dentro e non ti lascia scampo. Il primo lavoro solista del musicista pisano non è però meramente nostalgico, prende come struttura portante il grunge, ma ha molte sfaccettature ed è un opera completa e che regala molte emozioni. Per chi ama certe sonorità è un ritorno ad un qualcosa che sembrava scomparso, anche perché le band che si rifanno al grunge spesso lo seguono in maniera ortodossa, mentre la sua essenza è ben catturata da Ru Fus, che ne coglie le cose migliori e le porta a galla attraverso la propria sensibilità. Vita Natural Durante è una di quelle gemme che vivono nel sottobosco e che sono gioie riservate a chi vuole ricercare, e non a chi vuole trovarsi la pappa pronta.

Tracklist
01. Da nessuna parte
02. Giornate nuvolose
03. Vecchie radici morenti
04. Fuori di testa
05. Solo
06. Mustangata
07. Grasso sole
08. Senza via d’uscita
09. Scalpo nero
10. Panic
11. Servi un signore
12. Ieri, oggi e domani

RU FUS – Facebook

Jack Brain – The Seeker

The Seeker è un buon lavoro, interessante per chi ha amato gli impulsi dettati dal rock americano degli anni novanta e ancora freme per le uscite di quelle band e artisti che hanno portato il genere nel nuovo millennio.

Giacomo “Jack” Casile, alias Jack Brain, è un musicista e compositore calabrese noto nella scena underground per aver fondato realtà come Insomnia Creep, Greetings From Terronia,H.S. e No More Nothing.

Lo scorso anno è uscto il suo primo lavoro, da lui stesso interamente registrato, composto e arrangiato nei Lex Audiolab ed intitolato Epic Spleen, ora raggiunto dalla prima parte di The Seeker, opera che vede il nostro alle prese con diciotto brani divisi in due album.
Il sound del disco si rifà al rock alternativo dei primi anni novanta, e la Seattle del grunge è presente con una manciata di icone ad ispirare il musicista nostrano in questa raccolta di brani diretti.
Suoni distorti e chitarre sature di elettricità sono le peculiarità di brani che si muovono tra Alice In Chains, Nirvana e Screaming Trees, con l’unica variante newyorkese rappresentata dai seminali Sonic Youth.
Dalla title track, passando per Relive, Out Of The Box e The Frame, l’alternanza tra il grunge e l’alternative rock è ben in evidenza e sapientemente dosata da Jack Brain, il quale non rinuncia ad una dose di urgenza punk noise in Higher e qualche scarica elettrica di matrice Nine Inch Nails in Dissolute Guy.
The Seeker risulta un buon lavoro, interessante per chi ha amato gli impulsi dettati dal rock americano degli anni novanta e ancora freme per le uscite di quelle band e artisti che hanno portato il genere nel nuovo millennio.

Tracklist
1.The Seeker
2.Relive
3.Roger Rabbit
4.Out Of The Box
5.Higher
6.The frame
7.Dissolute Guy
8.Zen
9.Oroboro

Line-up
Giacomo Jack Casile – Voce,chitarre,basso,drum programming

JACK BRAIN – Facebook

Backwoods Payback – Future Slam

Due ragazzi ed una ragazza che fanno uno stoner molto particolare a forti tinte grunge ed hard rock, una miscela molto interessante e assai godibile.

I Backwoods Payback sono due ragazzi ed una ragazza che fanno uno stoner molto particolare a forti tinte grunge ed hard rock, una miscela molto interessante e assai godibile.

