Sense Of Fear – As the Ages Passing By…

As the Ages Passing By… è un buon album di metal classico, i riferimenti partono dagli Iron Maiden fino ad abbracciare il sound di scuola statunitense, con Iced Earth e Sanctuary padrini indiscussi del sound dei Sense Of Fear.

Oscurità e potenza, una forza sprigionata da un’onda d’urto power/thrash di notevole impatto in pieno rispetto della tradizione metallica, tra scuola europea e statunitense.

Questo in poche parole risulta As the Ages Passing By…, debutto su lunga distanza dei Sense Of Fear, quintetto attivo da anni come Holy Prophecy e dal 2013 a procurar battaglia con il nuovo monicker.
Un solo ep omonimo a precedere questa lunga mazzata che, se riesce a tratti ad esaltare con duetti chitarristici di scuola maideniana, ritmiche power ed atmosfere alla Iced Earth, lascia qualcosina a causa della prolissità, ma sono dettagli perché l’album come detto non manca di inorgoglire i defenders cresciuti a pane e heavy/power metal.
Album old school ma dalla produzione moderna (l’album è stato registrato ai Valve Studio da Stratos “Strutter” Karagiannidis in Grecia, per poi essere mixato e masterizzato in Germania da R.D. Liapakis e C. Schmid), As the Ages Passing By… è un mastodontico pezzo di granito metallico, i brani sono strutturati su potentissime ritmiche ed atmosfere oscure e drammatiche care alla band di Jon Schaffer, le chitarre svolgono un lavoro di coppia assai riuscito e la voce teatrale e drammatica ricorda quella dei vocalist di scuola americana, potenti e molto interpretativi.
Bellissima Slaughter Of Innocence, la traccia che più riassume il credo musicale del gruppo greco, seguita dall’inno metallico Agent Of Steel e dalla super ballatona The Song Of A Nightingale.
La title track chiude il lavoro con i suoi nove minuti di cavalcata in crescendo, confermando la buona vena del gruppo, anche se qualche brano verso il finale non brilla come nel corso dell’inizio pirotecnico dell’album.
As the Ages Passing By… è un buon album di metal classico, i riferimenti partono dagli Iron Maiden fino ad abbracciare il sound di scuola statunitense, con Iced Earth e Sanctuary padrini indiscussi del sound dei Sense Of Fear.

Tracklist
1.Molten Core
2.Slaughter of Innocence
3.Black Hole
4.Angel of Steel
5.The Song of a Nightingale
6.Torture Of Mind
7.Lord Of The World
8.Unbreached Walls
9.Sense Of Fear
10.As the Ages Passing By, Time Still Runs Against Us

Line-up
Ilias Kytidis – Vocals
Giannis Kikis – Guitar
Themis Iakovidis – Guitar
Dimitris Gkatziaris – Bass
Markos Kikis – Drums

SENSE OF FEAR – Facebook

Crossing Eternity – The Rising World

Un power metal molto classico con l’aspirazione di ricercare nuove sonorità.

I Crossing Eternity ci presentano The Rising World, primo lavoro per il trio multietnico che fa faville e ci dimostra che l’esperienza conta moltissimo nel loro sound.

Loro non sono affatto giovani, quindi di esperienza ne hanno anche un bel po’. Questo primo disco, composto da 13 tracce uscirà il prossimo 15 giugno sotto l’etichetta Rockshots Records (che ha lavorato con Dark Tranquillity, Lordi, Tristania, Venom e Vision Divine, tanto per citarne alcuni). Due delle tracce sono già disponibili per l’ascolto perché sono state rilasciate come singoli in due date separate.
Il sound non è di certo particolarmente innovativo, in generale le composizioni si attengono ad un power metal abbastanza old-style a cui vengono fatte delle piccole aggiunte, ma senza stravolgere nulla. Per la maggior parte si tratta di svariati strumenti percussivi che si sovrappongono alla sezione ritmica principale. Curiosa la scelta di inserire in due brani addirittura dei timpani. Il brano che li caratterizza di più è probabilmente l’omonimo Crossing Eternity, mentre il più discostato dal genere principale è certamente Kingdome Come, che prende tratti molto più folk metal. Anche i testi rispecchiano alla perfezione il genere suonato.
Ma i Crossing Eternity dopotutto piacciono. Certo, essere un trio è degno di nota, dato che il power prevede generalmente una formazione di 5 o 6 elementi (in alcuni casi anche 7). È chiaro che i suoni sono molto buoni, specialmente per un primo disco: ci auguriamo che il loro misticismo si possa rafforzare e che il tentativo di studiare nuove sonorità da inserire nel genere abbia successo.

Tracklist
1. Crossing Eternity
2. Ghost Of A Storm
3. Sand In The Sky
4. High above the crown
5. Kingdome Come
6. Embrace Your Voices
7. Journey To The End Of Dreams
8. Winter Poem
9. Haunted
10. Dreams Fall
11. Angles Cry, Rainbows Hide
12. Spirit Of The Forest
13. War Of Gods

Line-up
Berti Barbera – Vocal/Percussion intruments
Manu Savu – Guitar/ Bass/ Keyboards
Uffe Tilman – Drums

CROSSING ETERNITY – Facebook

Novareign – Legends

I Novareign sono bravissimi, l’album è prodotto alla perfezione, David Marquez ha una bellissima voce, ma Legends rimane un lavoro dedicato ai fans del tecnicismo esasperato portato in un contesto power/prog: tanta tecnica e pochissime emozioni, peccato.

E’ forse iniziata una nuova era per il power metal, le battaglie non si vincono più trascinati dalle note degli eroi tedeschi o scandinavi, ormai tramontati o fermi a ricreare vecchie atmosfere.

Le nuove leve non guardano più con occhi luccicanti la seconda generazione di band che a metà degli anni novanta fecero tornare in auge i suoni classici, specialmente nella vecchia Europa, dal power teutonico dei Gamma Ray, al progressive power metal dei Symphony X, dall’epico incedere delle opere a tema storico dei grave Digger, all’eleganza compositiva dei fenomenali Angra di sua maestà Andrè Matos.
Qualche anno dopo, passato il momento d’oro, si affacciarono sul mercato band come gli inglesi Dragonforce di Hernan Li, band di maestri dello strumento che portarono all’esasperazione virtuosismo e velocità, con cascate di solos al limite dello shred.
E sono proprio i Dragonforce la band che più ha ispirato la creazione del primo lavoro dei Novareign, gruppo in arrivo dagli States che, con Legends, cerca di rubare cuori tra le fila dei defenders, ancora in un angolo a leccarsi le ferite dopo la scorpacciata di ottimi lavori usciti qualche hanno fa e che solo la reunion degli Helloween e il conseguente tour ha in parte lenito.
Legends mette la prima, accenna una sgommata e per un’ora abbondante travolge tra cascate di note e ritmiche alla velocità della luce, tra power metal diretto e scale progressive tecnicamente scintillanti.
Il problema di questo lavoro è lo stesso dei tanti album dei Dragonforce: alla lunga i brani sembrano tutti uguali, partono, si mettono sulla corsia di sorpasso e ci rimangono non scendendo di velocità, come in un virtuale viaggio lungo una strada che per centinaia di chilometri è assolutamente dritta e ci contorna dello stesso paesaggio.
I Novareign sono bravissimi, l’album è prodotto alla perfezione, David Marquez ha una bellissima voce, ma Legends rimane un lavoro dedicato ai fans del tecnicismo esasperato portato in un contesto power/prog: tanta tecnica e pochissime emozioni, peccato.

