Rhapsody Of Fire – The Eight Mountain

L’album è bellissimo, esaltante ed epico, del resto Staropoli questo tipo di sonorità le ha portate alla fama oltre vent’anni fa e si sente, con il sound 100% Rhapsody Of Fire che si sviluppa in un’ora di fughe velocissime, magniloquenti sinfonie epiche, atmosfere cinematografiche e cori che arrivano fino al cielo.

Una delle più importanti band italiane di sempre, e sicuramente la più conosciuta all’estero (se si parla di symphonic power metal), torna con un nuovo album a dare lustro a questo inizio anno, almeno per quanto riguarda il genere.

La storica band, accantonati i due assi Alex Turilli e Fabio Lione, si ripresenta con un Giacomo Voli in più, vero mattatore di questo ultimo lavoro, ed un songwriting che mantiene una buona qualità, anche se la formula è più che collaudata e il gruppo ne esce comunque alla grande, aiutato dal talento e dal mestiere dei protagonisti.
The Eight Mountain per i fans del gruppo nostrano risulta ancora una volta un’opera imperdibile: i Rhapsody Of Fire non deludono e chi li aspettava al varco si metta tranquillamente l’anima in pace perché Staropoli ed i suoi fidi scudieri sono ancora ben stabili sul trono del symphonic power metal.
La Bulgarian National Symphony Orchestra di Sofia, un coro con più di venti cantanti, l’uso di strumenti medievali, la produzione di Staropoli, più il mix e mastering lasciato a Sebastian “Seeb” Levermann (Orden Ogan) sono i dettagli che fanno di questo lavoro un nuovo importante tassello, nonché primo capitolo di una nuova saga (Nephilim’s Empire Saga) e sorta quindi di un nuovo inizio per la storica band tricolore.
Non riconoscere ai Rhapsody Of Fire l’importanza avuta sulla scena metal italiana e lo status di gruppo internazionale (alla pari con i Lacuna Coil) sarebbe ingiusto; la popolarità e, quindi, l’aspettativa creata da una nuova uscita della band è pari alla sua reputazione e la formula, anche se rimane pressoché inalterata, è assolutamente marchio di fabbrica del gruppo.
L’album è bellissimo, esaltante ed epico, del resto Staropoli questo tipo di sonorità le ha portate alla fama oltre vent’anni fa e si sente, con il sound 100% Rhapsody Of Fire che si sviluppa in un’ora di fughe velocissime, magniloquenti sinfonie epiche, atmosfere cinematografiche e cori che arrivano fino al cielo.
Voli fa il bello e cattivo tempo, risultando il perfetto cantore della nuova saga targata Rhapsody Of Fire, ed il consiglio è di lasciarvi conquistare da una tracklist che non trova ostacoli e che ha in Seven Heroic Deeds, nella folk ballad Warrior Heart, in March Against The Tyrant e nella conclusiva Tales Of A Hero’s Fate i brani più significativi.

Tracklist
01 – Abyss Of Pain
02 – Seven Heroic Deeds
03 – Master Of Peace
04 – Rain Of Fury
05 – White Wizard
06 – Warrior Heart
07 – The Courage To Forgive
08 – March Against The Tyrant
09 – Clash Of Times
10 – The Legend Goes On
11 -The Wind, The Rain And The Moon
12 – Tales Of A Hero’s Fate

Line-up
Giacomo Voli – Vocals
Alex Staropoli – Keyboards
Roby De Micheli – Guitars
Alessandro Sala – Bass
Manu Lottner – Drums

RHAPSODY OF FIRE – Facebook

Preludio Ancestral – Oblivion

Oblivion merita senz’altro l’interesse degli amanti del metal sinfonico e power, frutto di una buona vena in fase di scrittura e dal valore aggiunto dei tanti ospiti sui quali i Preludio Ancestral hanno potuto contare.

Symphonic power metal dal Sud America e precisamente dall’ Argentina con il nuovo album dei Preludio Ancestral, terzetto guidato dal chitarrista e tastierista dalle chiare origini italiane, Leonardo Gatti.

Attiva dal 2005, la metal band sudamericana arriva quarto full length di una discografia che si compone di un buon numero di singoli ed un paio di ep, quindi una realtà solida del panorama metallico del suo paese e non solo.
Oltre a Leonardo Gatti, i Preludio Ancestral vedono all’opera Ari Katajamäki al basso e Diego Camaño alle pelli più un nutrito numero di ospiti che danno il loro contributo alla riuscita di Oblivion, lavoro che si fa sicuramente apprezzare, per intensità ed un’ottima tecnica al servizio di brani potenti, sinfonici e dall’immediata presa.
Al microfono si danno il cambio svariati vocalist, con un’ottima rappresentanza tricolore formata (oltre che dal tastierista Gabriel Crisafulli) da Enzo Donnarumma, Alessio Perardi e Raffaele Albanese che si danno il cambio tra le trame metalliche di quest’opera che non sfigura certo nel panorama classico internazionale, anche se i cliché del genere sono tutti ben in vista e l’album non brilla certo in originalità.
Ma sono dettagli, perché Oblivion segue le coordinate tracciate sulla mappa dell’heavy metal sinfonico dalle potenti ritmiche power, e la band non risparmia cascate di melodie per un risultato più che buono, brillando per un songwriting ispirato ed una facilità d’ascolto disarmante, grazie a brani diretti e figli di ispirazioni ed influenze che vanno dai primi Angra agli Avantasia, con Storm, la splendida title track e l’heavy metal classico della grintosa Dust World a presenziare sul podio e sottolineare la buona riuscita di questo lavoro.
Oblivion merita senz’altro l’interesse degli amanti del metal sinfonico e power, frutto di una buona vena in fase di scrittura e dal valore aggiunto dei tanti ospiti sui quali i Preludio Ancestral hanno potuto contare.

Tracklist
1.Presagio
2.King of silence
3.Storm
4.Fear of falling
5.Ready to rock
6.Oblivion
7.Universal love
8.Reflection in the wind
9.Dust world
10.Metal walls

Line-up
Leonardo Gatti – Guitars & Keyboards
Ari Katajamäki – Bass
Diego Camaño – Drums

Guest musicians:
Gabriel Crisafulli – Keyboards
Juan Pablo Kilberg – Guitar
José Paz – Keyboards
Alessio Perardi – Vocals
Fran Vázquez – Vocals
Daniel García – Vocals
Juan Pablo Kilberg – Vocals
Raffaele Raffo Albanese – Vocals
Kimmo Perämäki – Vocals
Enzo Donnarumma – Vocals

PRELUDIO ANCESTRAL – Facebook

Eternal Silence – Mastemind Tyranny

Terzo album e definitiva consacrazione a livello qualitativo degli Eternal Silence che, con Mastermind Tyranny, confermano la bontà del loro symphonic power metal.

Il terzo album per un gruppo dovrebbe risultare quello della consacrazione artistica che, il più delle volte, non va a braccetto con quella commerciale portando però una band o un artista in uno stato più consolidato nella scena in cui si muove, diventandone uno dei punti di riferimento.

I lombardi Eternal Silence arrivano quindi a questa fondamentale prova dopo due bellissimi lavori che ne avevano fatto una delle band più promettenti del panorama power sinfonico dello stivale.
L’esordio Raw Poetry , uscito quattro anni fa, seguito dall’ottimo Chasing Chimera licenziato nel 2015, avevano lasciato con più di un sorriso gli addetti ai lavori, mentre fiumi di inchiostro tessevano le lodi del gruppo capitanato dalla singer Marika Vanni e dal chitarrista cantante Alberto Cassina.
La firma con la SliptrickRecords, la line up invariata, con i bravissimi Davide Rigamonti (chitarra), Alessio Sessa (basso) e Davide Massironi (batteria), il lavoro in studio lasciato come sempre nelle mani di Giulio Capone che, con l’aiuto di Alberto Cassina, ha prodotto il nuovo lavoro, sono i principali dettagli di Mastermind Tyranny.
L’album non delude chi si era innamorato del precedente lavoro, in quanto non abbandona le principali coordinate stilistiche del gruppo, ma continua una progressione che porta questo lavoro su un gradino più alto dei sui predecessori, consegnando appunto la band allo status di cui si diceva in precedenza.
Una sezione ritmica a tratti di una potenza devastante, suoni sinfonici mai troppo banali ma sempre in funzione del power metal, che nell’economia del gruppo è parte assolutamente importante, atmosferici momenti che fungono da camei gotici e tanto talento, fanno del nuovo album del gruppo un’altra perla sinfonica tutta da ascoltare.
Mastermind Tyranny non lascia neanche un minuto di musica all’approssimazione, tutto è in funzione dei brani che escono fluidi, splendidamente sinfonici, tra duetti vocali (con più spazio alla voce maschile rispetto al passato) e ritmiche incalzanti, esponendo tematiche importanti come la manipolazione delle menti, accenni ad opere letterarie immortali come Il Nome Della Rosa e altre molto più attuali, con riferimenti all’estremismo religioso.
Insomma un album a cui non manca nulla per risultare il best seller degli Eternal Silence: non mi soffermo sui brani in particolare ma vi invito a non perdervi Mastermind Tyranny, colpo di coda in questo 2017 per quanto riguarda il power metal sinfonico.

