Annisokay – Devil My Care

Devil In My Care è un album ben confezionato, prodotto benissimo, un lavoro professionale insomma, ma, come ormai ci ha abituato la scena metalcore melodica, inadatto ai maggiori di 18 anni …

Post hardcore o metalcore fate voi, fatto sta che il modern metal dai rimandi core continua a sfornare giovani band dalle indubbie capacità tecniche ma raramente supportate da buone idee, ed il mercato si satura di album tutti uguali, magari perfetti per i gusti dei teenagers dai pruriti metallici ma, invero, freddi come il ghiaccio.

La verità è che il genere è inflazionato ed ascoltare qualcosa di veramente interessante diventa sempre più un’impresa.
Il nuovo lavoro dei tedeschi Annisokay si posiziona nel mezzo delle due verità: da una parte il terzo album del gruppo di Halle vive di tutti i cliché triti e ritriti del genere, doppia voce (clean e scream), ritmi sincopati, alternanza continua tra parti rabbiose e melodie ruffiane; dall’altra, d alzare le quotazioni di questo Devil My Care, è l’ottimo uso dell’elettronica che avvolge tutto l’album in atmosfere pop rock, a tratti al limite del danzereccio, ma pur sempre ben inserite nel contesto dei brani.
Il giovane quintetto tedesco con due album ed una manciata di lavori alle spalle, vanta già una buona esperienza, virtù che si evince dalla raccolta di brani, tutti con l’appeal giusto per essere apprezzati dai loro coetanei.
Devil In My Care è un album ben confezionato, prodotto benissimo, un lavoro professionale insomma, ma, come ormai ci ha abituato la scena metalcore melodica, inadatto ai maggiori di 18 anni …

TRACKLIST
1. Loud
2. What’s Wrong
3. Smile (feat. Marcus Bridge of Northlane)
4. D.O.M.I.N.A.N.C.E.
5. Blind Lane
6. Thumbs Up, Thumbs Down (feat. Christoph von Freydorf of Emil Bulls)
7. Hourglass
8. Photographs
9. Gold
10. The Last Planet

LINE-UP
Dave Grunewald – Shouts
Christoph Wieczorek – Guitar & Vocals
Philipp Kretzschmar – Guitar
Norbert Rose – Bass
Nico Vaeen – Drums

http://www.facebook.com/annisokay/about/

Bioscrape – Psychologram

Se amate i suoni metallici moderni e le sonorità core non perdetevi questo lavoro, i Bioscrape hanno armi affilate per farvi male.

Un disco che trasuda groove ed una insana carica hardcore, una pesante incudine che ingloba nella propria musica sfumature industriali, metal moderno ed un impatto core oscuro e devastante.

Questo in sintesi è Psychologram, secondo lavoro sulla lunga distanza dei Bioscrape, band italiana che costruisce un muro sonoro assolutamente indistruttibile.
Il successore di Exp.01, debutto licenziato nel 2012, conferma l’assoluta caparbietà del gruppo nel confezionare un prodotto estremo che si mantiene su coordinate metalcore, ma non risparmia all’ascoltatore bordate metalliche colme di groove, sfuriate al limite del thrash moderno ed una chiara ispirazione hardcore, racchiuso in un concept che richiama un futuro di distruzione in clima sci-fi.
E’ un’aggressione senza soluzione di continuità, con il growl rabbioso che passa da tonalità profonde care al death, ad urla in hardcore style, le ritmiche sanguinano groove, le chitarre taglienti sono cavi elettrici che balzano tra pozzanghere sporche di acqua putrida, mentre il grigio è il colore del mondo in cui si muove Psychologram.
Tecnicamente ineccepibili e con l’aiuto di Wahoomi Corvi che ha prodotto e mixato l’album ai Realsound Studio di Parma, i Bioscrape creano un album maturo e bilanciato tra i vari generi di cui si nutre, i brani che si mantengono monolitici, hanno in loro varie sfumature che li rende unici e che va dal thrash (Primordial Judge), alle variazioni ritmiche di Aliena, al metallo moderno di Cyber Hope, per non mancare di farci ascoltare elementi riconducibili al progressive death con Echo Silent, piccolo gioiello che risulta il miglior brano del lotto.
L’elemento core è chiaramente quello più distinguibile, ma viene manipolato dal gruppo con ottima conoscenza della materia ed un impatto e compattezza che sono i punti forti dei Bioscrape ed in generale di tutte le band alle prese con il genere.
Psychologram non mancherà di soddisfare i fans del gruppo, ma se amate i suoni metallici moderni e le sonorità core non perdetevi questo lavoro, i Bioscrape hanno armi affilate per farvi male.

