Entropia Invictus – Human Pantocrator (Opus Humani)

Tra Septic Flesh, Bal Sagoth e melodic death metal, Human Pantocrator ha le virtù per porsi all’attenzione non solo dei fans del metal sinfonico, ma anche di quello estremo in generale.

Metal estremo di ottima fattura, sinfonico e gotico, oscuro, a tratti magniloquente e vario nel proporre sfuriate di stampo black al più melodico death metal dai rimandi scandinavi.

I protagonisti di questa opera oscura e melodica sono i francesi Entropia Invictus, quartetto attivo da soli due anni ma con le idee chiare sul proprio sound.
Human Pantocrator (Opus Humani) risulta un’opera oscura dove le melodie hanno in mano il sound, anche se growl teatrale e ritmiche violente e veloci irrobustiscono un metal gotico che vive di orchestrazioni cinematografiche, repentini cambi di tempo ed umori, in un contesto che varia tra il black metal sinfonico ed il death metal melodico.
Prodotto benissimo, così da poter godere appieno sia della parte metallica che delle sinfonie classiche, l’album a tratti prende davvero il volo, con sfumature epiche che avvicinano il sound a quanto proposto dai Bal Sagoth (Cosmogenic Pandemonium) con una forte connotazione battagliera che si scontra con quella oscura e gotica dei brani precedenti.
Album curato nei minimi dettagli e che farà la gioia degli amanti del metal estremo sinfonico, Human Pantocrator si fa ascoltare che è un piacere, tra lievi accordi pianistici a smorzare la mastodontica pienezza della musica orchestrale che, con il metal estremo, forma oscure trame epiche ed atmosferici intermezzi dark gotici, dove cori lirici aumentano l’aura di sacrale epicità del sound (Singularity).
In conclusione un album riuscito: tra Septic Flesh, Bal Sagoth e melodic death metal, Human Pantocrator ha le virtù per porsi all’attenzione non solo dei fans del metal sinfonico, ma anche di quello estremo in generale.

TRACKLIST
01. I Will Overcome
02. Euphoria’s End
03. The Builder / The Destroyer
04. In the Attic
05. Cosmogenic Pandemonium
06. Kurzweil’s Dream
07. Singularity
08. Tree of Creation
09. Reflection
10. Imperfect God
11. Among Us

LINE-UP
Jérome Bougaret – Guitars
Jordan Chevreton – Guitars
Laurent Tort: bass
Pierjan Vadeboin – Drums

ENTROPIA INVICTUS – Facebook

Scuorn – Parthenope

Personalmente sono rimasto folgorato dalla potenza e dalla bellezza di un disco come questo, che aspettavo da una vita e che potrebbe diventare una pietra miliare del metal in Italia.

Personalmente ritengo Parthenope un disco epocale per molti motivi. Prima di tutto per la musica che, d’accordo non è nulla di nuovo, ma viene eseguita come nel marmo dell’inferno. Poi per ciò che esprime: è il primo disco in metal che, utilizzando il dialetto, tratta di Napoli e della partenopeità, un concetto davvero affascinante ed ampio.

Partiamo dall’inizio.
Scuorn nasce nel 2008 per opera di Giulian, che qui nel disco compone e suona tutto, con validi aiuti che vedremo di seguito. Questo è il suo debutto discografico, ed è qualcosa di strabiliante. Innanzitutto il nome: Scuorn letteralmente vuol dire vergogna, ma è un concetto diverso da quello italiano, anzi quando ascolterete questo disco dimenticatevi dell’italiano, è solo un intralcio, calatevi nella lingua napoletana, poiché ha maggiori livelli di pensiero dell’italiano.
Parthenope è un concept album sulle storie e soprattutto sulle leggende greco romane di Napoli e dintorni, ogni canzone una leggenda. Le origini sono interessantissime e ancora misteriose, perché Napoli non mostra mai il suo vero volto, nemmeno oggi. Di Napoli abbiamo un’immagine comune, dei pregiudizi, ma Napoli è altro. Ogni volta che ci vai vedi un lato diverso, perché era una città cara agli dei, e questo disco ce lo fa capire molto bene. Scuorn narra di epicità perduta con un suono incredibile, che parte dal black metal sinfonico per andare ben oltre. Come coordinate sonore prendete dei Fleshgod Apocalypse più black, con un incedere però diverso, ma ugualmente magnifico, e questa è una delle forze del disco. Con loro Scuorn ha in comune il produttore, quello Stefano Morabito che si è occupato anche degli Hour Of Penance, ed è uno dei più bravi in giro, infatti la produzione di Parthenope è pressoché perfetta. Per le parti orchestrali Giulian si è avvalso della preziosa collaborazione di Riccardo Studer dei Stormlord, e il suo grandissimo lavoro si può ascoltare nel secondo disco dell’edizione speciale, che contiene le bellissime versioni orchestrali di ciascun brano. Dentro a questo immaginifico suono ci stanno le narrazioni di Giulian, che ci riporta indietro nel tempo, alla parte greca e romana della storia di questa città, che più che una città è una civiltà vera e propria. Notevolissimi sono i pezzi suonati con gli strumenti tipici di Napoli, uno su tutti il mandolino, che è anche nel simbolo del gruppo. Questi strumenti sono usati molto bene, inserendoli con gran cura nella narrazione: infatti, Averno è un pezzo strumentale che diventerà uno spartiacque, come Kaiowas per i Sepultura. Parthenope è un capolavoro assoluto, un atto d’amore e di odio entrambi incondizionati per una città che è uno stato d’essere, con radici occulte ed antichissime che nessuno mai prima d’ora aveva narrato in questa maniera. Qui dentro troverete quel sentire che solo a Napoli è possibile, il tutto usando il metal come codice e linguaggio per raccontare. Il metal, ed in particolare il black metal, è uno dei mezzi migliori per narrare storie epiche e sopratutto per raccontare le diversità e le peculiarità delle varie terre. E’ incredibile l’evoluzione di un genere che è nato per isolare ed invece è uno strumento formidabile di conoscenza e scambio, straordinario veicolo di storie e popoli. Personalmente sono rimasto folgorato dalla potenza e dalla bellezza di un disco come questo, che aspettavo da una vita e che potrebbe diventare una pietra miliare del metal in Italia.

TRACKLIST
1.Cenner e Fummo
2.Fra Ciel’ e Terr’
3.Virgilio Mago
4.Tarantella Nera
5.Sanghe Amaro
6.Averno
7.Sibilla Cumana
8.Sepeithos
9.Parthenope
10.Megaride
11.Cenner’ e Fummo (ORCHESTRAL VERSION)
12.Fra Ciel’ e Terr’ (ORCHESTRAL VERSION)
13.Virgilio Mago (ORCHESTRAL VERSION)
14.Tarantella Nera (ORCHESTRAL VERSION)
15.Sanghe Amaro (ORCHESTRAL VERSION)
16.Averno (ORCHESTRAL VERSION)
17.Sibilla Cumana (ORCHESTRAL VERSION)
18.Sepeithos (ORCHESTRAL VERSION)
19.Parthenope (ORCHESTRAL VERSION)
20.Megaride (ORCHESTRAL VERSION)

LINE-UP
Giulian

SCUORN – Facebook

Entity Of Hate – Cursed for Eternity

Un lavoro breve ma davvero notevole, alla luce di una freschezza impronosticabile quando ci si cimenta con sonorità in voga circa un ventennio fa.