Tracklist
1.Lucifer’s Lair
2.Fighter
3.Mashed
4.Adagio
5.Game of the Beasts
6.Mystic Vision
7.The First Winter Night
8.Foreign Land
9.Icy Spell
10.Ashes of Knowledge

Line-up
Marika Vanni – Vocals
Alberto Cassina – Guitar and Vocals
Davide Rigamonti – Guitar
Alessio Sessa – Bass
Davide Massironi – Drums

ETERNAL SILENCE – Facebook

Sound Storm – Vertigo

Amanti delle metal opera e del power sinfonico fatevi sotto, perché Vertigo risulta un mastodontico lavoro dove il metal incontra le orchestrazioni e la musica da film, in un perfetto connubio che porta all’ascolto di un lavoro privo di qualsiasi difetto.

La scena metal nazionale non smette di regalare sorprese e dopo gli ottimi album arrivati in redazione negli ultimi mesi e che coprono praticamente tutto il mondo metallico con le sue tante sfaccettature, arriva dalla Rockshots il terzo lavoro dei piemontesi Sound Storm, un’opera metal totale, la colonna sonora di quello che di fatto è una serie dalle tematiche steampunk ideate dal gruppo e diretta da Taiyo Yamanouchi.

In questo nuovo lavoro la band ingloba nuovi membri che vanno a comporre una line up che vede, oltre alla coppia storica formata da Valerio Sbriglione (chitarra) e Massimiliano Flak (basso), Alessandro Bissa (batteria), Rocco Mirarchi (chitarra), Elena Crolle (tastiere) ed il bravissimo Fabio Privitera (voce).
Amanti delle metal opera e del power sinfonico fatevi sotto, perché Vertigo risulta un mastodontico lavoro dove il metal incontra le orchestrazioni e la musica da film, in un perfetto connubio che porta all’ascolto di un lavoro privo di qualsiasi difetto, magniloquente e pregno di evocativa epicità come nella migliore tradizione classica.
Ovviamente non stiamo parlando di originalità ed altre chimere, il power metal e le sinfonie orchestrali non sono certo la prima volta che si incontrano, ma in Vertigo sono portate ad un livello talmente alto da guardare le migliori opere passate direttamente negli occhi.
Eviterò di descrivervi la tecnica sopraffina di cui i musicisti sono dotati, in questo lavoro è il songwriting, accompagnato da un talento per le atmosfere magniloquenti, che fa la differenza, lasciando che le ispirazioni del gruppo si riflettano positivamente su una splendida opera.
La storia riguarda un compositore che, fallite le sue aspettative musicali, si diletta con la scienza, scivolando sempre più in un baratro di pazzia: la musica è drammatica, tragica ed epica, intimista in molti passaggi pianistici che ricordano i Savatage o la Trans Siberian Orchestra, mentre le parti orchestrali unite al power raccolgono gli insegnamenti del nostro Luca Turilli, maestro indiscusso di queste sonorità.
Abbiate cura di questo lavoro e fatevi cullare dalle emozionanti sfumature che i ricami tastieristici della Crolle rendono eleganti e raffinati, senza dimenticare gli assoli che a tratti ci investono con il loro gusto neoclassico, le cavalcate metalliche, gli esaltanti crescendo orchestrali e l’interpretazione fuori categoria di Privitera, che mette l’accento su questo enorme lavoro.
The Dragonfly, Original Sin, la devastante Gemini sono episodi da segnalare, ma se riscrivessi l’articolo nominerei magari altre tra le tracce che compongono questa bellissima opera, tanto per rendere l’idea dello spessore qualiativo di tutta la tracklist.

Tracklist
1. Vertigo
2. The Dragonfly
3. Metamorphosis
4. Forsaken
5. Original Sin
6. The Ocean
7. Spiral
8. Gemini
9. Alice
10. The Last Breath

Line-up
Fabio Privitera – Vocals
Valerio Sbriglione – Guitars
Rocco Mirarchi – Guitars
Elena Crolle – Keyboards
Massimiliano Flak – Bass
Alessandro Bissa – Drums

SOUND STORM – Facebook

Ariadna Project – Novus Mundus

Un album che conferma come le terre del Sudamerica siano ricche di talenti ed ottima musica metal, continuando una tradizione nei suoni classici che dura e prosegue nel regalare enormi soddisfazioni a chi ama il metal più melodico ed elegante.

Grande musica metal si è suonata e si continua a suonare in Sudamerica, ma questa volta invece del quasi scontato Brasile (specialmente per quanto riguarda i suoni classici) si vola in Argentina, dove sono tornati a produrre musica dopo dieci anni dall’ultimo lavoro gli immensi Ariadna Project, gruppo magari poco conosciuto se non si è cultori attenti del power metal melodico.

La band ha ampiamente dimostrato in passato il proprio talento con la versione internazionale del primo album Mundos Paralelos, uscito nel 2005 e poi trasformato in Parallel Worlds due anni dopo.
Il quintetto argentino torna tramite la sempre più efficace label greca Sleaszy Rider, con questa monumentale opera dal titolo Novus Mundus, un arcobaleno di note heavy power sinfoniche dalle gustose melodie aor mixato da Timo Tolkki (Stratovarius) e Santtu Lehtiniemi (Revolution Renaissance) ai Tolkki Studio in quel di Helsinki e masterizzato da Svante Forsbäck (Rammstein, Apocalyptica, Stratovarius, Sonata Arctica) ai Chartmakers Studios, sempre nella capitale finlandese.
L’album vive di una naturale predisposizione per la melodia, dimostrandosi vincente in ogni frangente, con un’alternanza di brani power/prog eccezionali ed altri in cui l’hard rock melodico prende la mano ai musicisti, con il vocalist Emanuel Gerban che ci delizia con parentesi da arena rock a dir poco entusiasmanti.
Un piccolo capolavoro questo Novus Mundus, molto più Royal Hunt che Stratovarius (tanto per intenderci) ma dove non mancano neppure la grinta, i solos graffianti e le ritmiche che risultano cavalcate in cui le tastiere ricamano sinfonie eleganti ed il singer intona chorus che si stampano in testa al primo ascolto.
Anche se riesce davvero difficile lasciare indietro qualche brano, sicuramente vanno citate la spettacolare ed oscura title track (l’unica traccia atmosfericamente ombrosa del lotto), e poi la cavalcata power sinfonica Unleash Your Fire che apre l’album, le melodie aor di Run Like The Wind e la spettacolare The End Of The Dark, ottimi esempi del fastoso sound del gruppo di Buenos Aires, ma sono sicuro che tra un paio di giorni ne nominerei un altra manciata, talmente alta è la qualità di questo lavoro.
Un album che conferma come le terre del Sudamerica siano ricche di talenti ed ottima musica metal, continuando una tradizione nei suoni classici che dura e prosegue nel regalare enormi soddisfazioni a chi ama il metal più melodico ed elegante.

TRACKLIST
1.Apocalypse 050
2. Unleash Your Fire
3. Run Like The Wind
4. Face My Destiny
5. The End Of The Dark
6. Shining Through Eternity
7. Age Gone Wild
8. Always With Me
9. As I Close My Eyes
10. The Fury Of Your Hate
11. Novus Mundus
12. Dreams Never Die (bonus track)

LINE-UP
Emanuel Gerbam – Vocals
Rodrigo Gudina – Guitars
Alexis Espinosa – Bass
Jorge Perini – Drums
Hernan Vasallo – Keyboards

ARIADNA PROJECT – Facebook

Kliodna – The Dark Side…

Il quintetto di Minsk affronta con ottima determinazione il genere, cercando di bilanciare orchestrazioni e parti metalliche e confezionando un prodotto assolutamente in grado di soddisfare i palati degli ancora molti amanti del power metal sinfonico.

Attivi dal 2012, i bielorussi Kliodna sono una nuova band che va a rimpolpare le truppe del power metal sinfonico tra il folto rooster della Wormholedeath.