TRACKLIST
01 – Primordial Judge
02 – Mechanical Providence
03 – Aliena
04 – Bioscrape
05 – Killer Collision
06 – Cyber Hope
07 – Astro Noise
08 – Echo Silent
09 – Vega Cospiration
10 – Psychologram

LINE-UP
V. – drums
J. – vocals
S. – guitar
P. – bass

BIOSCRAPE – Facebook

Alms Of The Giant – Meet The Abyss Ep

Questi cinque ragazzi fanno un’ottima miscela di hardcore, metalcore e post rock, il tutto con estrema naturalezza e bravura.

Gruppo milanese attivo dal 2013 che fa il suo debutto con questo ep in download libero.

Questi cinque ragazzi fanno un’ottima miscela di hardcore, metalcore e post rock, il tutto con estrema naturalezza e bravura. Certamente l’ascolto del disco renderà molto meglio delle mie povere parole. Questo ep è molto bello e ha un carica metal nel suo complesso che è davvero forte e potente.
Quattro pezzi che esplorano le diverse anime di un gruppo che ha molte idee e che riesce ad esprimersi molto bene, pur avendo davvero tanto da suonare e da dire. Ascoltando questi quattro pezzi ho ritrovato un certo gusto nel fare un metal che attraversa vari generi, e una carica ed una voglia che non riscontravo da tempo. Un esordio estremamente positivo.

TRACKLIST
1.Meet The Abyss
2.Marble Thoughts
3.New Kaledonia
4.Feel Lost

LINE-UP
Marco
Federico
Luca
Fabio
Fulvio

ALMS OF THE GIANT – Facebook

Throwers – Loss

Con un impatto devastante diluito in pause strumentali più rallentate, il primo albume dei tedeschi Throwers risulta accessibile. Loss si presenta infatti dissonante, estremo ma non troppo ripetitivo, chiassoso ma vario. Di sicuro non è l’album rivoluzionario, ma è un bel prodotto per gli amanti del genere.

Forse l’album dalla copertina più fuorviante che mi sia mai capitato. Non conoscevo i Throwers e la foto di un signore anziano con occhialini e barba lunga, intento a qualche lavoro manuale (ha qualcosa tra le mani) su uno sfondo colore rosa mi faceva pensare a una band di folk rock.

Il retro della copertina cartonata con la scritta che suggerisce di ascoltare l’album al volume più alto possibile per poter apprezzare al meglio il suono della band e l’analisi più attenta della foto dell’uomo che in mano ha un teschio, mi fa capire che sono fuori strada.
Ma sono ugualmente a mio agio. Loss è il primo album sulla lunga distanza dei tedeschi Throwers, che si presentano con un hardcore violento e sporco, bello solido e compatto, mescolato con sfumature post harcore, ma solo dal punto di vista strumentale. La voce di Alex infatti non molla mai la cattiveria e l’aggressività.
Nonostante il disco sia piuttosto brutale, l’ottima registrazione permette di apprezzarne i vari strumenti, che non risultano un muro di suono caotico, ma qualcosa di bene progettato.
Velocità e tecnica sono proprietà di questo album, che ha la caratteristica di essere composto da un ritmo di fondo ben riconoscibile a cui si sovrappongono più in superficie diversi elementi variabili: a tratti sembra di ascoltare del black metal, a tratti del post metal mescolato con del punk.
Azzeccata anche la scelta di inserire momenti tranquilli nella struttura delle diverse canzoni, perché permette di arrivare in fondo alla mezzora abbondante dell’album senza essere stravolti. E l’impatto, seppur devastante, viene diluito. Accessibile come era già capitato per altre band precedenti e alle quali probabilmente si inspirano (Botch, Knut, Converge per citarne alcune), Loss si presenta dissonante, estremo ma non troppo ripetitivo, chiassoso ma vario. Di sicuro non è l’album rivoluzionario ma è un bel prodotto per gli amanti del genere.