I Diabolus Arcanium, gruppo di Chennai dedito ad un atmospheric black metal, sono stati protagonisti di un’evoluzione invero particolare: infatti, al posto della band originaria ne esistono oggi due, che si muovono però in due direzioni ben distinte.

La prima di queste si chiama Cybernation e, come da monicker, i suoi primi passi saranno improntati a sonorità industriali, mente la seconda, denominata Entity Of Hate, ha appena pubblicato sotto l’egida della Transcending Obscurity il proprio esordio, l’ep Cursed For Eternity.
Tra le due è quest’ultima a dare in qualche modo continuità a quando già fatto dalla band madre, visto che le pulsioni symphonic black vengono ancor più esasperate per approdare su un territorio a metà strada tra il melodic black/death di scuola finlandese (Norther, Kalmah e primi Children Of Bodom) e, ovviamente, i Dimmu Borgir, imprescindibili per chi si approccia a questo genere.
Più che alla maestosità del sound però, Hex, responsabile di questi tutti i suoni ad eccezione della chitarra ritmica a cura di Virgil, punta all’incisività delle parti soliste, che trovano la loro ideale sublimazione in un brano killer fin dalle sue prime note come la title track, decisamente difficile da schiodare dalla mente.
Il connubio tra le tastiere e le sei corde funziona ottimamente anche in Lovers & Prey e Heart Shaped Dagger, con la prima più orientata al black e la seconda che fa riemergere la vena heavy e melodica della traccia di apertura, mentre a livello vocale Hex si disimpegna bene anche se la specialità non appare in assoluto il suo punto di forza.
La strumentale Bloody Tears (Castlevania) non toglie e non aggiunge alcunché e, quindi, si rivela tutto sommato superflua nell’economia dell’ep, ma queste sono piccole smagliature all’interno di un lavoro breve ma davvero notevole, alla luce di una freschezza impronosticabile quando ci si cimenta con sonorità in voga circa un ventennio fa.
Non resta che attendere le prossime mosse di questa nuova “entità” proveniente dall’India: le basi per produrre qualcosa di notevole sono state indubbiamente poste.

Tracklist:
1. Cursed For Eternity
2. Lovers & Prey
3. Heart Shaped Dagger
4. Bloody Tears (Castlevania)

Line-up:
Hex – Lead guitars/Keyboards/Vocals/Bass & Drums on the track Castlevania
Virgil – Rhythm guitars
Karry – Bass (except on Castlevania)
Simon – Drums (except on Castlevania)

ENTITY OF HATE – Facebook

Acrosome – Narrator And Remains

Il suono è un vortice che non scema mai, e nel mezzo di questo black metal carnale e fisico ci sono ottimi intarsi sinfonici e tutto il disco è inteso come un’opera, con atmosfere ed azioni che si dipanano man mano che scorre la sua interezza.

Acrosome è il nom de plume di Da, che è creatore totale e padrone di questa bestia musicale.

Sono sempre affascinanti le avventure musicali solitarie, e sono molto comuni soprattutto nel black metal, che è moltissime cose, e forse è il genere più solipsistico della storia. Attraverso il black metal si può esprimere la più infinita gamma di sentimenti e accadimenti senza aver bisogno di ausili o aiuti esterni, e questo disco ne è la più lampante dimostrazione. Acrosome è black metal totale, potente ed oscuro, Acrosome è un suono che satura l’ambiente, sigillando ogni via di fuga perché è di noi e di se stesso che sta parlando. I testi sono interessanti ed intelligibili perché il cantato è pulito e assai distinguibile. Il suono è un vortice che non scema mai, e nel mezzo di questo black metal carnale e fisico ci sono ottimi intarsi sinfonici e tutto il disco è inteso come un’opera, con atmosfere ed azioni che si dipanano man mano che scorre la sua interezza. Narrator And Remains è infatti una grande opera di black metal, magniloquente e perfettamente plausibile, e il lavoro stesso ne è la spiegazione migliore. Acrosome si conferma come uno dei progetti più interessanti ed originali del black metal europeo e non solo, e questo album doverebbe essere la definitiva conferma per questo musicista molto dotato.

TRACKLIST
1. First Step On To The World
2. Crossbreed Rising
3. Cognitive Contact
4. Sight
5. In The Wake Of Foot Traces
6. Accommodate
7. Terra Amata

LINE-UP
DA – All Instrument and Programming

ACROSOME – Facebook

Goatmoon – Stella Polaris –

Il disco è volutamente ridondante e pieno di pathos, e ci vuole molta classe per fare un lavoro come questo, laddove altri avrebbero miseramente fallito i Goatmoon riescono molto bene, pubblicando un disco potentemente melodico, in linea con la loro storia.

Quando si tratta di fare black metal originale fuori dagli schemi, seguendo una strada propria, allora non troverete di meglio dei Goatmoon, che poi possono essere riassunti nella persona di Black Goat Gravedesecrator, fondatore e colonna portante del gruppo ormai dal lontano 2002.

La parabola musicale del gruppo è notevole e ha un suo senso, soprattutto se si conta l’evoluzione dagli inizi con un black metal molto raw e legato al punk, mentre poi piano piano si è fatto strada un suono con afflati maggiormente epici e legati alla Finlandia. Stella Polaris può essere considerato a buon ragione il punto più alto di questo percorso, poiché è sicuramente l’album più epico e strutturato dei Goatmoon. Per tutto il disco si segue la stella polare nelle fredde lande finlandesi, lottando contro tutto e tutti , per affermare la propria volontà di potenza. Lo svilupparsi del disco non è mai scontato e l’ascoltatore è sempre tenuto in tensione. La grande protagonista di questo disco è la melodia, che trova nel forte uso dell’organo al sua stella polare. Epicità e black metal si compenetrano alla perfezione, mostrando nuove vie al nero metallo. Questa tendenza è forte in molti dischi di black metal finlandese dell’ultimo periodo, per segnare nuove vie nella musica estrema. Il disco è volutamente ridondante e pieno di pathos, e ci vuole molta classe per fare un lavoro come questo: laddove altri avrebbero miseramente fallito, i Goatmoon riescono molto bene, pubblicando un disco potentemente melodico, in linea con la loro storia. Certamente, come il destino del novanta per cento dei dischi black metal, dividerà molti giudizi, ma francamente è un problema da non porsi nemmeno.

TRACKLIST
1.Intro
2.Stella Polaris
3.Kansojen Hävittäjä
4.Wolf Night
5.Sonderkommando Nord
6.Warrior
7.Conqueror

GOATMOON – Facebook

Necronomicon – Advent Of Human God

Tornano i canadesi Necronomicon con il loro sound che ultimamente ha posato gli occhi sulla scena polacca, ma che presenta orchestrazioni e sinfonie oscure dai rimandi alle opere dei Dimmu Borgir.

Il genere che, dalla seconda metà degli anni novanta in poi, fece sfracelli tra i fans del metal estremo, oggi risulta un sound sorpassato se non inutile, almeno per molti degli addetti ai lavori.

