I Jack Slamer, quintetto svizzero al debutto su Nuclear Blast la lezione l’hanno imparata alla grande ed il loro album omonimo è un perfetto esempio del sound tanto di moda nell’anno di grazia 2019.
L’ondata nostalgica di matrice hard rock che sta attraversando la scena mondiale sembra inarrestabile, almeno a giudicare dai tanti nuovi gruppi che si affacciano sul mercato underground e non solo.
Dai paesi scandinavi, massimi esponenti di questo revival con band di categoria superiore, agli States, passando per il centro Europa, i gruppi marchiati a fuoco dal dirigibile più famoso del rock sono tanti e molti davvero in gamba.
Non solo Led Zeppelin ovviamente, ma anche Deep Purple, Bad Company, Free, Lynyrd Skynyrd, Whitesnake: il rock duro dallo spirito bluesy è vario più di quanto si creda e i nostro eroi odierni lo accompagnano a tonnellate di riff pregni di groove, consolidando la tendenza che vede gli anni settanta amoreggiare con i novanta per portarli insieme nel nuovo millennio.
I Jack Slamer, quintetto svizzero al debutto su Nuclear Blast, la lezione l’hanno imparata perfettamente ed il loro album omonimo è un perfetto esempio di un sound prepotentemente tornato di moda.
Florian Ganz ricorda i vocalist del leggendario decennio, ma ha ascoltato senza sosta i primi album dei Soundgarden e lo spirito di Cornell aleggia non poco sul tutto, mentre Turn Down The Light apre danze che finiranno solo all’ultima nota della conclusiva Burning Clown.
In mezzo tanto hard rock di matrice settantiana, dal buon appeal, a tratti sciamanico, scalfito da ondate rock blues e sorretto da una manciata di ottimi brani.
Tracklist
Turn Down the Light
Entire Force
Wanted Man
The Truth Is Not a Headline
Red Clouds
Biggest Mane
Shaman and the Wolves
There Is No Way Back
I Want a Kiss
Secret Land
Burning Crown – Bonus Track
Honey & Gold – Bonus Track
Line-up
Cyrill Vollenweider–Guitar
Hendrik Ruhwinkel–Bass
Florian Ganz–Vocals
Marco Hostettler–Guitar
Adrian Böckli–Drums
Bullet Live è un album che una volta schiacciato il tasto play vi tiene per le palle, vi obbliga con la sua forza ed energia a rimanere incollati allo stereo mentre una per una passano le varie tracce, in un tripudio di note già sentite migliaia di volte ma irrinunciabili anche questa volta.
Questo live è un inno all’hard & heavy, un rito di cui non potrete esimervi di presenziare se vi considerate true metallers di origine controllata.
D’altronde la missione degli svedesi Bullet è sempre stata quella di portare in giro per i palchi il loro tributo ad un genere e ad uno stile di vita consolidati, una sfacciata e alquanto riuscita riproposizione di cliché abusati all’infinito ma di cui non potremmo farne a meno ogni tanto.
E allora buttatevi con birra in mano e pugno alzato tra le prime file di questo live che ripercorre le gesta del gruppo svedese, attivo da quasi vent’anni e con il suo bottino di sei album di cui l’ultimo uscito un annetto fa.
Il quintetto scandinavo mantiene quello che promette, con il palco messo a ferro e fuoco grazie ad una energia liberata in diciotto dei brani più significativi e riusciti del loro repertorio che, chiariamolo, non si scosta di un millimetro dal tributare il sound leggendario di Ac/Dc e Accept, con un tocco qua e là di Judas Priest ad aumentare la temperatura quando le chitarre si lanciano in solos che sono il pane e la birra del genere.
Una serie di inni che non lasciano scampo, ci investono in tutta la loro metallica forza, tra sudore, alcool ed attitudine così come il genere esige.
Bullet Live è un album che una volta schiacciato il tasto play vi tiene per le palle, vi obbliga con la sua forza ed energia a rimanere incollati allo stereo mentre una per una passano le varie tracce, in un tripudio di note già sentite migliaia di volte ma irrinunciabili anche questa volta.
Storm Of Blade, Turn It Up Loud, Speed And Attack, Ain’t Enough, Highway Love e Bite The Bullet, prima di essere canzoni, sono inni e questo live è un tributo imperdibile all’hard & heavy e al suo mondo.
Tracklist
CD1
1. Uprising
2. Storm Of Blades
3. Riding High
4. Turn It Up Loud
5. Dusk Til Dawn
6. Dust To Gold
7. Rambling Man
8. Bang Your Head
9. Hammer Down
CD2
1. Speed And Attack
2. Ain’t Enough
3. Rolling Home
4. Heading For The Top
5. Stay Wild
6. Fuel The Fire
7. Highway Love
8. The Rebels Return
9. Bite The Bullet
Line-up
Hell Hofer – Vocals
Hampus Klang – Lead Guitar
Alex Lyrbo – Lead Guitar
Gustav Hector -Bass
Gustav Hjortsjö – Drums
Una brava cantante ed ottime canzoni sono una scorciatoia più che valida per essere apprezzati da un pubblico numeroso, virtù assolutamente nelle corde del gruppo svedese e ben percepibili in questo ottimo Passion Play.
I paesi scandinavi si stanno imponendo sempre più come patria dell’hard rock di tradizione settantiana, venato di ispirazioni blues, sanguigno ed oltremodo letale.
Svezia e Norvegia sono infatti ormai da considerare come nuove patrie del sound che fece la fortuna di Led Zeppelin e Bad Company con gruppi che hanno nelle sirene blues dietro al microfono l’arma vincente per scardinare i cuori degli amanti del genere.
Un altra band si affaccia sul mercato con il primo full length, dopo un ep di cui noi di Metaleyes ci eravamo occupati un paio di anni fa, i Six Feet Deeper, quartetto di Stoccolma capitanato dalla bravissima Sara Lindberg, singer dal buon talento interpretativo.
La Norvegia chiama e la Svezia non tarda a rispondere, in un duello a colpi di riff che faranno la gioia degli amanti di queste sonorità che hanno natali ed antenati illustri.
L’angelo della Swan Song (la label fondata dai Led Zeppelin) come un cupido lancia frecce sugli ascoltatori, mentre la Lindberg valorizza splendidi brani come l’opener In March The Clowns, Illuminate, la coppia The Flow/Diggin’ Down The Hole ed il singolo I Can’t Quit You, spettacolari hard rock blues che confermano l’intesa tra i vari musicisti, nonché una sagacia compositiva che permette ai Six Feet Deeper di uscire dall’anonimato di un genere che ovviamente non può certo puntare sull’originalità.
