Árstíðir Lífsins – Saga á tveim tungum I: Vápn ok viðr

L’ennesima opera superba offerta da questo gruppo di musicisti unici per la loro capacità di avvolgere il black metal di un’aura solenne ed emozionante.

Saga á tveim tungum I: Vápn ok viðr è il quarto full length di una delle creature più pregiate in ambito black metal emerse nell’ultimo decennio.

Nulla di strano, a ben vedere, nel momento in cui si realizza che l’islandese Árni, motore della band, fa parte anche dei formidabili Carpe Noctem, oltre ad aiutare Marcel Dreckmann negli altrettanto grandi Helrunar.
Il musicista tedesco contraccambia prestando la sua profonda voce alla riuscita del progetto a cui partecipa anche l’altro germanico Stefan, coinvolto a sua volta nei notevoli, ma ormai da tempo ai box, Kerbenok. Diciamo subito che, in quest’ultima opera, il black metal così come lo conosciamo viene spesso scalzato da una solenne anima folk che sovrasta per potenziale evocativo l’impatto delle tracce più robuste. Infatti, al termine dell’ascolto di questo splendido lavoro, è difficile rimuovere dalla memoria brani di rara profondità emotiva come Sundvǫrpuðir ok áraþytr, Siðar heilags brá sólar ljósi e Fregit hefk satt, che non spezzano la tensione ma semmai ne aumentano l’impatto allorché la stessa viene scaricata tramite cavalcate perfette per scrittura ed esecuzione come Fornjóts synir ljótir at Haddingja lands lynláðum, Morðbál á flugi ok klofin mundriða hjól  o Stǫng óð gylld fyr gǫngum ræfi.
Dopo quasi un’ora di splendida musica arriva la lunghissima chiusura di matrice black doom Haldi oss frá eldi, eilífr skapa deilir, traccia che racchiude nel suo limpido scorrere tutte le anime che pulsano all’interno degli Árstíðir Lífsins.
Saga á tveim tungum I: Vápn ok viðr si rivela così l’ennesima opera superba offerta da questo gruppo di musicisti unici per la loro capacità di avvolgere il black metal di un’aura solenne ed emozionante che si stacca per approccio sia dalla tradizione scandinava, sia dalle più recenti tendenze cascadiane provenienti da oltreoceano,  offrendo una cifra stilistica difficilmente replicabile per chiuque.

Tracklist:
1.Fornjóts synir ljótir at Haddingja lands lynláðum
2.Sundvǫrpuðir ok áraþytr
3.Morðbál á flugi ok klofin mundriða hjól
4.Líf á milli hveinandi bloðkerta
5.Stǫng óð gylld fyr gǫngum ræfi
6.Siðar heilags brá sólar ljósi
7.Vandar jǫtunn reisti fiska upp af vǫtnum
8.Fregit hefk satt
9.Haldi oss frá eldi, eilífr skapa deilir

Line-up:
Árni – Drums, Percussion, Viola, Cello, Organ, Vocals, Vocals (choirs)
Stefán – Guitars, Bass, Piano, Vibraphone, Vocals, Vocals (choirs)
Marsél – Vocals, Choirs, Narration

ARSTIDIR LIFSINS . Facebook

Amber Tears – When No Trails

When No Trails (Когда нет троп) non delude le aspettative con i suoi cinque brani intensi, emozionanti e rivestiti di quella patina pagan folk che rende sufficientemente peculiare la proposta degli Amber Tears

Dopo nove anni di silenzio tornano i russi Amber Tears (Янтарные Слезы), band che tra il 2006 ed il 2010 regalò agli appassionati di doom due splendidi lavori come Revelation Of Renounced e The Key To December.

