Red Beard Wall – Red Beard Wall

Per chi vuole sentire qualcosa di veramente diverso in un panorama a volte un po’ scontato.

I Red Beard Wall sono in due, chitarra e basso, e fanno uno stoner sludge molto potente ed incisivo.

La loro proposta musicale è molto originale non tanto nei mezzi ma nel risultato, poiché riescono a trovare una formula sonora non comune. Nel loro disco d’esordio confluiscono epiche distorsioni di chitarra, batteria che non pesta solo ma disegna melodie, sludge, stoner, un pizzico di southern rock, e anche un po’ di grunge, che chi ha talento e memoria usa sempre. Nati nel 2014 in Texas dalla volontà di Aaron Wall che recluta Robert Truijo dietro le pelli, esordiscono ora per Argonauta Records con un disco decisamente fuori dal comune. L’incedere di questa bestia texana, pur avendo elementi in comune con le band dei generi di cui sopra, ha una musicalità molto diversa. Il disco non dura moltissimo, e questo è un altro pregio, perché le idee vengono sviluppate bene senza tirarla troppo per le lunghe, cosa che in alcuni casi è sinonimo di aridità creativa. I Red Beard Wall producono un buon disco, ma hanno un potenziale ancora maggiore, e sicuramente non finisce qui. Nel panorama attuale della musica pesante si trovano ottime cose, ma poche hanno un tasso di originalità come questo esordio, nel quale anche la produzione accurata ma minimale diventa un punto di forza. Per chi vuole sentire qualcosa di veramente diverso in un panorama a volte un po’ scontato. Le note sono sette, i Red Beard Wall sono in due, e questo è un ottimo disco.

Tracklist
1. Beauty In
2. I Am
3. Switching Circuits
4. Alive
5. Born with a Hammer
6. Top of the Mountain
7. Bottom of a Well
8. March in Time
9. Beauty Out

Line-up
Aaron Wall – Vocals/ Guitar
George Trujillo – Drums

RED BEARD WALL – Facebook

Deep Valley Blues – Deep Valley Blues

Prendete quattro musicisti calabresi, già protagonisti con altri progetti più o meno conosciuti nella scena nazionale, lasciateli per un po’ a jammare in un delirio stonerizzato e psichedelico, pesante come una meteora in caduta libera sulla Sila, ed avrete i Deep Valley Blues.

Prendete quattro musicisti calabresi, già protagonisti con altri progetti più o meno conosciuti nella scena nazionale, lasciateli per un po’ a jammare in un delirio psichedelico, pesante come una meteora in caduta libera sulla Sila, ed avrete i Deep Valley Blues, che negli studi della Black Horse ha dato vita in presa diretta a questo mostro stoner/blues.

La band di Catanzaro ha messo la propria esperienza ed attitudine al servizio di questo progetto, rigorosamente in autoproduzione, giusto per alzare di molti gradi la colonnina di mercurio e raggiungendo così temperature vulcaniche.
Deep Valley Blues, ovvero tornare da una drammatica settimana persi nel deserto, dissetarsi il giusto per non lasciare questo mondo, prendere in mano il proprio strumento e tuffarsi in quello parallelo delle visioni e dei trip hard rock, tra una neanche troppo velata attitudine southern, accenni allo psych-hard rock settantiano e lo stoner della famosa valle che ha fatto da parco giochi e maestra ai vari Kyuss e compagnia.
L’urgenza rock del quartetto però è farina del suo sacco, con una vena punk che attraversa i vari capitoli di questa odissea, tra la terra che brucia sotto i piedi ed il sole nemico della ragione, mentre in mezz’ora veniamo travolti da questo sabba desertico, schiaffeggiati dai vari capitoli che si susseguono e formano questa lunga jam.
Space Orgasm è la parte del viaggio che più preferisco, ma Deep Valley Blues rimane un lavoro da mandare giù tutto d’un fiato, altrimenti si rischia di perdere molto della magia drogata del sound di questi sacerdoti dell’hard rock stoner.

1. Death Valley Blues
2. Prey
3. Struggle of Interest
4. Hell of a Month
5. Space Orgasm
6. Banzai
7. Ashes in the Wind

Line-up
Umberto Arena – Guitars and Backing Vocals
Alessandro Morrone – Guitars
Giando Sestito – Bass and Vocals
Giorgio Faini – Drums

DEEP VALLEY BLUES – Facebook

Uncommon Evolution – Junkyard Jesus

Ritmiche grasse, chitarre sature ed attitudine selvaggia sono le maggiori caratteristiche degli Uncommon Evolution e la loro musica, un macigno sonoro che passa per i Clutch e si ferma tra le trame del sound dei Corrosion Of Conformity, aggiunge preziose sfumature southern metal trasformando il tutto in hard rock pesantissimo.

Gli Uncommon Evolution si sono formati nel 2013, arrivano dal Montana e sono stati catturati dalla Argonauta Records, per la quale esce il terzo ep Junkyard Jesus.