TRACKLIST
1. Singularity
2. Der Makel
3. Karg
4. Homecoming
5. Unarmed
6. Assigning
7. Nevermore

LINE-UP
Jonas – Bass
Gabriel – Drums
Kay – Guitar
Alex – Vocals

THROWERS – Facebook

Systemhouse33 – Regression

Se siete amanti dei suoni moderni e dalle reminiscenze core, Regression vi stupirà per impatto, attitudine e violenza.

Vi avevamo già parlato dei Systemhouse33 in occasione dell’uscita, un paio di anni fa, del primo full length, Depths Of Despair, quindi la band torna sulle pagine metalliche della nostra ‘zine con il nuovo lavoro, Regression.

Il gruppo di Mumbai, sempre molto attento alle vicende politico sociali del suo paese, riprende il discorso interrotto con il primo album, ma questa volta con molta più convinzione.
Il sound di questo nuovo lavoro vira leggermente in territori più core rispetto al precedente, quindi meno ritmiche panterizzate e tanto groove moderno, oltremodo devastante e compatto come il granito.
Solo mezz’ora scarsa la durata, ma tanto basta per colpire nel segno con questo violento e monolitico esempio di metal estremo, composto da accelerazioni thrash e metalcore colmo di groove, a tratti marziale e potentissimo.
La band nel frattempo ha avuto qualche piccolo ritocco di line up, risultando ora un terzetto composto dai membri storici Leon Quadros al basso ed il vocalist Samron Jude, con il nuovo entrato Atish Thomas alle prese con la sei corde e le pelli.
E Regression non delude, così, dopo un’intro marziale e molto coinvolgente parte in quarta, come un treno senza freni con l’ottima title track, velocità e potenza si alternano al comando del sound mentre Jude si dimostra un vocalist dall’impatto disumano: il suo canto estremo coinvolge, come se tutti i mali del mondo convogliassero nella sua gola e Lift This Plague continua imperterrita a disegnare questo manifesto di metal estremo moderno e senza compromessi.
Enorme il lavoro delle sei corde, che ci travolgono con riff monolitici e solos lancinanti.
Denuncia, rabbia, disperazione, difficile trovare in band del genere, anche più famose, emozioni così reali come sanno trasmettere i Systemhouse33, con Namesake (la più thrash del lotto) ed il muro sonoro alzato da Death Chamber a salire sul podio delle migliori song del disco, in un’escalation di violenza e disperazione sorprendente.
Per chi ancora non si è avvicinato al metal suonato nel lontano paese asiatico, ed alla band in questione, siamo molto vicini al sound dei vari Lamb Of God, Meshuggah e personalmente, ai già citati in occasione della recensione sul primo lavoro, Skinlab.
Se siete amanti dei suoni moderni e dalle reminiscenze core, Regression vi stupirà per impatto, attitudine e violenza.

TRACKLIST
1.Catharsis
2.Regression
3.Lift This Plague
4.Namesake
5.Death Chamber
6.Detestable Idolatry
7.Pagan Breed
8.Malicious Mind

LINE-UP
Leon Quadros – Bass
Samron Jude – Vocals
Atish Thomas – Drums, Guitars

SYSTEMHOUSE 33 – Facebook

Moth’s Circle Flight – My Entropy

Tante idee sul piatto per non risultare la solita proposta da un ascolto e via, un modo intelligente di suonare metal moderno, creando con il supporto delle proprie influenze un sound personale, queste sono le caratteristiche principali dell’album in questione.

Che il metal moderno dai suoni groove e metalcore in questo periodo sia oltremodo inflazionato, non è una novità.