Tracklist
1.Call On the Storm
2.Mace of A Fist
3.Beyond the Cold
4.Heavy Heart
5.Skyline
6.To Wander the Stars
7.The Builder
8.Black As the Dead of Night
9.Legends

Line-up
David Marquez – Vocals
Danny Nobel – Guitars
Balmore Lemus – Guitars
Moises Galvez – Bass
Paul Contreras – Drums

NOVAREIGN – Facebook

Emerald Sun – Under The Curse Of Silence

Rage, Firewind e Gamma Ray: se siete fans di questi gruppi troverete in Under The Curse Of Silence un vostro fedele alleato, colmo com’è di cavalcate arrembanti e mid tempo forgiati sul monte dove dimorano gli dei. Un album con alti e bassi consigliato solo ai fans accaniti del genere che potranno ritrovarci tutti gli stratagemmi usati ed abusati dalle band storiche dei suoni power.

Il power metal classico, ormai lasciato ad agonizzare nelle sabbie mobili dell’underground, continua a faticare per riemergere sul mercato come una ventina d’anni fa , anche se i gruppi validi non mancano, specialmente nel sud Europa che sembra ormai diventata la culla del genere scalzando Germania e Scandinavia.

La mappa del power metal si è spostata sulle rive del Mediterraneo, con l’Italia in primissimo piano e la Spagna e la Grecia a seguire.
Gli Emerald Sun provengono proprio dalla terra del Monte Olimpo e sono attivi invero già dalla fine del secolo scorso, con tre full length pubblicati prima di questo ultimo capitolo intitolato Under The Curse Of Silence.
Il sestetto proveniente da Salonicco torna dunque all’assalto con il suo power metal che si nutre di tutti i cliché del genere nato in territorio tedesco, ma che non disdegna a tratti qualche finezza alla Firewind, sovrani del power metal ellenico.
Il problema di questo lavoro è la durata, quasi un’ora di suoni ed atmosfere che si ripetono senza oltrepassare la soglia della sufficienza, problema che diventa serio dopo una quarantina di minuti persi tra mid tempo, solos melodici, accelerazioni e doppia cassa che va di pari passo con chorus epici.
Un taglio alla track list avrebbe giovato ad un album che parte bene con Kill Or Be Killed, All As One e Carry On, ha nell’epica e battagliera Weakness And Shame il punto più alto e poi però comincia a perdere colpi fino ad arrivare alle ultime battute zoppicando non poco.
Rage, Firewind e Gamma Ray: se siete fans di questi gruppi troverete in Under The Curse Of Silence un vostro fedele alleato, colmo com’è di cavalcate arrembanti e mid tempo forgiati sul monte dove dimorano gli dei. Un album con alti e bassi consigliato solo ai fans accaniti del genere che potranno ritrovarci tutti gli stratagemmi usati ed abusati dalle band storiche dei suoni power.

Tracklist
01.Kill Or Be Killed
02.All As One
03.Carry On
04.Blast
05.Weakness And Shame
06.Journey Of Life
07.Rebel Soul
08.Land Of Light
09.Slaves To Addiction
10.Fame
11.World On Fire
12.La Fuerza Del Ser (bonus Track)

Line-up
Fotis “Sheriff” Toumanides – Bass
George Baltas – Drums
Paul Georgiadis – Guitars
Johnnie Athanasiadi – Guitars
Sefis Gioldasis – Keyboards
Stelios “Theo” Tsakirides – Vocals

EMERALD SUN – Facebook

Hexx – Quest For Sanity & Watery Gates

Power/thrash statunitense, selvaggio e feroce, ruvido e glorificato dal dio metallo: il sound del gruppo era quanto di più amato dai kids sfuggiti ai lustrini del Sunset Boulevard, figlio del metal classico potenziato da iniezioni letali di speed/thrash.

Tra il 1988 e il 1990 prima che il full length Morbid Reality (uscito nel 1991) concludesse la prima fase della loro carriera, ripresa una quindicina d’anni dopo, i thrashers americani Hexx licenziarono questi due ep, Quest For Sanity (1988) e Watery Graves (1990).

La Vic Records ristampa in un unico formato i due storici lavori, così che il gruppo californiano, dopo il buon ritorno sulla lunga distanza dello scorso anno (Wrath Of The Reaper) ,torna a far parlare di sè dopo una lunga sosta ai box.
Band di culto nel panorama power/thrash statunitense, gli Hexx sono tornati in pista con una formazione rinnovata rispetto all’epoca dell’uscita di questi brani: d’altronde sono passati trent’anni, il metal classico ha vissuto il periodo buio dei primi anni novanta e dell’inizio del nuovo millennio, non ha mai mollato è sopravvissuto nell’underground e continua la sua missione tra alti e bassi.
Ai tempi era tutta un’altra cosa, ed una band come gli Hexx era venerata dai fans, fresca del capolavoro Under The Spell uscito nel 1986.
Il sound del gruppo, un power/thrash statunitense, selvaggio e feroce, ruvido e glorificato dal dio metallo, era quanto di più amato dai kids sfuggiti ai lustrini del Sunset Boulevard, figlio del metal classico potenziato da iniezioni letali di speed/thrash.
La band all’epoca era un quartetto, con il chitarrista Dan Watson ed il batterista Jon Shafer, unici superstiti nella formazione che ha registrato l’ultimo album.
Una produzione in linea con le uscite dell’epoca ed una grinta invidiabile da parte del gruppo, fanno di questa operazione un buon modo per rituffarsi nel metal di fine anni ottanta.

Tracklist
1.Racial Slaughter
2.Sardonicus
3.Fields Of Death & Mirror Of The Past
4.Twice As Bright
6.Watery Graves
7.Edge Of death
8.Under The Spell

Line-up
Bill Peterson – Bass
John Shafer – Drums
Dan Watson – Guitars
Clint Bower – Guitars, Vocals

Current Line Up:
Eddy Vega – vocals
Dan Watson – guitars
Bob Wright – guitars
Mike Horn – bass
John Shafer – drums

URL Facebook
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Descrizione Breve

Tezza F. – A Shelter From Existence

L’album è vario, non stanca e ci riporta per un’ora nel clima classico e fiero del genere suonato una ventina d’anni fa dai primi Rhapsody, Gamma Ray, Blind Guardian ed Edguy.

