Lost Moon – Through The Gates Of Light

La band sforna un lavoro intenso ed originale, perché le influenze ben presenti vengono rimodellate dal trio creando una gettata hard rock/stoner a tratti pesantissima.

A dispetto dei detrattori e dei metallari duri e puri che hanno visto gli anni novanta come la morte dei suoni classici in favore di approcci più moderni e cool, questo decennio rimane il più importante per lo sviluppo della musica rock insieme agli anni settanta, un periodo di rinascita che ha portato all’attenzione degli ascoltatori una manciata di scene diventate, con il tempo, ispirazioni primarie per i gruppi del nuovo millennio.

Dall’hard rock al metal estremo, passando per il grunge, lo stoner ed il metal moderno, l’ultimo decennio del ‘900 per chi ha avuto la fortuna di viverlo musicalmente rimarrà il fulcro di quello che, in seguito, si è sviluppato.
I Lost Moon sono nati verso il finire di quel periodo e da lì hanno sviluppato il loro sound per mezzo di tre album (Lost Moon del 2001, King Of Dogs del 2007 e Tales Form The Sun licenziato tre anni fa) e ora tornano con questo nuovo lavoro, Through The Gates Of Light ottimo esempio di hard stoner rock che da quel prende lo spirito e qualche ispirazione e, grazie ad un songwriting vario, ci regalano trentacinque minuti di musica di grande livello.
I due fratelli Paolucci (Stefano – chitarra e voce – e Pierluigi – batteria),  con il fido Adolfo Calandro (basso), prendono in ostaggio lo stoner rock e lo lasciano tra le mani dell’hard rock settantiano, la psichedelia ed il southern rock e, con la guida dell’alternative metal, lo torturano fino trasformarlo in un’entità anomala ed impossibile da descrivere in senso assoluto.
La band sforna un lavoro intenso ed originale, perché le influenze ben presenti vengono rimodellate dal trio creando una gettata hard rock/stoner a tratti pesantissima.
Si passa così dalle digressioni tooliane della strumentale Through The Gates Of Light, ai Black Label Society e Kyuss della successiva Dawn, dalle sferzate metalliche di Prayer a Pilgrimage, brano che rispecchia il credo musicale dei Lost Moon esibendo una panoramica esaustiva su tutte le sfumature della loro musica.
Sempre Black Label Society ed Alice In Chains li ritroviamo in I Got A Drink e in Light Inside, mentre un sitar beatlesiano apre la conclusiva Visions, canzone che ricorda le armonie acustiche degli Zeppelin.
Album davvero bello, Through The Gates Of Light è l’imperdibile ultimo sussulto dell’anno per quanto riguarda il genere.

Tracklist
1.Through the Gates of Light
2.Dawn
3.Prayer
4.Pilgrimage
5.I Got Drunk Again
6.Light Inside
7.The Day we Broke the Spell
8.Visions

Line-up
Stefano Paolucci – Guitars .Vocals
Pierluigi Paolucci – Drums
Adolfo Calandro – Bass

LODT MOON – Facebook

Rise Of The Wood – First Seed

Il sound di First Seed è tutto meno che una sorpresa per gli ascoltatori del genere, il gruppo orange spacca i timpani con una serie di riff scavati nella roccia sabbathiana, passati a fil di spada sopra dirigibili persi nei cieli degli anni settanta e strafatti con radici trovate sotto la sabbia nella Sky Valley.

Pesante come il mammouth raffigurato in copertina, arriva sul mercato First Seed, primo lavoro degli olandesi Rise Of The Wood, quintetto dedito ad uno stoner ispirato dall’hard rock settantiano e dalla musica desertica statunitense.

Niente di nuovo sotto il sole a picco sulle pianure sotto il livello del mare, trasformate dalla band in un meno confortevole deserto aldilà dell’oceano.
Il sound di First Seed è tutto meno che una sorpresa per gli ascoltatori del genere, il gruppo orange spacca i timpani con una serie di riff scavati nella roccia sabbathiana, passati a fil di spada sopra dirigibili persi nei cieli degli anni settanta e strafatti con radici trovate sotto la sabbia nella Sky Valley.
Potenza e melodia, molte parti acustiche, sfumature ed atmosfere che passano dal vintage al moderno con facilità sorprendente e tanto rock stonato fanno dell’album una buona partenza per i Rise Of The Wood, i quali ignorano  chi li accusa di poca personalità e vanno per la loro strada con una manciata di brani (Red Snake, Hell Yeah, Loner Jack e Rise Of The Wood) che spingono la tracklist su un livello più che buono, forte di questo alternare stoner pressante e potente e hard rock.
Nol Van Vliet e compagni giocano con i cliché del genere con buona pace di chi cerca la chimera dell’originalità: First Seed è un buon lavoro di genere, piacevole e potente il giusto per trovare consensi a prescindere se siete amanti dello stoner o fedeli ascoltatori dell’hard rock suonato negli anni settanta.

Tracklist
1.Red Snake
2.Hell Yeah
3.After This I’ll Is Never
4.Slab City
5.Hyperspeed
6.The Dark
7.Loner Jack
8.Liberate
9.war Inside
10.Rise Of The Wood
11.Faded Horizon

Line-up
Nol Van Vliet – Vocals
Jeff Teunissen – Guitars
Ronald Boonstra – Guitar
Alex Wijnhorst – Bass
Erik stolze – Drums

RISE OF THE WOOD – Facebook

De La Muerte – Venganza

Immaginate la frontiera messicana di film come El Mariachi o Machete raccontata tramite una colonna sonora che amalgama metal classico, hard rock, groove ed atmosfere tradizionali, suonata ed interpretata da un vocalist eccezionale ed avrete un’idea più o meno esatta di quello che i De La Muerte intendono per musica metal.

Sorprendente e micidiale, un massacro sonoro che ricorda i film di Tarantino e Rodriguez, un concept ispirato al culto messicano della Nuestra Señora de la Santa Muerte ed un metal che passa con disinvoltura da potentissime cavalcate power/heavy metal ad un hard rock contaminato dalla musica tradizionale messicana in un delirio di pallottole che saltano dai caricatori e si infilano nei corpi martoriati, esplodono in cascate di sangue e materia cerebrale per lasciare solo morte.