Una brava cantante ed ottime canzoni sono una scorciatoia più che valida per essere apprezzati da un pubblico numeroso, virtù assolutamente nelle corde del gruppo svedese e ben percepibili in questo ottimo Passion Play.
Tracklist
SIDE A:
1. In March The Clowns
2. Let My Spirit Go
3. Make It Right
4. You And Your Hand
5. Illuminate
SIDE B:
1. The Flow
2. Diggin’ Down The Hole
3. I Can’t Quit You
4. Passion Play
Line-up
Sara Lindberg – Vocals
Patrik Andersson – Guitar & Vocals
Emil Mickols – Drums, Keyboards & Percussion
Erik Arkö – Bass, Acoustic Guitar on track 5 & Vocals
I Burning Rain hanno dato vita all’ennesimo grande album di hard rock classico, colmo di belle canzoni, suonato e cantato divinamente, piazzandosi tra le migliori uscite di questo anno ricco di soddisfazioni per gli amanti del genere.
Dough Aldrich è probabilmente uno tra i tre chitarristi hard rock più importanti ed influenti oggi in attività.
Il suo curriculum, che conta band straordinarie come Dio e Whitesnake e altre che gli appassionati ricorderanno per una manciata di album bellissimi (Revolution Saints su tutte), si è ulteriormente impreziosito dopo gli album con quella macchina da guerra hard rock che risponde al nome di The Dead Daisies.
Ora il chitarrista statunitense, a riposo con i Daisies, torna a far parlare di sé con i Burning Rain, band arrivata al quarto album e che non produceva più musica dal 2013, anno di uscita dell’ultimo Epic Obsession.
Affiancato dal carismatico cantante Keith St. John, un altro personaggio che di rock duro ne sa tanto (Kingdom Come, ex-Montrose) e dalla sezione ritmica composta dal bassista Brad Lang (Y&T) e il batterista Blas Elias (Slaughter), Aldrich impartisce un’altra lezione di hard rock con una raccolta di brani fiammeggiante, una tempesta di sonorità classiche di livello assoluto che confermano l’ottimo momento di forma del genere. Face The Musicincolla letteralmente alla poltrona, sempre che si riesca a stare seduti quando il riff di Revolution apre le danze, seguito da una Lorelei che unisce The Dead Daisies e Whitesnake in un’unica terremotante hard rock song.
Ketih St. John è un Coverdale in overdose da anfetamina, un animale che fa il bello e cattivo tempo su un sound robusto e graffiante, dal grande appeal in brani trascinanti come Midnight Train, la title track e Beautiful Road, autentiche gemme di questo lavoro.
Ma c’è ancora da godere tra le trame hard blues di Hit And Run e Since I’m Loving You, traccia in cui il singer gioca a fare il Plant d’annata.
I Burning Rain hanno dato vita all’ennesimo grande album di hard rock classico, colmo di belle canzoni, suonato e cantato divinamente, piazzandosi tra le migliori uscite di questo anno ricco di soddisfazioni per gli amanti del genere.
Tracklist
1. Revolution
2. Lorelei
3. Nasty Hustle
4. Midnight Train
5. Shelter
6. Face The Music
7. Beautiful Road
8. Hit And Run
9. If It’s Love
10. Hideaway
11. Since I’m Loving You
Line-up
Doug Aldrich – Guitars
Keith St. John – Vocals
Brad Lang – Bass
Blas Elias – Drums
Riding On a Flamin’ Road è un lavoro riuscito e un notevole passo avanti per il quintetto di rockers nostrani che avranno di che far divertire i rockers in giro per i palchi della penisola in questa calda estate metallica.
Tornano i toscani Wildroads con il secondo lavoro su lunga distanza: il gruppo guidato dal chitarrista e produttore Nick Capitini torna in forma smagliante con questa nuova raccolta di brani che unisce attitudine tradizionale ed impatto moderno, dando vita ad un lavoro spumeggiante.
No Routine Lovers, licenziato dalla Volcano Records, risulta infatti una detonazione rock’n’roll, una graffiante botta di vita divisa in una decina di brani che uniscono hard rock, sleaze metal e classic rock.
La band non risparmia energia, parte in quarta con Bad Girls Got The Fire, brano diretto e melodico il giusto per catturare fin da subito l’attenzione, continuando nella sua personale riproposizione di stilemi cari alla scena hard & heavy statunitense degli anni ottanta, in una versione più moderna e catchy.
Melodie, sferzate metalliche ed attitudine street rock’n’roll fanno parte del dna di questa raccolta di brani che non concedono tregua, tenendo alta la tensione con scariche elettriche in un sound che, oltre ad una serie di mitragliate rock/metal, regala perle come Way To God, cavalcata metallica dalle atmosfere arabeggianti molto suggestiva. No Routine Lovers è un lavoro riuscito e un notevole passo avanti per i Wildroads che avranno di che far divertire i rockers in giro per i palchi della penisola in questa calda estate musicale.
Tracklist
1.Bad Girls Got The Fire
2.Rollercoaster
3.Rules Of The World
4.Bring You To The Stars
5.Lords Of Babylon
6.Mindfucked
7.Way To God
8.Mr. Grey
9.Love Song
10.The Night Belongs To The Wild
…Al Infierno è quello che vuole essere, una corsa verso le regioni a sud del paradiso, una perdizione sonora per fans dello stoner, dell’hard rock e del metal più stradaiolo, ed è un disco piacevole ed un ottimo inizio discografico per un gruppo che ha cose da dire ma soprattutto da suonare.
Ascoltare i Directo è come trovare o ritrovare dei compagni di vizi che si credevano perduti, qualcuno che capisce le fiammate che a volte ci ardono dentro senza rimedio e che le hanno messe in musica.