Ebbene sì, il symphonic black metal non è più uno dei generi top dell’estremo suonare, ma se si scova tra l’underground metallico qualche buona proposta la si trova ancora, in barba ai soliti criticoni dalla bocciatura facile.
Advent Of Human God, per esempio è un buon lavoro, arriva dal Canada e a crearlo è una band storica del genere, i Necronomicon, trio attivo dalla fine degli anni ottanta e con (oltre ad un ep) quattro precedenti album tra il 1999 ed il 2013.
Tre anni sono passati dall’ultimo lavoro ed il gruppo torna con il suo death/ black che ultimamente ha posato gli occhi sulla scena polacca, ma che presenta orchestrazioni e sinfonie oscure dai rimandi alle opere dei Dimmu Borgir.
Dopo l’intro d’ordinanza prende avvio l’ascesa dagli inferi con la title track, un compendio di ritmiche serrate e blast beat, fino ad arrivare alla prima frenata atmosferica orchestrale e tornare alla carica con The Golden Gods e l’ottima Crown Of Thorns, scelta come video e brano trainate dell’album.
Il trio di Fjord Of Sanguenay, zona che si avvicina molto per conformazione alla famosa costa norvegese e che ispira da sempre, insieme ai testi di Lovecraft, i Necronomicon, convince nelle parti violente mentre qualche orchestrazione risulta forzata nell’economia dei brani, ma siamo ai dettagli: se ancora tra i vostri ascolti compaiono il gruppo di Shagrath ed i Behemoth, Advent Of Human God risulterà senza dubbio un ascolto soddisfacente.

TRACKLIST
1. The Descent
2. Advent of the Human God
3. The Golden Gods
4. Okkultis Trinity
5. Unification of the Pillars
6. Crown of Thorns
7. The Fjord 8. Gaia
9. I (Bringer of Light)
10. Innocence and Wrath [Celtic Frost cover]
11. Alchemy of the Avatar

LINE-UP
Rick – Drums
Rob “The Witch” Tremblay – Vocals, Guitars
Mars – Bass

NECRONOMICON – Facebook

Endemise – Anathema

La band dei fratelli Sauvé, con questo disco, si crea decisamente la possibilità di uscire dai confini nordamercani per approdare ad un Europa senz’altro più ricettiva a questo tipo di sonorità

Lavoro di grande impatto per i canadesi Endemise, autori, con Anathema, del loro terzo full length.

La band di Ottawa è attiva da circa una decina d’anni nel corso dei quali ha senza dubbio affinato la propria conoscenza e la capacità di riproporre al meglio le sonorità symphonic black che fecero la fortuna, alla fine del secolo scorso di Cradle Of Filth e Dimmu Borgir, ed è soprattutto a questi ultimi che i nostri si rifanno, anche se in maniera non così smaccata come si potrebbe temere, un po’ come i loro colleghi statunitensi Abigail Williams.
Infatti, se il symphonic black degli Endemise è tutt’altro che sorprendente per i suoi contenuti, lo è invece per la qualità con il quale viene proposto, a partire dalla produzione, passando per una prova impeccabile a livello strumentale e vocale, e finendo con un songwriting di livello, capace di attrarre con melodie ariose che spesso di infrangono sulle accelerazioni furiose ma sempre ben controllate.
Due brani magnifici (la title track e Soma) ed un’altra manciata di episodi trascinanti e mai stucchevoli sono il fatturato più che positivo che gli Endemise mettono sul piatto: il genere offerto non sarà forse il più fresco ed innovativo possibile ma, quando viene esibito con tale cognizione di causa, è sempre un bel sentire.
La band dei fratelli Sauvé, con questo disco, si crea decisamente la possibilità di uscire dai confini nordamercani per approdare ad un Europa senz’altro più ricettiva a questo tipo di sonorità, non fosse altro che per il fatto d’avervi dato i natali.
Un lavoro che stupirà chi degli Endemise non ha mai sentito parlare, e mi si consenta, per finire, una piccola nota di colore volta anche a dirimere eventuali dubbi: anche se il vocalist di chiama Franky Falsetto non attendetevi un’interpretazione in stile King Diamond, perché il nostro si produce in uno screaming growl impietoso e di rara efficacia, che davvero non ha nulla a che spartire con il suo cognome …

Tracklist:
1.Nocturne
2.Anathema
3.Blackening
4.Procreator
5.Fragments in Stone
6.Soma
7.Come Serene Dark
8.Fragments in Flame

Line-up:
Franky Falsetto – Vocals
Dale Sauvé – Guitar
Graham Murpy – Guitar
Alex Aksentyev – Bass
David Sauvé – Drums

ENDEMISE – Facebook

Esperoza – Aum Corrupted

Un cantico oscuro, un’ora di musica estrema e dalle evocative atmosfere sinfoniche

Un cantico oscuro, un’ora di musica estrema e dalle evocative atmosfere sinfoniche, in cui la parte gotica viene violentata da un bombardamento metallico, per un’opera che va molto vicino ai suoni di in un girone infernale messo a soqquadro dall’arma più letale in mano alle forze oscure, la musica.

Se è vero che l’arte delle sette note, o almeno una sua gran parte, è quanto di più vicino alle forze demoniache ci sia in questo mondo, se l’uomo si allontana da dio ipnotizzato dalle melodie lascive che amoreggiano con la brutalità dell’estremo, se l’umano lato oscuro è continuamente messo alla prova e ammaliato dal mistero e dalla perversione, con Aum Corrupted, nuovo album del gruppo moldavo Esperoza, siamo vicini alla perfezione.
Il trio di Chisinau è l’ennesima scoperta della WormHoleDeath, un altro gruppo assolutamente fuori dai soliti canoni, una creatura che fa dell’arte oscura una meravigliosa e destabilizzante musica estrema, classica nell’approccio, varia nel saper muoversi con sagacia in molti dei generi estremi, originale nell’amalgamare orchestrazioni con un metal brutale, devastante, intenso e a suo modo progressivo.
La musica degli Esperoza è teatrale nella sua più pura concezione, iniziando dall’uso della voce operistica, ma lontana anni luce dalle female fronted band odierne, interpretativa, evocativa, come uno spirito che porta la morte o la possessione, terribilmente affascinate ma pericolosissima, mentre il male, diretto, violento e terribile arriva ad imprigionare l’anima con growl e scream direttamente dal più buio pozzo di anime nere: quella la voce, che fino ad un momento prima, ipnotizzava e ci trascinava inconsapevoli verso la perdizione, si trasforma in un demoniaco ed ultimo cantico prima del buio infinito ed il silenzio perenne.
Zoya Belous , Dmitrii Prihodko e Vadim Cartovenko hanno creato un’opera entusiasmante, difficile da catalogare con la classica etichetta da scrivere in calce alla recensione: Aum Corrupted è un contenitore di musica che ha nell’estremo il suo credo, ma che si riempie di sfumature ed atmosfere, talmente varie da perdere ogni certezza man mano che ci avviciniamo alla conclusione.
Black metal, death, doom, dark prog, gothic, symphonic, ognuno troverà il suo appiglio per non perdersi irrimediabilmente tra i meandri di un sound che lascia indizi come le briciole di Pollicino, ma che se verranno seguite porteranno là, da dove non si torna più ed è facile che accada ascoltando gemme oscure come Egohypnotized, Tomb Of Deeds, Periods Of 8, ma è tutto il lavoro che lascia senza fiato.
Come detto è molto difficile fare paragoni, il sottoscritto ha trovato in molte atmosfere il maligno ed orrorifico talento dei Devil Doll, chiaramente in versione più estrema e sinfonica, ma le note che escono dal tocco dei tasti d’avorio mi conducono verso il mondo di Mr.Doctor, poi la furia estrema tocca devastanti vertici black, death e doom, che mantengono sempre alta la tensione in questa colonna sonora pregna di magnifica, teatrale e diabolica oscurità.