Signore e signori, siamo nel mondo dei De La Muerte, gruppo romano che con Venganza dà un seguito al primo bellissimo lavoro omonimo licenziato tre anni fa: immaginate la frontiera messicana di film come El Mariachi o Machete raccontata tramite una colonna sonora che amalgama metal classico, hard rock, groove ed atmosfere tradizionali, suonata ed interpretata da un vocalist eccezionale come Gianluca Mastrangelo ed avrete un’idea più o meno esatta di quello che i De La Muerte intendono per musica metal.
Come il primo album, Venganza vive alternando tutte queste sfaccettature risultando un album vario ed assolutamente originale, passando con una facilità sorprendente dal sound “messicano” dell’intro Theme Of Revenge, al metal moderno e rabbioso di De La Muerte e all’hard rock’n’roll di Lady Death e siamo solo al terzo brano.
Registrato, mixato e masterizzato da Simone Mularoni ai Domination Studio, l’album esplode in fuochi d’artificio metallici come in una festa patronale in qualche cittadina sperduta del centro America, l’altalena tra tra generi e sfumature continua imperterrita con Mastrangelo che impazza tra mille tonalità, mentre Gambling In Hell ci ricorda che il deserto ci circonda ed il groove ci prende per mano prima di venire giustiziati con una pallottola piantata nel cranio.
La maideniana The Last Duel, la “metallica” (Black Album style) How Do You feel?, la bellissima cover dei Los Lobos Canción del Mariachi ed il crescendo conclusivo della varia e a suo modo progressiva Scream Of Madness arricchiscono un album travolgente dalla prima all’ultima nota.
Secondo straordinario lavoro di una delle realtà più brillanti della scena metal nazionale, fatevi un favore e non perdetevi Venganza, per una volta i soliti ascolti possono rimanere al loro posto sulla vostra mensola.

Tracklist
01 – Theme of Revenge
02 – De La Muerte
03 – Lady Death
04 – The Last Duel
05 – Gambling in Hell
06 – Heart of Stone
07 – Death Engine
08 – How Do You Feel?
09 – Horizon – De
10 – Canción del Mariachi – Los Lobos Cover
11 – Scream Of Madness – De La Muerte

Line-up
Gianluca Mastrangelo – Vocals
Gianluca Quinto – Guitars
Christian D’Alessandro – guitars
Claudio Michelacci – Bass
Luca Ciccotti – Drums

DE LA MUERTE – Facebook

Thungur – No Going Back

No Going Back si sviluppa lungo undici brani di hard rock moderno, dai rimandi stoner e psichedelici, americano di ispirazione, pesante nelle ritmiche e dal groove bene in evidenza.

Arrivano all’esordio sulla lunga distanza i rockers svedesi Thungur, nati tre anni fa e con due lavori minori alle spalle, la raccolta di singoli The Village Sessions e l’ep The Cage, licenziati nel 2015.

No Going Back si sviluppa lungo undici brani di hard rock moderno, dai rimandi stoner e psichedelici, americano di ispirazione, pesante nelle ritmiche e dal groove bene in evidenza.
La parte psichedelica, anche se rimane in ombra rispetto alle influenze hard rock. porta il sound su territori cari ai Tool, mentre fanno capolino nei brani più leggeri accenni al post grunge.
Ne esce un lavoro magari poco originale ma sicuramente d’impatto, specialmente quando la band decide di picchiare con forza sugli strumenti senza rinunciare alla melodia (White Lies, Pink Champagne).
Il quartetto di Malmö (ma con un vocalist islandese, Kristjan Samuelsson) non impiega molto a convincere gli amanti del rock pesante da rotazione televisiva, con le allusioni ai Tool che si ammorbidiscono quando il sound si sposta verso i Nickelback o si stonerizza con l’influsso dei Kyuss, mentre No Going Back scorre liscio sino alla conclusione tra brani più pesanti, altri più intimisti o valorizzati da buone melodie.
Ancora il singolo Animals, la ballad acustica Breathe Under Water e la pesantissima e cadenzata Trigger fanno dell’album una buona uscita per quanto riguarda queste sonorità, anche se la strada per una definitiva affermazione è ancora lunga come quelle che separa il Nordeuropa dall’America.

Tracklist
1.White Lies
2.Abandon
3.Nightmare
4.Pink Champagne
5.Animals
6.Rainmaker
7.Temptation
8.Breathe Under Water
9.Bay Harbour
10.Trigger
11.Skin [ink]

Line-up
Kristjan Samuelsson – Vocals, Guitar
Bjorn Stegerling – Guitar
Roger Nielsen – Bass, Vocals
Andreas Albihn – Drums

THUNGUR – Facebook

Honeymoon Disease – Part Human, Mostly Beast

Un altro album che merita la giusta attenzione: Part Human, Mostly Beast insegue a poca distanza i migliori lavori italiani del genere, risultando un ascolto gradito anche per i rockers più attempati.

Quando si parla di hard rock o classic rock il sottoscritto va in brodo di giuggiole, e i rockers svedesi Honeymoon Disease ce la mettono tutta per non deludere le aspettative create dal loro secondo lavoro, Part Human, Mostly Beast, successore dell’ottimo The Transcendence, debutto sulla lunga distanza uscito un paio di anni fa.

Un quartetto equamente diviso tra maschietti (il bassista Nick, ed il batterista Jimi) e gentil donzelle (la singer Jenna e la chitarrista Acid), un sound coinvolgente che del classic rock si nutre irrobustendolo di watt ed una raccolta di brani piacevolmente retrò o vintage, come usa dirsi di questi tempi, ma alla fine è solo rock ‘n’ roll, o meglio hard rock pregno di blues come si usava negli anni settanta e che oggi è tornato a fare la voce grossa sul mercato musicale grazie anche alle molte realtà scandinave.
Il gruppo ha nei Thin Lizzy i suoi padrini, ed ovviamente il sound si sposta sul classic rock di matrice britannica per poi spingersi tra le strade impervie del rock e finire sperduto tra le praterie americane degli anni cinquanta, quando il rock’n’roll era valvola di sfogo del popolo di colore e Chuck Berry faceva meraviglie con Johnny B.Goode (Fly Bird, Fly High e splendida in questo senso) e Suzi Quatro e le Girlschool sono state, in epoche diverse, le riot girl, dal rock all’hard & heavy.
Rymdvals è la perla blues di un lavoro che ha non poche frecce al proprio arco: chorus azzeccati, ottimi riff ed una buona alternanza tra atmosfere più dirette e rock ed altre più vicine al metal dei primissimi anni ottanta.
Un altro album che merita la giusta attenzione: Part Human, Mostly Beast insegue a poca distanza i migliori lavori italiani del genere, risultando un ascolto gradito anche per i rockers più attempati.

Tracklist
1 – Doin’ it Again
2 – Only Thing Alive
3 – Tail Twister
4 – Rymdvals
5 – Needle In Your Eye
6 – Fly Bird, Fly High
7 – Calling You
8 – Four Stroke Woman
9 – Night By Night
10 – It’s Alright
11 – Coal Burnin’
12 – Electric Eel

Line-up
Jenna – Vocals & Guitar
Acid – Guitar
Cedric – Bass
Jimi – Drums

HONEYMOON DISEASE – Facebook

Concrete Jelly – Amless In Wonderland

I Concrete Jelly concludono nella maniera migliore la trilogia su Amless, un progetto nel quale si fondono molte cose e dal quale sarebbe bello trarre un musical, perché la loro è una musica molto visiva, con un concept dal respiro molto ampio.