I Directo nascono a Città di Castello provincia di Perugia nel 2010, fondati da ragazzi che amano le sonorità di Black Sabbath e Kyuss, ed infatti i loro concerti si basavano agli inizi sulla discografia del gruppo desertico. Questo …Al Infiernoè il loro esordio ed è un disco che contiene uno stoner desert con molte influenze diverse di grande qualità, e che rilascia molte emozioni mai scontate; ascoltandolo si viene trasportati in un luogo molto caldo e con gente non proprio raccomandabile, le chitarre disegnano riff fumosi e sabbiosi, la sezione ritmica spinge in maniera lussuriosa come dei lombi, e la voce è molto adeguata a questo tipo di musica. Nel mondo ci sono moltissimi gruppi simili ai Directo, ma pochi hanno una loro impronta originale, che qui invece è molto marcata e ne rappresenta la natura più profonda. Ascoltando il disco ci si accorge che alla fine questo loro suono così affascinante si può annoverare sotto la dicitura blues, sì questo potrebbe essere blues del deserto, perché il deserto non è per forza quello popolato da scorpioni e bestie varie, ma anche qualsiasi delle nostre provincie italiane, dove non succede mai nulla ma in realtà solo il brutto accade, e dove ci sono forze che ti spingono a fare musica più forte e i Directo ne sono una dimostrazione molto forte. … Al Infiernoè quello che vuole essere, una corsa verso le regioni a sud del paradiso, una perdizione sonora per fans dello stoner, dell’hard rock e del metal più stradaiolo, ed è un disco piacevole ed un ottimo inizio per un gruppo che ha cose da dire ma soprattutto da suonare.
Tracklist
1. Enter The Darkness Gate
2. Electric Phoenix
3. Immortal King
4. Planet’s Dying. Pt.1 (Empty Oceans)
5. Planet’s Dying. Pt.2 (Burning Metal)
6. Bitches, Whorses and Other Furnishings
7. Satan Is A Friend Of Mine
8. Memories Of A Dead Star
Questo primo full length lascia intravedere buone potenzialità, anche se la band deve assolutamente trovare il bandolo della matassa del proprio sound, puntando su quello che sa fare meglio, suonare stoner metal.
I Wendigo sono un gruppo tedesco fondato nel 2012 la cui discografia ha inizio con la pubblicazione dell’ep Initiation nel 2016, mentre questo nuovo lavoro vede la band cimentarsi per la prima volta su lunga distanza.
Il sound del gruppo miscela una manciata di generi che vanno dall’heavy metal, all’hard rock, passando con buona disinvoltura tra atmosfere doom classiche ed altre più moderne e stoner.
L’opener The Man With No Home risulta un buon sunto di quanto scritto, con il quintetto che nell’arco di quattro minuti passa da un genere all’altro, forzando un po’ troppo sugli evidenti cambi di atmosfere imposte dai generi.
Le cose prendono una strada lineare nei due brani successivi dove l’hard rock venato di stoner metal prende il comando del sound, risultando sicuramente più convincente.
Anche la voce del singer Jorg Theilen sembra più a suo agio quando le note scorrono sulle strade impolverate e scaldate dal sole del deserto, mentre fatica quando deve prendere note alte imposte da refrain di stampo heavy metal.
Il cuore di Wasteland Stories, rappresentato dalle due parti di The Lonesome Gold Digger, tocca addirittura momenti estremi con uno scream che irrompe su atmosfere doom, accentuate in Iron Brew, brano di matrice Count Raven.
Questo primo full length lascia intravedere buone potenzialità, anche se la band deve assolutamente trovare il bandolo della matassa del proprio sound, puntando su quello che sa fare meglio, suonare stoner metal.
Tracklist
1. The Man With No Home
2. Desert Rider
3. Back In The Woods
4. Dagon
5. The Lonesome Gold Digger Pt. I
6. The Lonesome Gold Digger Pt. II
7. Iron Brew
8. Staff of Agony
9. Mother Road
Line-up
Jorg Theilen – Vocals
Eric Post – Guitars
Jan Ole Moller – Guitars, Vocals
Lennard Viertel – Bass, B.Vocals
Steffen Freesemann – Drums
Phoenix From The Ashes risulta un buon lavoro ed un passo importante per Marc Vanderberg, che si impone all’attenzione degli amanti del genere con un album vario, duro, melodico e composto da belle canzoni.
Questa volta il musicista e compositore tedesco Marc Vanderberg ha fatto le cose in grande, circondandosi per questo nuovo lavoro di un nutrito gruppo di cantanti che danno il loro contributo su queste dieci nuove canzoni che vanno a comporre Phoenix From The Ashes.
Come nel precedente album (Highway Demon licenziato nel 2017), Vanderberg si prende carico di gran parte della parte strumentale, aiutato dalle chitarre di Michael Schinkel e Dustin Tomsen e da Paulo Cuevas, Philipp Meier, Oliver Monroe, Göran Edman, Raphael Gazal (singer sul precedente album), Chris Divine e Tåve Wanning dietro al microfono. Phoenix From The Ashes è un grosso passo avanti per il musicista tedesco, essendo un album composto da buone canzoni, melodico ma graffiante e di stampo più hard rock rispetto al passato.
Il tocco neoclassico negli assoli valorizza il sound creato da Vanderberg per questo lavoro come avviene in Odin’s Words, bellissimo brano cantato da Paulo Cuevas che richiama il Malmsteen epico e power di Marching Out.
Il resto dell’album si stabilizza si un buon hard & heavy che l’alternanza dei vocalist rende vario così come una riuscita altalena tra brani che sfiorano melodie AOR ed altri più robuste.
Da segnalare il mid tempo di Bitter Symphony, l’epica Warlord con Rapahael Gazal al microfono e le tastiere AOR della conclusiva You And I, brano che ricorda i rockers melodici Brother Firetribe dell’ultimo lavoro Sunbound.
In conclusione Phoenix From The Ashes risulta un buon lavoro ed un passo importante per Marc Vanderberg, che si impone all’attenzione degli amanti del genere con un album vario, duro, melodico e composto da belle canzoni.
Tracklist
01.Odin´s Words (Feat. Paulo Cuevas)
02.Warsong (Feat. Philipp Meier)
03.Legalize Crime (Feat. Paulo Cuevas)
04.Phoenix from the Ashes (Feat. Oliver Monroe)
05.You and I (Feat. Goran Edman)
06.This Romance (Feat. Tåve Wanning & Chris Divine)
07.Warlord (Feat. Raphael Gazal)
08.Bad Blood (Feat. Oliver Monroe)
09.Bitter Symphony (Feat. Raphael Gazal)
10.My Darkest Hour (Feat. Paulo Cuevas)
Paulo Cuevas – Vocals
Philipp Meier – Vocals
Oliver Monroe – Vocals
Göran Edman- Vocals
Raphael Gazal- Vocals
Chris Divine- Vocals
Tåve Wanning- Vocals
Michael Schinkel – Lead Guitar
Dustin Tomsen – Lead Guitar
overdale è riuscito miracolosamente a dare una nuova identità al gruppo, mantenendo le caratteristiche peculiari del sound Whitesnake, ma rinnovandolo di volta in volta, perdendo molto dell’anima blues di una volta e cercando quelle soluzioni, anche a livello di arrangiamenti, capaci di rendere la sua strisciante creatura una band perfettamente in grado di reggere il passare degli anni.