Le band proposte dalle label di tutto il mondo, come nuove new sensation del genere, sono centinaia, molte non vanno più in là del compitino, risultando solo coppie sbiadite dei gruppi più famosi, altre invece riescono con personalità, impatto e buone idee ad uscire dal semplice anonimato, regalando piccole fialette di nitroglicerina metallica, che esplodono quando l’inconsapevole ascoltatore schiaccia il fatidico tasto play.
I parmensi Moth’s Circle Flight sono una di queste realtà, ed il loro nuovo lavoro è una mazzata terribile di metal moderno, colmo di groove, dai rimandi core e thrash.
Una lunga gavetta durata tredici anni ed un primo album stampato nel 2013 (Born To Burn), ma soprattutto, tanti concerti in giro per il suolo italico, a far da spalla a gruppi come Sepultura, Extrema ed Exilia, sono serviti non poco, facendo crescere il sestetto in esperienza e convinzione, così che la band ha convogliato tutto l’impatto possibile in questo ottimo My Enthropy, devastante lavoro, uscito per la logic(il)logic Records.
L’uso della doppia voce, lasciata a due diversi interpreti (Gabriele “Gabbo” Rosi e Simone “Pancio” Panciroli ), a mio parere scelta perfetta per avere il massimo della qualità al microfono, una sezione ritmica debordante (Marco “Satir” Reggiani al basso e Bass Fabio “Bersa” Bersani alle pelli), chitarre affilate, che fanno sgorgare riff pesanti come macigni e solos dal’ottimo appeal (Luca “Pellach” Alzapiedi e Francesco “Baldo” Baldi) ed un songwriting vario come non si trova spesso in realtà del genere, elevano My Entropy a sorpresa di questa prima metà dell’anno nei suoni di derivazione moderna.
I Moth’s Circle Flight, non si accontentano di suonare aggressivo e pesante, tra i solchi dei brani che compongono il cd, con la giusta attenzione scoprirete molte anime diverse, tutte protagoniste degli ultimi vent’anni di musica dura e che insieme formano il sound del gruppo nostrano.
My Entropy diverte, ogni brano ha un qualcosa di diverso, un’atmosfera, un riff, un chorus che portano a pensare a molti gruppi diversi tra loro, pur risultando un album durissimo, aggressivo e monolitico.
E’ cosi che, all’ascolto delle varie Man On The Peak, Raise Your Head, An Old Chant e Bursting Into Existence, vi troverete a confrontarvi con il thrash moderno dei Soulfly, i ritmi industrialoidi e qualche chorus dei Fear Factory, ma anche riff di scuola Soil, ed un mood alternative che arrancando, si fa spazio tra i potenti suoni metallici di cui My Entropy si nutre.
Tante idee sul piatto per non risultare la solita proposta da un ascolto e via, un modo intelligente di suonare metal moderno, creando con il supporto delle proprie influenze un sound personale, queste sono le caratteristiche principali dell’album in questione.
Amanti del genere non lasciatevi sfuggire questo album, sarebbe un peccato mortale.

TRACKLIST
01. Man On The Peak
02. Ends Of A Shadow
03. Raise Your Head
04. Late Promises
05. An Old Chant
06. Write My Name
07. With Love, With Flames
08. Bursting Into Existence
09. Madball
10. Ray Of Ira

LINE-UP
Gabriele “Gabbo” Rosi – Vocals
Simone “Pancio” Panciroli – Vocals
Luca “Pellach” Alzapiedi – Lead Guitar
Francesco “Baldo” Baldi – Rhythm Guitar
Marco “Satir” Reggiani – Bass
Bass Fabio “Bersa” Bersani – Drums

MOTH’S CIRCLE FLIGHT – Facebook

Snake Tongue – Raptor’s Breath

Hardcore e metal sono uniti in questi nove brani esplosivi, dall’ottimo impatto, un vero attacco frontale prodotto benissimo, dalle ritmiche folli, violento come una burrasca nel Mare del Nord

I paesi scandinavi, maestri in molti dei generi che formano la grande famiglia metallica, hanno nell’underground una fiorente scena punk/hardcore, balzata agli onori già da molti anni, ma soffocata dalle più conosciute realtà death, black e power.

