Zebrahead – Brain Invaders

Un album molto piacevole, uno dei migliori episodi della discografia di un gruppo dato per morto tante volte ma che spinge sempre.

Certe cose non cambiano mai, metti l’ultimo disco dei Zebrahead e non riesci a stare fermo, e ciò succede dal 1995 quando furono fondati in California nella Orange County. Con questo fanno tredici dischi e non si vede il motivo per smettere, anzi.

La loro mistura di pop punk, un nu metal leggero ed hardcore melodico continua a far divertire molte persone in giro per il globo, ora come venti anni fa. Il segreto dei Zebrahead è fare musica veloce e da cantare a squarciagola, prendendo la velocità dell’hardcore melodico, la melodicità del pop punk e passaggi di numetal e rapcore che permettono di fare un suono originale. Brain Invaders è la conferma che la formula è vincente, anche perché questa opera è decisamente la migliore dell’ultimo periodo della loro discografia, se non addirittura sul podio. Questo è un suono decisamente americano, in apparenza facile, ma invece racconta cose non semplici da dire, come il gran bel messaggio del singolo All My Friends Are Nobodies, ovvero stare vicino a chi vuoi bene anche se non sei tu stesso in un bel periodo, inoltre il singolo è una bellissima traccia che racchiude tutto ciò che sono i Zebrahead: velocità, messaggio e divertimento. Questo gruppo è pressoché indistruttibile, ha avuto vari cambi di formazione, ha pubblicato con major per arrivarsi ad autoprodursi come ora. Inoltre sono uno dei gruppi rock metal fra i più amati dai giapponesi, infatti il disco uscirà prima in Giappone che nel resto del mondo, dato che da quelle parti hanno sempre avuto buon gusto per il rapcore ed affini. Alcuni diranno che è il segno dei tempi, invece la normalità è ora, mentre venti anni fa era una bolla di pazza megalomania che doveva scoppiare ed è scoppiata. Ora gli Zebrahead hanno il controllo totale ed i risultati sono eccellenti, come testimonia questo disco che non è assolutamente fuori tempo massimo e, anzi, dimostra che certi suoni se fatti con passione e cura sono molto attuali. I riempitivi in questo lavoro sono al massimo uno o due, il resto sono tutti potenziali singoli, con una manciata di episodi che valgono l’intero disco. Chi era già in giro venti anni fa potrà riscoprire fragranze e suoni che sembravano essere andati persi, invece per i più giovani sarà una scoperta non da poco. I Zebrahead sono in gran forma e il tutto viene messo in risalto da una produzione davvero potente, che confeziona un suono fresco ed immediato. Un album molto piacevole, uno dei migliori episodi della discografia di un gruppo dato per morto tante volte ma che spinge sempre.

Tracklist
1. When Both Sides Suck, We’re All Winners
2. I Won’t Let You Down
3. All My Friends are Nobodies
4. We’re Not Alright
5. You Don’t Know Anything About Me
6. Chasing the Sun
7. Party on the Dancefloor
8. Do Your Worst
9. All Die Young
10. Up in Smoke
11. Ichi, Ni, San, Shi
12. Take A Deep Breath (And Go Fuck Yourself)
13. Better Living Through Chemistry
14. Bullet on the Brain

Line-up
Ali Tabatabaee – vocals
Dan Palmer -guitar
Ben Osmundson -bass
Ed Udhus – drums/beer
Matty Lewis – vocals/guitar

ZEBRAHEAD – Facebook

Engst – Flächenbrand

Flächenbrand offre undici brani molto fruibili, definibili a buon titolo “leggeri” ma non banali: questo perché Engst conferma le proprie qualità vocali mettendole al servizio di un sound che scorre con mirabile fluidità.

I tedeschi Engst si propongono con forza e convinzione come la potenziale prossima nuova sensazione del pop rock mondiale.