Terza ed ultima puntata della trilogia di Amless da parte dei Concrete Jelly, un gruppo triestino di rock and roll pesante e pensante.

Il musicista maledetto Amless ed il suo fido socio Chaz vivono la loro ultima avventura e sarà tutta da scoprire. I Concrete Jelly hanno dipanato una storia molto particolare su Amless, unendo narrativa, musica e dimensione onirica. Amless In Wonderland è fatto di blues, hard rock anni settanta e tanto altro. I generi suddetti sono dominati con saggezza ed estrema tranquillità, l’importanza maggiore è data alla musica che si incrocia con la storia, e ascoltando il disco si entra o in profondità in entrambe. Ciò che colpisce della musica dei Concrete Jelly è la perfetta consecutio temporum nella composizione, ovvero tutto va al suo posto, ed incastrandosi perfettamente rende tutto molto piacevole. Non parlo tanto di tecnica, che qui è comunque ben rappresentata, quanto della chiarezza con la quale si sviluppa il lavoro. Ci sono momenti maggiormente vicini alla jam, altri maggiormente strutturati, ma è tutto molto bello e di valore. Il gruppo triestino è composto da amanti e profondi conoscitori della musica ed il loro operato è il giusto risultato di tutto ciò. C’è uno spirito anni settanta che aleggia per tutto il disco, ma non è solo una nostalgia, quanto uno stimolo musicale, perché poi la proposta dei Concrete Jelly si fonda sull’originalità e su una certa dolcezza musicale, accarezzando le orecchie nonostante la musica sia rumorosa. Il gruppo conclude nella maniera migliore la trilogia su Amless, un progetto nel quale si fondono molte cose e dal quale sarebbe bello trarre un musical, perché questa  è una musica molto visiva, con un concept dal respiro molto ampio. Amless in Wonderland è la loro prova più lucente, convincente come e più delle precedenti, che già erano ottime. Il disco vedrà la luce in un prossimo futuro, non si sa ancora quando, ma se amate l’hard rock imbastardito e di qualità, qui c’è il meglio.

Tracklist
1. Rock Town
2. The Memory Hurts
3. Good Ol’ Chaz
4. The Dealer
5. The Drug
6. Black Curtains
7. Head Out
8. Monsters
9. Elicse Atarme Pt.3

Line-up
Francesco Braida: Guitar & Voice
Sebastiano Belli: Drums
Matteo Monai: Bass & Voice
Sebastiàn Gerlini: Guitar

CONCRETE JELLY – Facebook

Poste942 – Long Play

Un album da ascoltare a volume importante, magari quando la voglia di libertà si fa spazio tra le svogliate giornate tutte uguali ed allora, una camicia di flanella, un giubbotto di pelle ed il pieno di benzina nel serbatoio accompagneranno sicuramente l’ascolto di Long Play.

Sembra proprio che i suoni hard rock, dai rimandi settantiani o dal retrogusto southern siano la nuova/vecchia frontiera.

Dai gruppi dalla spiccata anima hard blues, a quelli dalle ispirazioni più moderne ed in linea con l’alternative/stoner metal, non passa giorno senza che i suoni scaldati dalla marmitta di un chopper o di un’Harley non raggiungano i padiglioni auricolari del sottoscritto, al quale non pare vero di godere del vecchio ma pur sempre amato hard rock.
Dagli States, alla Scandinavia passando per il nostro paese, scalando le Alpi come Annibale ma, con al posto degli elefanti una motocicletta, si scende verso la pianura transalpina per incontrare i Poste942, un monicker curios, ma un  sound che fa vibrare i pistoni del vostro bicilindrico a suon di rock duro.
Questo primo lavoro sulla lunga distanza intitolato Long Play, per questi cinque metal/rockers transalpini, accomuna hard rock, stoner e groove a manetta senza rinunciare ad atmosfere southern: le verdi colline francesi ai piedi delle Alpi si trasformano così nei caldi deserti americani o nelle paludi dell’estremo territorio della misteriosa Lousiana; lo stile dei Poste942 è più semplice di quanto si possa immaginare ma molto interessante, così come il modo in cui  il gruppo riesce, senza essere dispersivo o approssimativo, ad inserire svariate influenze che tra i brani di Long Play.
Partendo dal metal stonerizzato di Down e Pantera, passando per elettrizzanti tratti grunge rock che ricordano non poco i Nirvana, per giungere allo stoner della Sky Valley ed il southern rock, il tutto viene  ben calibrato dal gruppo francese in questa raccolta di brani che hanno nel singolo Whiskey, nella esuberante vena di 49.3, nella semi ballad desertica Grace e nella rabbiosa Lonely Day i punti salienti di questo piacevole lavoro.
Un album da ascoltare a volume importante, magari quando la voglia di libertà si fa spazio tra le svogliate giornate tutte uguali ed allora, una camicia di flanella, un giubbotto di pelle ed il pieno di benzina nel serbatoio accompagneranno sicuramente l’ascolto di Long Play.

Tracklist
1.Batavia
2.Color of Red
3. Whiskey
4.Devil’s Complaint
5.Punky Booster
6.49.3
7.Grace
8.Pigs in Paradise
9.Lonely Day
10. Psycho Love Part. I
11.Psycho Love Part. II
12.Breathe
13.Le Chantier

Line-up
Sébastien Mathieu – Guitar
Nicolas – Millo – Drums
Ludovic Favro – Bass
Sébastien Usel – Vocais

POSTE 942 – Facebook

Descrizione Breve

Autore
Alberto Centenari

Voto
75

Rabid Dogs – Italian Mysteries

Questo senso carnale, un morso sulla vita, è trasmesso molto bene dai Rabid Dogs, che partiti da territori più pesanti hanno sviluppato un discorso musicale tutto loro, pieno di contenuti e di metallica ricchezza.

Gli abruzzesi Rabid Dogs stanno diventando grandi, spingendosi in territori ancora inesplorati sia per loro che per molti degli ascoltatori. Nati nel 2009 ispirandosi al cinema popolare italiano, e al famoso ventre molle dell’Italia, i nostri sono arrivati con Italian Mysteries al quarto disco, e questo lavoro è la loro fatica più convincente.