TRACKLIST
01. A Broken Passage (Intro)
02. Egohypnotized
03. Unknown Summons
04. Tomb of Deeds
05. Nocturne Opus 93
06. Blame it on Me
07. Periods of 8
Desolate Grief (Interlude)
09. I Rot
10. ..and here comes the immaculacy / Aum Mantra (you will be punished for your prayers)

LINE-UP
Zoya Belous – Vocals
Dmitrii Prihodko – Guitar
Vadim Cartovenko – Drums

ESPEROZA – Facebook

Khepra – Cosmology Divine

Cosmology Divine è un’opera da non perdersi per alcun motivo, specialmente se si apprezza il symphonic death con sfumature folk orientali

Esordiscono per Rain Without End i turchi Khepra, intrigante realtà in grado di fondere umori mediterranei e mediorientali con il death sinfonico.

In effetti, i nostri fino a qualche tempo fa si chiamavano Gürz ed erano dediti ad una più canonica forma di folk metal: il salto di qualità stilistico li porta oggi scendere su un ipotetico stesso terreno degli attuali Septicflesh, ma questa è un’indicazione di massima, visto che in Cosmology Divine vi sono anche altre nobili sfumature.
Indubbiamente il trio di Istanbul prende ispirazione dal sound proveniente dalle sponde opposte dell’Egeo (Septicflesh, come detto, e Rotting Christ) ma anche da quelle del Mediterraneo sudorientale (Orphaned Land), innestandovi mirabilmente la proprie radici folk: il risultato è convincente sia quando attinge in maniera piuttosto scoperta all’operato della band dei fratelli Antoniou (We Are Descending, Obsession of the Mad, l’elaborata Cosmology Divine) sia quando spingono maggiormente sul versante black death (Ara Hasis, la magnifica Enki, Evil Incarnate).
L’interpretazione vocale di Dou Kalender è efferata il giusto e viene accompagnata da una prova di grande qualità da parte di una band di indiscusso spessore; non deve sminuirne l’operato, d’altro canto, il fatto che la commistione tra metal estremo, pulsioni sinfoniche e folklore mediorientale sia già stata introdotta in precedenza da altri: il sound dei Khepra è sufficientemente personale e ricco di inventiva e, tutto sommato, sembra a tratti persino più ispirato rispetto alle ultime uscite delle citate band di riferimento.
In buona sostanza, Cosmology Divine è un’opera da non perdersi per alcun motivo, specialmente se si apprezzano di base queste particolari sonorità.

Tracklist:
1. Atra Hasis
2. Enki (Diaries of a Forgotten God)
3. Desolation
4. We are Descending
5. Obsession of the Mad
6. Steps of Immortality
7. Evil Incarnate
8. Into the Cosmic Disharmony
9. Cosmology Divine
10. Through the Cosmic Web of Voids

Line-up:
Kenan Turandar – Bass
Dou Kalender – Vocals, Guitars
Tolga Köker – Guitars
Erce Arslan – Drums

KHEPRA – Facebook

Somnium Nox – Apocrypha

Con coraggio e personalità i due musicisti di Sydney/Canberra incorporano in un’unica opera quello che è stata l’evoluzione del genere dagli ormai lontani primi anni novanta

Dalle terre australiane arriva questo nuovo duo di black metallers con il debutto fatto di una sola traccia di sedici lunghi minuti, che ripercorre la storia del black metal, dal più puro e raw, passando per il sinfonico fino a sfiorare lidi post black.

I Somnium Nox sono il chitarrista Nocturnal ed il vocalist Ashahalasin, e Apopcrypha è il primo vagito, un urlo che tocca vertici di geniale metallica, caratterizzata da una varietà stilistica sorprendente, colma di parti estreme, elementi sinfonici ed atmosfere post black che ne fanno un sunto degli ultimi venticinque anni.
Con coraggio e personalità i due musicisti di Sydney/Canberra incorporano in un’unica opera quello che è stata l’evoluzione del genere dagli ormai lontani primi anni novanta, e lo fanno con una facilità disarmante rendendo l’ascolto scorrevole per nulla forzato ed assolutamente affascinante.
Si parte in quarta ed i primi minuti sono estremismo black allo stato puro, poi i venti cambiano, delicate sinfonie fanno capolino fino all’arrivo di una parte atmosferica rock oriented e dai rimandi pinkfloydiani, a metà brano la furia si abbatte ancora una volta su di noi, estrema e cattivissima, per poi cadere in un abisso metallico che sfocia al centro della terra dove ad aspettarci ci sono note di liquido incedere black/psichedelico.
Il viaggio finisce qui, il ritorno sarà un’odissea, dispersi nei meandri di musica senza tempo che coglie elementi già usati in precedenza ma dona loro un’anima propria e li fa convivere in questo bellissimo brano.
Non perdeteli di vista ed aspettate con noi il prossimo passo di questa intrigante creatura estrema.

TRACKLIST
Apocrypha

LINE-UP
Nocturnal – Guitars
Ashahalasin – Vocals

SOMNIUM NOX – Facebook

Malus – Looking Through the Horrorglass

Un’affascinante opera horror black metal dai rimandi sinfonici, ideata, suonata e prodotta dal genio demoniaco di Wargrath

L’underground metallico molte volte regala delle grandi sorprese, specialmente nello sconfinato ed oscuro mondo del metal estremo.

Intanto questo bellissimo lavoro non si compra, è totalmente libero e pronto per essere ascoltato da tutti, un’affascinante opera horror black metal dai rimandi sinfonici, ideata, suonata e prodotta da questo genio demoniaco di nome Wargrath che, sotto il monicker Malus, è da un po’ di anni che crea e produce bellissime opere nere come la pece.
Looking Through The Horrorglass infatti è il terzo full length di una discografia iniziata con una serie di demo licenziata all’alba del nuovo millennio e due album: Creation of Death del 2003 seguito da The Beauty of Doom del 2008.
Otto anni sono passati dunque dall’ultimo lavoro, ma direi che ne è valsa la pena visto l’alta qualità del songwriting del polistrumentista tedesco.
Ed è guardando dentro lo specchio che le immagini orrorifiche che vi si presenteranno, saranno quanto di più teatrale ed a suo modo raffinato potrete trovare nel black metal; sembra un assurdo, ma la musica di Wargrath, nella sua assoluta natura evil ed estremamente metallica, lascia nell’ascoltatore un senso di eleganza suggestiva che non può non sorprendere.
La parte black dai richiami old school, anche se le chitarre lasciano intravedere qualche sfumatura heavy, è inglobata in una spettacolare ma mai invadente parte sinfonica, valorizzata da atmosfere di raggelante teatralità dalle tinte horror, come in un film veniamo assorbiti dal crescendo di tensione che non si alleggerisce neanche quando i tasti d’avorio rilasciano note di nobile pianoforte.
Voci di demoni imprigionati nel fantomatico e pericolosissimo specchio, cigolii provenienti da altre stanze racchiuse nel mondo parallelo aldilà del nostro riflesso, un black feroce che si abbellisce solo in parte con il fascino della musica dalle sfumature classiche, in un saliscendi di emozioni.
L’album si snoda come un’unica opera estrema divisa in capitoli, assolutamente da seguire dall’inizio alla fine, perciò diventa inutile il classico (e per me stucchevole) track by track, anche se Alien-Hand, The Puppeteer e Now sono piccoli capolavori evil da non perdere.
La musica dei Dimmu Borgir è forse quella che si avvicina di più al sound di Malus, anche se personalmente tra i solchi del disco ho rivissuto accenni atmosferici vicini alle note create da Mr.Doctor per i Devil Doll, chiaramente in un contesto black.
Date un ascolto a questo lavoro che non smetterà di sorprendervi ad ogni più attento ascolto.