La formula scelta dal gruppo della Pennsylvania è un qualcosa che si potrebbe avvicinare al modus operandi dei Kylesa, ma in realtà è assai più complesso. L’amore per il suono di Seattle (anche qui una semplificazione agghiacciante dire che il grunge viene principalmente da lì), è dichiarato apertamente con la copertina di Softer Than Love, un singolo del 2017, che è il contrario di Louder Than Love, uno dei migliori episodi del gruppo del mai troppo compianto Chris Cornell. I ragazzi sono in giro da un bel po’ e sono uno dei gruppi più interessanti dell’universo stoner e più in generale della musica pesante, perché la loro proposta è molto originale. Innanzitutto mettono al centro la melodia con una fine e mai sdolcinata ricerca di essa. Potrebbe sembrare una bestialità ma questo disco ha un suono che sembra uno shoegaze stoner a stelle e strisce, ma ovviamente ascoltarlo è la maniera migliore per capire. Ogni canzone è diversa dalla precedente e dalla successiva, e c’è sempre qualcosa di diverso dentro ognuna di esse, come se ogni gradazione di sentimento avesse un suo colore, una sua sfumatura sonora. Ci sono molti echi britannici anche se l’impianto è fortemente a stelle e strisce, la composizione è assai differente dalla moltitudine dei gruppi stoner. Anche la voce è usata in un modo che non è canonico, ed insieme agli strumenti concorre a raggiungere un suono che è un sentire esso stesso. Si può venire facilmente catturati dalla bellezza e dalla sensualità di questo Future Slum, che è un disco che ha più livelli di ascolto e di comprensione, ed è tutto da gustare. I Backwoods Payback hanno uno dei muri sonori più belli, e andare a sbatterci contro è bellissimo.

Tracklist
1.Pirate Smile
2.Lines
3.Whatever
4.It Ain’t Right
5.Threes
6.Cinderella
7.Generals
8.Big Enough
9.Alone
10.Lucky

Line-up
Jessica Baker – Bass
Mike Cummings – Guitars, Vocals
Erik Larson – Drums

BACKWOODS PAYBACK – Facebook

Soul Attrition – Vashon Rain

L’impianto è minimale ma potentissimo, il cantato si avvicina a quello cantilenante del vecchio indie, la musica è assai curata ed è un concentrato di grunge, slowcore, esplosioni noise e tantissima melodia che scorre benissimo.

Epifanie, satori, chiamatele un po’ come volete, ma l’ascolto di Soul Attrition può risvegliare in molti di noi antichi ricordi, vecchi sapori legati allo slowcore e in generale a quella magnifica stagione indie che ti faceva stupire ad ogni disco.

Soul Attrition è il progetto solista di Josh Palette, bassista della band sludge di Chicago Escape Is Not Freedom. Josh ha passato l’inverno fra il 2017 ed il 2018 a dipingere la sua tela sonora, che stiamo ascoltando, ed è una tela notevolissima. L’impianto è minimale ma potentissimo, il suo cantato si avvicina a quello cantilenante del vecchio indie, la musica è assai curata ed è un concentrato di grunge, slowcore, esplosioni noise e tantissima melodia che scorre benissimo. Il risultato è un disco che vorrebbe sussurrare, ma che per la validità di mezzi ed argomenti ti grida nelle orecchie ed arriva a grondarti dentro. Vashon Rain si inserisce perfettamente in quella tradizione americana che mischia rumore e melodia, fatta in una maniera che solo oltreoceano fanno alla perfezione. L’ovvietà e mestiere qui non stanno di casa, la meraviglia riempie i solchi del disco e porta l’ascoltatore nella personale visione di Josh, che è comune a molti di noi. Il passo di Palette è quello di chi sa cosa vuole dire e lo vuole fare con urgenza, producendo un disco davvero notevole e dalla forte capacità di attrazione. I sette pezzi che compongono Vashon Rain sono canzoni che richiedono e che meritano un ascolto approfondito che vi darà delle grandi gioie, e sinceramente si era persa la speranza di ascoltare dischi così. Un debutto di lacrime, sudore e sangue dal sapore buonissimo.

Tracklist
1.Sinking
2.Thirteen
3.Remission
4.Fatal Flaw
5.Vashon Rain
6.Unexpected Affront
7.Euclid

Line-up
Josh Parlette – Guitars, Bass, Percussion Programming, and Vocals

SOUL ATTRITION – Facebook

Exalt Cycle – Vindicta

L’amalgama funziona molto bene, e il risultato è un suono che ha parti di Deftones, un po’ di groove metal, una forte impronta grunge e tanta melodia che si sposa benissimo con un’oscura durezza.

Violenza, melodia e una grossa ispirazione dagli anni novanta e duemila.