Prodotto da Machine (Clutch, Lamb of God, Crobot), il lavoro è composto da quattro brani per una ventina di minuti circa che trasportano sulle montagne degli States.
Deserti che diventano paradisi e viceversa, mentre il caldo soffocante del giorno lascia spazio al freddo polare della notte, in un’escursione termica che si riflette nella musica del quartetto, un hard rock pregno di sonorità stoner, duro come la vita nelle provincie americane, maschio e pesante come una band di taglialegna in trip per suoni stonerizzati e a tratti psichedelici.
Ritmiche grasse, chitarre sature ed attitudine selvaggia sono le maggiori caratteristiche degli Uncommon Evolution e la loro musica, un macigno sonoro che passa per i Clutch e si ferma tra le trame del sound dei Corrosion Of Conformity, aggiunge preziose sfumature southern metal trasformando il tutto in hard rock pesantissimo.
I quattro musicisti statunitensi ci sanno fare con la materia e già dalla title track la loro musica è sparata per fare danni, mentre il chorus di Highly Modified Son of a Bitch si stampa in testa così come l’ottimo refrain, mentre il solo arriva direttamente dalla vetta di una montagna.
La discesa si fa dura e l’ andamento cadenzato di Feather Short of Flight segna il ritorno a valle, mentre King Of The Heep concede un momento di gloria al doom settantiano, compresso e destabilizzato da un’atmosfera satura di elettricità.
Un ottima prova per la band ed ennesimo buon colpo per l’etichetta ligure: gli Uncommon Evolution potrebbero regalare grosse soddisfazioni con un auspicabile prossimo full lenght.

TRACKLIST
1.Junkyard Jesus
2.Highly Modified Son of a Bitch
3.Feather Short of Flight
4.King of the Heep

LINE UP
Matt Niles – drums
Rick Bushnell – bass
River Riotto – lead guitar
Briar Gillund – guitar and vocals

UNCOMMON EVOLUTION – Facebook

Oranjeboom – Here Comes The Boom

Cinque musicisti con il rock americano nel sangue, che loro trasformano in un hard groove moderno, devastante quando vuole far male, sognante e ricco di quella poesia sudista che non lascia scampo.

L’hard rock si impregna di sudore e polvere, la strada brucia sotto le gomme della propria amante a due ruote: Sidewalk, con il suo sound  ci schiaccia la testa ormai spappolata dal sole e lacerata dal groove irresistibile di T.K.O. e delle altre tracce che compongono questo debutto tutto impatto ed attitudine dal titolo Here Comes The Boom.

Colpevoli di tante rotture di crani e ritiri di patente (se provate ad ascoltare l’album mentre guidate) sono gli umbri Oranjeboom, attivi dal 2015 come trio southern acustico ma trasformati in una hard rock band dopo l’entrata degli ultimi due elementi.
La firma con la label napoletana Volcano Records & Promotions e l’uscita dell’album in questa infuocata estate 2017, sono per la band lo scatto bruciante, la partenza a razzo, il diretto nello stomaco che ci voleva per iniziare al meglio la propria storia discografica.
E Here Comes The Boom è quello che gli amanti dell’hard rock moderno, dal groove micidiale, dalle atmosfere e dalle sfumature alternative stoner vogliono sentire, mentre la tradizione sudista è sempre li a farci godere di rimandi ai Lynyrd Skynyrd (Once Again), ai Black Label Society e ai Black Stone Cherry (Stolen Goods) e ai nostri Hangarvain (Bleeding Out).
Cinque musicisti con il rock americano nel sangue, che loro trasformano in un hard groove moderno, devastante quando vuole far male, sognante e ricco di quella poesia sudista che non lascia scampo e ci fa accostare la moto al lato della strada,  ad assaporare l’odore dell’asfalto bollente, segno di un viaggio che è lungi dal terminare.
Detto di una bellissima cover del classico di Stevie Wonder, Higher Ground, in versione stoner, vi consiglio di non perdervi questo bellissimo debutto, stando attenti agli effetti collaterali: un bisogno irrefrenabile di spingere sull’acceleratore e la voglia di mollare tutto ed avventurarsi per un viaggio ai margini della frontiera, accompagnati dalla musica degli Oranjeboom.

TRACKLIST
1. Sidewalk
2. T.K.O.
3. Stolen goods
4. Bleeding out
5. Higher ground
6. Once again
7. Anechoic chamber

LINE UP
Alessio (Smoke) Covarelli – Voice-Guitar
Mauro (Sgrat) Alocchi – Bass Guitar
Claudio (Pit) Patalini – Guitar
Riccardo (Rikki) Baldassarri – Guitar
Francesco (Kendy) Montalto – Drums

ORANJEBOOM – Facebook

Thunder Godzilla – Thunder Godzilla

Discone pesante e potente, un macigno stoner che non fa prigionieri, per gli amanti del genere una gradita sorpresa tutta made in Italy.

Andromeda Relix ci stupisce ancora una volta con l’esordio dei Thunder Godzilla, gruppo stoner metal in arrivo da una Padova trasformata nel deserto della Sky Valley.

Il gruppo che accompagna le scorribande del famoso lucertolone in copertina è formato da Marco al basso ed alla voce, da Jonny alle pelli e da Espo alla sei corde, il suo sound è stoner metal doc, potente, devastante e pregno di quell’attitudine desertica dei primi Kyuss,
E sono proprio i Kyuss il gruppo a cui il trio fa riferimento, mantenendo comunque un’ottima personalità che affiora tra le trame fumose di questo pezzo di granito stonerizzato.
L’opener Tokio Avenger, le bordate stonate di Goliath, gli echi doom di Mammoth King fanno da colonna sonora alla distruzione che il rettile gigante perpetra in giro per lo spazio, ancora più profondo se accompagnato dal pesantissimo sound del trio padovano, assolutamente a suo agio nel portare ad un livello più estremo l’approccio di matrice desertica.
Qui si suona il genere senza compromessi, sguaiato, devastante e distruttivo, come lo scodinzolio dell’enorme coda dil Godzilla, mentre paesi e città vengono distrutti da questa apocalisse stoner.
Il sole cuoce crani e carni, la distruzione è computa e mentre la band ci lascia con il massacro beatlesiano di una Day Tripper sconvolta da sostanze illegali, il mostro si allontana, un pesante ammasso di artigli e ruvida pelle che neppure i missili dell’ormai decimata difesa terrestre riescono a scalfire.
Discone pesante e potente, un macigno stoner che non fa prigionieri, per gli amanti del genere una gradita sorpresa tutta made in Italy.