Il quintetto di Minsk affronta con ottima determinazione un genere che sembra all’apparenza aver detto tutto e sicuramente non visto più di buon grado dalle riviste di settore, cercando di bilanciare orchestrazioni e parti metalliche e confezionando un prodotto assolutamente in grado di soddisfare i palati degli ancora molti amanti del power metal sinfonico.
Come tutte le realtà provenienti dall’est europeo, anche i Kliodna si fanno apprezzare per un approccio elegante, innato in gente cresciuta in paesi che danno da sempre molta importanza alla musica nell’educazione quotidiana.
Con una cantante perfetta per il ruolo di sirena metallica (Helena Wild, alla quale è poi subentrata Natalia Senko) e dotata di un’ottima voce operistica, la band tiene schiacciato il piede sull’acceleratore, almeno per i primi tre brani, preceduti dalla solita intro di rito e che sfoggiano solida potenza power, orchestrazioni non troppo pompose e un buon songwriting .
Al quarto brano in scaletta di questo ottimo The Dark Side…, il gruppo fa centro con Night Symphony, semi ballad metallica molto suggestiva seguita dalla ripartenza power orchestrale di Blood In The Sea.
Col passare dei minuti la prova della Wild al microfono diventa assolutamente da sottolineare (le sue muse ispiratrici sono sulla scia della solita Turunen), mentre la potenza power lascia spazio a solos di estrazione neoclassica.
Dead Princess Dreams è orchestrata a meraviglia e dona un intervento chitarristico da applausi, mentre l’album si avvia verso la fine, in tempo per godere della ballad Frozen Soul, a ribadisce l’influenza dei Nightwish sulla musica dei Kliodna.
Un buon lavoro dunque, da non farsi scappare se siete amanti del metal sinfonico e se, quando volete ascoltare qualcosa del genere, la scelta cade sempre sui primi lavori dei maestri finlandesi.

Tracklist
1.Intro
2.Kliodna
3.Road to Anywhere
4.I’ll Do the Haunting
5.Night Symphony
6.Blood in the Sea
7.Dead Princess Dreams
8.Northern Wolf
9.Frozen Soul
10.Set Me Fre

Line-up
Helena Wild- Vocals
Alexandr Korobov – Guitar
Anton Michailovskiy – Guitar
Vasily Silura – Bass Guitar
Ilya Konopelko – Drums

KLIODNA – Facebook

Biogenesis – A Decadence Divine

Progressive, sinfonie gotiche, power metal e death/thrash contribuiscono a rendere quest’opera la colonna sonora del diluvio universale, una punizione divina che si scatenerà quanto prima dalle note di questo splendido lavoro.

Dall’underground metallico statunitense arrivano ottimi lavori, magari fuori dai soliti cliché del metal made in U.S.A. più cool, ma sicuramente opere di spessore che MetalEyes puntualmente vi porta a conoscenza.

La label Roxx Records, specializzata in christian metal, licenzia il quarto lavoro dei Biogenesis, gruppo proveniente dall’Ohio, attivo da ormai vent’anni ed in cui milita il singer Chaz Bond, ex Jacobs Dream, power metal band fuori con una manciata di ottimi lavori nel primo decennio del nuovo millennio.
A Decadence Divine è un ottimo album che ingloba una serie di atmosfere e sfumature diverse tra loro, vari generi che, amalgamandosi, trovano un equilibrio quasi perfetto e creano questo oscuro e tragico monolite di metallo, progressivo ed orchestrale.
Il singer tra clean e growl dà prova di saperci fare, così come i musicisti che lo accompagnano in questa che, di fatto, è un’ avventura nel mondo del metal tra classico ed estremo.
La title track, l’oscura Inside The Beast, la veloce e Thrashy As Empire Falls, formano un inizio scoppiettante, con i tasti d’avorio che cuciono arabeschi di musica classica, le sei corde che imprimono un marchio di fabbrica progressive/thrash, con la sezione ritmica che sale in cattedra quando la velocità diventa sostenuta.
Molto teatrale, tanto che in alcuni momenti il sound ricorda la splendida musica dei Saviour Machine (Lines In The Sand), l’album risulta un monolito di spettacolare metallo oscuro e progressivo, colonna sonora di una decadenza che, fin dal titolo, il gruppo descrive divina, frutto di forze e volontà più grandi dell’uomo.
La sinfonica Tears Of God e la conclusiva Brood Of Vipers sono un paio di esempi di questo clamoroso lavoro che diventa sempre più intenso ogni minuto che passa, mentre Iced Earth, Symphony X e i tedeschi Crematory divengono più che semplici ispirazioni.
Progressive, sinfonie gotiche, power metal e death/thrash contribuiscono a rendere quest’opera la colonna sonora del diluvio universale, una punizione divina che si scatenerà quanto prima dalle note di questo splendido lavoro.

TRACKLIST
1. Prelude (Nocturnal Images)
2. A Decadence Divine
3. Inside the Beast
4. Bet Your Soul
5. As Empires Fall
6. Lines in the Sand
7. The Pain You Left Behind
8. Tears of God
9. Land of Confusion
10. In the Darkness I Dwell
11. Brood of Vipers
12. Silence (CD Only Bonus Track)

LINE-UP
Sam Nealeigh – Keyboards
Majennica Nealeigh – Drums
Dan Nealeigh -Bass
Luke Nealeigh – Lead/Rhytym Guitars
James Riggs – Lead/Rhythym Guitars
Chaz Bond – Lead Vocals

BIOGENESIS – Facebook

Antonio Giorgio – Golden Metal-The Quest For The Inner Glory

Un’opera mastodontica che merita l’attenzione degli amanti del metal classico e sinfonico, un lavoro tutto italiano che conferma l’ ottima forma della scena nazionale in questo ambito.

Le proposte della Andromeda Relix sono all’insegna della qualità e della varietà di stili, che vanno dal rock blues, all’hard rock, dal progressive all’heavy metal classico, e non è una novità in un panorama odierno in cui le case discografiche sono sempre meno specializzate e più aperte alle varie sfumature che compongono il variegato universo del rock.

In questo contesto si piazza una delle ultime uscite della label italiana, ovvero l’album d’esordio del compositore e musicista Antonio Giorgio, con un lavoro incentrato su sonorità metal classiche: Golden Metal – The Quest For The Inner Glory è infatti un concept epic/fantasy nel quale si alternano heavy metal, power, progressive andando a formare il golden metal, appellativo forgiato dallo stesso musicista.
Il mastodontico lavoro vede Antonio Giorgio aiutato da vari musicisti della scena nostrana facenti parte di ottime realtà come Fogalord, Astral Domine e Blue Rose.
Golden Metal introduce l’ascoltatore nel mondo epico e cavalleresco di Giorgio del quale, fin dalle prime note, si evince un amore profondo per i Virgin Steele, gruppo che musicalmente fa da padrino alle sontuose note create dal nostro, mentre le sei corde lampeggiano nel cielo come lampi metallici, lanciate in solos epici (The Voice Of The Prophet) e le tastiere ricamano arabeschi, ora barocchi, ora elegantemente sinfonici.
Le ritmiche passano da veloci cavalcate heavy/power (Luminous Demons) a potenti mid tempo sabbathiani era Dio/Tony Martin (The Reaper) mentre i tasti d’avorio sono protagoniste nella bellissima Forever We Are One, brano alle entusiasmanti reminiscenze della band di DeFeis.
Il golden metal continua a regalare ottima musica metallica, a tratti raffinata, epica e non priva di quei cliché, magari abusati, ma che non mancano di inorgoglire i defenders più accaniti, in brodo di giuggiole all’ascolto di Et In Arcadia Ego Suite, brano epico sinfonico molto suggestivo.
Non solo Virgin Steele, tra le note di Golden Metal-The Quest For The Inner Glory troverete accenni ad una buona fetta dei gruppi che hanno fatto la storia del genere, non solo icone degli anni ottanta (Black Sabbath) ma realtà classiche consolidate negli ultimi decenni come Kamelot e Royal Hunt.
L’album è accompagnato da un sontuoso digipack, mentre la versione digitale contiene un bonus cd con una dozzina di cover (Black Sabbath, Queensryche, Dream Theater, Kamelot, Virgin Steele tra gli altri) e un paio di brani inediti scritti da Antonio Giorgio.
Un’opera mastodontica che merita l’attenzione degli amanti del metal classico e sinfonico, un lavoro tutto italiano che conferma l’ ottima forma della scena nazionale in questo ambito, da avere!