Tutte cose positive se si vuole fare un disco di metal moderno come questo Vindicta degli Exalt Cycle da Milano. Il disco arriva quattro anni dopo il precedente Revelations ed è un passo molto importante per il gruppo, il cui zoccolo duro è formato dal duo Zack e Andy, rispettivamente cantante e bassista, ai quali si sono aggiunti Aimer alla chitarra e Marco alla batteria. L’amalgama funziona molto bene, e il risultato è un suono che ha parti di Deftones, un po’ di groove metal, una forte impronta grunge e tanta melodia che si sposa benissimo con un’oscura durezza. La dolcezza c’è ma bisogna trovarla in questo ciclo di vendette che chiamiamo vita. L’incedere del disco è molto piacevole, e la terra d’elezione è sicuramente l’America, ma il progetto è originale e pressoché unico almeno alle nostre latitudini. I ragazzi sanno come si va veloci, ma sanno anche mettere su molta melodia ed un grande impianto sonoro. In certi momenti ci si avvicina al metalcore, ma poi si torna sempre su posizioni originali, di ricerca musicale. Le varie stratificazioni sonore sono frutto di un grande lavoro in fase di composizione e di produzione. Ci sono ancora alcuni punti da rivedere, come la durata eccessiva di certe canzoni, ma il risultato è notevole e di qualità. Gli Exalt Cycle ci mostrano come la melodia possa sposare un’oculata durezza ed essere assolutamente non commerciali o peggio, piacioni. Questo disco sarebbe andato fortissimo su Rock Fm, perché il suono di gruppi come questo è ancora importante, ma a quell’epoca era praticamente quotidiano.

Tracklist
1. Welcome To The Circus Of Hell
2. Vindicta
3. Black Butterfly
4. Lions
5. Sickened
6. Resistence
7.VS
8.Gravity
9. Predator
10. My Last Day
11.The War Of Nowhere
12.Babylon

Line-up
Zack : Voice
Keine : Bass
Marco : Drum
Aimer : Guitar

EXALT CYCLE – Facebook

Beesus – Sgt. Beesus And The Lonely Ass Gangbang

Sgt. Beesus And The Lonely Ass Gangbang è un disco dalle mille sfaccettature, possiede un amplissimo respiro vitale, e riporterà indietro ai fasti degli anni novanta, quando questo noise bastardo ha sfornato opere molto particolari, con i Beesus che non avrebbero sfigurato nemmeno allora.

I Beesus sono un gruppo che suona un noise grunge con attitudine punk hardcore, ed il risultato è molto buono e vario, come si usava fare ai tempi dei dischi dei Primus o compagnia rumoreggiante.

Il bello di questo disco è il suo essere sinuoso, totalmente musicale ed immediato, anche se ha soluzioni sonore davvero originali e di altro livello. I Beesus non suonano solo per stupire con repentini cambi di genere o di tempo, ma fanno musica per generare sensazioni, e lo fanno in maniera zappiana, portando l’ascoltatore su di un livello lisergico e di piacere, dove la percezione cambia e si amplia. I riferimenti musicali sono moltissimi, da Zappa appunto ai Beastie Boys, ma il tutto è molto Beesus. Il gruppo ci porta in un territorio caleidoscopico, che cambia come in un viaggio psichedelico, ma non c’è tanto di questo ultimo genere, quanto una musicalità molto pronunciata che si espande ad ogni ascolto, tanto da far diventare davvero difficile eleggere un genere prevalente, e non sarebbe nemmeno giusto farlo. Il presente disco è stato scritto e prodotto soprattutto in tour, dopo l’uscita di Rise Of The Beesus, e quindi riporta molta della caoticità che viene introdotta anche dal titolo. L’uscita è stata possibile grazie alla campagna di raccolta fondi fatta su Pledgemusic, e bisogna dire che gli ascoltatori ci hanno visto molto bene, premiando gli sforzi di un grande gruppo. Sgt. Beesus And The Lonely Ass Gangbang è un disco dalle mille sfaccettature, possiede un amplissimo respiro vitale, e riporterà indietro ai fasti degli anni novanta, quando questo noise bastardo ha sfornato opere molto particolari, con i Beesus che non avrebbero sfigurato nemmeno allora.