01. Tokyo Avenger
02. Lie to Me
03. Goliath
04. Fears
05. Get Away
06. Psycho
07. Mammoth King
08. Pressure
09. Yoga Fire
10. Black Hammer
11. Day Tripper

Line up:
Thunder Jonny – Drums
Thunder Espo – Guitars
Thunder Hiyuga – bass, vocals

THUNDER GODZILLA – Facebook

Black Wings Of Destiny – The Storyteller Part Two

La musica è uno scattante e groovoso metal con molte influenze, dal southern al groove, da accenti stoner a parti metal tout court.

I Black Wings Of Destiny sono di Torino e mettono storie in musica, donandogli la vita con una buona dose di metal, declinato in vari sottogeneri, dallo stoner al southern, dal grove a qualche momento metal più ortodosso.

Il disco è la seconda parte di The Storyteller Part One uscito nel 2014, e che ha avuto una buona accoglienza di pubblico e critica. Il concetto che sta dietro questi lavori è quello di narrare storie usando il metal, o più largamente la musica per portare l’ascoltatore dentro le vicende raccontate. Lo stile è uno scattante e groovoso metal con molte influenze, dal southern al groove, da accenti stoner a parti metal tout court. Nessun sottogenere predomina sull’altro, ma tutti contribuiscono a fare un suono bene definito e abbastanza riconoscibile. La forza del gruppo risiede nel far scorrere piacevolmente il disco, tendendo sempre alto il livello del piacere per l’ascoltatore. Il groove è la spina dorsale del lavoro, ed è quello che porta avanti il tutto, rendendolo assai interessante. Una pecca è che la produzione è forse troppo edulcorata, e sarebbe bello sentire il gruppo a briglie maggiormente sciolte, perché le potenzialità ci sono. La melodia è un’altra protagonista del disco, ed è presente in un modo intelligente, accompagnandosi bene con questo concetto di metal moderno che hanno i Black Wings Of Destiny.
Un disco che ha dentro di sé ottime potenzialità che a volte sono portate a compimento, mentre in altri momenti rimangono solo nelle intenzioni.

TRACKLIST
1. Black Knife
2. Jane the Hunter
3. Venom
4. Dillinger Is Dead
5. Dust
6. From Day One
7. Masquerade

LINE-UP
Luca Catapano – guitars/vocals
Marco Mallamo – guitars
Emanuele Cacchioni – drums
Daniele Cogo – bass

BLACK WINGS OF DESTINY – Facebook

Dead Man’s Blues Fucker – Phase II

Un sound grezzo, una produzione volutamente sporca come un carburatore insabbiato ed un’attitudine stoner/psichedelica pervadono dieci brani bellissimi.

E’ tempo di lasciare i facili sentieri di una vita casa – lavoro – famiglia, e rispolverare il vecchio giubbotto di pelle e la bandana di ordinanza, buttare in una scarpata lo scooter e lucidare la vecchia moto, perché quello che promette questo album non vorrete solo sognarlo tramite la musica, ma viverlo ancora una volta sulla vostra pelle troppo profumata per essere quella di un vecchio rockers.

E Phase II, primo lavoro dei Dead Man’s Blues Fucker, è l’album giusto per ritrovare il vecchio spirito, soffocato da una pila di scartoffie che vi aspettano in ufficio tutte le mattine.
Se poi non avete mai smesso di vivere la vostra vita come un’avventura sperduti nella frontiera, allora la nuova band del polistrumentista Diego Potron è quanto di meglio possiate ascoltare tra la polvere del deserto in questa prima metà dell’anno.
Dieci anni di solo project, prima di unire le forze con il batterista Christian Amen Amendolara, in questa nuova realtà che lascia senza fiato per intensità ed impatto, un muro sonoro, stonerizzato, psichedelico e spettacolarmente southern.
Dimenticatevi dunque i facili viaggetti coast to coast, qui si cerca l’estremo in una lunga jam stonata, tra il bruciore dell’asfalto, il caldo delle marmitte sollecitate dal motore a pieni giri, persi in un deserto sconfinato dove i miraggi sono tenuti lontani dagli incubi.
Un sound grezzo, una produzione volutamente sporca come un carburatore insabbiato ed un’attitudine stoner/psichedelica pervadono dieci brani bellissimi, in un’atmosfera opprimente come la testa che scoppia tra il caldo e i postumi di una sbornia nel locale della frontiera americana, che esce prepotentemente diabolica dal blues violento di The Power Of Your Love, dallo stoner/southern di Birthday Cake, o dalla più rilassata The Cornfields Queen Brotherhood.
Un album affascinante, ricco di sfumature, vario e dannatamente coinvolgente, pur rimando fortemente ancorato all’underground, in una parola … bellissimo.

TRACKLIST
01. Blind Sister’s Home
02. The Power Of Your Love
03. Black Woman
04. Birthday Cake
05. The Cornfields Queen Brotherhood
06. One Kind Favor
07. Bad Awakening
08. Crow Jane
09. Song For Mr. Occhio
10. The Place For You

LINE-UP
Diego DeadMan Potron – guitar, bass, organ,vocals
Christian Amen Amendolara – drums

DEAD MAN’S BLUES FUCKERS – Facebook

Olneya – Olneya ep

Un rituale completamente strumentale, psichedelico e stonerizzato.

Chiudete gli occhi ed immaginate la nostra costa adriatica completamente spoglia delle catene di alberghi, parchi di divertimento e cittadine affollate dal turismo estivo, quello del divertimento a tutti i costi, delle facili conquiste e delle balere che hanno fatto illudere di vivere una vita diversa ad una moltitudine di generazioni.