When No Trails (Когда нет троп) non delude le aspettative con i suoi cinque brani intensi, emozionanti e rivestiti di quella patina pagan folk che rende sufficientemente peculiare la proposta della band proveniente dalla lontana Penza.
Rispetto agli esordi la line up è rimasta pressoché immutata, fatto salvo il ruolo di bassista che è sempre stato l’unico soggetto a cambiamenti, e questa coesione è percepibile all’interno di un lavoro non troppo lungo e che non mostra punti deboli di sorta.
Come sempre gli Amber Tears si esprimono o lingua madre, così come la grafica e il nome stesso della band e dell’album vengono esibiti in cirillico, ma come da convenzione e per comodità utilizziamo la traslitterazione in inglese, per cui dovendo menzionare i brani chiave di When No Trails non possiamo che citare le due perle intitolate Where I Stayed e Where There Is No Spring, tracce dalla melodie struggenti e solenni che spiccano rispetto ad una scaletta comunque di assoluto livello, nella quale solo Under The Stars Light non raggiunge l’eccellenza distaccandosi forse un po’ troppo dalle coordinate abituali del sound.
Il ritorno di questa ottima band è l’ennesima buona notizia di un 2019 che che sta regalando gioie una dopo l’altra agli appassionati del doom e si può scommettere che non sia affatto finita qui …

Tracklist:
1 Спой Ветер, Спой Ворон (Sing The Wind, Sing The Raven)
2 Где Я Остался (Where I Stayed)
3 В Вихре Прошлых Дней (In The Whilwind Of The Last Days)
4 Под Светом Звезд (Under The Stars LIght)
5 Там, Где Нет Весны (Where There Is No Spring)

Line-up:
Viktor Kulikov – Drums
Dmitry Schukin – Guitars (lead)
Alexey Rylyakin – Guitars (rhythm)
Anton Bandurin – Vocals
Evgeny Zorichev – Bass

Svirnath – Dalle Rive del Curone

Le sonorità offerte da Svirnath sono del tutto in linea con le produzioni facenti capo alla brillante label tedesca Naturmacht, autentico punto di riferimento per chi voglia ascoltare black metal atmosferico nella sua accezione più pura e underground.

Arriva al secondo full length Frans, musicista lombardo/piemontese attivo anche nei validi doomsters Abyssian e nei Consolamentum,  che con il suo progetto solista Svirnath propone un black metal atmosferico e dai tratti pagan folk.

Dalle Rive del Curone, fin dal titolo, evidenzia quanto siano importanti per l’autore gli spunti derivanti dall’amore e dal rispetto per una natura che dovrebbe essere sempre parte integrante del modus vivendi di ciascuna persona.
A livello musicale l’album si snoda piuttosto bene, essendo ricco di valide aperture atmosferiche, e se mostra alcune incrinature queste vanno ricercate in uno screaming perfettibile (pur essendo una caratteristica che sembra accomunare gran parte delle uscite in quest’ambito) e in un lavoro chitarristico che nelle parti soliste mostra qualche sbavatura, a fronte di un afflato melodico tutt’altro che trascurabile. Ed è proprio limando tali aspetti che brani notevoli come la title track o L’etereo bagliore potrebbero risaltare ancor più di quanto non avvenga, in virtù di una scrittura sempre volta all’esibizione del lato più evocativo del genere.
Le sonorità offerte da Svirnath, del resto, sono del tutto in linea con le produzioni facenti capo alla brillante label tedesca Naturmacht, autentico punto di riferimento per chi voglia ascoltare black metal atmosferico nella sua accezione più pura e underground.

Tracklist:
1. Vir Naturae
2. All’ombra delle fronde
3. L’etereo bagliore
4. Dalle rive del Curone
5. Quando soffia il Maestrale
6. L’abete

Line-up:
Frans – All instruments, Vocals

SVIRNATH – Facebook

ÆRA – The Craving Within

The Craving Within è un disco che tende a perdersi nella neve, a guardare verso l’infinito, grazie anche ad un suono potente e preciso che riporta alla prima epoca del balck metal, anche se non tutto l’impianto è ortodosso.

Questo duo di stanza in Norvegia riporta il black metal allo splendore delle proprie origini, di quando raccontava della potenza della terra e del paganesimo.