David Coverdale ha battuto tutti, si ripresenta nel 2019 con i suoi Whitesnake, una delle tante versioni in quarant’anni di gloriosa carriera nel mondo del rock e sbaraglia la concorrenza grazie ad un album bellissimo, per nulla nostalgico, moderno e duro come l’acciaio.
Quanti avrebbero detto, tra i non pochi rockers imprigionati nelle spire del serpente bianco fin dall’uscita di Trouble nel lontano 1978, che nel nuovo millennio si sarebbe continuato a scrivere di re David e del suo rettile, sinuoso animale hard rock che tante ne ha viste nella jungla del business musicale.
Eppure, al tredicesimo album, gli Whitesnake targati 2019 sono ancora una band in grado di far saltare il banco con questo nuovo album intitolato Flesh & Blood, composto da tredici spettacolari brani di hard rock potente, prodotto benissimo, suonato ancora meglio e cantato se non come ai bei tempi, con quel talento abbinato all’enorme esperienza di cui dispone il singer inglese.
Con un po’ di Italia metallica rappresentata dal nostro Michele Luppi alle tastiere, il nuovo album dimostra che gli Whitesnake possono ancora dire la loro nel panorama hard rock classico internazionale, tenendo ben presente che sia la band del periodo hard blues dei primi album, sia quella più patinata, meno sanguigna ma nettamente più famosa del periodo “americano” coinciso con l’uscita del masterpiece 1987 e di Slip Of The Tongue, non esistono più.
Coverdale è riuscito miracolosamente a dare una nuova identità al gruppo, mantenendo le caratteristiche peculiari del sound Whitesnake, ma rinnovandolo di volta in volta, perdendo molto dell’anima blues di una volta e cercando quelle soluzioni, anche a livello di arrangiamenti, capaci di rendere la sua strisciante creatura una band perfettamente in grado di reggere il passare degli anni. Flash & Blood, scritto in collaborazione con la coppia di chitarristi Reb Beach e Joel Hoekstra, ha nelle canzoni il proprio punto di forza: d’altronde Coverdale con le sue sessantotto primavere, pur rendendosi protagonista di una prova abbastanza convincente, non può sicuramente toccare i fasti del passato, ed è naturale che aumenti lo spazio dell’aspetto prettamente strumentale grazie anche ad una line up tecnicamente ineccepibile.
La partenza è micidiale, con Good To See You Again, Gonna Be Alright, Shut Up & Kiss Me a far crollare muri con il loro potente e sfavillante hard rock; la ballata When I Think Of You non smentisce il talento di Coverdale per il genere, mentre torna a far parlare di blues Heart Of Stone, uno dei brani più belli dell’album che si chiude con la zeppeliniana Sand of Time.
In mezzo tanto hard rock di classe superiore, certo non una novità nel labirintico mercato del rock odierno, ma assolutamente una garanzia di musica di altissimo livello: d’altronde loro sono gli Whitesnake, lui è re Coverdale e Flesh & Blood è il nuovo splendido album.
Tracklist
01. Good To See You Again
02. Gonna Be Alright
03. Shut Up & Kiss Me
04. Hey You (You Make Me Rock)
05. Always & Forever
06. When I Think Of You (Color Me Blue)
07. Trouble Is Your Middle Name
08. Flesh & Blood
09. Well I Never
10. Heart Of Stone
11. Get Up
12. After All
13. Sands Of Time
Line-up
David Coverdale – Vocals
Tommy Aldridge – Drum
Michele Luppi – Keyboards
Michael Devin – Bass Reb Beach- Guitar
Joel Hoekstra – Guitar
Origami è un album che conferma la bontà di questo ennesimo progetto targato Jeff Scott Soto, immancabile nella discografia dei fans dell’hard & heavy d’autore.
Jeff Scott Soto è uno degli artisti e cantanti che più hanno segnato gli ultimi vent’anni di storia dell’hard & heavy, prima con i Talisman e poi passando tra mille collaborazioni, la carriera solista e ultimamente con W.E.T., Sons Of Apollo e S.O.T.O.
Origami è il terzo album del gruppo che vede, oltre al singer, Edu Cominato (batteria), BJ (chitarra e tastiere), Jorge Salan (chitarra) e Tony Dickinson (basso), nuovo entrato dopo la scomparsa di Dave Z.
Come d’abitudine, gli album che vedono protagonista il cantante statunitense riescono sempre a sorprendere per la grande versatilità in un sound che, se ovviamente prende vari dettagli dagli altri progetti in cui è coinvolto, mostra una marcata personalità che gli permette di variare atmosfere e sfumature.
Il nuovo lavoro targato S.O.T.O., non manca certo di aggressività e melodia che, a braccetto, portano la tracklist verso l’eccellenza, non solo per la solita, varia e calda prestazione del cantante, ma per un lavoro d’insieme di altissimo livello.
Dall’opener Hypermania veniamo quindi travolti da un hard & heavy melodico e a tratti progressivo, dove si sentono i postumi dell’abbuffata prog metal di Soto con i Sons Of Apollo, ed un uso delle tastiere più accentuato che in passato che dona alle varie tracce un tocco moderno.
Modern melodic hard & heavy, si potrebbe definire così il sound di Origami, che non cala di tensione dalla prima all’ultima traccia, regalando la sua dose massiccia di metal in cui la voce del vocalist americano fa il bello e cattivo tempo, procurando brividi a palate.
Tra le canzoni che compongono la track list di questo ottimo lavoro, escono prepotentemente quelle in cui la band picchia da par suo, potenti e massicce heavy song melodico progressive come BeLie, World Gone Colder, Dance With The Devil e Vanity Lane. Origami è un album che conferma la bontà di questo ennesimo progetto targato Jeff Scott Soto, immancabile nella discografia dei fans dell’hard & heavy d’autore.
Tracklist
1. HyperMania
2. Origami
3. BeLie
4. World Gone Colder
5. Detonate
6. Torn
7. Dance With The Devil
8. AfterGlow
9. Vanity Lane
10. Give In To Me
Line-up
Jeff Scott Soto – Vocals
Jorge Salan – Guitar
Tony Dickinson – Bass
BJ – Keys/Guitar
Edu Cominato – Drums
I Fear Not si ripresentano dopo ventisei anni con For The Wounded Heart, ep composto da una manciata di brani che tornano al rock di Seattle e all’hard rock pregno di groove del dopo Kurt Cobain.