Una distesa sabbiosa che dalle coste venete scende fino alla Puglia, sabbia e mare, un deserto caldissimo dove l’ombra è un tesoro ed il sale ha già riempito la nostra bocca, dopo pochi chilometri in riserva di ossigeno e acqua dolce.
Un trip, un incubo che vi si ripresenterà ogni qualvolta vi metterete in ascolto di questo rituale completamente strumentale, psichedelico e stonerizzato, l’ep omonimo degli Olneya, trio nostrano composto da Maurizio Morea alla Chitarra, PJ alle pelli e Enry Cava al basso.
I piedi bruciano sopra la sabbia arsa dal sole desertico, mentre Mantra e Zerouno ci accompagnano nei primi passi di questo che sarà un viaggio relativamente corto, ma totalmente destabilizzante.
Il basso pulsa e ci dà il ritmo da tenere per non perdere terreno, mentre la sei corde ci tortura, a tratti psichedelica e settantiana, in altri momenti più vicina alle sonorità americane del caldissimo decennio che accompagnò la fine del millennio, tra l’assolato stoner rock della Sky Valley ed il piovoso grunge di Seattle.
Siamo già a Zerotre, liquida, avvolgente e pericolosa come le spire di un serpente mostruoso creato dalla nostra mente in balia del caldo opprimente e degli effetti collaterali causati dall’abuso di questo ep e altro, mentre la musica sfuma, l’incubo sparisce e la spiaggia torna ad animarsi di uomini, donne e bambini, incuranti di noi e del nostro delirio.

TRACKLIST
1.Mantra
2.Zerouno
3.Zerodue
4.Road to Aokigahara
5.Zerotre

LINE-UP
Maurizio Morea – Guitars
Pj – Drums
Enry Cava – Bass

OLNEYA – Facebook

Gurt – Skullossus

La musica dei Gurt è quanto di più pesante, tossico e destabilizzante possiate trovare nel genere e non solo, una colonna sonora al male di vivere che si trasforma in misantropia ed inquietudine.

Le vie estreme del metal sono infinite e a ribadire questa verità non scritta ci pensano gli inglesi Gurt, dediti ad un grezzo, irriverente e pesantissimo stoner/sludge.

Il quartetto è in giro a fare danni da sette anni e si porta dietro una discografia lunghissima formata da lavori minori e due full length, Horrendosaurus del 2014 e quest’ultimo trip andato a male, intitolato Skullossus.
Il sound che va a formare questo pesantissimo ed estremo lavoro è composto da una vena stoner, fatta di blues sporco e doom apocalittico, il tutto sotto la sgualcita bandiera dello sludge metal.
La musica dei Gurt è quanto di più pesante, tossico e destabilizzante si possa trovare nel genere e non solo, una colonna sonora al male di vivere che si trasforma in misantropia ed inquietudine.
Ma attenzione,  non c’è niente che possa far pensare ad un qualcosa di romantico, la misantropia insita in Skullossus è fastidiosa, violenta e senza soluzione di continuità.
I brani sono pesantissimi e portano con loro la disperata rabbia di personaggi disadattati, protagonisti loro malgrado di un mondo sconcertante, senza speranza e volto all’autodistruzione.
Skullossus è una jam acida mastodontica e belligerante di disperazione tossica contenente almeno tre perle come Gimme The Night Any Day, The CrotchWobbler e John Gar See Ya Later, quest’ultima vero colpo fatale per la nostra mente.

TRACKLIST
1.Welcome to the Shit Show
2.Give Me the Night, Any Day
3.Battlepants
4.Double Barreled Shot-Pun
5.The Crotchwobbler
6.Existence Is Pain
7.Broken Heart Heroin Man
8.Meowing at the Fridge
9.Jon GarSeeYa Later
10.The Ballad of Tom Stones and Reg Montagne (Part 1)
11.The Ballad of Tom Stones

LINE-UP
Rich Williams – Sedulurt – Riffmonster
Dave Blakemore – Spice – Bassmaster
Bill Jacobs – The Scorpion – Bashing

Gareth Kelly – Vocals
Richard Williams – Guitars
Dave Blakemore – Bass
Bill Jacobs – Drums

GURT – Facebook

No Good Advice – From The Outer Space

From The Outer Space è un piacevolissimo e molto ben scritto disco di musica pesante che sicuramente farà la gioia di molti, testimoniando l’assoluta bontà della scena italiana.

I No Good Advice sono attivi a Torino dal 2012 e, dopo alcuni cambi di formazione, si sono ora assestati e hanno prodotto il loro primo disco su lunga distanza, dopo l’ep del 2015 Prehistoric Overdrive.

Se dovessi dirvi, come un venditore di qualcosa, in cosa differiscono i No Good Advice dagli altri gruppi, rimarcherei il grande equilibrio che hanno tra melodia e potenza, tra la forte armoniosità della voce e l’impero del resto del gruppo. Questo non è solo stoner o qual dir si voglia, ma è un rock and roll potente ed altro, che colpisce per ricchezza, struttura e lussuria. I No Good Advice fanno dischi concept, questo parla dello spazio ed è accompagnato da uno splendido libretto del cd di 24 pagine, praticamente un fumetto, che è parte essenziale del progetto. Il loro suono pieno riesce a soddisfare totalmente l’ascoltatore in cerca di musica, potente ma bilanciata melodicamente, con frequenti accenni al meglio della scena pesante anni settanta. Dischi come questi sono possibili poiché teenagers di tanti anni fa ribassarono le chitarre, fecero lunghe jams nelle quali il trip non era solo fiori e amore. From The Outer Space è un piacevolissimo e molto ben scritto disco di musica pesante che sicuramente farà la gioia di molti, testimoniando l’assoluta bontà della scena italiana. In certe aperture melodiche, specialmente in Stoned Jesus, oltre ai riferimenti più classici, sembra davvero di poter sentire qualcosa dei Ritmo Tribale, e per estensione maggiore di un certo rock italiano che per fortuna non muore mai, ma si ripropone in altre forme e battaglie.