Negli anni il nero metallo si è evoluto e sta continuando a progredire e ormai ha una varietà incredibile di sottogeneri e di declinazioni. Nel necessario progresso fa piacere ascoltare un album così ben fatto e con solide radici nel passato. The Craving Within è un disco che tende a perdersi nella neve, a guardare verso l’infinito, grazie anche ad un suono potente e preciso che riporta alla prima epoca del black metal, anche se non tutto l’impianto è ortodosso. The Craving Within è il primo disco sulla lunga distanza per questo duo, che vede il centro nel cileno trapiantato in Norvegia Ulf Niklas Kveldulfsson, polistrumentista eccellente oltre che ottimo compositore, mentre alla voce troviamo il nuovo membro Stein Akslen, veterano della scena norvegese. Entrambi concorrono a creare un disco che punta in alto, come detto prima, volendo ricreare un preciso stato d’animo nell’ascoltatore per portarlo in una dimensione diversa. Non ci sono pause o pezzi riempitivi, o peggio assurde e vuote manifestazioni di potenza black, ma un disco ben composto e che ha tanti elementi che lo faranno amare fin dal primo ascolto a chi ama il black metal. Ci sono canzoni che sono jam, episodi più lisergici, ma a predominare nettamente è l’aspetto classico del genere che è sempre in evidenza. Gli Æra possono essere definiti un gruppo minimale, perché anche le tastiere sono accennate, ma l’insieme è molto magniloquente e poderoso,e si ha quella sensazione di completezza che si aveva ad ascoltare un certo black metal classico, con la sicurezza propria dei grandi gruppi. The Craving Within è una poetica che guarda alla tradizione come punto fermo e al passato come fonte di insegnamento.

Tracklist
1.Skaldens Død
2.Frost Within
3.Rite of Odin
4.Profetien
5.Join Me Tomorrow
6.Norrøn Magi

Line-up
Ulf – All Instruments, songwriting
S. Akslen – vocals

ÆRA – Facebook

Ahnengrab – Schattenseiten

Un’opera che parte dal black metal e arriva in molti posti diversi, una rivelazione per chi non li conoscesse ancora, e una grande riconferma per chi li segue da tempo.

I tedeschi Ahnengrab sono al loro terzo disco, la direzione è quella del pagan black metal, con una forte dose di atmospheric e molta melodia.

La miscela musicale di questa band è molto difficile da trovare declinata in questa maniera. Il loro punto di partenza è un black pagano, ma c’è tantissima melodia e soprattutto uno sviluppo assai inusuale delle canzoni, molto al di sopra della media dei gruppi coinvolti nel genere. La questione centrale non è però tanto la qualità quanto la diversità di questo gruppo. I testi in tedesco rendono ancora più corposa ed originale la loro proposta. Ascoltando il disco si viene guidati dal sentimento e non da creazioni musicali artificiose. Ci sono grandi cavalcate che hanno insito il cuore dell’heavy power, momenti di grandioso headbanging, i classici massacri in crescendo del black metal, le stimmate del pagan e anche dei tocchi di folk. Insomma, ci sono moltissime cose per un lavoro che sa emozionare e lascia l’ascoltatore con la voglia di sentirlo ancora. I gruppi come Ahnengrab sono sempre più rari, poiché fluttuano in diversi mondi musicali e si assumono l’alto rischio di non piacere a chi si limita ad un solo genere, privandosi del piacere che può dare un disco come questo. Tutto qui è metal, si usano vari registri per arrivare a narrare storie in una certa maniera, quel modo assai caro a chi legge una webzine come questa, che potrà trovare in Schattenseiten un’autentica rivelazione. Ogni canzone fa genere e storia a sé, poiché racconta una storia diversa e le storie sono come gli uomini, ognuno è differente, è ciò che è. Un’opera che parte dal black metal e arriva in molti posti diversi, una rivelazione per chi non li conoscesse ancora e una grande riconferma per chi li segue da tempo. Sapienza compositiva superiore, grande resa e un suono fuori dal comune.

Tracklist
01. Aurora
02. Katharsis
03. K-37c
04. Phoenicis
05. Rad der Zeit
06. Herbstbeginn
07. Urknall
08. Des Weltenend’ Melancholie
09. …When Paths Separate
10. Sternenmeer

Line-up
Christoph H. – Guitar
Tom W. – Drums
Tom J. – Bass
Tibor C. – Guitar
Christoph “Fenris” L. – vocals

AHNENGRAB – Facebook

Dyrnwyn – Sic Transit Gloria Mundi

I Dyrnwyn suonano un viking folk metal molto epico con melodie struggenti, cantato in italiano e molto particolare.