Power metal melodico e sinfonico il giusto, epicissimo e che non rinuncia a correre veloce e potente, sullo stile delle uscite che infiammarono i cuori del true defenders di metà anni novanta.

Questo è più o meno il sunto dell’ottima proposta di Filippo Tezza, cantante dei Chronosfear e bassista-cantante degli Empathica, giunto al secondo lavoro del suo progetto solista, attivo dal 2006 e firmato Tezza F.: A Shelter From Existence segue di sei anni il primo album autoprodotto, The Message (…A Story Of Agony, Hope and Faith…) che gli valse la firma con Heart Of Steel Record.
Aiutato da Michele Olmi (Chronosfear, SpellBlast) alla batteria e da Davide Baldelli (Chronosfear), alle tastiere su tre brani,  il polistrumentista e songwriter nostrano dà vita ad un ottimo album incentrato su sonorità classiche, dalle varie impostazioni vocali che sconfinano nello scream di stampo black metal e dove non mancano parti cantante in italiano.
Epico, composto da brani medio lunghi ma non prolissi e piacevoli nella loro fluidità, A Shelter From Existence si rivela un lavoro riuscito, fresco e ben fatto, anche se ovviamente ispirazioni ed influenze sono chiare nel loro seguire i trademark del power metal melodico.
L’album è vario, non stanca e ci riporta per un’ora nel clima classico e fiero del genere suonato una ventina d’anni fa dai primi Rhapsody, Gamma Ray, Blind Guardian ed Edguy.
Tezza dimostra di saperci fare, confezionando un piccolo gioiello classico e lo valorizza con la bellissima suite Of Life And Death Opera, quindici minuti che riassumono in maniera impeccabile il credo musicale del progetto, tra orchestrazioni, ripartenze fulminee, mid tempo epici e tutto quello che gli amanti di queste sonorità vogliono trovare all’ascolto di un’opera del genere.
A Shelter From Existence risulta così una gradita sorpresa e un altro passo assolutamente riuscito per il musicista veronese.

Tracklist
01. The Dawn of Deliverance – intro
02. Nailed to My Dreams
03. A New Dimension
04. Gates To Worlds Unknown
05. Gleams Of Glory
06. Across The Sky
07. The Shelter
08. Rise and Fall
09. Of Life and Death Opera

Line-up
Filippo Tezza – all vocals, all instruments, programming, compositions, lyrics
Michele Olmi – Drums
Davide Baldelli – Keyboards (2,5, 6)

TEZZA F. – Facebook

Airborn – Lizard Secrets: Part One – Land of the Living

Questo 2018 in casa Airborn è un anno che potrebbe regalare grandi soddisfazioni, alla luce di questo bellissimo lavoro intitolato Lizard Secrets: Part One – Land of the Living, che va a rimpinguare una discografia di alta qualità,

E’ tempo per una nuova uscita targata Airborn, power band tricolore che gli amanti del genere ricorderanno attiva già dalla metà degli anni novanta, periodo che preparò la scena metal ad un ritorno in grande stile delle sonorità classiche, almeno in Europa.

E il gruppo piemontese era lì ad infiammare una scena nazionale che poteva contare su ottimi talenti a discapito di mezzi non ancora al top come in questi anni; questo 2018 in casa Airborn è un anno che potrebbe regalare grandi soddisfazioni, alla luce di questo bellissimo lavoro intitolato Lizard Secrets: Part One – Land of the Living, che va a rimpinguare una discografia di alta qualità.
L’album, come si intuisce, è il primo capitolo di una trilogia e vede all’opera graditi ospiti (Claudio Ravinale dei Disarmonia Mundi, Jan Bertram dei Paragon, Alexis Woodbury degli Instanzia e Marius Danielsen dei Darkest Sins) ma soprattutto tanto power metal melodico, di quello che in arrivo dalla Germania attraversò le Alpi e fece innamorare orde di metal fans, resi piacevolmente schiavi dalle opere di Gamma Ray, Iron Savior e Blind Guardian.
La band, che con Piet Sielck ci ha lavorato ai tempi del debutto Against The World, spara una serie di brani di eccellente power metal melodico, spettacolare nelle ritmiche, straordinario nei cori e nelle linee vocali, talmente perfetto nel suo incedere verso la gloria metallica che lascia senza fiato.
Non esiste un attimo che non si focalizzi nella mente con una semplicità straordinaria, Lizard Secrets non lascia scampo e torna a far rivivere le atmosfere di capolavori come Land Of The Free e mi fermo qui, perché dovrei andare a scomodare anche chi fino a poco tempo fa riposava negli anni ottanta ed è resuscitato grazie ad una reunion che ha fatto la gioia del popolo metallico mondiale.
Dopo la classica intro d’ordinanza si parte sull’ottovolante Airborn e ci si fermerà solo dopo una cinquantina di minuti di melodie classiche suonate a velocità proibitive, oppure rimarcate da mid tempo dove chorus di scuola Gamma Ray fanno alzare pugni al cielo nel salotto di casa, come sicuramente avverrà sotto ai palchi dei live in giro per un’estate che per la band si preannuncia ricca di soddisfazioni.
Who We Are, la title track, Wolf Child, Land of The Living, Defenders Of Planet Earth, ma potrei nominarvele tutte, tanto sicuramente non sbaglierei la scelta tra i brani che compongono questo gioiello metallico da non perdere per nessun motivo.
Nel genere difficile trovare di meglio, anche fuori dai confini nazionali.

Tracklist
01. Immortal Underdogs (intro)
02. Who We Are
03. Lizard Secret
04. We Realize
05. Brace For Impact
06. Wolf Child
07. Here Comes the Claw
08. Land of the Living
09. Meaning of Life
10. Metal Haters
11. Defenders of Planet Earth
12. My Country is the World
13. Cosmic Rebels 2018 (Bonus)

Line-up
Alessio Perardi – Vocals/Guitars
Roberto Capucchio – Guitars
Domenico Buratti – Bass
Roberto Gaia – Drums

AIRBORN – Facebook

Spellblast – Of Gold And Guns

Tornano gli Spellblast, band che coniuga il power metal con atmosfere western: il loro nuovo Of Gold And Guns, senza toccare le vette del precedente lavoro, si rivela comunque un buonissimo album.

Tornano i power metal/cowboy Spellblast dopo il sontuoso Nineteen, album licenziato dal gruppo quattro anni fa.