TRACKLIST
1 The Great Dawn
2 Space Surfers
3 Black Monolith
4 Napalm
5 Suicide Inside
6 Stoned Jesus
7 Super Looper Groover
8 Astronaut Superstar
9 Mother of the Void
10 Tears of the Universe
11 Into Your Grave
12 Between the Earth and Space

LINE-UP
Livio Cadeddu : Guitars, Voice
Lorenzo Moffa : Guitars
Marco Nalesso : Bass
Giacomo Passarelli : Drums

NO GOOD ADVICE – Facebook

Three Horns – Jackie

Un lotto di brani da spararsi senza remore, una botta di vita a tutto volume, mentre il caldo ci soffoca e l’impianto dell’aria condizionata ci ha salutato da un pezzo, cosi che mai come ora la nostra pianura si trasforma in un deserto aldilà dell’oceano.

Tra citazioni del Grande Lebowsky, una partita a bowling, ed una Voghera trasportata nell’inferno del deserto americano (ma anche in quei luoghi d’estate il caldo non scherza), i Three Horns ci consegnano un altro lavoro di stoner hard rock, genere che in Italia sta regalando grosse soddisfazioni nella scena underground.

Il gruppo formato da Alessio Bertucci (chitarra e voce), Mic Roma (basso e voce) e Simone Gabrieli (batteria) se ne esce con un album, Jackie, formato da una serie di brani irriverenti, dallo spirito punk e rock’n’roll che si impossessa dell’hard rock stonato, classicamente americano e perso nel deserto o nelle pianure infuocate del nord Italia.
Diretto come un pugno in pieno volto preso in una rissa da bar, Jackie lascia ad altri jam psichedeliche per incontrare il grunge, l’alternative rock dei primi anni novanta ed il rock’n’roll appesantito da potenti dosi di ritmiche stonerizzate e varie, come se Kurt Cobain avesse lasciato le parti ritmiche di Nervermind nelle mani di Les Claypool.
L’irriverenza punk fa il resto, consegnandoci mezz’ora di rock adrenalinico, un sound live che si evince da una produzione essenziale ma perfettamente in linea con l’idea di rock del gruppo di Voghera, che piazza una serie di colpi come California, brano che apre l’album, la successiva Evil Dead, Michigan e Fight Velasquez.
Un lotto di brani da spararsi senza remore, una botta di vita a tutto volume, mentre il caldo ci soffoca e l’impianto dell’aria condizionata ci ha salutato da un pezzo, cosi che mai come ora la nostra pianura si trasforma in un deserto aldilà dell’oceano.

TRACKLIST
1.California
2.Evil Dead
3.Jackie
4.Half Life
5.Michigan
6.Fight Velasquez
7.The balland of the lonley man

LINE-UP
Alessio Bertucci – lead vocals and backing vocals, electric and acoustic guitar, synth,dobro,banjo, keyboards,percussions, glockenspiel
Michele Romagnese – lead vocals and backing vocals, bass, megabass, percussions
Simone Gabrieli – Drums,percussions

THREE HORNS – Facebook

Heavy Temple – Chassit

La musica racchiusa in Chassit, secondo ep degli Heavy Temple, trio nato da un sabba in qualche locale di Philadelphia cinque anni fa, la si può senz’altro descrivere come un trip di rock vintage alla massima potenza.

Doom metal e psichedelia: un connubio pericolosissimo se non viene usato con estrema cautela, se poi ci si aggiunge un pizzico di stoner ed una vena leggermente progressiva si ottiene un cocktail micidiale di musica rock dalle reminiscenze settantiane, fatte amoreggiare con sonorità pescate dai decenni successivi.

La musica racchiusa in Chassit, secondo ep delle Heavy Temple, trio nato da un sabba in qualche locale di Philadelphia cinque anni fa la si può senz’altro descrivere in questo modo, un trip di rock vintage alla massima potenza.
Siamo giunti quindi al secondo album (il primo ep omonimo è datato 2014) e la band formata da Saint Columbidae alle pelli, Arch Bishop Barghest alla sei corde e la sacerdotessa High Priestess NightHawk al basso e voce, continua la sua immersione nella musica dal puzzo di zolfo e la potenza di uno schiaccia sassi, ornata da ricami lisergici e cadenzate parti stonerizzate, mentre il rituale prende vita tra teschi ornati di serpi e pentoloni a bollire su fuochi che emanano esalazioni infernali.
Un accenno al prog con In The Court Of The Bastard King, titolo dallo spunto crimsoniano, e lente agonie liturgiche (Pink Glass), mentre il sole sorge ma noi si rimane imprigionati nel vortice di colori innaturali che sguazzano nella nostra mente, ormai in balia delle tre sacerdotesse americane.
Per chi i piace il genere le Heavy Temple possono rivelarsi un’autentica e gradita sorpresa.

TRACKLIST
1.Key and Bone
2.Ursa Machina
3.Pink Glass
4.In the Court of the Bastard King

LINE-UP
Saint Columbidae – Drums
Arch Bishop Barghest – Guitars
High Priestess NightHawk – Bass, Vocals

HEAVY TEMPLE – Facebook

Dustrider – Event Horizon

Le canzoni di Event Horizon superano di gran lunga la forma canzone e sono jam spirituali e spaziali, fumosamente particolari e molto godibili.