Avevamo lasciato i Dyrnwyn con il loro ep Ad Memoriam del 2015, un disco che li aveva proiettati in alto nella scena viking folk metal, con i loro racconti molto coinvolgenti sull’Antica Roma.

Con questo nuovo lavoro in uscita per SoundAge Productions i nostri avanzano ulteriormente con un’opera molto convincente e curatissima in tutti i particolari. I Dyrnwyn fanno un viking folk metal molto epico, con melodie struggenti, cantato in italiano e molto peculiare. Traggono ispirazione dai grandi del genere, ma poi sviluppano una poetica tutta loro, già ben presente in nuce nei dischi precedenti, ma che arriva al suo culmine in questo Sic Transit Gloria Mundi. Come già scritto per il precedente disco la band ci porta sul campo di battaglia degli antichi romani, che sono stati uno dei popoli più complessi e multiformi della storia. Il fascino di questi conquistatori (anche se noi liguri non li abbiamo mai amati molto, si deve ammettere che ci hanno dato tanto) è narrato alla perfezione grazie all’uso del folk metal dalla forte connotazione epica, con un uso perfetto dei tempi e con aperture melodiche che rendono molto affascinante il tutto. Il viking folk metal annovera fortunatamente molti gruppi e molte tendenze diverse, ma ciò che ci danno i Dyrnwyn non è rintracciabile altrove. Canzone dopo canzone si viene totalmente avviluppati in un vortice che sale fino al cielo dove stanno gli dei, che possono essere sia benevoli che malevoli, comunque ben differenti dalle menzogne cristiane. Potrebbe forse essere inteso come escapismo l’andare a cercare un fortissimo punto di contatto con il mondo dell’Antica Roma come questo disco, e forse è proprio una fuga da questi tempi davvero brutti ed oscuri, ma è comunque bello perdersi in un disco come questo, che va ben oltre la musica. Il cantato in italiano è davvero un valore aggiunto alla musica dei Dyrnwyn, e la stessa musica è di alto livello, essendo una narrazione essa stessa. Sic Transit Gloria Mundi è un disco molto maturo ed appassionante, frutto del lavoro di un gruppo dalle idee molto chiare che si rivela fra le migliori realtà italiane in campo viking folk metal.

Tracklist
1. Sic Transit Gloria Mundi
2. Cerus
3. Parati Ad Impetvm
4. Si Vis Pacem…
5. …Para Bellum
6. L’Addio Del Primo Re
7. Il Sangue Dei Vinti
8. Feralia
9. Assedio Di Veio CCCXCVI

Line-up
Thierry Vaccher: vocals
Alessandro Mancini: guitars
Alberto Marinucci: guitars
Ivan Cenerini: basso
Ivan Coppola: drums
Jenifer Clementi: flute
Michelangelo Iacovella: keyboards

DYRNWYN – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=yCh01kLN6Og

Marrasmieli – Marrasmieli

Buona la prima, quindi, per competenza, intensità ed impatto, anche se il giudizio nei confronti dei Marrasmieli resta inevitabilmente sospeso in attesa di un’uscita più probante a livello quantitativo.

Il fatto che ci si occupi della prima uscita dei Marrasmieli, nonostante si tratti di un singolo, è motivato da due aspetti fondamentali, ovvero la lunghezza complessiva del lavoro che raggiunge i venti minuti, durata buona anche per un ep, oltre al fatto che l’etichetta che ne cura l’uscita è la Naturmacht, quanto basta perché il tutto sia meritevole d’attenzione.