Era il 2017 quando dalla Roxx Records, label statunitense specializzata in metal e rock cristiano, ci arrivava la ristampa del bellissimo ed unico lavoro dei Fear Not, combo che in piena era grunge licenziava un album dalla spiccata vena hard rock tradizionale ma spogliato dagli estremismi estetici degli anni ottanta.
La band era composta da 3/4 dei Love Life, altro gruppo sconosciuto se non ai più attenti consumatori del genere: i quattro musicisti diedero alle stampe un album bellissimo, incentrato su tematiche cristiane ma dal forte impatto rock’n’roll, una serie di brani adrenalinici, dai riff taglienti, i chorus dall’appeal melodico spiccato che non mollavano la presa dall’inizio alla fine.
Tale ristampa di spessore trova oggi un seguito in questo nuovo ep di cinque brani per quello che si spera possa essere un nuovo inizio per i Fear Not.
Larry Worley, alla chitarra e ai cori, Chris Howell alla chitarra solista, Rod Romero al basso e Gary Hansen alla batteria son i quattro membri originali che, con l’aggiunta del cantante Eddie Green, formano la nuova line up dei Fear Not che si ripresentano dopo ventisei anni con For The Wounded Heart, ep composto da una manciata di brani che tornano al rock di Seattle e all’hard rock pregno di groove del dopo Kurt Cobain. Don’t Want None (Come Get Some), Shadows Fade e gli altri tre brani che formano questo nuovo ep sanno di post grunge come di hard rock, un sound che porta tatuato sulla pelle la targa dello stato di Washington, non andando molto lontano da quello fatto a suo tempo dai Creed e dai Nickelback, ma con un appeal straordinario, tanto che possiamo sicuramente affermare che la nuova strada intrapresa dal gruppo risulta sicuramente quella giusta.
Cinque bellissime radio songs che avrebbero fatto il botto a cavallo del nuovo millennio, mentre non resta che aspettare un probabile full length che sicuramente non sfuggirà ad ogni fan del rock americano degli ultimi venticinque anni.
Tracklist
1. Don’t Want None (Come Get Some)
2. Shadows Fade
3. Carry Me
4. Love Is Alright
5. Shipwrecked Hypocrite
Line-up
Eddie Green – Vocals
Larry Worley – Guitars
Chris Howell – Guitars
Gary Hansen – Drums
Rod Romero – Bass
Musica che fa bene al cuore, quella del quintetto di rockers nostrani, che confezionano un piccolo gioiello melodico, tra aor e arena rock da spellarsi le mani in sinceri applausi.
Ennesimo album imperdibile per tutti gli amanti dell’hard rock melodico licenziato dalla Art Of Melody Music / Burning Minds Music Group, punto di riferimento importante per queste sonorità e non solo nel nostro paese.
Una scena che sta regalando grosse soddisfazioni quella tricolore, oggi sugli scudi grazie a questo splendido lavoro, il terzo per gli Wheels of Fire, a sette anni di distanza dal precedente Up For Anything e nove dal clamoroso debutto intitolato Hollywood Rocks.
Musica che fa bene al cuore, quella del quintetto di rockers nostrani, che confezionano (grazie anche ai molti ospiti di spessore) un piccolo gioiello melodico, tra aor e arena rock da spellarsi le mani in sinceri applausi.
Mixato e masterizzato da Roberto Priori (Danger Zone, Raintimes, I.F.O.R., Alchemy), con la collaborazione in fase di scrittura di due talenti del rock melodico made in Italy come Pierpaolo “Zorro” Monti (Raintimes, Shining Line, Charming Grace) e Gianluca Firmo (Room Experience, Firmo), Begin Again vede all’opera una manciata di ospiti come Gianluca Ferro, Ivan Ciccarelli, Susanna Pellegrini, Marcello Spera e Matteo Liberati a dare il loro contributo ad una scaletta di brani bellissimi, ultra melodici, graffianti e dall’appeal clamoroso.
Il via alle danze è qualcosa di imperdibile, con l’opener Scratch That Bitch e l’irresistibile Lift Me Up a darci il benvenuto tra note che ricordano le highway statunitensi e le arene rock dove negli anni ottanta facevano il bello ed il cattivo tempo Bon Jovi, Danger Danger e Firehouse, con un tocco di Whitesnake patinati, specialmente in quei passaggi in cui la chitarra di Stefano Zeni sprizza energia rock.
Suonato e cantato splendidamente (Davide “Dave Rox” Barbieri al microfono è garanzia di grani melodie vocali), con una Done For The Day che avrei visto bene nella colonna sonora di Rock Of Ages, l’album esplode in un arcobaleno di note melodiche grazie alle tastiere di Federico De Biase, a donare sfumature da arena rock o emozionare con delicate note (For You).
Una sezione ritmica precisa come un orologio svizzero (Marcello Suzzani al Basso e Fabrizio Uccellini alla batteria) ed una track list inattaccabile completano un lavoro che non sarà facile da superare nella scalata ad album dell’anno per quanto riguarda queste sonorità, a conferma del valore assoluto della scena melodica tricolore.
Tracklist
1. Scratch That Bitch
2. Lift Me Up
3. Tonight Belongs To You
4. Done For The Day
5. For You
6. Keep Me Close
7. Heart Of Stone
8. You’ll Never Be Lonely Again
9. Another Step In The Dark
10. Call My Name
11. Can’t Stand It
12. Wheels Of Fire (European Bonus Track)
Questo concerto è di grande bellezza e valore dall’inizio alla fine, sarà molto gradito ai fedeli del gruppo ma anche a chi deve cominciare ad approcciarsi a loro: alla fine si vorrebbe chiedere il bis, ma basta ricominciare l’ascolto daccapo.
Questo disco in edizione limitata in 100 copie, con copertina incollata che rimanda ai bootleg degli anni settanta, è la registrazione di un concerto dei Mos Generator a Manchester del quattro ottobre 2017, durante il tour di promozione di Abyssinia.