Viste le premesse e soprattutto i componenti questo debutto non poteva suonare diversamente.

I Dustrider vengono da Roma e fanno uno strumentale space stoner e molto più in là ancora. Il loro suono è un viaggio psichedelicamente distorto, un addentrarsi tra asteroidi e galassie immaginarie, per mezzo di potenti cavalcate sonore fatte di stoner metal pesante e fluttuante. I Dustrider sono il batterista Francesco “Krundaal” Romano (Riti Occulti and Jarman), il bassista Andrea “Keoma” Romano e il chitarrista Bruno “Brüno” Bellisario. Vorrei porre l’attenzione sui gruppi dove milita il batterista Francesco Romano, perché nei loro distinti campi sono due realtà eccellenti, e anche gli altri due componenti non sono da meno. Il disco è quindi nato sotto ottimi auspici, per poi venire fuori anche meglio. L’ ipnosi strumentale che ci regalano i Dustrider è molto ampia e ci offre una gamma pressoché infinita di generi, dallo space al desert, a momenti maggiormente psichedelici e sognanti, però sempre con la distorsione inserita e, cosa ancora più importante, volendo sempre esprimere canzoni e momenti in uno stile molto ben definito. Le canzoni di Event Horizon superano di gran lunga la forma canzone e sono jam spirituali e spaziali, fumosamente particolari e molto godibili. Un gruppo molto al di sopra della media .

TRACKLIST
1. Warped
2. Cosmo
3. They Live!
4. Fallout Criminal
5. Agartha
6. Stratosphere
7. Event Horizon
8. Ultima IV
9. Dust Devil

LINE-UP
Bruno ‘Brüno’ Bellisario – Guitar
Andrea ‘Keoma’ Romano – Bass
Francesco ‘Krundaal’ Romano – Drums

DUSTRIDER – Facebook

Hot Cherry – Wrong Turn

Non così scontato come potrebbe sembrare ad un primo approccio, Wrong Turn si fa apprezzare per la sua energia e per quell’atmosfera sanguigna e vera che è alla base della riuscita di un album del genere.

Wrong Turn è il primo lavoro dei toscani Hot Cherry, uscito qualche mese fa autoprodotto ed arrivato a MetalEyes tramite l’etichetta napoletana Volcano Records, che si è aggiudicata le prestazioni del gruppo del cantante Jacopo Mascagni.

La band nasce nel 2009, ma purtroppo, dopo l’uscita del singolo Scar In The Brain, nel 2013 si scioglie, con il cantante che di fatto rimane l’unico componente e, non arrendendosi, comincia il reclutamento di nuovi componenti.
Nel corso degli anni gli sforzi per dare una nuova vita al gruppo vengono ripagati e con la formazione al completo vede la luce Wrong Turn, una mazzata di metal/rock, dal groove micidiale, potente e dall’anima thrash.
Jacopo Mascagni viene così raggiunto da Nik Capitini e Luca Ridolfi alle chitarre, Kenny Carbonetto al basso e Stefano Morandini alle pelli, e insieme danno vita a questa mezz’ora di muro sonoro che non lascia dubbi sull’impatto di questa nuova formazione e del suo sound, vario nel saper pescare da vari generi, senza mai abbandonare la strada del metal moderno ricco di groove e di un pizzico di pazzia rock ‘n’ roll.
Mascagni canta come se non ci fosse un domani, le frustrazioni passate vengono riversate su nove tracce che non lasciano respiro fin dall’opener Anonymous: una mazzata senza soluzione di continuità tra hard rock, groove, stoner rock, ed attitudine thrash ‘n’ roll che si evince dal singolo Scar In The Brain, dalla mastodontica Craven e dalla devastante Call To The Void.
Non così scontato come potrebbe sembrare ad un primo approccio, Wrong Turn si fa apprezzare per la sua energia e per quell’atmosfera sanguigna e vera che è alla base della riuscita di un album del genere.
Immaginatevi una jam tra i Pantera, gli Anthrax, i Corrosion Of Conformity e i Beautiful Creatures ed avrete un’idea della proposta degli Hot Cherry, non male davvero.

Tracklist:
1.Anonymous
2.8000 HP
3.Scar In The Brain
4.Narrow Escape
5.Craven
6.On Your Own
7.Call To The Void
8.Modern Vampire
9.Bloody Butterfly

Line-up:
Jacopo Mascagni – Vocals
Nik Capitini – R&L Guitars
Luca Ridolfi – R Guitars
Kenny Carbonetto – Bass
Stefano Morandini – Drums

HOT CHERRY – Facebook

Orquesta del Desierto – DOS

Un album che nella sua pacata e sorprendente bellezza nasconde il meglio del rock degli anni novanta e lo trasforma, con dosi di folk e psichedelia, come farebbe un Mark Lanegan perso nell’immensa distesa sabbiosa e ritrovatosi a jammare con un Jimmy Page armato di chitarra acustica e sombrero.

Cercatevi un posto caldo, portatevi quello che più vi aggrada quando decidete di ascoltare desert rock e, concentrati e in totale pace godetevi DOS, secondo album degli Orquesta Del Desierto, capolavoro registrato al Rancho De La Luna nel 2003 e che vedeva all’opera il gruppo con qualche new entry e numerosi ospiti.