TRACKLIST
1.Golden Metal
2.Lost & Lonely (Desperate Days)
3.The Vision
4.The Calling
5.The Voice Of The Prophet
6.The Eternal Rebellion
7.Luminous Demons
8.Keeper Of Truth
9.The Reaper
10.Forever We Are One
11.Et In Arcadia Ego Suite: Part I -The Quickening (Golden Ages) Part II – Human Gods Part III – The Emerald Table (As Above So Below)
12.Alone Again

LINE-UP
Antonio Giorgio
Dany All
Giuseppe Lombardo
Nicolò Bernini
Stefano Paolini
Luca Gagnoni
Riccardo Scaramelli
Mattia Bulgarelli
Enrico Di Marco

ANTONIO GIORGIO – Facebook

Kaledon – Carnagus: Emperor Of The Darkness

Carnagus: Emperor Of The Darkness è un’opera dal taglio internazionale, in grado di non sfigurare rispetto ai prodotti stranieri, frutto di uno stivale ormai all’altezza della situazione in tutti i generi, anche grazie a band che negli anni hanno continuato a produrre musica con talento e passione e tra le quali i Kaledon sono una delle più accreditate

I romani Kaledon si possono considerare uno dei gruppi cardine dell’epic power made in Italy, essendo nati sul finire degli anni novanta ed entrati alla grande nel nuovo millennio con una serie di album dalle ovvie tematiche fantasy che hanno portato al gruppo un buon seguito, specialmente da parte di chi segue il genere ed non si accontenta (parlando di Italia) dei più famosi Rhapsody.

Con una discografia colma di buoni lavori, la band romana risulta una tra le più prolifiche, arrivando al traguardo della doppia cifra con questo nuovo album: dall’ultimo lavoro intitolato Antillius : The King Of The Light ed uscito tre anni fa, c’è da annotare l’entrata in formazione del bravissimo cantante degli Overtures Michele Guaitoli e del batterista Manuele Di Ascenzo (ex-Secret Rule), oltre al cambio di etichetta (dalla Scarlet alla Sleaszy Rider) e l’ausilio di Simone Mularoni per quanto riguarda masterizzazione e mixing in quel dei Domination Studios.
Al resto ci pensano i Kaledon, un gruppo consolidato e che dopo quasi vent’anni sulla scena è consapevole di non dover dimostrare niente a nessuno, andando per la sua strada fatta di epico metallo che rimane sempre a metà strada tra quello a tratti pacchiano dei Rhapsody e quello potente e devastante delle orde germaniche che conquistarono i fans nella seconda metà degli anni novanta.
Carnagus: Emperor Of The Darkness è un’opera dal taglio internazionale, in grado di non sfigurare rispetto ai prodotti stranieri, frutto di uno stivale ormai all’altezza della situazione in tutti i generi, anche grazie a band che negli anni hanno continuato a produrre musica con talento e passione e tra le quali i Kaledon sono una delle più accreditate, almeno per il genere suonato.
Nell’album c’è, essenzialmente, grande power metal, fiero, epico, melodico e roboante, e lasciatemi dire che le prove dei nuovi arrivati, una manciata di brani davvero intensi e devastanti (The Beginning Of The Night, The Evil Witch, The Two Bailouts e la bellissima e conclusiva The End Of The Undead) e il songwriting di alto livello, fanno di Carnagus un album imperdibile per tutti i defenders dalle spade affilate e dagli scudi luccicanti.
Giudicate quello che la band ha saputo realizzare a prescindere dal genere, ed avrete tra le mani e nelle orecchie un grande album metal; il resto sono chiacchiere, qui parla la musica.

TRACKLIST
1.Tenebrae Venture Sunt
2.The Beginning of the Night
3.Eyes Without Life
4.The Evil Witch
5.Dark Reality
6.The Two Bailouts
7.Trapped on the Throne
8.Telepathic Messages
9.Evil Beheaded
10.The End of the Undead

LINE-UP
Alex Mele – Guitars (lead)
Michele Guaitoli – Vocals (lead)
Tommy Nemesio – Guitars (rhythm)
Paolo Campitelli – Keyboards
Paolo Lezziroli – Bass
Manuele Di Ascenzo – Drums

KALEDON – Facebook

Heaven’s Guardian – Signs

Signs non va oltre la sufficienza, rimanendo un album confinato nel limbo dei lavori piacevoli ma facilmente dimenticabili, poco per un gruppo nato nel secolo scorso.

La Pure Steel si prende carico della distribuzione del nuovo album dei brasiliani Heaven’s Guardian prodotto dalla Megahard Records.

Il gruppo sudamericano non è certo di primo pelo nella scena power metal, la sua attività iniziata nel 1999 l’ ha portato ad incidere due full length nei primi anni del nuovo millennio, per poi finire nel limbo e tornare dopo più di dieci anni con Signs, album che porta con se una novità importante, l’ affiancamento di una voce femminile (Olivia Bayer) al singer Flavio Mendez ed una sterzata verso i lidi sinfonici tanto cari alle band attuali.
Dunque gli Heaven’s Guardian, con una line-up attuale composta da ben sette musicisti, tornano con questo nuovo lavoro che, pur con tutti i migliori propositi, non riesce ad uscire dall’anonimato.
Anche Signs infatti rimane imprigionato nel novero degli album discreti ma nulla più, scontati nelle soluzioni orchestrali ormai abusate da centinaia di band , poco incisivo e ripetitivo nelle ritmica e con un songwriting che non decolla.
I duetti tra le due voci non alzano l’ appeal dei brani che non vanno più in la del compitino, anche se almeno il suono esce pulito e qualche assolo riesce a rompere un po’ la monotonia del disco.
Peccato, e anche l’appoggio della Pure Steel non so quanto giovamento porterà al gruppo brasiliano: a mio parere l’album a tratti non risulta né carne né pesce, troppo spostato sui mid tempo per piacere ai fans del power, ma anche eccessivamente metallico per chi assaporava qualche spunto symphonic gothic in più ed invece deve attendere invano fin quasi allo scoccare dell’ora di durata.
Signs non va oltre la sufficienza, rimanendo un album confinato nel limbo dei lavori piacevoli ma facilmente dimenticabili, poco per un gruppo nato nel secolo scorso.

TRACKLIST
1. Religion
2. Time
3. Strength
4. Journey
5. Fantasy
6. Dream
7. Change
8. Passage
9. War
10. Silence

LINE-UP
Olivia Bayer – vocals (female)
Flávio Mendez – vocals
Luiz Maurício – guitars
Ericsson Marin – guitars
Everton Marin – keyboards
Murilo Ramos – bass
Arthur Albuquerque – drums

HEAVEN’S GUARDIAN – Facebook

Stamina – System Of Power

System Of Power è un altro centro pieno, meritevole di una maggiore attenzione, confermando gli Stamina come una delle migliori realtà nostrane nel genere.

Tornano i Royal Hunt Italiani, i campani Stamina, con un nuovo ottimo lavoro sempre incentrato su un power prog metal che si rifà ai maestri danesi, anche se non manca sicuramente al gruppo la personalità per trovare una propria dimensione.

D’altronde System Of Power è ormai il quarto full length , successore del bellissimo Perseverance uscito tre anni fa, e che vede un cantante in pianta stabile nella persona di Alessandro Granato, un nuovo bassista, Mario Urcioli, ed un session per la batteria, Andrea Stipa, tutti a girare intorno al duo storico formato dal chitarrista Luca Sellitto e dal tastierista Andrea Barone.
La band si presenta così con un album più aggressivo rispetto al passato, certo i cori alla Royal Hunt e le fughe tastieristiche fanno parte del sound ormai consolidato del gruppo che elegantemente disegna arabeschi di musica elegantemente progressiva, con la sei corde che spinge sulla parte neoclassica in molti frangenti dell’ album, accompagnando i tasti d’avorio in ghirigori barocchi, ma colpendo d’incanto l’ascoltatore con ritmiche ruvide e dai rimandi thrash.
Il tutto lascia sempre quell’alone di nobiltà insito nella musica della band, che gioca con l’AOR ed il power a suo piacimento tra le note magniloquenti di un lotto di brani entusiasmanti.
La prova del nuovo vocalist è da applausi, così come per tutti i protagonisti, ma per una volta (anche se il genere lo impone) lasciamo che sia la musica magnificamente regale del gruppo campano a parlare, con i suoi quarantacinque minuti di fughe tastieristiche e cori dal talento melodico neanche troppo distante dalle fonti di ispirazione del gruppo, così come il songwriting che fa risplendere perle musicali come Must Be Blind, One In A Million, Love Was Never Meant To Be e l’irresistibile Why, brano Royal Hunt fino al midollo, ma stupendo esempio dell’eleganza e raffinatezza del metal suonato dagli Stamina.
System Of Power è un altro centro pieno, meritevole di una maggiore attenzione, confermando gli Stamina come una delle migliori realtà nostrane nel genere.