La registrazione è ottima, la band americana è in forma eccellente e ne viene fuori un gran spettacolo. In questo concerto viene emerge in maniera prepotente tutta la potenza di questo gruppo che su disco è ottimo, ma che ha la sua ragione di esistere dal vivo, e qui ne abbiamo la migliore testimonianza possibile. I Mos Generator sono un gruppo che guarda agli anni settanta e ottanta del rock, ma poi li rielabora in una forma originale, carica ed affascinante. Ascoltando Night Of The Lordssi percepiscono le belle vibrazioni del rock pesante americano, quella capacità di suonare in maniera fluida, potente e melodica al contempo. Anche l’estetica da bootleg anni settanta valorizza questo album, e lo pone nella giusta prospettiva storica. I riff dei Mos Generator provengono da quel tempo, ma non è emulazione è la continuazione di un nobile lignaggio che non finirà mai, ma che solo pochi gruppi sanno cogliere nella sua essenza. Questo concerto è di grande bellezza e valore dall’inizio alla fine, sarà molto gradito ai fedeli del gruppo ma anche a chi deve cominciare ad approcciarsi a loro: alla fine si vorrebbe chiedere il bis, ma basta ricominciare l’ascolto daccapo. Si sente che anche il pubblico presente quella sera gradì molto, anche perché non è possibile non venire catturati dalla forza dei Mos Generator, band che ha saputo ritagliarsi con la propria musica e la propria credibilità uno spazio davvero importante nei cuori di chi ama il rock pesante. Un bellissima jam dal vivo, con l’unica pecca che sia in edizione fin troppo limitata.
Tracklist
Side One:
1 Strangest Times
2 Lonely One Kenobi
3 Shadowlands
4 Easy Evil
5 There’s No Return From Nowhere
6 Dance of Maya / Red
Side Two:
7 Breaker
8 On The Eve
9 Catspaw
10 Step Up/Jam
11 Electric Mountain Majesty
Line-up
Tony Reed: guitar, vocals
Jono Garrett: drums
Sean Booth: bass
La presenza delle otto tracce inedite non può che arricchire di grande musica blues/soul questa preziosa riedizione, valorizzando ulteriormente un’opera imperdibile per i fans dei musicisti coinvolti e di tutti gli amanti del rock a 360°.
Questo bellissimo e rarissimo lavoro intitolato Malice In Wonderland a firma Paice Ashton Lord uscì originariamente nel 1977, quando il decennio d’oro dell’hard rock e del progressive si stava avviando verso un tramonto che avrebbe portato ad un’alba di rivoluzione musicale, con il successo del punk e la nascita dell’heavy metal, mentre i suoi protagonisti, ancora affamati di note davano vita ad progetti più o meno famosi ma dal comune denominatore della qualità.
Ian Paice e Jon Lord, dopo aver lasciato i Deep Purple nel 1976, chiamarono il cantante e tastierista Tony Ashton (Ashton, Gardner and Dyke e Family) e formarono i Paice Ashton Lord, raggiunti per le registrazioni da Bernie Marsden, in seguito chitarrista e compagno dei due nei primi Whitesnake, e Paul Martinez, negli anni ottanta fido bassista di Robert Plant.
La riedizione di Malice In Wonderland, curata dalla earMUSIC prevede, oltre all’intero album del 1977 comprende gli otto brani che avrebbero dovuto comporre la track list del secondo lavoro mai uscito, trasformando questa riedizione in una vera chicca per gli appassionati, anche grazie all’introvabilità della versione originale.
Chiariamo subito che qui di suoni purpleiani non ce ne sono, perché i musicisti invece optarono per un’alchimia di generi che lasciavano fuori dai solchi delle varie Ghost Story, Arabella (Oh Tell Me), Sneaky Private Lee, o dal blues di I’m Gonna Stop Drinking Again, l’hard rock tipico di quegli anni per ammantarli di note southern, funky, soul e blues rock.
La perizia tecnica di questa manciata di maestri delle sette note contribuisce alla riuscita di un lavoro che riporta alle origini del rock, con brani eleganti e sanguigni, magari lontano dai cliché hard rock di quei tempi e più vicino al sound di fine anni 60′.
La presenza delle otto tracce inedite non può che arricchire di grande musica blues/soul questa preziosa riedizione già dalla prima splendida Steamroller Blues, mantenendo un legame inossidabile con i brani precedenti e regalando ancora grande musica con Nasty Clavinet,Dance Coming e la conclusiva Ballad Of Mr.Giver, a valorizzare ulteriormente un’opera imperdibile per i fans dei musicisti coinvolti e di tutti gli amanti del rock a 360°.
Tracklist
1. Ghost Story
2. Remember the Good Times
3. Arabella (Oh Tell Me)
4. Silas & Jerome
5. Dance with Me Baby
6. On the Road Again, Again
7. Sneaky Private Lee
8. I’m Gonna Stop Drinking Again
9. Malice in Wonderland
Bonus tracks
10. Steamroller Blues
11. Nasty Clavinet
12. Black and White
13. Moonburn
14. Dance Coming
15. Goodbye Hello LA
16. Untitled Two
17. Ballad of Mr. Giver
Line-up
Tony Ashton – Vocals, Keyboards
Bernie Marsden – Guitars
Jon Lord – Keyboards, Synth
Paul Martinez – Bass
Ian Paice – Drums
I Sandness piazzano undici irresistibili hit che faranno la gioia dei fans del metal anni ottanta, in un contesto assolutamente moderno, facendo sì che Untamed nella sua natura old school risulti comunque un’opera targata 2019.
Al terzo album in undici anni i Sandness fanno centro con Untamed, nuovo spumeggiante lavoro che aggiusta il tiro, mira al cuore dei melodic rockers e non fa prigionieri.
Rispetto al precedente Higher & Higher, uscito tre anni fa, il sound del trio risulta infatti più diretto e melodico, animato da tonnellate di attitudine sleazy, chorus che entrano in testa al primo colpo e riff che, se come da tradizione rimangono legati all’heavy metal classico, sono benedetti da un songwriting ispirato.
Mark Denkley (basso e voce), Metyou ToMeatyou (batteria e cori) e Robby Luckets (chitarra, voce e cori) piazzano undici irresistibili hit che faranno la gioia dei fans del metal anni ottanta, in un contesto assolutamente moderno, facendo sì che Untamed nella sua natura old school risulti comunque un’opera targata 2019.
D’altronde il genere, tornato a far parlare di sé in questi ultimi tempi dopo il successo di The Dirt, versione cinematografica della biografia dei Mötley Crüe, nell’underground non ha mai smesso di far divertire i propri fans. con il nostro paese a dare il proprio contributo di gruppi e album di spessore.
Con Untamed i Sandness piantano radici sul podio di queste sonorità, grazie ad una raccolta di brani freschi, melodici e con l’anima rock’n’roll che esce prepotentemente dai solchi del singolo Tyger Bite, London,Never Givin’Up, l’irresistibile Tell Me Tell Me e tutte le altre lascive ed irriverenti tracce rivestite di spandex attillatissimi e animate da una sola parola d’ordine: divertimento.