Pete Stahl, Dandy Brown, Mario Lalli, Mark Engel, Mike Riley, Adam Maples, Pete Davidson, Tim Jones e con Emiliano Hernandez al sax e Bill Barrett alla tromba, regalarono uno degli album più intensi del genere, principalmente acustico ed influenzato da ritmi latini: DOS è un viaggio nel deserto dal trip psichedelico, affascinante e rilassante, come se l’acido questa volta avesse invaso positivamente le cellule cerebrali ed invece di caldo e demoni, serpenti ed incubi, si contornassero di visioni sulfuree, mettendo in primo piano la tradizione latina in un arcobaleno di ritmi e suoni.
Dopo dodici anni DOS rivede la luce tramite la Spin On Black, con una nuova veste grafica curata da Luca Martinotti ed in versione vinile mixato e rimasterizzato da Harper Hugg al Thunder Underground Studio di Palm Springs.
La nuova versione contiene inoltre due brani inediti in Europa (Rope e Reaching Out) e uno negli Stati Uniti (El Diablo Un Patrono).
DOS è un album emozionante, una passeggiata nel deserto in uno dei suoi splendidi tramonti al ritmo del rock, stonerizzato e dai rimandi latini, colmo di sfumature sognanti: un esperienza musicale dove lo stoner rock della Sky Valley incontra il ritmo tradizionale dei popoli che abitano le calde e aride pianure, mentre è sempre il tramonto a portare quella frescura che rigenera, prima che la notte cali sulla sabbia modellata dal vento.
Un album che nella sua pacata e sorprendente bellezza nasconde il meglio del rock degli anni novanta e lo trasforma, con dosi di folk e psichedelia, come farebbe un Mark Lanegan perso nell’immensa distesa sabbiosa e ritrovatosi a jammare con un Jimmy Page armato di chitarra acustica e sombrero.
Purtroppo DOS è stato l’ultima opera di questi folletti del deserto e mentre la stupenda Above The Big Wide (Screaming Trees, Zep e Kyuss ci salutano da Tijuana) ci avvicina alla fine del viaggio, la consapevolezza d’essere al cospetto di un capolavoro è pari alla tragica ed inevitabile sensazione di esserci ancora una volta persi in un caleidoscopio di suoni e colori di un’America magica e conturbante, bellissima e mistica.

TRACKLIST
Side A
1.Life Without Color
2.Summer
3.Rope
4.Someday
5.Quick To Disperse

Side B
6.What In The World
7.El Diablo Un Patrono
8.Over Here
9.Sleeping In The Dream
10.Above The Big Wide
11.Reaching Out

LINE-UP
Pete Stahl – Vocals
Dandy Brown – Bass, organ, guitar, piano
Mike Riley – Guitar, organ
Mario Lalli – Guitar
Mark Engel – Guitar, organ, b .vocals
Adam maples – Drums, percussion
Pete Davidson – Drums, percussion

Bill Barret – Trumpet
Tim jones – Piano
Emiliano Hernadenz – Sax

ORQUESTA DEL DESIERTO – Facebook

Mexican Chili Funeral Party – Mexican Warriors’ Revenge

Con i Mexican Chili Funeral Party si parte per un viaggio lisergico in compagnia di Led Zeppelin, Doors, Kyuss e Queen Of The Stone Age, con un pizzico di grunge e accenni funk rock.

Chissà se, fra qualche decennio, questi primi anni del nuovo millennio verranno ricordati come il ritorno dei suoni vintage ed old school.

Certo è che nel metal, così come nel rock, un’alta qualità che fa il pari con le molte uscite, stanno portando la nostra musica preferita ad una nuova sfida.
Chi avrà ragione? Quelli che sostengono che non esiste futuro per il rock ma solo un presente da vivere giorno dopo giorno, anno dopo anno, o quelli che hanno già partecipato alla cremazione del malato, da anni terminale e morto tra le nebbie di Seattle o i deserti della Sky Valley?
Come sempre la verità sta nel mezzo e così, a fronte di una crisi dei consumi che tocca inevitabilmente anche la musica, si continua a parlare di rock, magari old school, stonato o drogato dal blues ma pur sempre musica del diavolo che, in quanto tale, è viva e vegeta e brucia nel petto degli appassionati di tutte le età.
Ok, mi sono dilungato, forse troppo, ma una precisazione andava fatta, anche perché qui mi ritrovo con l’ennesimo top album, questo selvaggio e bellissimo Mexican Warriors’ Revenge, nuovo lavoro dei nostri Mexican Chili Funeral Party.
I cinque rockers brianzoli sono attivi più o meno dal 2009, almeno da quando hanno trasformato il loro territorio in un caldissimo e arido deserto, modello Sky Valley appunto, e da qui sono partiti per un trip chi li ha fatti viaggiare attraverso il rock del ventesimo secolo, prima con l’ep La Ballata del Korkovihor uscito nel 2010, poi con il primo full length omonimo licenziato tre anni fa, ed ora con questo bellissima seconda prova sulla lunga distanza in uscita per Sliptrick Records.
Hard rock, stoner e psichedelia, il tutto unito da uno spirito vintage che li porta ad avvicinarsi ai mostri sacri, ma con una personalità debordante, tanto che la band non ha paura di far incontrare i dinosauri settantiani con i grandi gruppi rock nati in uno dei decenni più prolifici della musica contemporanea (per chi scrive il più prolifico in assoluto), gli anni novanta.
Con i Mexican Chili Funeral Party si parte per un viaggio lisergico in compagnia di Led Zeppelin, Doors (bellissima la cover del classico Waiting For The Sun), Kyuss e Queen Of The Stone Age, con un pizzico di grunge e accenni funk rock che danno un senso musicale alla parola “chili” che fa bella mostra di sé nel monicker.
La prima parte si concentra sull’hard rock stonato con una serie di brani che fanno pensare a quello che accadrà in seguito (Vespucci, Power Of Love), ma dalla cover di Waiting For The Sun in poi è puro trip stoner psichedelico da infarto, con il sabba Lu Curt agitato da una chitarra zeppeliniana in overdose.
Un album bellissimo, intenso, selvaggio e primordiale: questo è rock, il resto sono solo chiacchiere.