TRACKLIST
1. Non Timebo Mala
2. The Curse of the Almighty
3. Alien-Hand
4. The Secret of the Old Ruins
5. The Puppeteer
6. Now
7. The Release of a Trapped Soul
8. Entombed Alive
9. Out of the Black
10. Nebulous Memories
11. Night of Terror

LINE-UP
Wargrath – All instruments, Vocals

MALUS – Facebook

Fausttophel – Sancta Simplicitas

Un’altra ottima realtà proveniente dall’Ucraina consigliata agli amanti delle sonorità oscure dalle reminiscenze black, ma con tanta melodia a far da contrasto alle sfuriate estreme ed un’accentuata vena progressiva e classica.

Si torna a parlare di metal estremo proveniente dall’Ucraina con i melodic blacksters Fausttophel, al secondo lavoro sulla lunga distanza che segue l’esordio Thirst Of Oblivion, licenziato nel 2013.

Un’altra ottima realtà che Iyezine propone agli amanti delle sonorità oscure dalle reminiscenze black, ma con tanta melodia a far da contrasto alle sfuriate estreme ed un’accentuata vena progressiva e classica, molto presente nelle realtà provenienti da quelle nobili terre.
Paesi che sul fronte musicale non sono secondi a nessuno, ricchi di tradizioni classiche che anche in questo caso sono la base su cui il gruppo di Poltava, ora trasferitosi in Russia, costruisce il suo sound.
Black metal feroce che si scontra con aperture melodiche, oscure quanto si vuole ma che permettono a Sancta Simplicitas di piacere già dal primo approccio e che ne fanno un ascolto piacevole e colmo di sorprese per tutta la sua durata.
Armonie pianistiche, splendidi accordi acustici, l’uso della lingua madre e di quella russa, compongono un’opera estrema molto ben congeniata, la parte metallica si avvicina al sound scandinavo con i Dissection ed i Dimmu Borgir a fare da principali influenze, mentre le varie parti progressive guardano ai maestri Opeth, in versione folk.
Non mancano infatti atmosferiche parti dove le melodie tradizionali e popolari del proprio paese valorizzano alcuni brani (Sick Earth), mentre le tastiere formano vortici orchestrali (Dimmu Borgir) e le asce sparano riff black metal tremendamente efficaci e dal sapore classico (Dissection).
Buona la prova dei musicisti, ma non è certo una novità nei gruppi di quelle regioni, e perfetta la produzione, soprattutto quando la tempesta estrema si abbatte con furia sui padiglioni auricolari.
The Lot of Emptiness, The Dark Pit of Absurdity, i nove minuti della mini suite The Song of the Leper, sono gli episodi cardine di questo ottimo lavoro, con la cover di Black Tears degli immensi Edge Of Sanity (da quel capolavoro che fu Purgatory Afterglow) che fa sobbalzare il sottoscritto e ci consegna un’altra band sopra le righe ma che, fuori dai soliti circuiti musicali, rischia di perdersi tra le steppe … fortunatamente per voi c’è Iyezine.

TRACKLIST
1. Wandering… Searching…
2. The Lot of Emptiness
3. The Word
4. God’s Place is on the Cross
5. Sick Earth
6. The Dark Pit of Absurdity
7. The Song of the Leper
8. Lunar Onlooker
9. The Whirl Ends Where it Began
10. Black Tears (Edge Of Sanity cover)

LINE-UP
Alexander “Adams” Savinyh – bass, vocal
Valentin “Mau” Samohin – vocal
Vladimir Aldushkin – guitar
Vladislav Ustinov – guitar
Nikolay «Domovoy» Vyhodtsev – drums

Elderblood – Messiah

La miscela degli Elderblood è unica nel panorama metal, poiché coniuga la potenza e le tenebre del symphonic black metal con un grandissimo senso del death metal, mostrando il meglio di questi generi.

Gli ucraini Elderblood sono uno dei migliori gruppi, se non il migliore addirittura, di black metal sinfonico, un genere che espone molto alle figuracce, dato che deve essere composto ed eseguito con molta bravura.

Gli Ederblood in questo senso sanno molto bene come si fa. Fondati nel 2011 dal cantante e chitarrista Astargh insieme al batterista Odalv, nel febbraio del 2012 imbarcano sulla nera nave anche il bassista Hagath. Con questa formazione nel giugno del 2013 incidono Son Of The Morning con la Paragon Records, un ottimo album sottostimato da tanti, ma non dalla Osmose Productions che fa firmare loro un contratto. Ed ecco allora nelle nostre mani, ma soprattutto nelle nostre orecchie Messiah, un lavoro davvero furioso, compatto e ben composto. La miscela degli Elderblood è unica nel panorama metal, poiché coniuga la potenza e le tenebre del symphonic black metal con un grandissimo senso del death metal, mostrando il meglio di questi generi. Messiah è un disco potente e trascinante, con parti sinfoniche inserite bene e composte ancora meglio, senza mai essere di troppo, perfettamente funzionali al disegno generale. Il disco funziona benissimo ed è un notevole attacco sonoro. Il grande pubblico del metal non ha ancora scoperto ed apprezzato a fondo questo grande gruppo, ma grazie alla loro bravura ed anche alla cassa di risonanza che può offrire un’etichetta come la Osmose Records, Messiah potrebbe essere lo spartiacque nella loro carriera.

TRACKLIST
1. Thagirion’s Sun
2. Invocation of Baphomet
3. Devil in the Flesh
4. Leviathan
5. Satana
6. In Burning Hands of God
7. Adamas Ater

LINE-UP
Astargh – Guitars, Bass, Keys, Samples, Orchestral and Voice.
Odalv – Drums.

ELDERBLOOD – Facebook

Winterhorde – Maestro

Chiunque si professi amante della buona musica deve ritagliarsi, almeno per un po’, un’oretta al giorno per cogliere appieno ogni sfumatura e godersi senza distrazioni un lavoro che difficilmente si schioderà dalla top ten di quest’anno.

Gli israeliani Winterhorde potrebbero esser presi ad emblema di ciò che si intende per progressione artistica: partiti come band dedita ad un symphonic black sulle tracce di Dimmu Borgir et similia (Nebula, 2006) ed approdati poi ad una forma parzialmente più evoluta ed avanguardista, ma ancora legata a tratti di matrice  estrema (Underwatermoon, 2010), giungono infine alla quadratura del cerchio con Maestro, tramite il quale, quasi in ossequio al titolo scelto, impartiscono una spettacolare quanto sorprendente lezione della durata di oltre un’ora a base di musica “progressiva” nel senso più autentico del termine.