Passi da gigante dunque per il trio nostrano con questo nuovo lavoro, consigliato senza riserve a tutti gli amanti dell’hard & heavy e delle sonorità sleazy.
Tracklist
01. Life’s a Thrill
02. Tyger Bite
03. London
04. Never Givin’ Up
05. Easy
06. Pyro
07. Radio Show
08. Tell Me Tell Me
09. Only The Youth
10. The Deepest Side Of Me
11. Until It’s Over
Line-up
Mark Denkley – Bass guitar, lead and backing vocals
Metyou ToMeatyou – Drums and backing vocals
Robby Luckets – Guitars, lead and backing vocals
Qualche valido spunto a livello strumentale, specialmente nei brani in cui le chitarre si impongono con ritmiche incisive, e un look ed un’attitudine alla Judas Priest sono ciò che resta di un lavoro che rimarrà confinato nell’underground confuso tra la montagna di uscite che ogni mese affolla il mercato dell’hard & heavy.
Originari di Stoccarda ed attivi da oltre dieci anni, arrivano al debutto i rockers Syrence, quintetto avaro di informazioni e dedito ad un hard & heavy melodico, assolutamente vecchia scuola ed alquanto scolastico.
Licenziato dalla Fastball Music, Freedom In Fire è composto da una dozzina di brani che alternano mid tempo heavy, hard rock di matrice tedesca e qualche graffiante puntata metallica.
Il problema di Freedom In Fire è l’assoluta mancanza di appeal: i brani non esplodono, causa una produzione che segue le coordinate old school dell’album, e il cantante Johnny Vox, dal tono altamente melodico, risulta troppo monocorde e poco adatto ai brani più heavy metal oriented come Fozzy’s Song, un crescendo epico che (come già accennato) fatica ad imporsi mancando di quella scintilla che trasforma il compitino in un buon brano.
Qualche valido spunto a livello strumentale, specialmente nei brani in cui le chitarre si impongono con ritmiche incisive (Living On The Run, From Ashes To The Sky), un look ed un’attitudine alla Judas Priest sono ciò che resta di un lavoro che rimarrà confinato nell’underground confuso tra la montagna di uscite che ogni mese affolla il mercato dell’hard & heavy.
Tracklist
1. Freedom In Fire
2. Living On The Run
3. Your War
4. Fozzy´s Song
5. Addicted
6. Symphony
7. From Ashes To The Sky
8. Evil Force
9. Red Gold
10. Wild Time
11. Kings Of Speed
12. Seven Oaks
Line-up
Johnny Vox – Lead Vocals
Fritz Jolas – Bass
Oliver Schlosser – Guitar
Julian Barkholz – Guitar
Arndt Streich – Drums
Registrato a Bochum e Budapest di recente, XXX Anniversary Live risulta il miglior modo per festeggiare un grande interprete dell’hard & heavy e la sua band, erede dei Rainbow o almeno della loro anima più metal.
Per i fans dell’hard & heavy classico i trent’anni di carriera di un personaggio come Axel Rudi Pell sono una ricorrenza sicuramente da festeggiare, per l’enorme contributo che lo storico chitarrista tedesco ha dato al genere fatto di una discografia immensa, assolutamente coerente con un sound diventato iconico.
E allora ecco servito il live, l’ennesima prova dal vivo di un gruppo che, sotto il nome del chitarrista, vede oggi un gruppo di musicisti dalle qualità altissime come il cantante Johnny Gioeli, una delle voci più belle e sottovalutate della scena classica, Ferdy Doernberg alle tastiere, Volker Krawczak al basso e quella piovra di Bobby Rondinelli dietro le pelli.
Registrato a Bochum e Budapest di recente, XXX Anniversary Live risulta il miglior modo per festeggiare un grande interprete dell’hard & heavy e la sua band, erede dei Rainbow, o almeno della loro anima più metal.
Ovviamente attraversiamo gran parte della carriera di Axel Rudi Pell, travolti da brani immortali, atmosfere epiche ed evocative, grandi melodie e come sempre una prestazione sontuosa del singer, mattatore tanto quanto la chitarra del leader.
Licenziato in doppio cd, l’album è assolutamente dedicato ai fans del gruppo, deliziati da una serie di brani storici presi da altrettanti album come Between The Walls, Black Moon Pyramid, Oceans Of Time, The Masquerade Ball e Mystica, tanto per citarne alcuni.
Poco altro da aggiungere se non che Axel Rudi Pellrimane ancora uno dei maggiori interpreti di queste storiche sonorità, pronto per il prossimo anno ad uscire con un nuovo lavoro, il diciannovesimo in carriera….e scusate se è poco.
Tracklist
CD1
01. The Medieval Overture (Intro)
02. The Wild And The Young
03. Wildest Dreams
04. Fool Fool
05. Oceans Of Time
06. Only The Strong Will Survive
07. Mystica (incl. Drum Solo)
08. Long Live Rock
CD2
01. Game Of Sins / Tower Of Babylon (incl. Keyboard Solo)
02. The Line
03. Warrior
04. Edge Of The World (incl. Band Introduction)
05. Truth And Lies
06. Carousel
07. The Masquerade Ball / Casbah
08. Rock The Nation
Line-up
Johnny Gioeli – Vocals
Axel Rudi Pell – Guitars
Ferdy Doernberg – Keyboards
Volker Krawczak – Bass
Bobby Rondinelli – Drums
Ascoltando i Kvinna non si compie una mera operazione nostalgica, ma si entra nel suono molto caldo di un gruppo che fa vedere come si può fare ottimo rock punk veloce e dalle diverse influenze.
Dalla Germania arriva un disco che si aspettava da anni, il cui spirito è perfettamente racchiuso nel titolo: This Is Turborock.