La band, abbandonato il power/folk delle origini, ha dato alle stampe un buon lavoro che, se non raggiunge le vette artistiche del precedente album, si assesta su un buon esempio di power metal dai richiami western, questa volta anche nei titoli dei brani, ognuno dedicato ad un personaggio della frontiera americana, dai fumetti di Bonelli (Tex Willer) ai pistoleri realmente esistiti come Wyatt Earp o Billy The Kid.
Ovviamente i riferimenti musicali al mondo del Far West sono i maggiori responsabili dell’attenzione dovuta al gruppo, bravo nel saper coniugare il power metal con sfumature tipiche delle colonne sonore di Ennio Morricone, il più grande compositore di musiche da film ed assoluto genio nel trasformare in note la polvere, il caldo, il tintinnio dei penny sul tavolo da gioco dei saloon.
L’album parte con Tex Willer, brano che fatica a decollare, mentre il trittico Wyatt Earp, Billy The Kid e Jesse James risulta uno splendido esempio del sound del gruppo, con il power metal valorizzato dalle atmosfere western che toccano lidi epici da duelli all’O.K. Corral.
Si continua a schivare pallottole in mezzo alla strade polverose fino a Goblins In Deadwood, tributo ai Goblin, ai quali il gruppo aveva già dedicato un brano sul debutto Horns Of Silence (Goblins’ Song), mentre la cover di Wanted Dead Or Alive dei Bon Jovi chiude questo tuffo nel mondo della cultura western in salsa power metal. Come detto, Of Gold And Guns risulta leggermente inferiore al suo splendido predecessore, ma rimane comunque un buonissmo lavoro.

Tracklist
1. Tex Willer
2. Wyatt Earp
3. Billy The Kid
4. Jesse James
5. Sitting Bull
6. William Lewis Manly
7. Crazy Horse
8. Goblins In Deadwood
9. William Barret Travis
10. Wanted Dead Or Alive

Line-up
Luca Arzuffi – Guitars
Xavier Rota – Bass
Dest Ring – Vocals
Manuel Togni – Drums

SPELLBLAST – Facebook

Rusty Nails – Seasons Of Hatred

Seasons Of Hatred vive di potenza metallica valorizzata da una componente power dosata a meraviglia dai suoi creatori, con picchi di notevole qualità, tra trame pacate ma semre sul punto di esplodere e deflagrazioni improvvise.

Si può suonare heavy metal classico, risultando moderni nei suoni ed esplosivi, pur ricordando a più riprese la scena del decennio storico ottantiano?

Chiedetelo ai toscani Rusty Nails, tornati dopo sette anni dal primo ep con in tasca il contratto con Sliptrick Records e di conseguenza con il primo lavoro sulla lunga distanza, questo incendiario Seasons Of Hatred.
Una lunga storia iniziata addirittura nel 2001 con il monicker Avatar, un numero esponenziale di problemi che ne rallentarono la carriera fono all’uscita di Mind Control e poi ancora un lungo stop lungo sette anni prima che le chitarre tornassero a ruggire su questi otto brani di cui un paio ripresi dal precedente lavoro (Mind Control e The End Of All Days).
Ma lasciamo i problemi al passato e prendiamo a capocciate il muro della stanza sotto il bombardamento heavy/power metal di Seasons Of Hatred e delle sue otto tracce che, già dall’opener Years Of Rage, mette subito in chiaro che qui si fa heavy metal di scuola priestiana, potenziata da dosi massicce di power americano alla Iced Earth, teatrale e drammatico il giusto per scuotere i fans addormentati ed impegnati a sognare un giradischi su cui girano i vinili di Painkiller e Something Wicked This Way Comes.
Epico ed interpretato con sanguigna drammaticità dall’ottimo singer Paolo Billi, l’album vive di potenza metallica valorizzata da una componente power dosata a meraviglia dai suoi creatori, con picchi di notevole qualità (su tutti gli otto minuti di The Outer Lords), tra trame pacate ma sempre sul punto di esplodere e deflagrazioni improvvise, dove Day Of Punishment e Mind Control sono uno spettacolo di lampi e saette nel cielo attraversato da burrasche metalliche.
Ottima la prova della sezione ritmica, mai velocissima ma precisa e potente (Federico Viviani alle pelli e Alessandro Crecchi al basso) e sugli scudi la prova dei due chitarristi (Claudio Della Bruna e Matteo Santoni) per un album che è un ascolto obbligato per gli amanti dei suoni heavy/power.
Di tempo ce n’è voluto tanto, ma oggi la band riparte ancora una volta come meglio non si potrebbe con questo ottimo Seasons Of Hatred.

Tracklist
1.Minutes of Hatred
2.Years of Rage
3.Day of Punishment
4.Dagon
5.Mind Control
6.Out of This World
7.The Outer Lords
8.The End of All Days

Line-up
Claudio Della Bruna – Guitars
Paolo Billi – Vocals
Federico Viviani – Drums
Alessandro Crecchi – Bass
Matteo Santoni – Guitars

RUSTY NAILS – Facebook

https://www.facebook.com/rustynailsmetal/

Militia – Regiments of Death

Nastro di una band forse minore, ma comunque molto interessante, del thrash americano della metà degli Eighties: tra l’altro, un caso rilevante di gruppo non proveniente dalla Bay Area.

Gli americani Militia sono tra quegli sfortunati ‘grandi fra i minori’ che non hanno mai raggiunto la possibilità di pubblicare un disco in vita.

Texani, si formarono ad Austin, nel 1984, e rimasero attivi solo sino al 1986 (per riformarsi poi molti anni dopo, come accadde a tanti dei loro colleghi). Il loro primo demo tape vide la luce nel 1985, con il titolo di Regiments of Death, ad opera di un manipolo di musicisti che avevano o avrebbero militato in gruppi più noti (Watchtower, SA Slayer, la band di Rhett Forrester dopo la sua uscita dai Riot). Il nastro conteneva solo tre pezzi, peraltro eccellenti ed altamente rappresentativi di quello che era l’heavy a stelle e a strisce, a metà degli anni Ottanta: per un verso ottimo thrash metal, in linea con le aree di San Francisco e Los Angeles; per un altro molte propensioni speed e segnatamente US metal, stile Metal Church-Vicious Rumors per intenderci. La cassetta, divenuta assai presto introvabile, è stata infine ristampata, su compact, dalla Rockadrome – nel 2008 soltanto, peraltro – con il titolo Released, insieme ad altro materiale di provenienza demo: cinque brani del 1986, due del 1984 e altrettanti dal vivo. La migliore occasione per una doverosa e utile operazione di recupero storiografico. Perché anche questa è archeologia musicale.

Track list
1. Metal Axe
2. Search For Steel
3. Regiments of Death

Line up
Mike Soliz – Vocals
Tony Smith – Guitars
Robert Willingham – Bass
Phil Acham – Drums

1985 – Autoprodotto

Drakkar – Cold Winter’s Night

Cold Winter’s Night ci presenta i “nuovi” Drakkar, una band che ha ancora molto da dire nel panorama metallico tricolore: godetevi dunque questi tre nuovi brani e mettetevi seduti sul molo ad aspettare, il vascello Drakkar è salpato e presto lo scorgerete all’orizzonte.