Nulla di male, ma è altresì vero che i gruppi dediti al genere sono molti, ed alcuni meritevoli d’attenzione, in fondo sempre di musica estrema si tratta, parente di quel genere ribelle ed anticonformista che è il grindcore e che, a sua volta spesso si ritrova a bere un bicchiere con il buon vecchio death metal.
Gli Snake Tongue sono un gruppo svedese, al debutto con questa mezz’ora di hardcore metal, mixata da Kurt Ballou dei Converge dal titolo Raptor’s Breath.
Il loro sound si ispira alla scena statunitense, anche se i richiami al metal estremo della loro terra non mancano, così come qualche rallentamento al limite dello sludge.
L’assalto sonoro portato dal gruppo è brutale e senza soluzione di continuità, con il singer Patrik che si danna l’anima, urlando e sbraitando senza sosta, mentre gli strumenti creano un devastante e potente muro sonoro, compatto, brutale e dalla forza disarmante.
Hardcore e metal sono uniti in questi nove brani esplosivi, dall’ottimo impatto, un vero attacco frontale prodotto benissimo, dalle ritmiche folli, violento come una burrasca nel Mare del Nord e compatto come il buio dell’oceano in una notte tempestosa.
Ottima padronanza degli strumenti e poca voglia di scherzare fanno di Raptor’s Breath un buon ascolto per gli amanti dell’hardcore che non disdegnano qualche sconfinamento nel metal estremo.
La formula non dispiace e l’album esce vario, colmo di cambi di ritmo, mentre l’atmosfera rimane da tregenda sonora, valorizzata da un sound che più in your face di così non si può.

TRACKLIST
1.Raptors Breath
2.In Stone
3.Post Mortem Spasms
4.Altar
5.Lashes
6.The Horror
7.Ghost Dance
8.Death Dance
9.The Narcissict

LINE-UP
Samuel – Drums
Niklas – Guitar
Martin – Bass & Vocals
Patrik – Vocals
Fredrik – Guitar

SNAKE TONGUE – Facebook

Khynn – Supersymmetry

Drammatica e rabbiosa, l’aria che si respira tra le tracce di Supersymmetry soffoca, spessa coltre di suoni violenti, sintetici e pregni di groove così da creare una colonna sonora di ribellione metallica

Il death metal melodico ha cambiato pelle molte volte in questi ultimi anni, come un serpente si rinnova costantemente, aggiungendo o togliendo, a piacimento degli artisti, questa o quell’atmosfera che ne rivoltano completamente il mood, ora più vicino allo schema classico nato nei primi anni novanta, ora devastato da ritmiche thrash violentissime, ed ultimamente accompagnato da input provenienti dal più marziale metalcore e dall’industrial.

Tutte pelli di colore diverso dello stesso rettile che continua ad avvelenare ed ipnotizzare i fans in ogni parte del mondo, avendo ritrovato un minimo di freschezza, specialmente nel sempre e comunque bistrattato underground.
Aldilà del confine transalpino, non sono poche le band che al genere aggiungono ottimi inserti industrial core, non ultimi questi musicisti provenienti da Besançon,attivi da quasi una decina d’anni.
Supersymmetry ne è l’ultimo parto, rigorosamente autoprodotto e dal buon tiro, sempre in bilico tra melodic death metal, core e sfumature industrial, moderno, violento ed alquanto ben fatto.
Undici brani che mantengono alta la tensione, con un intermezzo acustico molto suggestivo (Breath Inside Me), ballad che con Living Time stempera per pochi minuti l’assalto portato dal gruppo francese.
Ritmiche ora thrash, ma molte volte indurite da una marzialità core, ottime e personalissime voci (dallo scream, al tono pulito) e tanto groove portano i Khynn a saltellare per il genere, tra la tradizione e le soluzioni moderne di stampo statunitense, creando un ibrido di suoni estremi molto suggestivo e di sicuro impatto.
Drammatica e rabbiosa, l’aria che si respira tra le tracce di Supersymmetry soffoca, spessa coltre di suoni violenti, sintetici e pregni di groove così da creare, dall’opener Tainted Impression in poi, una colonna sonora di ribellione metallica ottimamente descritta dal gruppo transalpino in brani come Walking Dead, Depersonalization e la conclusiva Into the Supersymmetry.
Siamo nel metal moderno, valorizzato da una buona dose di maturità che fa dell’album un buon esempio di come il metal si sappia trasformare: le influenze ci sono e vanno riscontrate nella scena scandinava ed in quella più moderna di stampo statunitense; decisamente un buon lavoro, comunque.