TRACKLIST
1.Holding On
2.Must Be Blind
3.One In A Million
4.Undergo (Black Moon Pt.2)
5.Love Was Never Meant To Be
6.System Of Power
7.Why
8.Portrait Of Beauty

LINE-UP
Alessandro Granato – vocals
Luca Sellitto – guitars
Andrea Barone – keyboards
Mario “Uryo” Urciuoli – bass

Andrea Stipa – drums
Jacopo Di Domenico – backing vocals
Donata Greco – flute
Giulia Silveri – cello

STAMINA – Facebook

Myriad Lights – Kingdom Of Sand

Per gli amanti del power metal, Kingdom Of Sand può senz’altro considerarsi un buona alternativa ai soliti nomi

Attivi da una decina d’anni e con un primo lavoro licenziato quattro anni fa (Mark of Vengeance), tornano i lombardi Myriad Lights con il secondo album, Kingdom Of Sand, album che dimostra quanto la scena nazionale sia ormai patrimonio del metal europeo.

Anche a livello underground infatti il metal italiano dimostra di avere molte frecce al proprio arco, molte ancora da scoccare direi, visto la qualità dei prodotti made in Italy, anche quelli meno conosciuti.
Costruito su fondamenta che ricordano il power metal raffinato ed elegante al quale lo stivale ha dato un fondamentale contributo con Labyrinth, Shadows Of Steel ed in parte Vision Divine: il sound di Kingdom Of Sand è un ottimo e vario esempio di quello che le sonorità metalliche di stampo classico hanno dato in questi ultimi anni, con la band che non si ferma agli illustri colleghi ma spazia tra melodie, aggressività e varie soluzioni stilistiche, così da non essere solo figlia di un unico approccio.
Tra i brani che compongono l’album , oltre ad orchestrazioni dal mood orientaleggiante, è forte lo spirito power nato nelle terre germaniche, che non fa altro se non indurire il sound, quel tanto che basta per accontentare anche i defenders che mal digeriscono qualche orchestrazione di troppo.
Così ci troviamo al cospetto di un buon lavoro, che non manca di brani davvero interessanti (Mirror) ed un’ottima altalena tra il neoclassicismo nazionale ed il power dirompente di scuola tedesca, valorizzata da un’interpretazione su buoni livelli di Andrea Di Stefano, vocalist dalle grandi potenzialità, ed una prova strumentale tutta grinta e passione.
Una band che crede in quello che fa, ne escono così i Myriad Lights, e non è poco in un mercato virtuale che abbonda di proposte di tutti i generi, fortunatamente molte buone, ma anche con troppe sotto la media.
Per gli amanti del power metal, Kingdom Of Sand può senz’altro considerarsi un buona alternativa ai soliti nomi, molti dei quali ormai lontani dalle opere che hanno scritto la storia del genere.

TRACKLIST
1.Desert Nights
2.Kingdom of Sand
3.Abyssal March
4.The Deep
5.The Grave Chant
6.039 Lights
7.Mirror
8.The Waves
9.Deathbringer
10.Ascension

LINE-UP
Francesco Lombardo-Guitars
Jeff Lombardo-Bass
Andrea Di Stefano-Vocals
Simone Sgarella-Drums
Emanuele Salsa-Keyboards

MYRIAD LIGHTS – Facebook

Sonata Arctica – The Ninth Hour

L’album mantiene per tutta la sua durata bellissime atmosfere malinconiche, trovando nelle orchestrazioni mai invadenti e nei passaggi progressivi la sua linfa e, forse, la strada definitiva per il sound dei futuri Sonata Arctica.

Apparsi sulla scena power sul finire del millennio, i Sonata Arctica hanno trovato il meritato successo con album che univano le cavalcate metalliche alla Stratovarius con un gusto melodico raffinato ed un approccio caldo che li allontanava dal maggior difetto dell’allora band di Timo Tolkki (sempre un po’ freddini, anche nei loro indiscutibili capolavori), in un crescendo qualitativo che li ha portati ad essere uno dei gruppi più rappresentativi del genere.

Con una discografia che, se consideriamo la riessue di Ecliptica uscita due anni fa, arriva con questo nuovo lavoro al traguardo della doppia cifra, la band finlandese ha ormai abbandonato le sonorità degli esordi per un sound più introspettivo, calcando la mano sull’aspetto melodico e prog del proprio credo musicale a svantaggio del più canonico power metal di scuola scandinava.
Non fraintendetemi, Tony Kakko and company non fanno certo mancare gli attimi dove sontuoso metallo nordico ha ragione dell’atmosfera malinconica che si respira su questo The Ninth Hour, ma è indubbio che una svolta c’è stata, partendo da Pariah’s Child, ultimo lavoro di inediti targato 2014.
E The Ninth Hour prosegue deciso la strada intrapresa, con le ballad che prendono il sopravvento sul songwriting e la furia power ormai domata in favore di un metal classico, colmo di melodie e dal gustoso sentore symphonic prog.
Ora, com’è normale in questi casi ci saranno i fans che storceranno il naso al cospetto di cotanta melodia e chi invece apprezzerà le scelte operate dal gruppo che, diciamolo, conferma l’essere una top band aldilà dei gusti personali.
Si perché The Ninth Hour è un ottimo lavoro, magari leggermente prolisso, ma sicuramente in grado di mantenere inalterata la fama del gruppo, con un Kakko probabilmente mai così interpretativo ed una serie di brani che alla lunga riusciranno ad aprire una breccia nel cuore dei fans.
Così, archiviato l’unico episodio che ricorda il passato del gruppo (Rise A Night), l’album mantiene per tutta la sua durata bellissime atmosfere malinconiche, trovando nelle orchestrazioni mai invadenti, in mid tempo dove la potenza è accennata ma mai liberata in toto e nei passaggi progressivi la sua linfa e, forse, la strada definitiva per il sound dei futuri Sonata Arctica.
Pioveranno critiche alla pari degli elogi, ma a mio parere la bellezza di Fairytale, Till Death’s Done Us Apart e White Pearl, Black Oceans Part II – By The Grace Of The Ocean non potranno che emozionare anche il fan più scettico.

TRACKLIST
01. Closer to an Animal
02. Life
03. Fairytale
04. We Are What We Are
05. Till Death’s Done Us Apart
06. Among the Shooting Stars
07. Rise a Night
08. Fly, Navigate, Communicate
09. Candle Lawns
10. White Pearl, Black Oceans (Part II: By the Grace of the Ocean)
11. On the Faultline (Closure to an Animal)

LINE-UP
Elias Viljanen – Guitars
Henrik Klingenberg – Keyboards
Pasi Kauppinen – bass
Tommy Portimo – Drums
Tony Kakko – Vocals

SONATA ARCTICA – Facebook

DGM – The Passage

Il passaggio su Frontiers non ha alterato la proposta DGM. La band ha compiuto ancora un ulteriore passo in avanti verso la magnificenza.

Dopo il magnifico “Momentum” del 2013, mi giunge come graditissima sorpresa per il mio secondo contributo su Metal Eyes la proposta del Cavanna di recensire l’ultimo lavoro dei DGM.

L’attuale formazione è stabile da quasi un decennio e, per nostra gioia, ha composto grande musica. Quale fan dei Symphony X, mi sento molto vicino a quanto finora proposto dalla band italiana, e questi ultimi non hanno mai peraltro dissimulato l’influenza dei giganti americani.
Mi immergo perciò in questi 60 minuti con voluttà e le ampie aspettative (le ho ancora, malgrado la veneranda età) vengono rispettate fin dall’opener The Secret (Part I), 8 minuti buoni di eccellente power prog nei quali potenza, tecnica e feeling non lasciano spazio ai pensieri, tant’è la forza espressiva dei nostri. La mini suite si estende in The Secret (Part II), le atmosfere distese e l’andatura più riflessiva, caratterizzata da aperture melodiche di chitarra e tastiere ora brillanti, ora elegiache nel finale. Animal è diretta abilmente dalla chitarra di Simone Mularoni, ottimo compositore e sorgente inesauribile di riff coinvolgenti e fraseggi mai banali. Ghosts Of Insanity (con la partecipazione di Tom Englund degli Evergrey) mostra muscoli e perizia compositiva con un riff iniziale al fulmicotone, possente, vera màcina che sfocia in un ritornello delizioso, fino all’assolo di chitarra scintillante con un finale finale martellante e cupo.
Attacca Fallen e picchia al cuore alternando riff di matrice thrash a refrain ariosi da cantare a pieni polmoni. La title track mette i brividi con un riff iniziale tostissimo e geniale, una composizione entusiasmante che rallenta fino al sublime dialogo tra chitarra/tastiera e dal finale improvviso. La dolce Disguise per piano e voce introduce l’infuocata Portrait, dove tutti gli attributi dei talentuosi power metallers romani vengono esibiti senza inibizioni. La successiva Daydreamer allenta la presa ed è forse la traccia meno entusiasmante, ma Dogma ci inocula nuova adrenalina sempre alternando parti plasmate nell’acciaio ad altre di più ampio (e breve) respiro dove Mark Basile esprime potenza e melodia con linee vocali sempre ispirate, supportate egregiamente da tutti gli altri componenti, compreso l’ospite eccellente a nome Michael “SX” Romeo. La conclusiva In Sorrow ci culla e sfuma nel silenzio rimarcando l’eco di questo magnifico album che ha il solo vizio di essere ancora deliziosamente “dipendente” dalla Symphonia metallica del New Jersey.