TRACKLIST
1.01
2.Vespucci
3.Power of Love
4.La Ballata Del Korkovihor, Pt. II
5.Ranger
6.Waiting for the Sun
7.1605
8.Lu Curt
9.Tomahawk
10.11
11.Seul B

LINE-UP
Alessio Capatti – Voice and guitar
Andrea Bressa – Guitar
Andrea Rastelli – Drums
Carlo Perego – Bass
Mr. Diniz – Keyboards and guitar

MEXICAN CHILI FUNERAL PARTY – Facebook

Rainbow Bridge – Dirty Sunday

I Rainbow Bridge sono un trio di bluesmen pugliesi che, per anni, ha portato in giro la musica del grande Jimi Hendrix e oggi sono pronti a conquistarvi con il loro rock strumentale.

Un giorno tre musicisti si persero tra le strade arse dal sole nel bel mezzo della loro terra natia, la Puglia.

Il caldo soffocante, la terra che bruciava sotto i piedi e la loro predisposizione per l’immaginario rock blues li fece fermare davanti ad un crocicchio, che agli occhi dei tre apparve come uno dei famosi incroci nelle terre del sud del nuovo continente ,dove i bluesman incontrano il loro signore, un omino diabolico che in cambio dell’anima offre le chiavi del successo per molti, ma per altri il segreto di suonare la sua musica.
Davanti ai loro occhi, Robert Johnson, Jimi Hendrix ed Alvin Lee, come i fantasmi dei cavalieri Jedi nella famosa saga di Star Wars, si presentarono e posarono le loro mani sui tre musicisti che si risvegliarono al tramonto con nella testa le note che compongono Dirty Sunday il loro nuovo lavoro, una fantastica jam strumentale, divisa in cinque capitoli di blues rock, stonerizzato, ipnotico e coinvolgente.
Loro sono i Rainbow Bridge, un trio di bluesmen pugliesi che, per anni, ha portato in giro la musica del grande Jimi Hendrix e oggi sono pronti a conquistarvi con il loro rock strumentale.
Attenzione però, perché in Dirty Sunday troverete sicuramente un po’ di ispirazioni dal musicista di Seattle, ma non solo, perché appunto, Giuseppe Jimi Ray Piazzolla (chitarra), Fabio Chiarazzo (basso) e Paolo Ormas (batteria), in quel crocicchio vennero effettivamente toccati dalla sacra triade e cosi la loro jam di trasforma in un notevole tributo ad un pezzo importantissimo della storia della musica moderna tra hard rock, blues e stoner della Sky Valley, che tra una trentina d’anni, quando ormai il sottoscritto lo troverete a fumarsi qualcosa con Jimi, sarà considerato il genere più influente dei decenni tra il 1990 ed i primi sussulti del nuovo millennio, ovviamente parlando di rock.
L’opener Dusty, la stupenda Hot Wheels e la zeppeliniana Rainbow Bridge ( ah, ci sono anche loro ovviamente) le componi solo se i tuoi angeli custodi rappresentano la storia dei chitarristi blues rock.
Bellissimo

TRACKLIST
1. Dusty
2. Dirty Sunday
3. Maharishi suite
4. Hot Wheels
5. Rainbow Bridge

LINE-UP
Giuseppe Jimi Ray Piazzolla – guitar
Fabio Chiarazzo – bass, guitar
Paolo Ormas – drums

RAINBOW BRIDGE -Facebook

Duel – Witchbanger

Ascoltando Witchbanger si potrà tornare integralmente tornare indietro nel tempo, o anche solo vivere una grande esperienza sonora, degustando un hard rock puro, con melodie incredibili.

Tornano i texani Duel, uno dei migliori gruppi di rock doom occulto che ci siano in circolazione.

Il loro suono è un affascinante rielaborazione di quel suono anni settanta tra hard rock e doom, aggiungendoci molto di personale. I Duel catturano l’ascoltatore con un impasto sonoro ben composto, con la giusta miscela di durezza e melodia. Nella composizione del disco i texani non fanno giustamente eccedere nessuna componente, anzi lasciano il giusto spazio a tutto, lavorando come un vero collettivo sonoro, ed il risultato è eccellente. Il gruppo può annoverare un fedele e numeroso seguito, coltivato sia grazie ai dischi che con i loro concerti. Certamente gli anni settanta fanno la parte del leone in questo suono, ma vi sono anche apprezzabili elementi moderni. I Duel vi avvicinano con il loro suono sinuoso e sensuale, per portarvi in una dimensione magica e occulta, perché qui si parla anche di questo, e siamo in un universo ben diverso dal nostro. Qui il piacere scorre benigno, attraverso riff di chitarra ed accelerazioni sinceramente seventies che sembravano essere ormai perdute nell’orgia musicale odierna. Ascoltando Witchbanger si potrà tornare integralmente tornare indietro nel tempo, o anche solo vivere una grande esperienza sonora, degustando un hard rock puro, con melodie incredibili. Rimane notevole il fatto che questo sia solo il secondo disco del gruppo, anche se non si tratta certo di musicisti esordienti, dato che due membri erano negli Scorpion Child. Occultismo, sangue, e tanto hard rock puro e senza compromessi. Gran disco.

TRACKLIST
1.Devil
2.Witchbanger
3.The Snake Queen
4.Astro Gypsy
5.Heart Of The Sun
6.Bed Of Nails
7.Cat’s Eye
8.Tigers And Rainbows

LINE-UP
Tom Frank – guitar,vocals
Shaun Avants – bass, vocals
JD Shadowz – drums
Jeff Henson – guitar

DUEL – Facebook