Ha tutta l’aria di un nuovo inizio per i Drakkar questo nuovo ep di quattro tracce intitolato Cold Winter’s Night, che segue di tre anni l’ottimo Run With The Wolf, ultimo lavoro sulla lunga distanza per il gruppo milanese.

Nome storico della scena tricolore, i Drakkar salparono per il Valhalla metallico a metà degli anni novanta, anni in cui ad affiancare i gruppi stranieri (Gamma Ray, Stratovarius) nel ritorno in auge del metal classico, si fece avanti pure la scena italiana con Domine, Rhapsody e Labyrinth ed appunto la band lombarda, dal sound più orientato verso il power metal teutonico.
Questo nuovo lavoro presenta un gruppo rinnovato per tre quinti, con Marco Rusconi (chitarra), Simone Pesenti Gritti (basso) e Daniele Ferru (batteria), ad affiancare i membri di lungo corso Dario Beretta (chitarra), Davide Dell’Orto (voce) ed Emanuele Laghi (tastiere): ecco perché parliamo di nuovo inizio, per una band con ormai più di vent’anni d’attività.
L’ep, licenziato dalla My Kingdom Music, prevede una versione in vinile con tre brani inediti e la cover di Rainbow In The Dark dei Dio, mentre sul cd e nella versione digitale la bonus track troviamo Invincible, brano live registrato al The Born To Fly Festival lo scorso anno.
La title track apre l’album con melodie pianistiche che portano ad una power ballad dal  potente refrain, ma Black Sails scatena cori power, in  quanto episodio epico e veloce in puro stile Drakkar.
Leviathan Rising (Death From The Depths – part 1) è il brano top di questo ep, ed alterna parti veloci ad altre più dilatate, sostenute da tastiere che intavolano ricami progressivi e accompagnate da chitarre incendiarie e da una prestazione graffiante del bravo Dell’Orto al microfono.
Cold Winter’s Night è un buon modo per tornare in pista, presentandoci i “nuovi” Drakkar, una band che ha ancora molto da dire nel panorama metallico tricolore: godetevi dunque questi tre nuovi brani e mettetevi seduti sul molo ad aspettare, il vascello Drakkar è salpato e presto lo scorgerete all’orizzonte.

Tracklist
12″ Vinyl version tracklist:

01. Cold Winter’s Night
02. Black Sails
03. Leviathan Rising (Death From The Depths – part 1)
04. Rainbow In The Dark (Dio cover – bonus track for the vinyl version)

CD/Digital Version tracklist:

01. Cold Winter’s Night
02. Black Sails
03. Leviathan Rising (Death From The Depths – part 1)
04. Invincible (Live At The Born To Fly Festival, 11-11-2017) (bonus-track for digipackCD and digital versions)

Line-up
Dario Beretta – Guitar
Dave Dell’Orto – Vocals
Emanuele Laghi – Keyboards
Marco Rusconi – Guitar
Simone Pesenti Gritti – Bass
Daniele Ferru – Drums

DRAKKAR – Facebook

Battlesoul – Sunward And Starward

La forza di questo nuovo album targato Battlesoul è quella di mantenere un approccio estremo, pur lasciando che le melodie e le armonie folk siano presenti, accompagnando il concept celtico/guerresco.

Come sempre nel meraviglioso mondo della musica underground è quando meno te lo aspetti che ti ritrovi al cospetto di un album che ti fa sussultare ed innamorare, magari travolto da tempeste estreme, oppure divertito dall’irriverenza del rock’n’roll o ancora cullato dal lento andamento di un blues.

In questo caso invece ci vestiamo di pellicce, ci armiamo di scuri e scendiamo verso il lago Ontario, al comando dei Battlesoul, quartetto canadese che arriva al terzo album in dieci anni di eroici scontri tra folk, death metal melodico e power/thrash.
Lay Down Thy Burdens, licenziato nel 2010, e Tir Na Nog, uscito ormai cinque anni fa, sono i precedenti lavori (oltre all’ep di debutto) dei Battlesoul prima che Sunward And Starward ci costringa a fuggire lungo le valli intorno al grande lago, inseguiti dai  guerrieri canadese.
Che scrivere di un album del genere se non che vi ritroverete nel bel mezzo di epiche atmosfere belliche, spazzati da tempeste estreme, inseguiti da cavalcate power/thrash devastanti, valorizzate da un gusto per le melodie di stampo classico da applausi, mentre nobili tastiere e sfumature folk esaltano un sound tellurico.
La band non fa sconti e l’album viaggia a velocità sostenuta per quasi l’intera durata, la forza bruta sprigionata dai Battlesoul è immane, e brani come Arrival, Break The Day, la mastodontica title track ed il mid tempo pesantissimo, epico e drammatico del capolavoro The Loss Of Sons, sfiorano le gesta delle icone nordiche del genere, in un deliro di sangue e fango, muscoli e gloria che non fa prigionieri.
La forza di questo nuovo album della band canadese è quella di mantenere un approccio estremo, pur lasciando che le melodie e le armonie folk siano presenti, accompagnando il concept celtico/guerresco: Amon Amarth, Moonsorrow, primi Blind Guardian ed In Flames, vengono digeriti e risputati sotto forma di un sound entusiasmante e 100% Battlesoul.
Imperdibile.

Tracklist
1.All I Understand
2.Arrival
3.Azure Skies
4.Bearing The Word
5.break The Day
6.So It Goes
7.Sunward And Starward
8.The Loss Of Sons
9.The watcher
10.Totem

Line-up
Thomas Ireland – Guitar, Programming
Jon Doyle – Vocals, Bass, Keyboard
Mike Grund – Guitar
Nich Ireland – Drums

BATTLESOUL – Facebook

Preludio Ancestral – Oblivion

Oblivion merita senz’altro l’interesse degli amanti del metal sinfonico e power, frutto di una buona vena in fase di scrittura e dal valore aggiunto dei tanti ospiti sui quali i Preludio Ancestral hanno potuto contare.

Symphonic power metal dal Sud America e precisamente dall’ Argentina con il nuovo album dei Preludio Ancestral, terzetto guidato dal chitarrista e tastierista dalle chiare origini italiane, Leonardo Gatti.