Se già questa presentazione può mettere sul chi vive chi legge, va subito ribadito che in un lavoro come Flächenbrand le ruvidezze sono molto attenuate visto che il focus della band è la creazione di melodie accattivanti e di rapida assimilazione, ma non è detto che ciò debba essere considerato necessariamente un male.
Questa giovane band tedesca risulta infatti già simpatica fin dalla sua genesi, che prende le mosse dal successo in un talent tedesco del vocalist Matthias Engst, il quale ha rifiutato il classico contratto propostogli, volto a renderlo uno dei tanti polli d’allevamento del business musicale, per provare una strada più irta di difficoltà come fondare una band propria e cercare il successo senza utilizzare scorciatoie; indubbiamente, però, la fama acquisita presso il grande pubblico ha aiutato il nostro a richiamare l’attenzione della Arising Empire, sub label della Nuclear Blast specializzata un sonorità modern/alternative, tramite la quale la band si affaccia sul mercato con questo interessante esordio.
Flächenbrand offre undici brani molto fruibili, definibili a buon titolo “leggeri” ma non banali: questo perché Engst conferma le proprie qualità vocali mettendole al servizio di un sound che scorre con mirabile fluidità, toccando l’enfasi melodica dei Mono Inc. nelle canzoni più intimiste, la ruvidezza patinata dei Nickelback e del pop punk più adulto alla Offspring/Green Day, con il valore aggiunto del cantato in lingua madre che conferisce quel minimo di “durezza” in più al sound attenuandone sensibilmente il tasso glicemico.
Nel momento in cui accettiamo che il rock possa rivolgersi ad un pubblico più ampio, sottraendo magari qualche ragazzo a certa immondizia musicale in auge di questi tempi, una proposta come quella degli Engst non può che essere la benvenuta in quanto esplicita per intenti e cristallina per pulizia e talento dei giovani musicisti coinvolti.

Tracklist:
1. Ich steh wieder auf
2. Der Moment
3. Eskalieren
4. Optimisten
5. Ein Sommer in den Charts
6. Der König
7. Ist mir egal
8. Fremdes Elend
9. Morgen geht die Welt unter
10. Mit Raketen auf Spatzen
11. Träumer & Helden

Line-up:
Matthias Engst – Voce
Ramin Tehrani – Chitarra
Alexander Köhler – Basso
Yuri Cernovlov – Batteria

ENGST – Facebook

Settle Your Scores – Better Luck Tomorrow

Dischi come questo sono sempre più difficili da sentire, perché nel pop punk la tentazione di rendere il tutto molto mieloso è sempre presente, invece qui le chitarre viaggiano veloci e la batteria mena, e non sbagliano un ritornello.

I Settle Your Scores sono i diretti discendenti della scuola americana del pop punk veloce che prende qualcosa dal melodic hardcore.

Nati nel 2014, hanno debuttato nel 2016 con il disco The Wilderness, e si sono posti all’attenzione prima della scena del Midwest, poi di quella nazionale e non solo. E non potrebbe essere altrimenti ascoltando questo Better Luck Tomorrow, un disco di pop punk veloce, calibrato e dalle grandi melodie, che non manca di cattiveria quando serve, facendone un prodotto notevole. Una delle peculiarità maggiori del gruppo è il cambiare repentinamente e molto bene la velocità ed il tono della canzone, per arrivare ad un ritornello che ti rimane stampato in testa per molto tempo. I Settle Your Scores sono figli delle grandi suburbie americane, che tanto hanno dato alla musica negli anni, quando la noia regna, chi vuole fare qualcosa suona e spesso il risultato è ottimo come in questo caso. La band regala divertimento, velocità e tante melodie, con stile ed intelligenza, inserendosi in una certa tradizione, ma aggiungendo qualcosa di nuovo che rende più saporito il tutto. Ogni canzone è un potenziale singolo e Better Luck Tomorrow  è uno dei migliori album di pop punk che potrete sentire negli ultimi anni. Dischi come questo sono sempre più difficili da incontrare, perché nel pop punk la tentazione di rendere il tutto molto mieloso è sempre presente, invece qui le chitarre viaggiano veloci, la batteria mena e non c’è un ritornello sbagliato.

Tracklist
1. On the Count of Three
2. Zero Hour
3. Growing Pains – Throwing Blame
4. Dead Man Stalking
5. Keep Your Chin Up and Your Expectations Down
6. Stuck in the Suburbs
7. Rise Fall
8. Off / On
9. No Ragrets
10. Your Teeth vs. the Pavement
11. Valar Morghulis
12. My Reason to Come Back Home

Line-up
Christian Fisher – vocals
Ricky Uhlenbrock -guitar/vocals
Patrick Bryant – guitar
Jeffrey Borer – bass
Caleb Smith – drums

SETTLE YOUR SCORES – Facebook

Out In Style – Broken Dreams

Una certa maniera di fare punk degli anni novanta non è passata inosservata dalle nuove generazioni, e si può ben affermare che un gruppo come gli Out In Style avrebbero fatto una gran figura anche negli anni d’oro del genere.