Ce ne sarebbe in realtà un terzo, ma quello lo si può scoprire solo a posteriori, cioè la bontà oggettiva dell’operato di questo trio finlandese, capace di disimpegnarsi abilmente con un pagan black ricco di buon gusto melodico e compositivo.
La traccia autointitolata presenta in maniera esemplare questi aspetti , senza accentuare certi elementi folk che si palesano invece nella più lunga e diretta What Nature Fears, nella quale i nostri sconfinano a tratti nei territori di competenza dei Finntroll, anche se si percepisce sempre un’impronta più marcatamente estrema rispetto ai profeti dell’’humppa metal.
Buona la prima, quindi, per competenza, intensità ed impatto, anche se il giudizio nei confronti dei Marrasmieli resta inevitabilmente sospeso in attesa di un’uscita più probante a livello quantitativo.

Tracklist:
1. Marrasmieli
2. What Nature Fears

Line-up:
Nattvind – vocals & drums
Zannibal – guitars
Maelgor – bass

MARRASMIELI – Facebook

Ash Of Ashes – Down The White Waters

Album che piacerà agli amanti dei suoni folk metal, epici e black, Down The White Waters ci chiede di riservare un po’ del nostro tempo alle sue composizioni, così da ritrovarci in un altra dimensione, galleggiando in un mare di emozioni pagane ed epiche.

Cultura pagana ed heavy metal, un connubio che negli anni ha donato grande musica epica, poi attraversata da tempeste estreme arrivate dal grande nord.

Epic folk metal dai rimandi pagani è a grandi linee il sound del duo tedesco Ash Of Ashes, al debutto con Down The White Waters, lavoro degno di menzione in virtù dell’esibizione di un buon talento nel creare mid tempo epici e guerreschi in un contesto atmosferico.
Ovviamente la parte metal è di derivazione viking black, poi alleggerita da una valanga di melodie che lasciano spazio anche agli ascoltatori di generi meno estremi, grazie anche alla voce evocativa, che duetta per gran parte dell’album con quella di stampo estremo.
In Down The White Waters l’epicità si tocca con mano, l’alternanza tra parti viking black metal, folk e melodic death è l’arma con cui il duo conquista le terre nemiche, creando un’atmosfera leggendaria.
Molto belli sono i brani che riescono a far convivere tutte le anime del sound sotto la spessa coltre di epicità: la band sorprende per il songwriting di buon livello già dal primo album, con picchi come Flames Of The Horizon, Sea Of Stones e gli ultimi due movimenti prima della chiusura: le splendide The Queen’s Lament (The Lay Of Wayland) e Chambers Of Stone (The Lay Of Wayland).
Album che piacerà agli amanti dei suoni folk metal, epici e black, Down The White Waters ci chiede di riservare un po’ del nostro tempo alle sue composizioni, così da ritrovarci in un altra dimensione, galleggiando in un mare di emozioni pagane ed epiche.

Tracklist
01. Down The White Waters
02. Flames On The Horizon
03. Ash To Ash
04. Sea Of Stones
05. Springar
06. Seven Winters Long (The Lay Of Wayland)
07. In Chains (The Lay Of Wayland)
08. The Queen’s Lament (The Lay Of Wayland)
09. Chambers Of Stone (The Lay Of Wayland)
10. Outro

Line-up
Skaldir – Vocals, guitars, keyboards, bass
Morten – Lyrics, vocals

ASH OF ASHES – Facebook

Naudiz – Wulfasa Kunja

Un disco come questo riporta alla sorgente stessa del concetto di black metal, dato che ha in sé tutte le caratteristiche migliori del genere.

Puro, devastante e senza compromessi black metal pagano, che più nero e pagano non si potrebbe.