Attiva dal 2005, la metal band sudamericana arriva quarto full length di una discografia che si compone di un buon numero di singoli ed un paio di ep, quindi una realtà solida del panorama metallico del suo paese e non solo.
Oltre a Leonardo Gatti, i Preludio Ancestral vedono all’opera Ari Katajamäki al basso e Diego Camaño alle pelli più un nutrito numero di ospiti che danno il loro contributo alla riuscita di Oblivion, lavoro che si fa sicuramente apprezzare, per intensità ed un’ottima tecnica al servizio di brani potenti, sinfonici e dall’immediata presa.
Al microfono si danno il cambio svariati vocalist, con un’ottima rappresentanza tricolore formata (oltre che dal tastierista Gabriel Crisafulli) da Enzo Donnarumma, Alessio Perardi e Raffaele Albanese che si danno il cambio tra le trame metalliche di quest’opera che non sfigura certo nel panorama classico internazionale, anche se i cliché del genere sono tutti ben in vista e l’album non brilla certo in originalità.
Ma sono dettagli, perché Oblivion segue le coordinate tracciate sulla mappa dell’heavy metal sinfonico dalle potenti ritmiche power, e la band non risparmia cascate di melodie per un risultato più che buono, brillando per un songwriting ispirato ed una facilità d’ascolto disarmante, grazie a brani diretti e figli di ispirazioni ed influenze che vanno dai primi Angra agli Avantasia, con Storm, la splendida title track e l’heavy metal classico della grintosa Dust World a presenziare sul podio e sottolineare la buona riuscita di questo lavoro.
Oblivion merita senz’altro l’interesse degli amanti del metal sinfonico e power, frutto di una buona vena in fase di scrittura e dal valore aggiunto dei tanti ospiti sui quali i Preludio Ancestral hanno potuto contare.

Tracklist
1.Presagio
2.King of silence
3.Storm
4.Fear of falling
5.Ready to rock
6.Oblivion
7.Universal love
8.Reflection in the wind
9.Dust world
10.Metal walls

Line-up
Leonardo Gatti – Guitars & Keyboards
Ari Katajamäki – Bass
Diego Camaño – Drums

Guest musicians:
Gabriel Crisafulli – Keyboards
Juan Pablo Kilberg – Guitar
José Paz – Keyboards
Alessio Perardi – Vocals
Fran Vázquez – Vocals
Daniel García – Vocals
Juan Pablo Kilberg – Vocals
Raffaele Raffo Albanese – Vocals
Kimmo Perämäki – Vocals
Enzo Donnarumma – Vocals

PRELUDIO ANCESTRAL – Facebook

The Order Of Chaos – Night Terror

I The Order Of Chaos sono un gruppo irrinunciabile se siete amanti di Judas Priest, Skid Row e Primal Fear.

Dopo il bellissimo Apocalypse Moon, licenziato ormai tre anni fa, tornano i canadesi The Order Of Chaos, con questo ep di tre brani che segue quel lavoro ed anticipa quello che sarà un appuntamento da non perdere per gli amanti dell’heavy/power metal.

Avvalendosi sempre della prestazione sopra le righe della singer Amanda Kiernan, la band continua nell’arrembante e cattivissima rivisitazione del genere visto in chiave moderna, con produzione al top, suoni che escono come mitragliate ad altezza d’uomo ed un talento melodico straordinario che arricchiscono di appeal le varie Night Terror (brano che da il titolo al mini cd), False Security e New World Order.
Ottimi intrecci chitarristici ad opera dei due axeman (John Simon Fallon e John Saturley) e una sezione ritmica che risulta un rullo compressore (Tim Prevost alle pelli e Barret Klesko al basso) accompagnano la singer canadese nella sua entusiasmante performance, dandoci appuntamento al prossimo full length.
I The Order Of Chaos sono un gruppo irrinunciabile se siete amanti di Judas Priest, Skid Row e Primal Fear.

Tracklist
1. Night Terror
2. False Security
3. New World Order

Line-up
Amanda Kiernan – Vocals
John Simon Fallon – Guitars
John Saturley – Guitars
Tim Prevost – Drums
Barrett Klesko – Bass

THE ORDER OF CHAOS – Facebook

Rec/All – Rec/All

L’heavy metal in Sudamerica parla brasiliano e la conferma viene non solo dalle band storiche che, negli anni, hanno fatto innamorare orde di defenders in cerca di sonorità heavy dalle forti radici latine, o dalle molte realtà estreme che hanno seguito la scia dei fratelli Cavalera, ma da una scena underground attivissima e lungi da qualsiasi forma di crisi qualitativa.

I Rec/All sono un progetto nato solo un anno fa e che ha tutti i crismi del super gruppo, grazie ai suoi protagonisti, musicisti storici della scena metallica e alcuni con presenze importanti nelle migliori band uscite dal grande paese sudamericano-
Angra, Di’Anno, Karma, Almah, Dark Avenger, Nordheim, Kiko Loureiro, Tony Martin, Snakeyes, sono solo i nomi più conosciuti con cui hanno collaborato i cinque musicisti che compongono una line up assolutamente di prim’ordine, dal vocalist Rod Rossi, allo storico bassista Felipe Andreoli, dalle due chitarre in mano a Davis Ramay e Marcelo Barbosa, alle pelli malmenate da Robson Pontes.
E allora sappiate che questo album omonimo, licenziato in regime di autoproduzione, è un ottimo esempio di heavy/power metal, ovviamente suonato a meraviglia, composto da ritmiche power da infarto, digressioni musicali fuori da contesti metallici e viranti verso la tradizione popolare locale e vergate heavy che mettono in luce le due chitarre, protagoniste di riff e solos scolpiti nel cielo oscurato dall’arrivo della tempesta Rec/All.
Diretto come un treno in corsa, Rio Riots apre le danze , che con il samba hanno poco a che fare, ed arriviamo veloci al terzo brano, Blind, una dei picchi di Rec/All, e Indestructible, brano power metal alla maniera brasiliana.
Rod Rossi si dimostra singer bravissimo, specialmente nel variare toni alla sua performance, grintosa e tagliente oppure melodica e dalle reminiscenze melodic hard rock.
Si torna a sbattere la testa con la power metal Running In Her Veins e a crogiolarsi nelle melodie AOR di Oh,Angel, mentre la parola fine è lasciata al crescendo power/hard rock di Set The Night On Fire.
Le ispirazioni sono ovviamente tutte da riscontrare nella scena metal brasiliana, ma i musicisti coinvolti garantiscono personalità e talento in abbondanza.

Tracklist
1.Rio Riots
2.I Hate
3.Blind
4.Broken Wings
5.5 A.M.
6.We Own the Night
7.Walk with You
8.Running in Her Veins
9.Set the Night on Fire
10.Oh, Angel
11.Set The Night On Fire

Line-up
Felipe Andreoli – Bass
Robson Pontes – Drums
Davis Ramay – Guitars
Marcelo Barbosa – Guitars
Rod Rossi – Vocals

REC/ALL – Facebook

https://youtu.be/oxf7bc1EQVE

Death Keepers – Rock This World

L’album non ha grossi picchi ma si ascolta con quel piacere riservato ai ricordi più belli e a quella musica che ha fatto da colonna sonora a molti di noi, specialmente se il conteggio degli finisce per anta.