I Rabid Dogs fanno un genere unico, un misto di stoner, metal, punk e puntate nel grindcore. Ci sono giri di chitarra che danno pugni in faccia, la batteria che picchia incessante, ma si può trovare anche l’armonica, o qualcosa di southern, e anche tanto altro, infatti ci sono anche momenti che esulano dal metal. Italian Mysteries è una discesa dentro il nostro paese, una spirale di merda e diamanti, dove tutto è apparenza, ma anche il suo contrario è falso. Questo senso carnale, un morso sulla vita, è trasmesso molto bene dai Rabid Dogs, che partiti da territori più pesanti hanno sviluppato un discorso musicale tutto loro, pieno di contenuti e di metallica ricchezza. I Rabid Dogs sono un gruppo che appartiene a quella schiera di band e musicisti come i Southern Drinkstruction, che affrontano il metal con passione ed ironia. Il disco è un concentrato di tante cose, ma soprattutto di durezza e bravura nel rendere certe situazioni che a noi italiani sembrano scontate solo perché le viviamo tutte i giorni, ma che in realtà sono tragicomiche. Rimane nel sottobosco del loro suono una forte attitudine punk hardcore, ed è forse questa la loro spinta in più: il risultato è buono e finalmente divertente, cosa che per un disco di questi tempi non è affatto facile o scontata.

Tracklist
1. Blu Notte
2. King Midas
3. John Philip Forsythe
4. Straight To Jail!
5. Total Clan War
6. The Black Mind
7. The Lodge
8. Alfa 146
9. Milk Of Mother-In-Law
10. What If You’re Right And They’re Wrong
11. Flower Of Bad

Line-up
Doc – Guitar & Vocals;
Blade – Bass & Vocals;
32 – Drums & Vocals

RABID DOGS – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=SVZagHlr6BU

Last Bullet – ’80-69-64 ep

Cinque rocker di Toronto alla conquista delle vostre serate da sballo con la parola d’ordine che non può non essere Sex & Rock’n’roll ma, se pensate che la band suoni street/glam anni ottanta, girate i tacchi, perché qui si distrugge tutto con la potenza dell’hard rock.

Provateci voi a stare fermi mentre i Last Bullet suonano il loro hard rock.

Attivo dal 2009, il gruppo canadese torna a scuotere anime, tormentandole con un’overdose di rock’n’roll dopo il primo album, uscito ormai cinque anni fa (Love Lust Illusion) e lo fa con questo ep di sei brani per una ventina di minuti travolgenti, intitolato ’80-69-64.
I cinque rocker di Toronto vanno alla conquista delle vostre serate da sballo con la parola d’ordine che non può non essere sex & rock’n’roll ma, se pensate che la band suoni street/glam anni ottanta, girate i tacchi, perché qui si distrugge tutto con la potenza dell’hard rock moderno tra alternative e dosi massicce di groove, sparato a mille in un contesto rock’n’roll.
Bright Lights è la miccia che si accende, e pericolosamente tramite l’orgiastica Gimme Time corre verso il candelotto di dinamite che esplode alle prime note di Little Miss Filthy.
Bryan Fontez con il suo canto lascivo vi provoca, vi gira attorno come una belva assetata di sangue e poi vi azzanna tra le note di Smoke & Ashes, per poi lasciare la morsa tornare sulla route, accompagnato dalle note di Southern Lips.
Velvet Revolver, Aerosmith, Lynyrd Skynyrd, Buckcherry: questo nomi sono per indurvi a non perdere neanche un minuto di musica di questa bomba hard rock.

Tracklist
01. Sin
02. Gimme Time
03. Bright Lights
04. Southern Lips
05. Smoke & Ashes
06. Little Miss Filthy

Line-up
Bryan Fontez – lead vocals
Brendan Armstrong – lead guitar
Michael Silva – rhythm guitar
Will Shannon – bass
Chriz Galaz – drums

LAST BULLET – Facebook

Nastyville – Glam Caramel

Una produzione scintillante e tanta attitudine fanno di Glam Caramel un buon modo per riassaporare le atmosfere sfrontate, ambigue e divertenti di quello storico periodo che gli amanti del genere rivivono grazie all’underground e alla nascita di molti nuovi gruppi che hanno riportato questi suoni all’attenzione degli ascoltatori.

Si torna a far muovere le natiche a tempo di rock’n’roll stradaiolo con il secondo album dei Nastyville, quintetto piemontese da anni immerso nella scena glam rock dello stivale.

Dopo un primo album licenziato qualche anno fa e un paio di assestamenti nella line up, la band che vede ben saldo sul ponte di comando il batterista Danny Boy (un passato a suonare con gentaglia del calibro di Gilby Clarke e John Corabi), se ne esce tramite l’attivissima label partenopea Volcano Records con questo irresistibile esempio di hard rock glam made in Los Angeles intitolato Glam Caramel.
Con il nuovo entrato MarkEvil Lee dietro al microfono, la band sforna dieci brani assolutamente devoti al genere che contribuì a rendere speciali gli anni ottanta e un paradiso per i rockers il Sunset Boulevard, pur con i piedi ben saldi nel nuovo millennio.
Una produzione scintillante e tanta attitudine fanno di Glam Caramel un buon modo per riassaporare le atmosfere sfrontate, ambigue e divertenti di quello storico periodo che gli amanti del genere rivivono grazie all’underground e alla nascita di molti nuovi gruppi che hanno riportato il genere all’attenzione degli ascoltatori.
Dopo la valanga di suoni alternativi iniziata sul finire del secolo scorso, il ritorno di queste sonorità (non solo per qualche fortunata reunion) è, per assurdo una ventata di freschezza nell’ormai troppo serioso ambiente del rock, quindi muovete le chiappe, stappate la vecchia bottiglia di Jack Daniels e buttatevi nella mischia al suono delle varie Nerd Superfly, Big Band Theory e le altre tracce presenti su Glam Caramel.
La bolgia è frenetica e vi travolgerà, mentre potenti trame su tempi medi si spintonano per un posto al sole con frizzanti partenze dallo spirito rock’n’roll, tra Motley Crue e Warrant, senza dimenticare le nuove leve della scena glam internazionale come Crazy Lixx e Crashdiet.
Lady Boy, Macho Girl e ancora Star Whore e la conclusiva Tha King faranno sparire ogni vostro tabù e vi daranno la possibilità di essere voi stessi: almeno per una cinquantina di irresistibili minuti, lasciatevi andare e godete, it’s only rock’n’roll.

Tracklist
1. Nerd Superfly
2. Big Band Theory
3. Jelly Toy Goes
4. Lady Boy
5. Sert-Control
6. Granny Awards
7. Macho Girl
8. Star Whore
9. Camel Toe
10. Tha King

Line-up
Mark – Voice, Guitar
David – Guitar
Manuel – Guitar
Fabian – Bass Guitar
Danny Boy – Drums

NASTYVILLE – Facebook

Old Man Wizard – Innocent Hands/The Blind Prince

I tre musicisti statunitensi sono protagonisti di un’originale esempio di hard rock progressivo che si nutre di molte sfumature del rock contemporaneo e di metal estremo, pur mantenendo un approccio vintage che li accomuna a tanti nuovi gruppi dal sound che si ispira agli anni settanta.