Pop punk di alta qualità, melodico e veloce come deve essere per questo gruppo internazionale, che è diviso fra Canada e Brasile, e hanno inciso in Italia al Titan’s Lab di Ferrara.

La qualità è molto alta, il gruppo brasiliano (chiamiamolo così per facilità ), sa benissimo dove andare e lo fa con decisione e stile riprendendo il loro nome. Le composizioni delle tracce sono in pieno stile pop punk anni novanta, per cui nessun accordo mollo o batteria quasi inesistente come usa nel pop punk moderno, qui la batteria è quasi sempre in doppia cassa, e le chitarre assieme al basso vanno a mille, e tutto il gruppo gira benissimo. Una certa maniera di fare punk degli anni novanta non è passata inosservata dalle nuove generazioni, e si può ben affermare che un gruppo come gli Out In Style avrebbero fatto una gran figura anche negli anni d’oro del genere. Broken Dreams è un disco molto bello e divertente anche quando parla di cose non piacevoli, e non sono poche in questo disco. La disillusione che porta a fare sbagli ancora maggiori, anche la bottiglia che può peggiorare il tutto, ma per gli Out In Style giustamente c’è ancora speranza. La rabbia e la voglia di divertirsi possono essere due sentimenti in contrasto che però guidano a fare cose buone. Il disco giusto per chi ama il pop punk fatto bene come lo fanno questi ragazzi da Curitiba in questo bel lavoro, che non fa gridare al miracolo ma fa cantare tutti i ritornelli e non è affatto poco.

Tracklist
1. Looking for you
2. Straight and fast
3. Dreaming
4. Ellie
5. Lucid Dream
6. Glass
7. Just before dawn
8. Dead end
9. Interlude
10. O’Brein
11. Your smile
12. Blindfolded
13. Drinking in hell
14. The great perhaps

Line-up
João Xavier : vocals/bass
Marlos Andrews : guitar
Ricardo Niemicz : drums

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Across The Atlantic – Works Of Progress

Il pop punk in questa maniera lo sanno fare solamente in America, ed è un qualcosa che va fortissimo nelle radio punk e metal, specialmente quelle del circuito dei college.

Gli Across The Atlantic vengono fuori dal tumultuoso underground texano, e più precisamente da San Antonio.

La loro proposta musicale è un pop punk con spruzzate di post hardcore, con molta energia e rivolto principalmente ad un pubblico giovanile. Le linee melodiche di Works Of Progress tengono molto bene e il disco scorre facilmente, con ritornelli e stacchi che rimangono in testa, e con un gran sapore di dolcezza. Il pop punk in questa maniera lo sanno fare solamente in America, ed è un qualcosa che va fortissimo nelle radio punk e metal, specialmente quelle del circuito dei college. Negli Across The Atlantic possiamo trovare oltre a tutto ciò anche una buona dose di post hardcore, specialmente nei giochi di rimando fra voce melodica e voce più grezza. La composizione del disco è di buon livello, i texani hanno già capito molto bene cosa può funzionare e cosa no, e dalla loro hanno una notevole energia. Questo lavoro piacerà a chi già segue questo genere e ha dimestichezza, e farà sicuramente nuovi proseliti per chi si avvicinerà a queste sonorità con questo disco. La Sharptone Records, sussidiaria della Nuclear Blast Records, sta costruendo un roster interessante di gruppi che spaziano dal metalcore al pop punk e post hardcore come appunto gli Across The Atlantic. Un disco come Works Of Progress mancava in questa carrellata, ed è anche figlio del gran lavoro che ha fatto per emergere questo gruppo che ha tutte le carte in regola per spiccare il volo.

Tracklist
1. Prelude
2. Playing For Keeps
3. Sundress Funeral
4. Cutting Corners
5. Chin Up
6. 24 Hours
7. Word of Mouth
8. Self (less)
9. Starting Over
10. Blind Eyes
11. Works Of Progress

Line-up
Jay Martinez- Vocals
Jason Lugo- Guitar
Julio Bautista- Guitar
Jayy Garza- Bass
Cody Cook- Drums

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