Rock This World è il classico album del quale forse non avevamo bisogno, colmo fino all’orlo di cliché già sentiti migliaia di volte, eppure mentre ci si mostra perplessi di fronte all’ennesimo coro pacchiano, il piede va per proprio conto e comincia a battere il tempo, la testa si muove in sincronia con i mid tempo che si passano il testimone e al secondo giro i ritornelli sono cantati all’unisono dalla band e da chi ascolta.

I Death Keepers non fanno sicuramente mistero della loro devozione per l’heavy metal classico vecchia scuola e ci sbattono in faccia undici brani che ripercorrono in lungo ed in largo il decennio ottantiano, tra molteplici tributi alle leggende del metal che troverete sparsi in ogni angolo musicale di questo lavoro; eccoci quindi al cospetto di una sorta di Helloween prima maniera (il loro monicker parla chiaro), meno power e più orientati verso la NWOBHM, melodici e dai refrain che vi entrano in testa come parassiti in un film di fantascienza per trasformarvi nel più ignorante e scatenato fans del metallo pesante.
La band, nata a Barcellona ormai sette anni fa, arriva dunque al primo album dopo un ep uscito ormai quattro anni fa, firma per Fighter records e piazza un bel calcio nel fondoschiena con Rock This World, un manifesto all’heavy metal fin dal titolo, supportato da una copertina che raffigura la massima espressione del genere, il concerto, con i suoi sacri riti, mentre il sound passa da canzoni che ricordano, come detto, le zucche di Amburgo era Kiske, spogliate dalla potenza del power e con invece più di un accenno al rock stradaiolo suonato aldilà dell’oceano (la title track in questo senso sembra uscita da una jam in qualche locale del Sunset Boulevard).
L’album non ha grossi picchi ma si ascolta con quel piacere riservato ai ricordi più belli e a quella musica che ha fatto da colonna sonora a molti di noi, specialmente se il conteggio degli finisce per anta.
Tra le note di Rock This World non cercate nulla che sia diverso da un’ ora scarsa di hard & heavy o heavy metal (come preferite) senza troppe pretese ma assolutamente piacevole.

Tracklist
1.Rock & Roll City
2.Fire Angel
3.Death Keepers
4.Haven’s Heaven
5.Rock This World
6.Thriving Forcast
7.Love’s Within (Yourself)
8.Wildfire
9.Invention IV
10.Metallia
11.Smooth Hit Love

Line-up
Dey Rus – Lead vocals.
Eddy Gary – Lead & rhythm guitar.
Antonio Maties – Lead & rhythm guitar.
Gorka Alegre – Bassist
Miki Hunter – Drums

DEATH KEEPERS – Facebook

Kantica – Reborn In Aesthetics

Una produzione da top band, una cantante che incanta ed ammalia e cinque musicisti che formano una squadra compatta ed assolutamente vincente, sono le prime avvisaglie di un’opera ottima in ogni dettaglio, creata per far innamorare gli (ancora tanti) estimatori del power metal sinfonico.

Questa volta a regalarci cinquanta minuti di metal sinfonico, tra power e gothic in un deliro orchestrale e maestoso, sono i savonesi Kantica, band ligure al debutto su Revalve con Reborn In Aeshtetics.

Mettetevi il cuore in pace cari cacciatori dell’arca dell’originalità, perché qui si cavalca il genere giocando con tutti i suoi cliché, ma il bello è che i Kantica il gioco lo conducono con maestria lasciando l’impressione di essere al cospetto di un gruppo con molta più esperienza di quella che suggerisce l’anagrafe.
Sonorità piene e cinematografiche si specchiano sul golfo ligure prima che lo scirocco si alzi e la mareggiata porti con sé cavalcate power metal dalle ritmiche potentissime, alternandosi con pacate atmosfere gothic ed impreziosite da orchestrazioni dal piglio moderno, come negli ultimi lavori di quella che il sottoscritto considera la band regina del genere, gli Epica.
Una produzione da top band, una cantante che incanta ed ammalia e cinque musicisti che formano una squadra compatta ed assolutamente vincente, sono le prime avvisaglie di un’opera ottima in ogni dettaglio, creata per far innamorare gli (ancora tanti) estimatori del power metal sinfonico.
Dopo l’intro i primi botti portano il titolo di Fascination Of The Elements, un brano in crescendo che prepara l’ascoltatore alla maestosa atmosfera che regna nel resto dell’album con brani carichi di nobile e sinfonico metallo come And There Then Was Pain, che tanto sa di primi Temperance.
Tutto gira a meraviglia in Reborn In Aeshtetics, decine di cambi di tempo spezzano il respiro, come affrontare un mare in tempesta sulla prua di un vascello, mentre Hellborn Lust, Lovecide e Psychological Vampire confermano il mood epico sinfonico dell’album.
Un debutto per certi versi sorprendente, che conferma la sempre crescente qualità della scena tricolore in un genere dove si è ormai detto tutto e nel quale la differenza la si può fare solo in termini di songwriting e di un talento che iKantica hanno da vendere.

Tracklist
01.(Re)Born Unto Aestheticism
02.Fascination of the Elements
03.And Then There Was Pain
04.Hellborn Lust
05.Albatross
06.R.E.M. State
07.From Decay to Ascension
08.Illegitimate Son
09.Psychological Vampire

Line-up
Chiara Manese – Vocals
Matteo ‘Vevo’ Venzano – Rythm guitar
Andy ‘K’ Cappellari – Lead guitar
Fulvio DeCastelli – Bass guitar
Enrico Borro – Keyboards
Tiziana ‘Titti’ Cotella – Drums

KANTICA – Facebook

Sonic Prophecy – Savage Gods

Heavy power metal duro come il granito, epico ed oscuro come vuole la tradizione statunitense ma che guarda non poco al vecchio continente.

La Rockshots licenzia il terzo album di questa band statunitense chiamata Sonic Prophecy che si rivela uno dei primi sussulti classici di questo nuovo anno metallico.

Il gruppo di Salt Lake City, fondato nel 2009, ha lavorato non poco in questi primi nove anni di attività e Savage Gods è un enorme macigno metallico, melodico il giusto, pesante ed epico come nella migliore tradizione classica e che, pur mantenendo un approccio europeo, non tradisce le proprie origini.
Quindi come nella migliore tradizione statunitense il sound è pregno di oscurità, non accelera troppo ma dà la sensazione di un mastodontico pezzo di granito metallico, valorizzato dall’ottima interpretazione di Shane Provstgaard dietro al microfono e da assoli classici piazzati qua e là tra i brani.
L’apertura è lasciata alla title track che ci presenta una band compatta e forgiata nell’acciaio, tutto è possente ed oscuro ed il passaggio al singolo Night Terror è quasi obbligato; ottima l’accoppiata Dreaming Of The Storm/Man The Guns, la prima una semi ballad in crescendo, la seconda un brano che ricorda non poco gli Accept, mentre con Walk Trough The Fire si torna a cavalcare epici destrieri nelle pianure della terra metallica, prima di gridare al cielo il coro di A Prayer Before Battle.
I suoni escono puliti, la performance del gruppo è al top e per gli amanti del genere il risultato non può che essere sopra le righe: i Sonic Prophecy ci regalano un ottimo lavoro, e se l’originalità non abita tra lo spartito del gruppo con le varie influenze determinare per la formazione del sound, per i defenders duri e puri brani della caratura di Man And Machine sono chicche da non perdere per nessun motivo.
Heavy power metal duro come il granito, epico ed oscuro come vuole la tradizione statunitense ma che guarda non poco al vecchio continente, consigliato.