TRACKLIST
01. The Secret (Part I)
02. The Secret (Part II)
03. Animal
04. Ghosts Of Insanity
05. Fallen
06. The Passage
07. Disguise
08. Portrait
09. Daydreamer
10. Dogma
11. In Sorrow

LINE-UP
Mark Basile – vocals
Simone Mularoni – Guitars
Emanuele Casali – Keyboards
Andrea Arcangeli – Bass
Fabio Costantino – Drums

DGM – Facebook

Derdian – Revolution Era

Il power metal sinfonico dei Derdian viene valorizzato al massimo dall’enorme dispiego di talenti che ci mettono del loro per rendere irrinunciabile quest’opera

Ivan Giannini, vocalist che aveva fatto faville sul precedente Human Reset non è più in forza ai Derdian, una perdita non da poco per una delle migliori realtà del power metal nazionale e non solo; la band, però, a sorpresa licenzia questo monumentale lavoro, una raccolta di brani pescati dai primi tre album che andavano a formare una sontuosa trilogia: New Era PT. 1 (2005), New Era PT. 2- War of the Gods (2007) e New Era Pt. 3 – The Apocalypse (2010).

Ma le novità non finiscono qui e i Derdian chiamano alla loro corte un manipolo di vocalist della scena nazionale ed internazionale per dare il loro contributo a questi bellissimi tredici brani, ri-registrati per l’occasione, che formano un suggestivo riassunto della saga, più un brano inedito a creare questo gioiellino di power metal dai tratti sinfonici.
La band ha fatto davvero le cose in grande, così che al microfono si dà il cambio il meglio o quasi che il genere può vantare tra i propri frontman, sicché diventa assolutamente un dovere elencarli cercando di non dimenticarne alcuno: Ralf Scheepers (Primal Fear), D.C. Cooper (Royal Hunt), Fabio Lione (Rhapsody of Fire, Angra, Vision Divine), Apollo Papathanasio (ex-Firewind, Evil Masquerade), Henning Basse (Metalium, Firewind), GL Perotti (Extrema, Rebel Devil), Davide Damna Moras (Elvenking), Mark Basile (DGM), Elisa C. Martin (ex-Dark Moor, Hamka), Terence Holler (Eldritch), Roberto Ramon Messina (Ex Secret Sphere, Physical Noise, Andrea Bicego (4th Dimension), Leo Figaro (Minstrelix), Elisa Stefanoni (Evenoire) e Joe Caggianelli (Starbynary, ex-Derdian)
Il power metal sinfonico dei Derdian viene valorizzato al massimo dall’enorme dispiego di talenti che ci mettono del loro per rendere irrinunciabile quest’opera, non solo per chi già conosce il gruppo ma per tutti gli amanti dei suoni power metal dal taglio sinfonico.
Epicità, magniloquenza, splendida musica metallica che diventa regale nelle bellissime Beyond The Gate, I Don’t Wanna Die (con l’immenso D.C. Cooper), l’inedito rhapsodyano Lord Of War su cui spicca la prova (non a caso) di Fabio Lione, l’emozionale Forevermore e via via tutte le altre canzoni in un’apoteosi di suoni metallici prodotti alla grande e che confermano l’altissimo potenziale dei Derdian.
Nel frattempo le audizioni per un nuovo cantate sono in pieno svolgimento, non rimane che augurare alla band di trovare presto un vocalist all’altezza della splendida musica prodotta e di riascoltarne al più presto un nuovo album di inediti.

TRACKLIST
1. Overture
2. Burn
3. Beyond The Gate
4. Battleplan
5. I Don’t Wanna Die
6. Screams Of Agony
7. Lord Of War
8. Forevermore
9. Eternal Light
10. The Hunter
11. Black Rose
12. Incitement
13. New Era
14. Cage Of Light

LINE-UP
Enrico “Henry” Pistolese – Guitars, Vocals
Salvatore Giordano – Drums
Marco “Gary” Garau – Keyboards
Dario Radaelli – Guitars
Marco Banfi – Bass

Vocals:
Ralf Scheepers
D.C. Cooper
Fabio Lione
Apollo Papathanasio
Henning Basse
GL Perotti
Davide Damna Moras
Mark Basile
Elisa C. Martin
Terence Holler
Roberto Ramon Messina
Andrea Bicego
Leo Figaro
Elisa Stefanoni
Joe Caggianelli

DERDIAN – Facebook

Gabriels – Fist Of The Seven Stars, Act 1 Fist Of Steel

Opera che rasenta il capolavoro, il secondo album di Gabriels è l’ennesima conferma del talento in possesso, non solo del musicista siciliano, ma di molti protagonisti della scena underground metallica del nostro paese

La label genovese Diamonds Prod., dopo aver licenziato il bellissimo album del progetto Odyssea di Pier Gonella e Roberto Tiranti, pesca un altro gioiello metallico, il secondo lavoro solista del musicista e compositore siciliano Gabriels, che torna sul mercato tra anni dopo il notevole Prophecy, un concept ispirato ai fatti dell’undici settembre 2001.

Gabriels si contorna, come nel primo album, di un manipolo agguerrito di talenti della scena metallica nazionale e non solo, portando in musica le gesta dei protagonisti del manga e anime Hokuto No Ken di cui il musicista è cultore.
Fist Of Steel è il primo capitolo di una trilogia intitolata Fist Of The Seven Stars, dunque un concept oltremodo ambizioso e, almeno in questa prima parte, il risultato è quantomai eccellente.
I musicisti che hanno aiutato Gabriels in questa avventura sono tanti, chi come membro fisso della line up, chi come special guest, contribuendo a rendere l’album un manifesto sontuoso di musica fieramente metallica, melodica e orchestrale.
Da Wild Steel, Marius Danielsen, Dario Grillo, Dave Dell’Orto e Ida Elena splendidi interpreti al microfono, all’apporto strumentale dei vari Glauber Oliveira (Dark Avengers), Stefano Calvagno (Metatrone), Francesco Ivan Sante’ Dall’O tra gli altri alla sei corde, Andrea “Tower” Torricini dei Vision Divine al basso e chitarra, tanto per citare alcuni dei musicisti impegnati, rendono quest’opera un’escalation di emozioni, capitanati ovviamente dai tasti d’avorio di Gabriels, alle prese con hammond, synth e pianoforte accompagnandoci nel mondo eroico della leggenda di Hokuto No Ken, famosissima in tutto il mondo.
Il sound si discosta leggermente dal mood del primo lavoro, che a più riprese ricordava l’hard rock orchestrale dei danesi Royal Hunt: Fist Of Steel risulta più power oriented, specialmente nella prima parte con la title track e She’s Mine che fanno decollare l’album fino ad elevate vette qualitative con la melodica Seven Stars e la power A New Beginning, song che avvicina il sound ai primi lavori dei tedeschi Edguy.
Il cuore dell’album è lasciato a tre brani superbi per intensità e prestazioni vocali: Break Me, My Advance e To Love, Ever Invain, mentre Black Gate ci riporta su ritmiche power metal.
Revenge Invain e Decide Your Destiny chiudono questo primo capitolo al meglio, con un’apoteosi di suoni orchestrali, nobile metallo sinfonico, cori epici ed emozioni che crescono a dismisura, mentre le note che le dita di Gabriels fanno scaturire dalle tastiere, formano arcobaleni di scale melodiche sopraffine.
Opera che rasenta il capolavoro, la prima parte di quello che diventerà un lavoro monumentale è l’ennesima conferma del talento in possesso, non solo del musicista siciliano, ma di molti protagonisti della scena underground metallica del nostro paese; è davvero l’ora di tagliare il cordone ombelicale che vi lega ai sempre più imbolsiti dinosauri di ere passate tuffandovi nella musica del nuovo millennio che, con rispetto, guarda al passato ma vive nel presente ed è pronta per un roseo futuro: scegliere questo lavoro per farlo sarebbe il migliore inizio.