TRACKLIST
1. Tainted Impression
2. God in Hell
3. Black Circles
4. Breath Inside Me
5. Persona
6. Walking Dead
7. Living Time
8. Depersonalization
9. Wasted Time
10. A Wild Night
11. Into the Supersymmetry

LINE-UP
Mathieu Martinazzo – Drums
Fabien Junod – Guitars, Vocals
Samuel Equoy – Vocals, Guitars
Rémi Verchère – Bass

KHYNN – Facebook

Atropas – Episodes of Solitude

Episodes Of Solitude è un buon lavoro, superiore a molti di quelli usciti nei circuiti mainstream, ed è assolutamente consigliato agli amanti del modern metal dal taglio core, i quali non devono lasciarselo sfuggire.

Episodes Of Solitude è la seconda, violentissima mazzata, creata dai pesantissimi Atropas, gruppo melodic/metalcore di Zurigo, nati nel 2011 e con alle spalle “Azrael”, primo lavoro datato 2013.

Siamo nei lidi metalcore, ipervitaminizzati da violentissime parti death/thrash, e attraversati da clean vocals melodiche e disperate in un clima di devastazione come ben rappresentato nell’artwork, che vede un uomo, solo circondato dal panorama apocalittico di una città distrutta.
Il sound del gruppo svizzero ha poco di originale, ma dal lato puramente metallico i fans del genere avranno di che gioire: ritmiche core, pesantissime, un growl dal timbro death che entra dentro le viscere e aperture melodiche, con ottimi solos dal taglio classico, sono le maggiori peculiarità della musica prodotta dalla band, un ottimo esempio di metal estremo moderno, dal forte impatto, aggressivo e con una vena di melanconica disillusione.
Prodotto benissimo, il suono dell’album esce come una tempesta di note cristalline e potentissime, il gruppo con gli strumenti ci sa fare e la sezione ritmica, varia, potentissima e dal groove micidiale (Kevin Steiger al basso e Sandro Chiaramonte alle pelli) risulta la gettata di cemento armato su cui i due chitarristi (Dave Colombo e Mahmoud Kattan anche al microfono) costruiscono riff devastanti e bellissimi solos, ora sanguinanti e taglienti, a tratti melodici e come detto, dal taglio classico, vicino al più puro death metal melodico.
Brani che alternano un mood classico, a devastanti parti di metalcore modernissimo, così che l’ascolto non annoia, continuando a girovagare spersi per le rovine della città distrutta, simbolo di un’umanità arrivata inesorabilmente alla fine e di cui Episodes Of Solitudes può senz’altro rappresentare la devastante colonna sonora.
Le influenze del gruppo sono ben riscontrabili tra le band storiche del genere, dai sempre presenti Pantera degli ultimi album, ai Machine Head e poi i gruppi del movimento “Core” degli ultimi anni.
Anche se alle prese con un genere che comincia a tirare leggermente la cinghia, gli Atropas risultano convincenti, dall’alto di una raccolta di brani che mantengono una buona media qualitativa dall’inizio alla fine con le ottime Lost Between Worlds, il singolo Crimson Zero, Hit the Floor e Alone che spiccano sulla scaletta dell’album.
Episodes Of Solitude è un buon lavoro, superiore a molti di quelli usciti nei circuiti mainstream, ed è assolutamente consigliato agli amanti del modern metal dal taglio core, che non devono lasciarselo sfuggire.

Tracklist:
1. Молотов
2. Lost Between Worlds
3. Crimson Zero
4. One Last Time
5. Take Me Home
6. Hit the Floor
7. Real Me
8. Alone
9. I Dreamed I Was Old
10. Closure

Line-up:
Kevin Steiger – Bass
Sandro Chiaramonte – Drums
Dave Colombo – Guitar
Mahmoud Kattan – Vocals & Guitar

ATROPAS – Facebook

Defallen Prophecy – Death, Hate, Love, Life

Per gli amanti del genere, “Death, Hate, Love, Life” può essere un ottimo ascolto e i Defallen Prophecy una nuova scoperta

Dura di questi tempi parlare di metalcore: il genere è inflazionato, inutile girarci attorno, meno male che, nella valanga di band che si affacciano sulla scena più cool del momento, emergono realtà di un certo spessore.
Così vien da sé che buoni brani, groove a manetta e melodie azzeccate possano fare la differenza.