Il retaggio sinfonico resta fortemente connesso alla struttura compositiva del gruppo mediorientale ma, in questo caso, costituisce un tessuto che avvolge ed arricchisce il lavoro d’insieme piuttosto che rappresentare la classica la soluzione ad effetto volta solo a mascherare, in molti lavori, ampi vuoti creativi.
Il raggiungimento di un simile risultato non arriva per caso ed una delle chiavi di volta è stato sicuramente un pesante ritocco della line-up che ha visto, in particolare, l’ingresso in formazione del cantante Igor “Khazar” Kungurov, il quale, con le sue splendide tonalità pulite duella incessantemente con lo screaming/growl del vocalist e fondatore Z.Winter, finalizzando il lavoro rutilante di una band capace di spaziare con una disinvoltura disarmante tra diverse sfumature stilistiche senza mai appesantire l’ascolto.
Chi ha avuto la ventura di ascoltare quel capolavoro che risponde al titolo Blessed He with Boils degli americani Xanthochroid troverà non poche affinità, specie nei passaggi più accelerati ed in certe repentine aperture atmosferiche, ma i Winterhorde ci mettono di loro un trademark più classico, riconducibile persino a Savatage/Trans Siberian Orchestra nelle frequenti orchestrazioni e, comunque, meno estremo, con una ricerca costante della melodia che non necessità del ricorso a dissonanze o a colpi ad effetto per attrarre l’attenzione dell’ascoltatore.
Mi rendo conto, scrivendone, quanto sia complesso provare a descrivere a parole questo disco, pertanto mi limiterò a dire che chiunque si professi amante della buona musica deve ritagliarsi, almeno per un po’, un’oretta al giorno per cogliere appieno ogni sfumatura e godersi senza distrazioni un lavoro che difficilmente si schioderà dalla top ten di quest’anno.
Anche citare un brano piuttosto che un altro riesce difficile, in quanto Maestro è un’opera di rara compattezza qualitativa, in cui non viene sprecata una nota che non sia funzionale al risultato finale: obbligato a scegliere tra tanta abbondanza, opto per The Heart of Coryphee, la traccia più lunga del lavoro nonché quella che farei ascoltare a qualcuno che mi chiedesse di proporgli un frammento dell’album per farsene un’idea, mentre tutto sommato la traccia meno brillante è proprio la conclusiva Dancing in Flames, in virtù di certe venature circensi che non sono mai state nelle mie corde.
Maestro è l’album che porta i Winterhorde su livelli inattesi ai più: probabilmente il tempo trascorso dall’ultimo lavoro su lunga distanza è stato sfruttato per focalizzare e finalizzare al meglio gli obiettivi, a dimostrazione del fatto che quasi sempre la fretta è nemica della qualità; non resta che assaporare questa splendida opera con la speranza che sia solo l’inizio di una nuova fase della carriera del gruppo israeliano.

Tracklist:
1. That Night in Prague
2. Antipath
3. Worms of Souls
4. They Came with Eyes of Fire
5. Chronic Death
6. The Heart of Coryphee
7. A Dying Swan
8. Maestro
9. Through the Broken Mirror
10. Cold
11. Dancing in Flames

Line-up:
Z.Winter – Vocals
Igor “Khazar” Kungurov – Vocals, Acoustic Guitar
Dima “Stellar” Stoller – Guitars
Omer “Noir” Naveh – Guitars
Sascha “Celestial” Latman – Bass, Saxophone, Acoustic Guitar
Alexander “Morgenrot” Feldman – Keyboards, Theremin
Maor “Morax” Nesterenko – Drums

WINTERHORDE – Facebook

Dark Haunters – To Persevere Is Diabolical

I Dark Haunters impressionano per impatto, malignità e drammatica teatralità, sfumature importanti in un genere che, quando non spicca per originalità, convince eccome se risulta suonato con questa verve ed attitudine.

I Dark Haunters sono un gruppo abruzzese, nato sul finire del vecchio millennio, ma accompagnato in tutti questi anni da molte defezioni e conseguenti cambi di line up che ne hanno, fino ad ora, rallentato l’attività.

Un demo (The Haunter of the Dark) ed un ep, Aethernal Wile, uscito dieci anni fa, sono gli unici lavori firmati Dark Haunters, accompagnati da molte esibizioni live in compagnia di mostri sacri del metal nostrano come Extrema, Gory Blister ed Infernal Poetry.
Finalmente, negli ultimi anni, una trovata stabilità nella line up ha dato modo alla band di dedicarsi al primo lavoro sulla lunga distanza così che, sotto l’ala della Revalve, To Persevere Is Diabolical può vedere la luce.
Black metal sinfonico, con qualche spunto che spinge la band verso il death, un approccio che rimane devastante supportato da un gran lavoro della sezione ritmica, tastieroni che inondano di atmosfere magniloquenti e demoniache il metal estremo del gruppo, supportate dall’ottima prova al microfono del fratellino di Shagrath, Emanuele “Aramor Bizzarro, teatrale e vario nel suo cantico demoniaco, inducono a non fermarsi ad un ascolto distratto, ma a far proprie le note estreme di questo ottimo debutto.
Inutile girarci intorno, il sound della band abruzzese non si discosta molto dalla proposta dei Dimmu Borgir, ma viene manipolata con quel talento tutto italiano per le atmosfere oscure, riuscendo ad impressionare per impatto, malignità e drammatica teatralità, sfumature importanti in un genere che, quando non spicca per originalità, convince eccome se risulta suonato con questa verve ed attitudine.
Una quarantina di minuti bastano al gruppo per entrare di diritto tra le migliori novità del genere di questo nefasto 2016, gli amanti del metallo estremo sinfonico di matrice black troveranno di che godere tra le nere trame delle varie Blood Wolfen Hunger, Legend Of Pei Mei e The Tigress & The Prophecy, perciò niente scuse e dedicate un po’ di tempo a questo ottimo lavoro, ne vale la pena.

TRACKLIST
1. In Perseverance…
2. The Burning Eyes of Vengeance
3. Legend of Pai Mei
4. Blood Wolfen Hunger
5. In My Fortress
6. The Tigress & The Prophecy
7. Rising Through the Curse
8. …Towards the Realm

LINE-UP
Emanuele “Aramor Bizzarro – all vocals
Sergio Nallira – lead and rhythm guitars
Valerio Pietrunti – lead guitar
Christian “Maylord” Di Maria – keyboards
Giuseppe “Vrakor” Amadio – bass
Claudio Martella – drums

DARK HAUNTERS – Facebook

Darkend – The Canticle Of Shadows

Farvi trascinare in un mondo circondato dall’orrore e dalla deviata spiritualità di questo enorme caleidoscopio musicale di malvagità unica, è un’esperienza che dovete assolutamente vivere se siete amanti del metal più estremo e dalle reminiscenze sinfonico orchestrali.

Una band immensa, un sound apocalittico che, pur basandosi sulle estreme note del black metal, si contorna di sinfonie, cori monastici, il tutto con una spiccata predisposizione teatrale.