Tracklist
1.Savage Gods
2.Night Terror
3.Unhoy Blood
4.Dreaming of the Storm
5.Man the Guns
6.Walk Through the Fire
7.A Prayer Before Battle
8.Iron Clad Heart
9.Man and Machine
10.Chasing the Horizon

Line-up
Shane Provstgaard – Vocals
Darrin Goodman – Guitar
Sebastian Martin – Guitar
Ron Zemanek – Bass
Matt LeFevre – Drums

SONIC PROPHECY – Facebook

Avatar – Avatar Country

Gli Avatar si confermano gruppo assolutamente sui generis, forse anche troppo per l’orecchio conservatore di molti ascoltatori di musica metal, i quali potranno sempre rivolgersi ai gruppi che difendono la vera fede metallica in altre sedi, ma qui si fa musica bella ed originale senza barriere né confini.

Siamo arrivati al settimo album della saga targata Avatar, una delle band più originali e sorprendenti che il metal possa annoverare tra le sue fila.

Nato come melodic death metal band, infatti, il gruppo svedese ha cambiato pelle non solo tra un album e l’altro ma addirittura all’interno della stessa opera, lasciando pochissimi punti di riferimento stilistici e passando tra i generi dei più disparati come un ape in un bellissimo prato fiorito.
Capitanati dall’incredibile ugola del singer Johannes Michael Gustaf Eckerström, capace come la musica di trasformarsi a suo piacimento in un singer death ed un attimo dopo lanciare il suo grido di battaglia dai toni power metal, per poi avanzare marziale come un cantante industrial metal, la band ci consegna un concept incentrato sulla storia di un uomo destinato a diventare un re, arrivato nell’arida terra di Avatar per regnare a colpi di metal, vario, alternativo e soprattutto fuori dagli schemi.
L’album parte magnificamente con l’intro Glory To Our King, che lascia spazio al power metal della poderosa Legend Of The King per poi aprirsi al modern southern rock di The King Welcome You To Avatar Country; King’s Harvest è un brano moderno e dalle reminiscenze industrial, mentre A Statue Of The King è un massacro alla Slipiknot, fino al chorus che torna al metal più classico.
Avatar Country è una continua altalena di sorprese, un luna park di emozionante musica moderna che non conosce barriere né confini, suonata in modo impeccabile e non potrebbe essere altrimenti visto i continui cambiamenti di umori e velocità.
King After King è una semi ballad dal tiro tradizionalmente heavy, attraversata da un assolo nella parte centrale, mentre le due parti di Silent Song Of The King concludono l’album: la prima, Winter Comes When the King Dreams of Snow è un’intro atmosferica che ci accompagna verso la seconda parte, The King’s Palace, traccia strumentale che conclude questo ottimo e variopinto lavoro.
Gli Avatar si confermano gruppo assolutamente sui generis, forse anche troppo per l’orecchio conservatore di molti ascoltatori di musica metal, i quali potranno sempre rivolgersi ai gruppi che difendono la vera fede metallica in altre sedi, ma qui si fa musica bella ed originale senza barriere né confini.

Tracklist
1. Glory to Our King
2. Legend of the King
3. The King Welcomes You to Avatar Country
4. King’s Harvest
5. The King Wants You
6. The King Speaks
7. A Statue of the King
8. King After King
9. Silent Songs of the King Pt. 1: Winter Comes When the King Dreams of Snow
10. Silent Songs of the King Pt. 2: The King’s Palace

Line-up
Johannes Michael Gustaf Eckerström – Vocals
John Alfredsson – Drums
Kungen – Guitars
Tim Öhrström – Guitars
Henrik Sandelin – Bass

AVATAR – Facebook

Dragonsfire – Visions Of Fire

Visions Of Fire risulta un album trascurabile a meno che non siate devoti all’ascolto del solo power metal e le vostre preferenze, anche nel genere, non cadano nel classico palla lunga e pedalare dei gruppi vissuti all’ombra delle band icona.

I power metallers tedeschi Dragonsfire riesumano il loro primo album uscito nel 2008 per la Pure Steel intitolato Visions Of Fire.

La band, attiva da una dozzina d’anni, ha fin qui licenziato questo lavoro più un altro full length intitolato Metal Service, uscito due anni dopo l’esordio, più altri due ep ed uno split con i compagni di bevute Steelpreacher, anch’essi votati all’heavy power metal senza compromessi.
Visions Of Fire risulta un album trascurabile a meno che non siate devoti all’ascolto del solo power metal e le vostre preferenze, anche nel genere, non cadano nel classico palla lunga e pedalare dei gruppi vissuti all’ombra delle band icona.
Il povero Thassilo Herbert, scomparso due anni fa, era un cantante ruvido ed aggressivo ma di poco carisma e monocorde, ed il suo cantato accompagnava una serie di cliché che fanno dell’ascolto un tuffo nel power metal scolastico e acerbo, sicuramente non le credenziali giuste per assicurarsi un minimo di interesse, in tempi in cui il genere non è più tra le preferenze dei fans e le semplici cavalcate con il doppio pedale sono state travolte dall’approccio sinfonico e progressivo dei nuovi eroi del metal dai rimandi classici.
Una proposta, dunque, che non credo possa trovare più estimatori della prima volta in cui questa raccolta di brani ha fatto la sua comparsa sul mercato, anche allora in ritardo sul tabellino dell’interesse dei true defenders.
Wings Of Death, la successiva Dragonsfire Rockxxx, l’epica Burning For Metal e Shine On, non fosse per la voce poco adatta al genere, risulterebbero delle power metal songs d’impatto e vicino a quanto fatto da gruppi come Unrest o Rebellion, pur non andando oltre una sufficienza risicata e meritata solo per un’attitudine ed un impatto che sono le uniche virtù del combo tedesco.

Tracklist
1.Devil’s Road
2.Wings of Death
3.Dragonsfire Rockxxx
4.Burning for Metal
5.Rebellion – The Kingdom of Heaven
6.The Defendant
7.Shine On
8.The Other One
9.Oath of Allegiance

Line-up
Jan Müller – Drums
Matthias Bludau – Guitars
Timo Rauscher – Guitars
Thassilo Herbert – Vocals, Bass

DRAGONSFIRE – Facebook