Basta questo per uscire allo scoperto e riuscire a portare il proprio prodotto all’attenzione dei fans?
Direi di si, anche se chiaramente non si può pretendere l’originalità, specialmente da un combo giovane e al debutto come i nostrani Defallen Prophecy, ma il buon songwriting e quattro brani che, pur non uscendo dai canoni del genere, dimostrano buona padronanza dei mezzi ed impatto notevole, sono già una garanzia di successo nei confronti degli amanti del metal più moderno.
In effetti gli standard del genere ci sono tutti e messi ben in evidenza, partendo dall’opener Panta Rei, muro sonoro colmo di groove, vocione estremo che si scontra con le clean, violenza controllata ma potente e melodie che si alternano, come il sound descritto esige dai suoi adepti.
Vero è che almeno due brani sono ottimi, Heartbreak (ripresa in versione remix alla fine del lavoro) e la veloce e devastante Rising Hope, dove le clean vocals si riprendono la rivincita con l’ottima melodia del refrain.
Per gli amanti del genere, Death, Hate, Love, Life può essere un ottimo ascolto e i Defallen Prophecy una nuova scoperta, prima che il music biz decida che non è più tempo per il metalcore e questi suoni vengano chiusi in quello stesso cassetto dove giace già da un po’ il nu metal: chi vivrà vedrà.

Track List:
1. Panta-Rei
2. The Invisible Cage
3. Heartbreak
4. Rising Hope
5. Heartbreak (Remix)

Line-up:
Lorenzo Carnevali – vocal
Alessandro Carati – bass, vocal
Francesco Oliva – guitar
Andrea Carnevali – guitar
Luca Impellizzeri – drum

DEFALLEN PRPHECY – Facebook

Selfmachine – Broadcast Your Identity

Una quindicina di anni fa i Selfmachine con un album del genere avrebbero fatto il botto, di questi tempi si dovranno accontentare di piacere e non è comunque poco …

Debuttano per la sempre attenta WormHoleDeath gli olandesi Selfmachine con questo Broadcast Your Identity, buon album di quello che una decina di anni fa veniva definito nu metal, per essere poi aggiornato in metalcore, con un’occhiata all’alternative, chiamato in causa parzialmente per via dell’uso della voce pulita e di ritmiche che si fanno più ragionate in molte parti del disco.

Il lavoro risulta vario e non stanca, anche per questo avvicendarsi di atmosfere, tra tensione a mille, con sfuriate che rasentano in certi momenti la violenza del death, e parti melodiche dove la fanno da padrone certi richiami al post grunge di band come i Creed: Becoming the Lie ne è l’esempio più lampante, dove solo un accenno di growl posto nel finale del pezzo ci ricorda che siamo al cospetto di una band che fa del metalcore il suo credo. Il resto dell’album è un sali e scendi sulle montagne russe di un songwriting molto vario, aiutato da vocals che passano dal classico screaming di genere al growl cavernoso di chiara matrice death, fino ad una voce pulita che tra l’altro è anche molto bella. Partendo da Breathe To Aspire, brano nu metal con tanto di cantato dall’accenno rappato, alla più cadenzata Miles Away con tanto di assolo riuscito a metà del pezzo, si passa ad Incorporated dove per la prima volta si intrecciano svariate voci a rendere la song molto varia. L’uso delle voci è appunto il trademark del disco, non ci si annoia con i Selfmachine e si arriva alla fine dell’album senza fatica, anche per l’ottima produzione; c’è ancora tempo per le ottime Void, Out of Depth e la lunghissima (11 minuti, per il genere un record) Closing Statement, bellissimo pezzo dove la band sorprende con un brano dallo spirito progressivo. Una quindicina di anni fa i Selfmachine con un album del genere avrebbero fatto il botto, di questi tempi si dovranno accontentare di piacere e non è comunque poco …

Track list:
1.Breathe to Aspire
2.Miles Away
3.Incorporated
4.Massive Luxury Overdose
5.Void
6.Out of Depth
7.Caught in a Loop
8.Smother the Sun
9.Becoming the Lie
10.Isybian
11.Closing Statement

Line-up:
Steven Leijen – L.vocals
Mark Brekelmans – Bass,vocals
Michael Hansen – Guitars,vocals
John Brok – L.guitars,vocals
Ben Schepers – Drums

SELFMACHINE – Facebook

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