Meritano di essere portati all’attenzione dei lettori di MetalEyes gli Old Man Wizard, trio attivo tra San Diego e Los Angeles con il debutto sulla lunga distanza licenziato nel 2013 (Unfavorable, uscito anche nella versione strumentale) e questo singolo che funge da apripista al nuovo album in uscita (Blame It All On Sorcery).

I tre musicisti statunitensi sono protagonisti di un’originale esempio di hard rock progressivo che si nutre di molte sfumature del rock contemporaneo e di metal estremo, pur mantenendo un approccio vintage che li accomuna a tanti nuovi gruppi dal sound che si ispira agli anni settanta.
I due brani (Innocent Hands e The Blind Price) si compongono di umori diversi, ora alternativi ora smaccatamente hard progressivi e dai rimandi alla tradizione, mentre le vocals molto melodiche contrastano con ritmiche pesanti, ma varie grazie al gran lavoro della sezione ritmica.
Prendete i Soundgarden e maltrattateli con dosi massicce di progressive e metal estremo, poi accarezzateli con sfumature rock di estrazione americana ed avrete più o meno un’idea di quello che suonano Andre Beller (voce e basso), Francis Roberts (chitarra e voce) e Kris Calabio (batteria e voce).
Inutile dirvi che la curiosità per il full length in arrivo non manca, quindi occhio alle nostre pagine virtuali.

Tracklist
1.Innocent Hands
2.The Blind Prince

Line-up
Andre Beller – Bass Guitar, Vocals
Francis Roberts – Guitar, Vocals, etc.
Kris Calabio – Drums, Vocals

OLD MAN WIZARD – Facebook

https://youtu.be/8iEOIBilmBg

Enrico Sarzi – Drive Through

Accompagnato da un gruppo di musicisti dalla provata esperienza nell’ambiente dell’hard rock, Sarzi ci invita all’ascolto di Drive Through, una raccolta di brani che spazia dal rock americano nato nella piovosa Seattle nei primi anni novanta, fino a toccare lidi più cantautorali ed acustici.

Buone nuove dalla Burning Minds, questa volta affiancata dalla Street Symphonies con la quale licenzia il primo lavoro solista di Enrico Sarzi, cantante dei rockers Midnight Sun con cui ha registrato due album.

Impegnato come ospite su due opere notevoli come l’album omonimo degli Shining Line e Moonstone Project, il musicista nostrano ha avuto l’occasione di suonare insieme a musicisti storici o autentiche leggende della scena hard rock internazionale come Glenn Hughes, Ian Paice e Robin Beck, esperienze importanti prima che la sua avventura solista diventasse il suo presente musicale.
Accompagnato da un gruppo di musicisti dalla provata esperienza nell’ambiente dell’hard rock, Sarzi ci invita all’ascolto di Drive Through, una raccolta di brani che spazia dal rock americano nato nella piovosa Seattle all’inizio degli anni novanta, fino a toccare lidi più cantautorali ed acustici, prima che l’elettrica torni a ruggire tra lo spartito che si sporca di blues.
Un album sentito, Drive Through, pregno di magiche atmosfere che ci portano tra malinconiche strade secondarie, tra fattorie che il tempo ha dimenticato mentre in noi si fa sempre il ricordo di un brano come Rooster degli Alice in Chains.
Non privo di ottimi inserti di fiati, solos dal taglio rock ed hard rock sempre in bilico tra grunge e hard rock settantiano, l’album vive di questa altalena di umori, mentre Sarzi passa agevolmente da toni cantautorali a parti nelle quali rivive lo spirito del miglior Cantrell (Nothing To Live For, The Repentant, la title track).
Le ballad come detto non mancano e sono tutte valorizzate da atmosfere e sfumature mai banali, piacevolmente intimiste raggiungono, con Strange Freedom a rappresentare il punto più alto, attraversata dal suono di un malinconico sax che lascia spazio all’assolo più bello di tutto l’album.
Drive Through rivisita il rock americano in un paio delle sue migliori vesti e conferma il talento, anche compositivo, di Enrico Sarzi.

Tracklist
01. Shameless
02. Afraid To Be Myself
03. Nothing To Live For
04. S.O.S. To God
05. Strange Freedom
06. The Repentant
07. Inferno
08. Let Me Go
09. Drive Through
10. Sex Perfume
11. Cielo

Line-up
Enrico Sarzi – Vocals, Acoustic Guitars
Cristiano Vicini – Electric Guitars
Marco Nicoli – Bass
Marco Micolo – Keyboards
Alessandro Mori – Drums

Special Guests:
Stefano Avanzi – Sax
Alberto Valli – Piano
Luciana Buttazzo – Vocals

ENRICO SARZI – Facebook

Blues Pills – Lady In Gold Live In Paris

Live CD e DVD per i Blues Pills, immortalati sul palco del Le Trianon di Parigi a supporto dell’acclamato Lady In Gold uscito lo scorso anno.

I Blues Pills non sono certamente nuovi ad uscite live e la loro carriera, che vede all’attivo solo due lavori sulla lunga distanza( il debutto omonimo uscito nel 2014 e l’ottimo Lady In Gold dello scorso anno), viene ora arricchita da questa nuova uscita , la quarta dopo Live At Rockpalast (2014), Live At The Freak Valley Festival e Blues Pills Live (2015).

La novità sta nel supporto DVD che per Lady In Gold Live In Paris accompagna l’uscita in CD e LP dell’ennesima opera live del gruppo capitanato dall’affascinante musa Elin Larsson.
Registrato il 30 ottobre 2016 a Le Trianon di Parigi, il concerto immortala la band nel momento più importante della sua ancora breve apparizione nel mondo della musica rock con la seconda uscita per il colosso Nuclear Blast, un album che ha avuto ottimi consensi conquistandosi le preferenze dei fans dell’hard rock.
Sempre di rock vintage si tratta, psichedelico, pregno di blues che dal vivo risulta ovviamente più ruvido e selvaggio, e quel tocco soul che ricama qualche brano dell’ultimo lavoro.
La tracklist ha nelle tracce dell’ultimo lavoro il suo punto di forza, anche se non sfigurano certo quelle del primo album, più hard rock rispetto al suo fortunato successore, come High Class Woman e Devil Man due delle canzoni più belle scritte dalla band fino ad oggi.
I musicisti assecondano la straordinaria voce della Larsson (dal vivo più ruvida e convincente) con una buona prova d’insieme creando, come a tratti si evince in studio, un’atmosfera da jam settantiana e psichedelica che risulta il punto di forza dei Blues Pills.
Il supporto video conferma le ottime impressioni lasciate dall’ascolto del CD con un dettaglio che, a mio parere, va evidenziato: scordatevi le sirene hard blues perdenti e tossiche alla Janis Joplin, perché la cantante svedese ci regala un’interpretazione tra lustrini e paillettes e, bravissima e bellissima, si rivela l’opposto dei suoi compagni, calati, anche nel look, nell’atmosfera freak dell’opera.
Lady In Gold Live In Paris è per i fans dei Blues Pills un acquisto obbligato proprio perché, come già scritto, immortala la band nel suo momento migliore.