Tracklist
1.Intro
2.El Dude
3.Dubblegum Boom Metla
4.Ñuña Y Freña
5.Reichl
6.I Don’t Wanna Be
7.Junk Around
8.Beaux
9.Outro

Line-up
Jaco – Vocals
Pootchie – Guitars/Vocals
Johnny – Bass
Mudd – Drums/Vocals

BEESUS – Facebook

Escape is Not Freedom / dusk Village – Split

Stringato ma interessante split album che vede impegnate due band statunitensi, Escape is Not Freedom e dusK Village.

Stringato ma interessante questo split album che vede impegnate due band statunitensi, Escape is Not Freedom e dusK Village.

Il territorio entro il quale entrambe si muovono è un luogo trasversale che sta fa qualche parte tra noise, sludge e grunge, anche se in effetti le differenze tra le due band appaiono abbastanza marcate, almeno in base a quanto ci è dato ascoltare in questo frangente.
Gli Escape is Not Freedom mostrano due volti piuttosto diversi nella copia di brani a loro disposizione: Boiling Nails è qualcosa di molto vicino ad un noise/sludge dalla buona intensità e con un tiro davvero notevole, mentre We’re Wrecked cambia decisamente le carte in tavola rivelandosi un brano di proto-grunge con voce femminile, bello ma che non aiuta molto a capire quale sia il vero volto della band.
In tal senso appaiono un po’ più leggibili i dusk Village, in virtù di una propensione più ruvida e diretta anche se le differenze tra i due brani offerti sono evidenti anche in questo caso: infatti, se Exolife Civilization Leak si muove su coordinate più rallentate e fangose, rivelandosi il mio brano preferito tra quelli offerti nello split, mentre A Self Fan parte sparato con venature punk hardcore e così si spinge sino al termine.
In sostanza, l’uscita offre più di un motivo di interesse soprattutto perché, inconsciamente o meno, nella proposta di entrambe le band assume un ruolo determinante un’anima grunge sporca e distorta che dimostra ai posteri, qualora ce ne fosse ancora bisogno, quanto quel movimento abbia marchiato non solo gli anni novanta, lasciando un’impronta anche nei decenni a venire e trovando spazio anche in uscite dalle disparate matrici musicali.

Tracklist:
1.Boiling Nails – Escape Is Not Freedom
2.We’re Wrecked – Escape Is Not Freedom
3.Exolife Civilization Leak – dusK Village
4.A Self Fan – dusK Village

Line-up:
Escape Is Not Freedom:
Mike – guitar, vocals
Darrin – drums
Josh – bass

Guest Vocals on “We’re Wrecked” by Emily Jancetic

dusK Village:
SLAV
GIL
FUKS

ESCAPE IS NOT FREEDOM – Facebook

DUSK VILLAGE – Facebook

Kayleth – Colossus

Il disco è molto piacevole da ascoltare e lo si può fare a lungo e ripetutamente senza che susciti mai noia o pesantezza auricolare: i Kayleth sono un gruppo davvero capace e producono il loro album migliore, che piacerà molto a chi ama la musica pesante che viaggia in alta atmosfera.

Nuovo disco per una delle realtà italiane più interessanti per quanto riguarda il panorama stoner, i veneti Kayleth.