Gli italiani Naudiz tornano con un secondo disco per la Iron Bonehead Productions, ed alzano ulteriormente l’asticella rispetto al disco precedente, Aftur till Ginnungagaps, che era già su ottimi livelli. Il black metal dei Naudiz è di concezione classica, ovvero chitarre non troppo distorte ma belle corpose e veloci, voce in clean e potente, e batteria al fulmicotone. Il risultato è molto interessante, regalando un gran disco di black metal, come è sempre più difficile ascoltarne. Con ciò qui non si vuole affermare che fosse meglio prima, anche perché il black metal ha moltissime declinazioni, e bisogna ascoltare caso per caso. Un disco come questo riporta alla sorgente stessa del concetto di black metal, dato che ha in sé tutte le caratteristiche migliori del genere. Wulfasa Kunja è soprattutto un disco pagano, che descrive il mondo e la religione nordica con competenza, come fanno i Naudiz fin dal primo disco. Non si sa granché di questo gruppo, ma non interessa nemmeno, dato che la potenza e la godibilità di questo lavoro sono molto esaurienti di per sé. Gli argomenti trattati sono tutti inerenti alla mitologia nordica, un substrato antichissimo che non è mai veramente morto, e che ha resistito più tenacemente delle nostre tradizioni pagane, che invece hanno perso molto presto la battaglia con il cristianesimo. Il mondo descritto in questo disco è radicalmente differente dal nostro, è più vicino di noi al caos primordiale, e sa che prima o poi finirà, e non ci sarà nessuna ricompensa. I Naudiz sono bravissimi nel mettere in musica questo differente sentire, che è maggiormente veritiero rispetto alle nostre menzogne quotidiane. Siete pronti per un ragnarok di black metal ? Una delle migliori uscite di quest’anno per il vero black metal.

TRACKLIST
01 Garmr
02 Vali ok Nari
03 Jarnvidr
04 Angrboda
05 Loki
06 Geri ok Freki
07 Vanargandr
08 Wulfasa Kunja

LINE-UP
ᛗᚲ: Guitars
ᚢᛞ: Bass, Vocals
ᛗᛞ: Drums

NAUDIZ – Facebook

The Howling Void – Runa

Dopo tre dischi nel segno di un funeral doom dai tratti atmosferici, i The Howling Void decidono di esplorare nuove strade con il chiaro intento di ritrovare un ulteriore impulso dopo il poco convincente full-length risalente allo scorso autunno.

Nell’esaminare The Womb Beyond the World, infatti, non si poteva fare a meno di notare che la creatività di Ryan (unico titolare del progetto) sembrava essersi progressivamente affievolita e, per assurdo, l’aver pubblicato un esordio di indiscutibile valore come “Megaliths Of The Abyss” pareva aver provocato nel musicista statunitense l’ansia di non riuscire più ad esprimersi a quei livelli. Il recente disco uscito per la Solitude era formalmente impeccabile, ma incapace di trasmettere emozioni all’ascoltatore, difetto tutt’altro che marginale per un genere fondato sul pathos come il funeral doom. Per fortuna, però, quella che era apparsa come un’irreversibile stasi creativa è stata smentita dal contenuto di questo breve Ep, fatto di due sole tracce per poco più di un quarto d’ora di durata, sufficienti però per mostrare la ritrovata vena di Ryan, nonché la sua ammirevole onestà nel rifiutare l’appiattimento su standard compositivi confortevoli ma privi di alcun tipo di sbocco. Certo, il cambio di rotta è netto quanto sorprendente, se pensiamo che, ascoltando Irminsûl e Nine Nights, il primo accostamento che viene in mente è quello con i Moonsorrow: è pacifico, però, che il retaggio doom dei The Howling Void non viene meno e che l’elemento folk inserito in tale contesto possiede, comunque, uno sviluppo diverso rispetto a quello dei maestri finnici, nei quali la base estrema è invece riconducibile al black metal. La scelta di Ryan implica, dunque, la rinuncia totale al growl, rimpiazzato da clean vocals sufficientemente evocative, ma soprattutto il recupero di una vena melodica sacrificata nell’ultima uscita a scapito di interlocutori passaggi di stampo ambient. Tutto questo non può che essere salutato con favore da chi, solo quattro anni fa, aveva individuato The Howling Void come uno dei nomi emergenti della scena doom; infatti, è tutto sommato lecito pensare che questo cambio di rotta non verrà considerato come un’abiura delle proprie radici, visto che le caratteristiche peculiari del sound non vengono del tutto meno, pur se veicolate in maniera differente. Bene così, dunque, per il bravo Ryan; con queste premesse il prossimo full-length potrebbe rilanciare in maniera definitiva le quotazioni del suo progetto.

Tracklist :
1. Irminsûl
2. Nine Nights

Line-up : Ryan – All Instruments, Vocals

THE HOWLING VOID – Facebook