Tracklist
1. Lady In Gold
2. Little Boy Preacher
3. Bad Talkers
4. Won’t Go Back
5. Black Smoke
6. Bliss
7. Little Sun
8. Elements And Things
9. You Gotta Try
10. High Class Woman
11. Ain’t No Change
12. Devil Man
13. I Felt a Change
14. Rejection
15. Gone So Long

Line-up
André Kvarnström – Drums
Zack Anderson – Bass
Elin Larsson – Vocals
Dorian Sorriaux – Guitar

BLUES PILLS – Facebook

Superhorror – Hit Mania Death

Hit Mania Death sa tanto di States, di quei viali ricoperti in autunno dalle foglie che, nel giorno dei morti vengono spazzate dai piedi che strisciano verso le vostre case mentre il punk rock dei Ramones gira senza fermarsi sul vostro piatto ed il cd dei Murderdolls aspetta il suo turno sullo scaffale.

One, two, three, four… rock’n’roll, anzi rock/punk/metal/hard’n’roll, irriverente, totalmente pazzoide, schizzato come una belle figliola che la notte di Halloween si accorge che il tipo incontrato al party è più morto che vivo, anzi, è proprio un morto vivente, ciondolante ed affamato e cerca disperatamente di accanirsi sulla sua carne con mire bel lontane da quelle sessuali.

Con i Superhorror, con un Fuck in meno nel monicker ma ancora più voglia di divertirsi e far divertire, siamo in pieno regime glam/metal/punk rock e Hit Mania Death è il loro potentissimo calcio nel deretano al mondo, una serie di straordinarie e stravolte tracce che vi faranno tornare, soprattutto concettualmente, agli anni ottanta, quando gli zombie facevano ancora paura nelle loro grottesche camminate verso il cibo che aveva sempre due gambe per scappare dal banchetto e due braccia da lasciare tra le fauci della vostra nonnina trasformata in una famelica razziatrice di budella altrui.
Hit Mania Death sa tanto di States, di quei viali ricoperti in autunno dalle foglie che, nel giorno dei morti vengono spazzate dai piedi che strisciano verso le vostre case mentre il punk rock dei Ramones gira senza fermarsi sul vostro piatto ed il cd dei Murderdolls aspetta il suo turno sullo scaffale.
Sarebbe inutile nominare un brano piuttosto che un altro, quindi se volete risvegliare il non-morto che è in voi fatevi travolgere dalla carica che sprigionano i Superhorror, e in overdose da Hit Mania Death comincerete a non resistere, quando vostra sorella o fidanzata vi gireranno intorno ed il vostro appetito aumenterà di conseguenza con il letale virus che si svilupperà all ascolto delle varie ed irresistibile Ready, Steady…Die!, Nazi Nuns From Outer Space, Ed Wood Blues, Rock Is Dead (Like Us) e Nekro-Nekro Gim.

Tracklist
01. Ready, Steady… Die!
02. Nazi Nuns From Outer Space
03. Mr. Rrigor Mortis
04. Ed Wood Blues
05. No Love For The Deceased
06. Dead To Be Alive
07. Rock Is Dead (Like Us)
08. Nice To Meat You
09. Little Scream Queen
10. Mourir, C’Est Chic
11. Selfish Son Of A Witch
12. Nekro-Nekro Gym

Line-up
Edward J. Freak: Vocals
Didi Bukz: Guitar, Kazoo, Backing Vocals
Mr.4: Bass, Backing Vocals
Franky Voltage: Drums, Backing Vocal

SUPERHORROR – Facebook

Jess And The Ancient Ones – The Horse And Other Weird Tales

I finlandesi Jess And The Ancient Ones non avrebbero assolutamente sfigurato nel panorama psych rock degli anni sessanta e anni settanta, con il loro groove unico ed inimitabile.

I finlandesi Jess And The Ancient Ones non avrebbero assolutamente sfigurato nel panorama psych rock degli anni sessanta e anni settanta, con il loro groove unico ed inimitabile.

Il tutto parte dalla splendida voce di Jess, che tesse infinite trame melodiche che raccontano storie antiche e archetipe della nostra razza, momenti occulti ed esplosioni di vita. Il gruppo la supporta con una musica che non è assolutamente riconducibile a nessuna delle mode o dei modi attuali di fare musica. Il modo di comporre e di eseguire dei Jess And The Ancient Ones è qualcosa di totalmente libero, non ha alcuna costrizione ed è libertà totale, è orgia dei sensi e della bellezza messa in musica. Dimenticatevi qualsiasi cosa, denudatevi dei vostri finti io ed ascoltate questa raccolta di storie, quasi delle favole per adulti (ma quali sono le favole per bambini?), che raccontano di noi stessi per vie differenti. Le canzoni sono tutte diverse e al loro interno si celano molti cambi di registro musicale, ma tutto è molto organico e piacevole, come un’esperienza psichedelica positiva. L’occulto è ovviamente molto presente, ed è un motivo in più per apprezzare questi gruppo unico non solo nel suo genere, ma nel panorama musicale mondiale. L’intensità, la dolcezza, la forza, la carnalità, la spiritualità, c’è tutto, poiché tutto è collegato con tutto. Beatles, Pink Floyd e tanto altro qui trovano una sintesi che riporta ancora a qualcos’altro, in un rimando continuo come un ouroboros. Il problema è che bisogna aspettare fino al primo dicembre … ma ne varrà la pena.

Tracklist
1. Death Is The Doors
2. Shining
3. Your Exploding Heads
4. You And Eyes
5. Radio Aquarius
6. Return to Hallucinate
7. (Here Comes) The Rainbow Mouth
8. Minotaure
9. Anyway The Minds Flow

Line-up
Jess – Vocals
Thomas Corpse – Electric Guitar
Fast Jake – Electric Bass
Abrahammond – Keyboard
Jussuf – Drums and Percussion

JESS AND THE ANCIENT ONES – Facebook

Poisonheart – Till The Morning Light

Non è così facile assemblare una tracklist dove umori tanto diversi ammantano le atmosfere dei brani, ma i Poisonheart ci sono riusciti, permettendo alle loro anime di convivere e rendendo Till The The Morning Light un ottimo album.

Sneakeout Records e Burning Minds, label fondata dai ragazzi dell’Atomic Stuff, ci presentano questo ottimo debutto all’insegna di un hard rock roccioso, classico e pregno di melodie dark.