Secondo disco su Argonauta Records per questi veterani attivi dal 2005. Colossus sancisce una maturazione molto completa e che regala un gruppo al suo apice creativo, dopo essere cresciuti disco dopo disco, attraverso un miglioramento costante e potente. Il disco si snoda attraverso uno space stoner delicato, dove le melodie sono sviluppate con grande gusto e consapevolezza di poter sempre suonare la cosa giusta. Il disco suona Kayleth al cento per cento, e anche grazie ad un’ottima produzione riesce ad arrivare molto bene nel cervello e nel cuore di chi lo ascolta. I Kayleth sviluppano gli argomenti che hanno sempre trattato e li portano ad un altro livello, dove la loro musica possa elevarsi ulteriormente. Ci sono momenti del disco che sono pervasi da un sentire stoner molto vicino al grunge, con ottimi ritornelli e canzoni molto al di sopra della media. In apparenza la musica dei Kayleth potrebbe sembrare semplice e priva della benché minima complessità, mentre invece non è affatto facile produrre questo tipo di suono senza avere il discorso molto chiaro in testa. Uno degli aspetti che rendono molto interessante il tutto è il grande lavoro delle tastiere e dei synth, un elemento che è arrivato nel divenire del gruppo, perché in partenza non era presente, e porta ulteriore profondità al suono. Il disco è molto piacevole da ascoltare e lo si può fare a lungo e ripetutamente senza che susciti mai noia o pesantezza auricolare: i Kayleth sono un gruppo davvero capace e producono il loro album migliore, che piacerà molto a chi ama la musica pesante che viaggia in alta atmosfera.

Tracklist
01 – Lost in the swamp
02 – Forgive
03 – Ignorant Song
04 – Colossus 05 – So Distant
06 -Mankind’s Glory
07 – The Spectator
08 – Solitude
09 – Pitchy Mantra
10 – The Angry Man
11 -The Escape
12 – Oracle

Line-up
Massimo Dalla Valle: Chitarra
Alessandro Zanetti: Basso
Daniele Pedrollo: Batteria
Enrico Gastaldo: Voce
Michele Montanari: Synth

KAYLETH – Facebook

Fish Taco – Il Suono Dei Campi

I Fish Taco traggono ispirazione dal grunge e dal rock alternativo anni novanta, eruttando in una maniera del tutto inaspettata, anche grazie a testi che si possono definire sconvolgenti per sincerità e potenza.

Ci sono momenti nei quali, pur ascoltando molta musica la maggior parte della quale senza molto gusto, ci si trova a pensare a quale disco, a quale commistione di suoni farebbe piacere dedicare uno o più ascolti.

Missione non semplice, perché raramente arriva il colpo di fulmine, oppure l’innamoramento dopo un lungo corteggiamento. E invece, quando meno te lo aspetti arriva nelle tue orecchie un disco gigantesco, un insieme di opera parole e musiche che ti danno una scossa. I fautori di tutto ciò sono i Fish Taco da Ardea, e il disco si chiama Il Suono dei Campi. Il disco suona benissimo, con la prepotenza ed i sentimenti del rock, una fortissima ossatura grunge e molti sconfinamenti nello stoner. La produzione fa risaltare un rock distorto che nasce da un impasto sonoro molto bene congegnato, che è davvero personale. I Fish Taco traggono ispirazione dal grunge e dal rock alternativo anni novanta, eruttando fuori in una maniera del tutto inaspettata, anche grazie a testi che si possono definire sconvolgenti per sincerità e potenza. Ci sono dei passaggi sull’immigrazione, che viene vista da noi solo come tale, ovvero come entrata nel nostro paese, e mai come uscita degli individui dal loro habitat e dai loro affetti. I testi ci portano a ragionare, sono amari e spronano a vivere come pochi altri gruppi. In Italia è difficile avere un gruppo come i Fish Taco, sia per la loro bravura musicale, sia per la loro brutale sincerità, perché chi racconta la verità in maniera cruda dura poco in Italia, la patria del meglio non vedere o sentire. Qui entra in gioco l’ascoltatore, che ascoltando e valorizzando questo disco ha innanzitutto la possibilità di godere di un disco notevolissimo, ed inoltre può effettuare una precisa scelta di campo, schierandosi dalla parte di chi si guarda dentro e fuori anche se ciò fa male.
Un album che in un’altra galassia sarebbe un disco epocale, o anche in un mondo normale.
Attenzione, questo disco vi guarda dentro, e non vi lascia come eravate prima d’averlo sentito.

Tracklist
1.Lampedusa
2.Ardea
3.Zero gradi
4.Confine
5.Magnete
6.L’aratro
7.Lorenzo
8.Polyphemus
9.La prospettiva di chi perde
10.1992

Line-up
Salvatore Tortora
Matteo Gherardi
Daniele Picchi
Umberto Andreacchio
John Mezza

FISH TACO – Facebook