Un esempio concreto e quanto mai sublime di come la scena nostrana sia cresciuta in modo esponenziale, andando oltre le più rosee aspettative, regalando monumenti di musica concettualmente estrema e profonda.
I Darkend non sono una sorpresa, il loro precedente lavoro Grand Guignol-Book I aveva fatto gridare al miracolo, questa volta perpetuato dalle forze del male, più di un addetto ai lavori e questo fenomenale ultimo parto, conferma il talento estremo del gruppo emiliano.
Symphonic black metal, per lasciarvi un’ indicazione di massima, ma qui si va oltre il già sentito, per la ricchezza di clamorose partiture estreme per fermarsi ad inutili categorizzazioni o paragoni con altre realtà: d’altronde, quando il sax crimsoniano prende il comando di A Precipice Towards Abyssal Caves (Inmost Chasm, I), non potrete che inchinarvi a cotanta genialità.
Allora un passo indietro, tanto lo so che molti, occupati a svuotare il portafogli all’uscita dell’ultimo patetico album della solita band glorificata dalle riviste di settore più cool, non conosceranno questo eccezionale combo, che vede la sua nascita una decina di anni fa, nelle pianure padane di un’Emilia lontana da lambrusco e pop corn e più vicina al signore oscuro.
Due full length all’attivo, prima di questo capolavoro: Assassine del 2010 e, appunto, Grand Guignol-Book I, uscito quattro anni fa; il gruppo si compone di cinque elementi con a capo il singer Animae superbo cantore di questo devastante girone infernale tradotto in musica.
Musica demoniaca, sinfonica e sublime, perché il male è oltremodo affascinante, ipnotizza ed ammalia, senza lasciare scampo a chi vi si avvicina senza le dovute precauzioni.
Citare ogni capitolo di questa opera oscura e magniloquente è quanto meno un’impresa, mentre invitarvi a fare vostra la glaciale perfezione della terrificante Il Velo Delle Ombre è quantomeno un’obbligo da parte del sottoscritto.
Farvi trascinare in un mondo circondato dall’orrore e dalla deviata spiritualità di questo enorme caleidoscopio musicale di malvagità unica, è un’esperienza che dovete assolutamente vivere se siete amanti del metal più estremo e dalle reminiscenze sinfonico orchestrali.
Cosa hanno di diverso i Darkend rispetto ad una qualsiasi altra band straniera? Proprio quello che fa arricciare il naso a molti, il fatto di essere italiani e di esibire tematiche occulte profondamente radicate nel loro DNA.
Dimenticavo: al disco hanno collaborato Attila Csihar (Mayhem), Niklas Kvarforth (Shining), Sakis Tolis (Rotting Christ) e Labes C. Necrothytus (Abysmal Grief), serve altro?
Devo tornare indietro di un bel po’ di anni, fino all’uscita di In The Nightside Eclipse degli Emperor, per ricordare d’aver provato qualcosa di simile ascoltando black metal, non aggiungo altro.

TRACKLIST
1. Clavicula Salomonis
2. Of the Defunct
3. A Precipice Towards Abyssal Caves (Inmost Chasm, I)
4. Il velo delle ombre
5. A Passage Through Abysmal Caverns (Inmost Chasm, II)
6. Sealed in Black Moon and Saturn
7. Congressus cum Dæmone
8. Inno alla stagione dell’inverno

LINE-UP
Valentz – Drums
Animæ – Vocals
Specter – Bass
Ashes – Guitars
Nothingness – Guitars

DARKEND – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Cretura – Fall Of The Seventh Golden Star

Se cercate un ascolto diverso nell’immenso panorama dei suoni sinfonici, sicuramente Fall Of The Seventh Golden Star riesce nella non facile impresa di risultare un album vario, violentissimo, epico e bilanciato da bellissimi momenti atmosferici a loro modo originali e dalla forte personalità.

I quattro cavalieri dell’apocalisse, immortalati sulla copertina, ci introducono al nuovo lavoro dei norvegesi Cretura, ottimo combo estremo arrivato al traguardo del terzo full length, licenziato dalla Wormholedeath, e successore dei precedenti Monsters of Wonderland (debutto del 2012) e When the Dead Goes to Dance, uscito nel 2013.

Symphonic extreme metal è il sound su cui si poggia questo bellissimo lavoro, prodotto da Wahoomi Corvi ai Realsound Studios, un’epica cavalcata di sessanta minuti in compagnia di guerra, morte, distruzione e carestia, una delle molteplici interpretazioni date ai quattro leggendari cavalieri.
E la musica dei Cretura ben si adatta al concept, un oscuro, debordante e devastante metal estremo, che pesca dal black metal sinfonico, caro a i Dimmu Borgir, ma non manca di potenziare il suo impatto con la forza del death metal, orchestrato a meraviglia da ottimi inserti tastieristici e reso affascinate dall’uso della doppia voce, uno screaming malvagio, ed una voce femminile (Sárá Márjá Guttorm) che, opportunamente, si discosta dai toni operistici tout court, per un apporto più concreto alle affascinanti atmosfere da tregende metallica del sound.
Come tutti i musicisti provenienti dal freddo nord Europa, anche i Cretura non lasciano indietro una tecnica strumentale sopraffina, la sezione ritmica risulta travolgente come raffiche di vento gelido che si abbattono sulle coste del mare del nord (Jørgen Beijer Johnsen al basso e Michael Sveri alle pelli), le chitarre sono armi micidiali , spadoni che tagliano e squartano con solos ora colmi di epicità, ora di tragiche melodie (Markus Oddekalv Pettersen, anche terrificante orco al microfono e Marius Toen) mentre le tastiere aggiungono feeling sinfonico al mood estremo e drammatico dell’album.
Si viaggia a velocità sostenute, a tratti qualche rallentamento alza l’atmosfera di brani d’assalto come l’opener Reign of Terror e la successiva Grand Warfare Through Dark Ages, anche se il cuore dell’album è lasciato alla marcia funebre, Funeral Roses, accompagnata da un video molto suggestivo, ed alla cavalcata in crescendo Northern Winds, che parte come un’oscura ballad per crescere di intensità e travolgere con una bordata di black metal epico.
Anche se ad un primo ascolto la sensazione rimane oscurata dalla violenza di brani come Voices Of Hunger e Når lyset dør, affiorano col passare del tempo affascinanti sfumature folk, che rendono l’atmosfera di Fall Of The Seventh Golden Star molto suggestiva, facendo respirare aria di tempi passati, lontani centinaia di anni, perennemente all’ombra della furia distruttrice del metal estremo suonato dal gruppo di Bergen.
Una menzione particolare per The Pale Horseman & the Hunter of the Sky , stupendo brano dalle sfumature gotiche che avvicina il gruppo al symphonic gothic, grazie all’interpretazione della singer, questa volta più in linea con le sue colleghe di genere.
Se cercate un ascolto diverso nell’immenso panorama dei suoni sinfonici, sicuramente Fall Of The Seventh Golden Star riesce nella non facile impresa di risultare un album vario, violentissimo, epico e bilanciato da bellissimi momenti atmosferici a loro modo originali e dalla forte personalità.

TRACKLIST
1. Past, Present & Future
2. Reign of Terror
3. Grand Warfare Through Dark Ages
4. Voices of Hunger
5. Funeral Roses
6. Northern Winds
7. Pray For A Brighter Tomorrow
8. Når Lyset Dør
9. At The 11th Hour
10. The Pale Horseman & The Hunter of The
Sky
11. The Last Song of The Earth

LINE-UP
Marius Toen – Guitars (lead)
Zlargh – Guitars, Vocals
Jørgen Beijer -Johnsen Bass
Michael Sveri – Drums
Sárá Márjá Guttorm – Vocals
Kine-Lise Madsen Skjeldal – Keyboards, Vocals (backing)

CRETURA – Facebook

Rotting Flesh – Infected Purity

Death metal con intarsi sinfonici e fortissime influenze black metal, il tutto fatto con grande potenza e passione.