Gli autori sono i bresciani Poisonheart, attivi da tredici anni, con un primo ep di cover alle spalle seguito dal secondo lavoro, questa volta di inediti licenziato nel 2009 (Welcome To The Party).
Gli anni seguenti passano tra concerti ed una piccola sterzata nel sound, un’evoluzione che porta il gruppo verso lidi oscuri, lasciando in parte il rock’n’roll da party suonato nei primi anni.
Un po’ come i finlandesi The 69 Eyes, chiamati in causa tra le ispirazioni dei Poisonheart, la band è fautrice di questo buon connubio hard/dark rock, non ancora espresso in tutta la sua oscura decadenza come nella band del vampiro Jirky 69, ma ancora legato da un filo neanche troppo sottile con il rock duro.
Ne esce un album vario con buone idee a soprattutto belle canzoni, alcune ancora elettrizzate dal rock’n’roll degli esordi come l’opener (You Make Me) Rock Hard o Hellectric Loveshock, altre già pervase da umori dark, nebbie oscure che avvolgono brani come Flames & Fire o Shadows Fall, ed infine alcune che sanno di frontiera come la splendida Baby Strange.
Non è così facile assemblare una tracklist dove umori tanto diversi ammantano le atmosfere dei brani, ma i Poisonheart ci sono riusciti, permettendo alle loro anime di convivere facendo di Till The The Morning Light un album riuscito, con i brani che lasciano la loro firma in testa all’ascoltatore dopo pochi passaggi.
Prodotto dal gruppo insieme a Oscar Burato, che ha mixato e masterizzato l’album, Till The Morning Light vive di hard rock tradizionale, rock’n’roll e dark di matrice scandinava: The 69 Eyes, ma anche i Poisonblack di Ville Laihiala, appaiono tra le influenze del gruppo, ispirato al meglio per questo ottimo debutto.

Tracklist
01. (You Make Me) Rock Hard
02. Flames & Fire
03. Anymore
04. Lovehouse
05. Shadows Fall
06. Baby Strange
07. Under My Wings
08. Out For Blood
09. Hellectric Loveshock
10. Pretty In Black

Line-up
Fabio Perini – Lead Vocals, Guitar
Giuseppe Bertoli – Bass, Backing Vocals
Andrea Gusmeri -Lead Guitar, Backing Vocals
Francesco Verrone – Drums, Backing Vocals

POISONHEART – Facebook

Dr.Gonzo And The Cheesy Boys – The Witch

The Witch è un disco peculiare ed unico, fatto di momenti davvero belli, lo si ascolta come se fosse un sogno e riporta la psichedelia al suo naturale alveo insieme all’hard rock, in una cornice curatissima, e conferma come Piacenza e dintorni siano la culla italiana di una certa musica visionaria e bellissima.

Due lunghe suite psichedeliche divise in due lati per un uno dei migliori gruppi italiani di musica visionaria.

I Dr.Gonzo and The Cheesy Boys sono un gruppo nato nel 2006 da amanti della musica anni settanta, che è il collante di questo gruppo. The Witch è in pratica un concept album sulla nascita, la vita e la morte di una strega, il tutto narrato con una musica che prende ispirazione dalla psichedelia inglese anni sessanta e settanta, e da un hard rock anch’esso di quell’epoca. Il disco è anche un esordio poiché il gruppo avrebbe inciso anche un altro disco nel 2009, The River, che non è mai stato pubblicato. La musica di The Witch è veramente stupefacente e ci riporta prepotentemente negli anni settanta, anche grazie all’uso di moog e hammond che procurano momenti di vero viaggio all’interno delle canzoni. Le canzoni sono strutturate per non essere tali ma lunghe jam nelle quali può succedere di tutto, e in esse possiamo trovare generi diversi, improvvisi cambi di atmosfera e di registro, da un’aria più atmosferica a qualcosa di più cupo, ma il tutto è molto intrigante e bello. Forte, come nella psichedelia inglese anni sessanta e settanta, è il richiamo verso l’occulto, verso quella parte di realtà che esiste ma che non vediamo, e personaggi come le streghe possono portarci oltre i nostri limiti. The Witch è un disco peculiare ed unico, fatto di momenti davvero belli, lo si ascolta come se fosse un sogno e riporta la psichedelia al suo naturale alveo, insieme all’hard rock, in una cornice curatissima, e conferma come Piacenza e dintorni siano la culla italiana di una certa musica visionaria e bellissima.

Tracklist
01. The Witch Pt. 1
02. The Witch Pt. 2

Line-up
Mattia Montenegri: drums
Emil Quattrini: Hammond, Moog, Rhodes, Mellotron
Carlo Barabaschi: guitar
Filippo Cavalli: bass

DR.GONZO AND THE CHEESY BOYS – Facebook

Ruxt – Running out Of Time

Una perfetta simbiosi tra i maestri (Rainbow, Dio, Whitesnake) e i loro eredi (Lande, Astral Doors), questo è se Running Out Of Time, secondo imperdibile album dei Ruxt.

Neppure il tempo di archiviare le bellissime trame power di Metalmorphosis, opera licenziata dagli Athlantis di Steve Vawamas, che la Diamonds Prod. sforna il secondo lavoro dei Ruxt, band hard & heavy che, oltre al bassista in forza pure a Mastercastle, Bellathrix ed Odyssea, vede all’opera Stefano Galleano ed Andrea Raffaele (Snake, Rock.It), il batterista Alessio Spallarossa (Sadist) ed il talentuoso vocalist Matt Bernardi (Purplesnake).

Ed è ancora una volta, tra gli stretti vicoli di una Genova mai così metallica, che si consuma il secondo rito targato Ruxt, un altro riuscito esempio di nobile metallo, pregno di atmosfere hard’n’heavy che, di questi temp,i molti preferiscono chiamare old school ma che è invece semplicemente classico.,
Certo, probabilmente il sound del gruppo è il più ottantiano tra quelli in dote alle band che gravitano intorno alla scena sviluppatasi nei dintorni del capoluogo ligure, ma per gli amanti dell’ hard & heavy targato Rainbow, Dio, Whitesnake, Lande, ed Astral Doors, anche Running Out Of Time. come il primo Behind The Masquerade (uscito lo scorso anno) risulterà una vera cavalcata tra le sonorità che hanno reso famose questi grandi interpreti della nostra musica preferita.
Un songwriting di alto livello, accompagnato da una prova esemplare del buon Matt “Jorn” Berardi, fanno sussultare dalla poltrona più di un fans del metal/rock classico, tra arcobaleni, serpenti bianchi, folletti dal cognome religiosamente importante, talentuosi omoni nordici dal microfono facile e porte astrali, che si aprono su un mondo dove le sei corde squarciano il cielo, con solos che sono tuoni e fulmini nel tramonto, oscure e drammatiche trame dal flavour epico che a suo tempo fecero storia e chorus che sprizzano orgoglio metallico.
Un album più diretto rispetto al debutto, un mastodontico pezzo di granito hard & heavy che risveglia gli appetiti dei fans legati alla tradizione con una serie di brani pesanti, colmi di epica tragicità e che regala nel suo insieme tanta buona musica, anche se la title track, posta in apertura e perfetto ed esplosivo brano alla Lande che ci invita all’ascolto dell’album, il nuovo singolo e video Everytime Everywhere, con Pier Gonella (Necrodeath, Mastercastle, Vanexa, Odissea, Athlantis) in veste di ospite, l’accoppiata Leap In The Dark/Let Me Out, e lo spettacolare mid tempo Queen Of The World sono i pezzi pregiati che troverete in questo ennesimo scrigno da aprire senza indugi per coglierne i tesori.
Una perfetta simbiosi tra i maestri (Rainbow, Dio, Whitesnake) e i loro eredi (Lande, Astral Doors), questo è Running Out Of Time, secondo imperdibile album dei Ruxt.