TRACKLIST
1) Fist of Steel
2) She’s mine
3) Mistake
4) Seven Stars
5) A new beginning
6) Break me
7) My Advance
8) To love, ever invain
9) Sacrifice
10) Black Gate
11) Revenge invain
12) Decide your destiny

LINE-UP
Gabriels: All the Keyboards, Piano, Synth, Hammond and background vocals
Wild Steel : Vocals
Dario Grillo : Vocals
Marius Danielsen: Vocals
Ida Elena : Vocals
Dave Dell’Orto : Vocals
Iliour Griften : Background Vocals
Glauber Oliveira : Guitars
Stefano Calvagno : Guitars
Giovanni Tommasucci : Guitars
Francesco Ivan Sante’Dall’O : Guitars
Angelo Mazzeo : Guitars
Tommy Vitaly : Guitars
Dino Fiorenza : Bass
Christian Cosentino : Bass
Simone Alberti : Drums

Guests:
Andrea “Tower” Torricini : Bass and Guitars
Davide Perruzza : Guitars

GABRIELS – Facebook

Antillia – Ancient Forces

Gli Antillia ci regalano un sorprendente e quanto mai efficace esempio di come si possa suonare un genere in cui l’originalità è una chimera, facendo risaltare le atmosfere e l’ottima vena epica, puntando su due vocalist di straordinaria bravura

Bellissimo esordio sulla lunga distanza per gli Antillia, symphonic power metal band russa alla quale, come tradizione di quella nazione, non manca di certo il talento per la musica classica e sinfonica.

Il gruppo di Mosca arriva al debutto dopo sette anni dalla sua nascita e due lavori minori, il primo demo del 2010 e Last Starfall, ep licenziato tre anni fa.
Il sound del gruppo consiste in un drammatico power metal, reso sinfonico, orchestrale e molto cinematografico, che deve tanto ai Rhapsody nell’approccio metallico e alle symphonic metal band scandinave, nel saper inserire nel tappeto sonoro grandiose partiture classiche.
Il tutto cantato in lingua madre dallo stupendo soprano Elena Belova e dal singer Alexandr Kolesov, che si divide tra vocalizzi da tenore ed il più classico cantato power oriented.
Le orchestrazioni sono ad appannaggio del compositore belga Maliki Ramia, sul quale il gruppo inserisce un energico power metal, mentre i testi, come da copione, sono incentrati su storie di magia, epiche battaglie, ed amori tragici per dolci damigelle rinchiuse in bui castelli.
Sessanta minuti di musica che, come una colonna sonora, si sostituisce alle immagini, suggestiva il giusto per fare dell’album un piccolo gioiellino di genere e resa molto epica dal cantato tradizionale della loro terra, duro e marziale come la musica impone.
Atmosfere che lasciano un sentore di epica tragedia, cavalcate metalliche di ottima fattura ed orchestrazioni che non abbandonano il sound neppure quando gli strumenti corrono veloci tra le pianure insanguinate della fredda steppa russa, ed il risultato è un’ottima opera metal classica.
Certo, il genere, ormai inflazionato, non lascia spazio all’originalità ma, come detto, il talento per la musica classica, innata nei musicisti provenienti dalla madre Russia, fa di Ancient Forces un affresco più che buono di come il metal riesca a sposarsi alla perfezione con la musica orchestrale.
Oltra ad essere bellissima, Elena Belova è dotata di una voce straordinaria, un puro talento al servizio della musica dei suoi compagni, che se la cavano al meglio con i propri strumenti.
Le atmosfere sono comunque il punto di forza della band moscovita, l’album non smette di aggredire e si arriva addirittura alla nona traccia, Loneliness, prima che un delicato giro di piano accompagni il duetto tra i due vocalist, in una super ballad con tanto di solo chitarristico dai rimandi heavy metal.
Gli Antillia ci regalano un sorprendente e quanto mai efficace esempio di come si possa suonare un genere in cui l’originalità è una chimera, facendo risaltare le atmosfere e l’ottima vena epica, puntando su due vocalist di straordinaria bravura: consigliato agli amanti dei Rhapsody, così come dei Nightwish, Epica e Therion.

TRACKLIST
1. Last Starfall
2. Mystery
3. Sunrise
4. The Assault
5. Mortal Fight
6. Candles
7. Ancient Forces
8. The Shaman
9. Loneliness
10. At World’s End
11. Captivated by the Immortality
12. Antillia
13. Universe
14. Epilogue

LINE-UP
Daniil Gayvoronsky – Drums
Nikita Zlobin – Bass
Valeriy Ostrikov – Guitars
Elena Belova – Vocals
Alexandr Kolesov – Vocals, Lyrics
Vladislav Semin – Guitars

ANTILLIA – Facebook

Eleventh Hour – Memory of a Lifetime Journey

Non rimane che fare i complimenti all’ennesima band sopra le righe, che si affaccia sulla scena con un album assolutamente da non perdere se siete amanti del metallo più nobile ed elegante.

Negli ultimi tempi la scena prog/power metal nazionale ha regalato grosse soddisfazioni agli amanti di queste sonorità, le opere di valore uscite a ripetizione sul mercato cominciano ad essere una piacevole abitudine ed il debutto degli Eleventh Hour non fa che confermare il momento d’oro della scena.

Capitanati dal chitarrista Aldo Turini e con al microfono Alessandro Del Vecchio (Hardline, Revolution Saints, Edge Of Forever) il gruppo debutta con la benedizione della Bakerteam, con questo ennesimo ottimo esempio di prog/power metal dal titolo Memory of a Lifetime Journey, elegante e raffinato prodotto che non sfigura certo in compagnia delle spettacolari uscite di questi mesi.
La band alterna sapientemente ottimo metallo regale a splendide orchestrazioni, mai troppo bombastiche ma assolutamente eleganti, i tasti d’avorio ricamano di raffinate melodie le cavalcate metalliche che il gruppo non fa mancare, senza perdere un briciolo di nobiltà, così da consolidare la tradizione nazionale nel genere, pur avvicinandosi al metal nord europeo.
Le atmosfere hanno la massima importanza nel sound degli Eleventh Hour e l’album risulta un saliscendi tra l’elettrizzante metal dall’anima progressive e le bellissime parti dove il piano e la voce regalano momenti di musica drammaticamente suadente.
Ottima la prova del tastierista Alberto Sonzogni, che orchestra con maestria le parti più sinfoniche e sa far parlare il suo piano con delicate armonie sulle struggenti Back To You e Sleeping In My Dreams, cuore raffinato di questo lavoro.
Non mancano le fughe sui tasti d’avorio, specialmente nella seconda parte del lavoro, più sinfoniche rispetto alla partenza e più vicine al power metal( Long Road Home e Requiem For A Prison) dove gli Eleventh Hour lasciano le briglie del sound in un susseguirsi di esplosioni metalliche ed arrangiamenti sinfonici dal mood cinematografico.
La sezione ritmica cavalca il purosangue metallico spingendo oltremodo ( Black Jin al basso e Luca Mazzucconi alle pelli), mentre Turini mette ai ferri corti la sua chitarra, in un tripudio power metal progressivo di elevata qualità.
Detto di un Del Vecchio che conferma tutto il suo talento, non rimane che fare i complimenti all’ennesima band sopra le righe, che si affaccia sulla scena con un album assolutamente da non perdere se siete amanti del metallo più nobile ed elegante.
Il 2016 inizia col botto, opere come Memory of a Lifetime Journey ed il superbo Storm del progetto Odyssea (dove appare come ospite il buon Del Vecchio), fanno sperare in un altro anno d’oro per il genere, noi non possiamo che ribadire il nostro supporto e apprezzamento.

TRACKLIST
1. Sunshine’s Not Too Far (Intro)
2. All I Left Behind
3. Jerusalem
4. Back To You
5. Sleeping In My Dreams
6. Long Road Home
7. Requiem From A Prison
8. Island In The Sun
9. After All We’ve Been Missing
10. Here Alone

LINE-UP
Alessandro Del Vecchio- Vocals
Aldo Turini-Guitars
Alberto Sonzogni-Keyboards
Black Jin-Electric and fretless Bass –
Luca Mazzucconi-Drums

ELEVENTH HOUR – Facebook

Rhapsody Of Fire – Into The Legend

Album entusiasmante di una band unica, arrivata all’undicesima opera ed ancora in grado, dopo tanti anni, di regalare emozioni forti

Si torna a viaggiare sulle ali del drago con il nuovo lavoro di una delle band più illustri del panorama metal europeo, i nostrani Rhapsody Of Fire, l’altra metà dei Rhapsody (come sapete Luca Turilli, dopo lo split con il gruppo ha formato i Luca Turilli’s Rhapsody) band che, fin dal sorprendente debutto del 1997 (Legendary Tales), ha dato lustro all’Italia metallara.