I Rotting Flesh arrivano da Salonicco: attivi da vent’anni sono vere e proprie glorie dell’underground ellenico, e Infected Purity è la ristampa del loro terzo lavoro uscito nel 2014.

Death metal con intarsi sinfonici, e fortissime influenze black metal, il tutto fatto con grande potenza e passione. I Rotting Flesh sono un gruppo che ha dovuto passare diverse difficoltà, infatti nonostante la loro longeva carriera e i loro tantissimi concerti la loro discografia è di sei demo e soli tre album ufficiali, poco come quantità, ma tutto di alta qualità. Il loro suono ha un incedere epico, una forza diabolica e tanto da insegnare, con un patrimonio frutto dell’esperienza e del talento. Sono solo in tre, un piccolo esercito del nero rumore, e hanno fatto un bel disco qui ristampato dalla sotto etichetta della Satanath, Symbol Of Domination, e dall’italiana Murdher Records, che propone sempre ottime cose del vero underground.

TRACKLIST
1.Altar Of Eclipse
2. Terrorscope
3. Infected Purity
4.Withdraw Cristianity
5.Sadness Of Empathy
6.Life And Torment
7.Shadowgloom
8.Flickering Rituals
9. Mental State
10. Abaddon
11. Skullgrinder
12. Nocturne

LINE-UP
Blackmass – Guitar, Vocals
Vincer – Guitar
Morbid Seraph – Keys
Mancer – Drums

ROTTING FLESH – Facebook

Opera IX – Back To Sepulcro

Black metal teatrale, orchestrato a meraviglia, pregno di malignità e decadente oscurità

Gli Opera IX sono uno dei gruppi più importanti nel panorama estremo dalle trame black ed esoteriche, la loro discografia è colma di album straordinari, pregni di quelle atmosfere di oscuro misticismo come solo nel nostro paese, da tradizione, si possono riscontrare nella musica come nel cinema.

Dal lontano 1990, anno della fondazione del gruppo, oltre a quello ormai diventato un album di culto, The Call Of The Wood, la band piemontese ha infilato una serie di lavori bellissimi dove hanno trovato la gloria non pochi musicisti della scena -nazionale. com fu in passato per Flegias, vocalist dei Necrodeath (all’epoca alle prese con il drumkit) e la “regina” del metal estremo italiano Cadaveria.
Vent’anni sono passati dal primo full length e il gruppo, da sempre in mano allo storico chitarrista Ossian, torna con questa sorta di mini best of, con un poker di bellissimi brani tratti dai primi quattro lavori, più due brani inediti incisi da una line up rinnovata.
Della partita fanno parte la cantate Abigail Dianaria, un ritorno femminile dietro al microfono che fu di Cadaveria, Scùrs al basso, M:A Fog alle pelli (ex Mortuary Drape, tra gli altri) e Alexandros alle keys (ex Highlord).
La nuova veste data alle quattro songs rende giustizia ad una proposta entusiasmante: la produzione e le orchestrazioni fanno rinascere brani storici, inquietanti e bellissimi come Sepulcro, che concludeva il primo album, The Oak, opener di Sacro Culto (1998), Act I, The First Seal che apriva The Black Opera, e Maleventum, title track del disco uscito nel 2002.
I due inediti sono Consacration e The Cross, sorta di outro, ma specialmente la prima funge da antipasto per il nuovo corso della band rivelandosi un ottimo brano in cui vengono confermate le qualità della nuova vocalist, personale, teatrale e maligna e che appare sul pezzo anche con le rivisitazioni dei brani storici.
Black metal teatrale, orchestrato a meraviglia, pregno di malignità e decadente oscurità, brividi che si fanno intensi per il talento dei nostri nel saper rendere reali e per questo ancora più inquietanti le atmosfere malefiche, esoteriche e horror che la loro musica esprime in modo assolutamente geniale.
A questo punto possiamo solo aspettare il nuovo lavoro di inediti e gioire per il ritorno di questa fondamentale band nostrana, sento già odore di morte e decomposizione nell’aria.

TRACKLIST
1. Sepulcro
2. The Oak
3. Act I, The First Seal
4. Maleventum
5. Consacration
6. The Cross (Outro)

LINE-UP
Ossian – Guitars
Scùrs – Bass
M:A Fog – Drums
Alexandros – Keyboards
Abigail Dianaria – Vocals

OPERA IX – Facebook

An Argency – Through Existence

I già ottimi An Argency hanno naturalmente ancora degli enormi margini di miglioramento, specie se dovessero spostare maggiormente gli equilibri a favore della componente sinfonica rispetto a quella djent-core.

Se c’è qualcosa che mi mette di buon umore è la constatazione che, in ogni parte del mondo, ci sono sempre dei ragazzi che hanno voglia di esprimersi attraverso un veicolo meraviglioso come la musica.

Se poi questa racchiude la rabbia, l’urgenza, la freschezza e, perché no, anche l’ingenuità di un gruppo di imberbi giovanotti di Minsk, beh, tanto meglio.
Gli An Argency ti spiazzano fin dalle foto promozionali: se ascolti il loro disco senza conoscerne le sembianze pensi di imbatterti in rudi e cattivissimi esseri barbuti e capelluti, pronti a sfasciare qualsiasi locale in cui abbiano suonato per vendicarsi della scarsa quantità di birre messe a loro disposizione.
Ma, come ben sappiamo, l’abito non fa il monaco, ed il volto pulito dei nostri è ingannevole quanto mai, infatti Through Existence è una mazzata assestata tra capo e collo dalla quale ci si riprende a fatica: collocabile da qualche parte a cavallo tra Fear Factory e Meshuggah, volendo citare i nomi più noti, senza dimenticare il lato più estremo di band geniali quanto misconosciute come Xanthochroid e Mechina, il sound degli An Argency non fa sconti ed in mezz’ora rielabora e scarica tutto ciò che di spiacevole i ragazzi bielorussi hanno evidentemente già fatto tempo ad assimilare nella loro ancor breve esistenza.
Una durata giusta, anche se apparentemente breve, perché le tracce sono tutte intense quanto “piene” e l’ascolto di sicuro non rivela agevole; si diceva delle poche ingenuità, che possiamo individuare in qualche passaggio leggermente manieristico a base di metalcore tout court o qualcun altro in cui una certa anima djent prende il sopravvento, facendo calare un’intensità che, nella stragrande maggioranza della durata del lavoro, si mantiene a livelli spasmodici, con picchi rinvenibili nel singolo An Empty Shell, nella eccellente Condemned e nella conclusiva Torturer.
Sorpresa tra le più belle degli ultimi tempi, gli An Argency hanno naturalmente ancora degli enormi margini di miglioramento, specie se dovessero spostare maggiormente gli equilibri a favore della componente sinfonica rispetto a quella djent-core.
L’album è reperibile per ora sulle più note piattaforme digitali, ma direi che la band bielorussa è già ampiamente pronta per finire sotto l’egida di qualche label che abbia voglia di puntare ad occhi chiusi su gioventù, freschezza e talento da vendere.

Tracklist:
1.Above The Ashes
2.Torturer
3.An Empty Shell
4.False Recognitions
5.Condemned
6.Sheltered
7.A Place To Rest
8.My Solace
9.The Final Conclusion
10.Torturer

Line-up:
Vitaut Kashkurevich – Guitar
Ilya Miroshnichenko – Vocals
Zhenya Buyak – Guitar
Dmitry Romanenko – Drum
Roman Voronkevich – Bass

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