Tracklist
1.Running out of Time
2.Legacy
3.In the Name of Freedom
4.Everytime Everywhere
5.Scars
6.Leap in the Dark
7.Let me Out
8.My Star
9.Queen of the World
10.Heaven or Hell

Line-up
Matt Bernardi – Vocals
Stefano Galleano – Guitars
Andrea Raffaele – Guitars
Steve Vawamas – Bass
Alessio Spallarossa- Drums

RUXT – Facebook

Elmo Karjalainen – Age Of Heroes

Quarto album solista per Elmo Karjalainen, ex chitarrista dei melodic rocker finlandesi Deathlike Silence, che con Age Of Heroes è protagonista di un buon lavoro di metal strumentale, leggermente prolisso ma consigliato agli amanti dei guitar heroes.

Quarto lavoro strumentale per l’ex chitarrista del Deathlike Silence, gruppo hard rock melodico pregno di atmosfere horror e gotiche, che nel 2009 licenziò il bellissimo ed ultimo album Saturday Night Evil.

Del sestetto di Turku abbiamo purtroppo perso le tracce, mentre il suo axeman dal 2012 ha intrapreso la carriera solista con una serie di lavori strumentali di ottima fattura.
Poco conosciuto fuori dal territorio nazionale, Elmo Karjalainen giunge al quarto album, interamente scritto da lui, una lunga jam strumentale di settanta minuti (forse troppi) dove il metal e l’hard rock incontrano varie soluzioni stilistiche, sognanti atmosfere pinkfloydiane tra musica dura e progressiva.
Le influenze del musicista finlandese sono da attribuire ai maghi delle sei corde che tanto hanno fatto parlare in passato gli addetti ai lavori (Paul Gilbert, Joe Satriani e Yngwie J. Malmsteen), quindi l’opera è adatta ai palati metallici, anche se in così tanti minuti troverete riferimenti a più di un’ icona del rock /metal mondiale.
Age Of Heroes ha nella sua eccessiva durata il punto debole, anche se la musica suonata da Karjalainen non si avvolge su se stessa come quella di molti suoi colleghi.
How Can Less Be More, The Grassy Gnoll, la doppietta composta dalla title track e dalla speed metal song A Meeting Of The Gods (And This Guy), sono i momenti più interessanti di un album che rischia di passare inosservato come i suoi predecessori, mentre meriterebbe più di attenzione da parte degli amanti del genere, anche se come detto il minutaggio non gioca a favore della fruibilità, importantissima in lavori come Age Of Heroes.

Tracklist
1. Warm Welcome
2. How Can Less Be More
3. The Colour of Greed
4. Chikken Noodul
5. A Fertile Discussion
6. The Grassy Gnoll
7. Blue Eyes
8. Party Political Speech
9. Age of Heroes
10. A Meeting of the Gods (And This Guy)
11. Sunset
12. Return of the Silly English Person
13. Falling for Falafels
14. Lost In a Foreign Scale
15. Three Days of Peace
16. Limiting Rationality
17. Breathe

Line-up
Derek Sherinian – Keyboards on “The Colour of Greed”
Mattias IA Eklundh – Gutiar solos on “A Fertile Discussion” and “Falling for Falafels”
Janne Nieminen and Emil Pohjalainen – Guitar solos on “A Meeting of the Gods (And This Guy)”
Vesa Kolu – Drums on “A Fertile Discussion”, “Blue Eyes”, “Falling for Falafels”, “Three Days of Peace”, and “Limiting Rationality”
Christer Karjalainen – Drums on “Chikken Noodul” and “Sunset”
Elmo Karjalainen – everything else

ELMO KARJALAINEN – Facebook

The Watchers – Sabbath Highway

I The Watchers sono come un tornado in mezzo al deserto, un vortice di sonorità hard & heavy che si abbattono sulla campagna americana, un twister selvaggio dal titolo Sabbath Highway.

Torniamo indietro fino alla metà degli anni novanta, il decennio più importante della storia del metal/rock dopo gli anni settanta, facciamoci ancora del male con i primi lavori di Zakk Wilde e dei suoi Black Label Society, aggiungiamoci i Soundgarden di Louder Than Love e i Corrosion Of Conformity nella versione più stonerizzata (Wiseblood/America’s Volume Dealer) ed avremo ottenuto una ricetta musicale da veri Masterchef del rock, oppure saremo molto vicini alla proposta di questi clamorosi rockers statunitensi, i The Watchers.

Sabbath Highway, ep uscito qualche tempo fa, ci consegna un gruppo davvero interessante, pronto per licenziare il primo lavoro sulla lunga distanza che si preannuncia come una bomba sonora, almeno per chi apprezza queste sonorità.
Niente di nuovo, chiariamolo subito, ma senz’altro convincente, con i Sabbath che compaiono nel titolo e fanno da padrini al quartetto composto da Tim Narducci alla voce, Jeremy Von Eppic alla chitarra, Cornbread al basso e Carter Kennedy (Orchid) alla batteria.
Esaltanti ed irresistibili, i The Watchers sono come un tornado in mezzo al deserto, un vortice di sonorità hard & heavy che si abbattono sulla campagna americana, un twister selvaggio dal titolo Sabbath Highway.
E selvagge sono le note che escono a tratti violente dalla title track o dalla monumentale Call The Priest, spettacolare brano tra Soundgarden e Black Sabbath, dove Narducci fa il Cornell d’annata.
I nostri picchiano duro anche in Today, veloce come una Harley lanciata all’impazzata e nella conclusiva Just A Needle, mid tempo potente e cadenzato, un carro armato hard rock con la scritta B.L.S. sulla fiancata.
Ripple Music è l’etichetta responsabile dei danni inferti ai padiglioni auricolari degli amanti del genere da parte del gruppo, in attesa di un full length che si preannuncia dinamitardo.

Tracklist
1.Sabbath Highway
2.Requiem Intro
3.Call The Priest
4.Today
5.Just A Needle

Line-up
Carter Kennedy – Drums
Cornbread – Bass
Jeremy Von Eppic – Guitars
Tim Narducci – Vocals

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