Il suono è dalle parti degli Zeke, dei Glucifer e degli Hellacopters, anche se il tutto è rielaborato in maniera molto personale. Il debutto dei tedeschi Kvinna è un qualcosa che mancava da tempo, ovvero un bel disco di rock contaminato dal punk, veloce e con venature stoner, e c’è anche una bella dose di affascinante pop. I Kvinna non sono un gruppo comune e lo dimostrano fin dalle prime note. Il loro suono non è un attacco sonoro alla Zeke, anche se riprende qualcosa del gruppo americano, così come estrae elementi dal suono degli Hellacopters senza però attenersi fedelmente. Il trio è molto ben bilanciato e il disco è una continua scoperta, suona al contempo molto americano ma anche europeo, con melodie inusuali e molto piacevoli. I Kvinna sono una di quelle band che sa stupire sempre, con la fondamentale caratteristica di non essere mai ovvia né scontata. Tutto l’album si fa ascoltare molto volentieri e anzi, si preme nuovamente play molto volentieri per rivivere il tutto. La chitarra compie un gran lavoro, la voce è molto particolare ed esce dai canoni di questo genere ibrido, mentre la sezione ritmica è assolutamente adeguata. Ascoltando i Kvinna non si compie una mera operazione nostalgica, ma si entra nel suono molto caldo di un gruppo che fa vedere come si può fare ottimo rock punk veloce e dalle diverse influenze. Il trio ha assorbito i molti e disparati ascolti e ne ha saputo trarre un buon disco, piacevole e con un certa profondità, senza essere fuori tempo massimo: anzi, può rivitalizzare un sottogenere molto piacevole, ma che negli ultimi anni ha mostrato un certo fiato corto. Non alzate il piede dall’acceleratore.
Like A Snake è composto da una decina di esplosioni sleazy/street rock metal che vi faranno saltare come grilli, un rock’n’roll che viaggia spedito sul Sunset Boulevard illuminato come ai bei tempi: trascinante, melodico e sfacciato, insomma, una vera goduria per i tanti fans di queste sonorità.
Nel panorama underground rock/metal tricolore i suoni hard rock di matrice street/sleaze hanno sempre regalato ottimi lavori ed altrettante band, supportate da varie etichette tra cui ultimamente la coppia Sneakout Records e Burning Minds Music Group, facenti parte della famiglia Atomic Stuff.
Sempre attente alle nuove proposte riguardanti il genere che più di tutti ha marchiato a fuoco gli anni ottanta, e tornato alla ribalta con l’uscita di The Dirt, il biopic sui Motley Crüe, queste label si prendono cura degli hard rockers X-PLICIT, quartetto fondato dal chitarrista Andrea Lanza, già agli onori della cronaca rock con il progetto Skill In Veins, raggiunto da Sa Talarico (Aeternal Seprium) al basso, Giorgio Annoni (Longobardeath, Homerun) alla batteria e dal cantante Simone Zuccarini (Generation On Dope, Razzle Dazzle, Norimberga, Torque, The Wetdogs). Like A Snake è composto da una decina di esplosioni sleazy/street rock metal che vi faranno saltare come grilli, un rock’n’roll che viaggia spedito sul Sunset Boulevard illuminato come ai bei tempi: trascinante, melodico e sfacciato, insomma, una vera goduria per i tanti fans di queste sonorità.
I musicisti coinvolti, tutti dal background vario, fanno squadra e compatti come un bolide rock’n’roll ci martellano con una potenza di fuoco niente male, e bisogna arrivare ad Angel, brano numero otto, per tirare il fiato con una ballad di matrice Extreme.
Il resto del disco è una cascata di travolgente hard rock, con tutti i crismi per non sfigurare sul palco di qualche locale nella città degli angeli: fin dalle prime battute Lanza risulta una macchina spara riff micidiale, supportato da un sound che, rimanendo ad alta tensione non lesina melodie irresistibili, tra il party scatenato delle varie Hell Is Open, The Great Show, Shake Up You Life e Free.
Parlare di influenze è superfluo, basti sapere che premendo il tasto play come d’incanto si riaccenderanno le luci del Sunset e dei suoi selvaggi party notturni.
Tracklist
01. Hell Is Open
02. The Great Show
03. You Don’t Have To Be Afraid
04. Shake Up Your Life
05. Deep Of My Soul
06. I’m Original
07. Free
08. Angel
09. Don’t Close This Bar Tonight
10. Like A Snake
Line-up
Simone Zuccarini – Vocals
Andrea Lanza – Guitars
Sa Talarico – Bass
Giorgio Annoni – Drums
Hell III conferma gli Helligators come una delle migliori realtà in un genere che è rock’n’roll duro e puro, magari potenziato da tonnellate di riff dal groove fenomenale ed attraversato da un’attitudine southern/blues metal da far impallidire una buona fetta di realtà d’oltreoceano.
Quattro anni dopo lo spesso e potente Road Roller Machine, tornano i rockers romani Helligators con il loro terzo album intitolato Hell III, sempre sotto l’ala della Sliptrick Records, un altro muro sonoro di groove, hard rock, southern metal pesante come un macigno, grasso di watt e devastate come l’impatto di un asteroide sulla terra.
In questi ultimi quattro anni la band non si è certo fermata, tra singoli, video, tributi, ed un ep, licenziato due anni (Back To Life) in cui venivano presentati due brani inediti (Nomad e Servant No More), ed intanto si andavano a formare i nuovi brani che compongono la tracklist di questo nuovo assalto sonoro marchiato Helligators. Hell III conferma il gruppo come una delle migliori realtà in un genere che, come affermano i protagonisti, è rock’n’roll duro e puro, magari potenziato solo un poco da tonnellate di riff dal groove fenomenale ed attraversato da un’attitudine southern/blues metal da far impallidire una buona fetta di realtà d’oltreoceano.
Con queste premesse Hell III non può che entrare tra gli ascolti abituali come un treno impazzito in una stazione ferroviaria nel periodo vacanziero, una valanga di rock’n’roll che dall’opener Rebellion non lascia tracce di resti al suo passaggio.
Le prime tre tracce, la già citata Rebellion,Here To Stay e Bleeding rappresentano un inizio formidabile per impatto e appeal; la semi ballad Where I Belong, che tanto sa di Black Label Society, concede pochi minuti per riprendere le forze prima che l’album riparta ancora più deciso e possente con le due parti di Confession,Until I Feel No More e la conclusiva Pedal To The Metal.
Con l’ingresso nel raggio d’azione di Black Label Society, Corrosion Of Conformity, Down e Pantera, le linee guida del sound degli Helligators si sono leggermente spostate, abbandonando quel poco di doom classico che aveva caratterizzato qualche momento del precedente lavoro, ma Hell III rimane decisamente un gran bel sentire.
Tracklist
01. Rebellion
02. Here To Stay
03. Bleeding
04. Where I Belong
05. Born Again
06. The Prison (Confession pt.1)
07. Gone (Confession pt.2)
08. Until I Feel No More
09. Bassthard Session III
10. Even From The Grave
11. Pedal To The Metal
Line-up
Simone “Dude” – Lead Vocals
Mik “El Santo” – Guitar & Backing Vocals
Alex – Drums
Kamo – Lead Guitar & Backing Vocals
Pinna “Yeti” – Bas