Quasi vent’anni sono passati ormai da quel bellissimo lavoro, ed il gruppo non ha mai smesso di portare avanti la propria proposta, un symphonic power epico, barocco e dall’input cinematografico che ha fatto scuola e ha portato il nome della band nella storia del metal classico.
Into The Legend è il secondo lavoro in studio dopo la scissione, e segue Dark Wings of Steel di due anni fa, opera che vedeva la band intraprendere una strada più lineare e colma di epicità alla Manowar, risultando meno sinfonico e più improntato sulle sei corde.
Il nuovo lavoro torna in parte al sound dei primi album, rinverdendo i fasti delle due parti di Symphony of Enchanted Lands e tornando ad un’impronta palesemente barocca.
Inutile dire che il risultato soddisfa in pieno le aspettative dei molti fans del gruppo, le orchestrazioni tornano ad essere protagoniste indiscusse su un tappeto di power metal veloce ed epico, dove non mancano le classiche cavalcate che la voce di Lione valorizza, accompagnata da cori classici e ospiti solisti dal mood operistico.
Un album mastodontico, come da sempre ci ha abituati questo ambizioso gruppo di musicisti: magari talvolta prevedibile, non scalfisce comunque la fama consolidata dei Rhapsody Of Fire nel creare musica epica, sognante e tremendamente piena.
Un’altalena di emozioni, tra fughe metalliche in compagnia di orchestrazioni cinematografiche, l’uso smisurato di strumenti classici, cori, solos fusi nella fiamma sprigionata dall bocca del drago e tanta fierezza metallica, sprofondando in un mondo parallelo, dove non c’è spazio per la pochezza della vita moderna.
Ed è qui che la band è da sempre maestra, riuscendo per più di un’ora nella non sempre facile impresa di portare l’ascoltatore a vivere le atmosfere fantasy, come davanti allo schermo di una sala cinematografica, immagini nitide che si formano nella mente all’ascolto della tempesta di suoni creati dalla band.
Detto che la prova di Lione è da applausi, confermandosi come uno dei più bravi vocalist in circolazione nel genere, che Alex Holzwarth è la solita macchina da guerra dietro al drumkit, che Staropoli incanta ai tasti d’avorio e che Roberto De Michelis spara solos fiammeggianti, l’album è un saliscendi di metal operistico, di rabbiose ripartenze power ed atmosfere dal mood folk, con il flauto di Manuel Staropoli (fratello di Alex) a portarci in un emozionante viaggio nel tempo (A Voice in the Cold Wind) o a cavalcare verso la gloria (Valley Of Shadow).
Bellissima la suite finale, The Kiss Of Light, diciassette minuti di riassunto del credo musicale del gruppo, tra parti veloci, atmosfere sognanti, voci liriche e barocche, ed un Lione sontuoso nell’assecondare tutte le sfumature di un brano perfettamente in bilico tra irruenza metal, dolci parti folcloristiche e classiche fughe sinfoniche.
Album entusiasmante di una band unica, arrivata all’undicesima opera ed ancora in grado dopo tanti anni, di regalare emozioni forti, entrate anche voi nella leggenda.

TRACKLIST
01. In Principio
02. Distant Sky
03. Into the Legend
04. Winter’s Rain
05. A Voice in the Cold Wind
06. Valley of Shadows
07. Shining Star
08. Realms of Light
09. Rage of Darkness
10. The Kiss of Life

LINE-UP
Alex Staropoli – Keyboards, Harpsichord, Piano
Fabio Lione – Vocals
Alex Holzwarth – Drums, Percussion
Roberto De Micheli – Guitars

RHAPSODY OF FIRE – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO
, entrate anche voi nella leggenda.

Chronos Zero – Hollowlands ( The Tears Path Chapter One)

Settanta minuti di metallo drammatico e regale, figlio legittimo del sound dei maestri Symphony X, ma talmente ben eseguito da risultare un’opera per la quale certe similitudini finiscono solo per sminuire il talento dei musicisti coinvolti.

Tornano con il secondo lavoro i nostrani Chronos Zero, band che aveva entusiasmato nel 2013 con il debutto A Prelude Into Emptiness:The Tears Path Chapter Alpha, opera metallica che risplendeva di furore power/prog, uno spettacoloso vulcano di note che portava la band sul podio dei gruppi dediti a queste sonorità.

Un debutto clamoroso e tanti complimenti da fans e addetti ai lavori devono aver portato non poche pressioni al gruppo cesenate, positive direi, visto di che pasta è fatto il nuovo lavoro che risulta un’altra esplosione di suoni power e progressivi, dalla forza sovraumana e dalla tecnica invidiabile.
Tragico ed oscuro, emozionale e devastante, bombastico e pregno di fierezza metallica, Hollowlands conferma la band come una delle migliori uscite dallo stivale negli ultimi anni, almeno per quanto riguarda il genere.
Con qualche piccolo aggiustamento nella line up ed album affidato al sempre geniale Simone Mularoni, protagonista di un lavoro perfetto in fase di produzione, mix e mastering, Hollowlands vede lo stesso chitarrista dei DGM come ospite insieme a Matt Marinelli (Borealis) e Jan Manenti (Love.Might.Kill.) contributi che vanno ad impreziosire questi settanta minuti di metallo drammatico e regale, figlio legittimo del sound dei maestri Symphony X, ma talmente ben eseguito da risultare un’opera per la quale certe similitudini finiscono solo per sminuire il talento dei musicisti coinvolti.
The Compression Of Time apre l’album con l’irruenza classica a cui i Chronos Zero ci hanno abituati, ritmiche velocissime ed intricate, chitarre che sputano fuoco metallico, tastiere ed orchestrazioni che riempiono e nobilitano il sound e la spettacolare alternanza delle voci, perfetta nello scambiarsi il centro del palcoscenico, in un rincorrersi tra le fitte ragnatele di note orchestrate dai musicisti.
L’entrata in pianta stabile di una voce femminile (Margherita Leardini), molto più presente che sul primo lavoro, non inficia la devastante aggressività che il gruppo riversa nel sound, i momenti di quiete, sono solo bellissime affreschi, attimi suggestivi, che fanno calare un poco, l’altissima tensione che si respira a più riprese, mentre la vocalist è protagonista di una prova gagliarda, soprattutto quando, si erge sulle tracce drammatiche e rabbiose e dal mood orchestrale, molto più sinfonico che sul disco precedente.
Si, perché l’album, diversamente dal primo, è molto più sinfonico, le fughe progressive sono accompagnate da un suono bombastico, dando ad Hollowlands un tocco quasi cinematografico che valorizza ancora di più il sound, così che non si può non rimanere folgorati da questa raccolta di gemme metalliche che hanno in Fracture, nella ballad On Tears Path, Phalanx Of Madness, nelle tre parti di Oblivion, cuore del lavoro ed assoluto capolavoro del gruppo, gli episodi migliori di un lavoro decisamente sopra le righe.
I Chronos Zero si apprestano a raggiungere i cuori degli appassionati del genere, forti di un disco bellissimo, anche se a mio parere il sound del gruppo potrebbe piacere anche a chi si nutre di metal estremo, proprio per la sua disumana potenza e l’uso in molte occasioni del growl.
Grande ritorno e gradita conferma.

TRACKLIST
1. The Compression of Time
2. Fracture
3. Shattered
4. On the Tears of Path
5. Who Are You? (A Shape of Nothingness)
6. Who Am I? (Overcame by Blackwater Rain)
7. Ruins of the Memories of Fear
8. Phalanx of Madness
9. Oblivion Pt. 1 – The Underworld
10. Oblivion Pt. 2 – The Trial of Maat
11. Oblivion Pt. 3 – The Harp
12. The Fall of the Balance
13. Near the Nightmare
14. From Chaos to Chaos

LINE-UP
Federico Dapporto – Bass
Enrico Zavatta – Guitars, Piano, Keyboards
Davide Gennari – Drums, Percussion
Jan Manenti – Vocals
Giuseppe Rinaldi – Keyboards
Manuel Guerrieri – Vocals
Margherita Leardini – Vocals

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