Cerebric Turmoil – Neural Net Meltdown

Neural Net Meltdown è un album che troverà estimatori per chi apprezza il metal estremo tecnicissimo, trovando in esso spunti esaltanti come nelle intricate parti di alcuni brani.

Nati dalle ceneri dei Chaosphere, nel 2006 i Cerebric Turmoil iniziano la loro attività nella scena estrema e aiutati da una notevole tecnica strumentale, si buttano a capofitto nella scena brutal death, basato sulla tecnica.

Neural Net Meltdown è il loro primo lavoro sulla lunga distanza ( anche se l’album dura solo mezzora), dopo che il gruppo di Berlino ha rilasciato lungo la sua decina d’anni di vita due demo ed un paio di split, il primo nel 2008 insieme ai Defeated Sanity, ed il secondo, una sorta di compilation in cui apparivano una manciata di gruppi della scena come Tears of Decay, Very Wicked, Fetocide e Johnston.
Che i musicisti sappiano suonare i propri strumenti è un dato di fatto, così come l’indubbia capacità di amalgamare death metal, grindcore e soluzione al limite del jazz e il risultato ad un primo ascolto risulta clamoroso, proprio per l’elevata capacità strumentale dei protagonisti.
Rimane un po’ di rammarico per la totale mancanza della forma canzone, importantissima secondo il sottoscritto, anche nel metal più estremo e cerebrale, in questo lavoro avvulsa nelle intricate parti che la band vomita letteralmente sull’ascoltatore, che non trovando punti di riferimento, si trova a vagare nel labirintico spartito di Neural Net Meltdown senza meta, completamente stravolto dalla valanga di note suonate dal gruppo tedesco.
Peccato perchè le potenzialità ci sono tutte, il brutal death del gruppo risulta devastante e le buone idee non mancano, sono solo un po troppe. così da creare a tratti un songwriting leggermente confuso.
Nel genere, quello che per un neofito può sembrare un dettaglio, fa la differenza tra un album sufficiente ed uno notevole, per capirci, molte volte non basta solo saper suonare alla grande uno strumento per piacere a chi ti ascolta.
Neural Net Meltdown rimane comunque un album che troverà estimatori in chi apprezza il il metal estremo tecnicissimo, trovando in esso spunti esaltanti come nelle intricate parti di Twitching Eye Staccato, Discordian Equilibrium, Soul Famine e Vile Effect Momentum.
Molta tecnica ma emozioni zero, alla prossima.

TRACKLIST
1. Introduction
2. Twitching Eye Staccato
3. Secluded Out of Touch by Avoiding Mankind
4. Metaphysics (Skit)
5. Discordian Equilibrium
6. Grotesque Dreaming
7. Soul Famine
8. Bitstorm
9. Tangled in Trial and Error Scenarios
10. Vile Effect Momentum

LINE-UP
Marcus Klemm – Drums
Marte “McFly” Auer – Guitars
Chris – Reese Vocals
Fux – Bass (tracks 2, 7, 9, 10)

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Inhuman – Conquerors of the New World

Un album difficile, forse apprezzabile solo da chi stravede senza riserve per il death metal più tecnico

Il death metal è di per se un genere difficilissimo da suonare, magari agli ascoltatori superficiali le note estreme di cui è composto possono sembrare un’accozzaglia di suoni, ma il feeling e la bravura strumentale devono obbligatoriamente camminare a fianco di attitudine ed impatto, per far sì che una band abbia quel qualcosa in più.

Se poi si scende nell’ala tecnica del genere, la linea che passa tra un’opera straordinaria ed un clamoroso flop è sottilissima.
Gli Inhuman provengono dal Costa Rica, si sono formati quattro anni fa e sono al secondo lavoro, successore del debutto Course of Human Destruction, uscito nel 2013.
Il loro sound si può sicuramente considerare un esempio di technical death metal, a suo modo devastante e strabordante di cambi di tempo, forse troppi.
Molto bravi i musicisti, su questo non ci piove, ma purtroppo in molti di questi brani, manca la forma canzone, elemento importantissimo anche per un genere estremo come il death.
Possiamo sicuramente dire che il troppo stroppia, anche se non tutto è da buttare, le idee ci sono, ma sono esposte in modo confusionario, almeno in gran parte delle tracce che compongono Conquerors of the New World.
Buono e d’impatto il growl del vocalist Sergio Munoz e tecnicamente sufficiente il lavoro della sezione ritmica (Carlos Venegas al basso e Eduardo “Tato” Chavez alle pelli), mentre la chitarra inciampa in una produzione che non le dà il giusto spazio, relegandola a poco più di un soffio nella tempesta di suoni creato dal gruppo.
Si salvano gli ultimi due brani, The Chalice, e la lunghissima Stabbed to Death, che in virtù di un songwriting più ragionato, alzano la media della musica proposta dal gruppo costaricano.
Un album difficile, forse apprezzabile solo da chi stravede senza riserve per il death metal più tecnico.

TRACKLIST
1. Conquerors of the New World
2. Soulless Dead Eyes
3. Hold Your Crucifix
4. Extermination by Depopulation
5. Feed on Human Flesh
6. America Rises
7. The Chalice
8. Stabbed to Death

LINE-UP
Sergio Munoz – Vocals
Jonathan Sanchez – Guitar
Carlos Venegas – Bass
Eduardo “Tato” Chavez – Drums

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Gaijin – Gaijin

Ottima partenza e piccolo assaggio delle capacità del gruppo Indiano, che potrebbe riservare grosse soddisfazioni agli amanti del genere, specialmente per quelli che seguono le vicende musicali del metallico paese asiatico.

Mumbai, tra i meandri della megalopoli indiana si aggirano entità che si nutrono di metal estremo che, sempre più voraci, crescono a dismisura, invadendo, come un virus il mercato underground metallico, quello più violento ed estremista.

I Gaijin fanno parte di questa covata malefica, ed arrivano anche loro, dopo un’onorata gavetta al primo parto discografico, sotto forma di un ottimo ep di tre brani roboanti, veloci e tecnicissimi.
Un metal estremo che travolge a colpi di technical death metal, dalle indubbie risorse, suonato dannatamente bene e neanche troppo cervellotico.
Il quintetto ha stoffa da vendere e lo dimostra subito, completando l’ep con un brano in chiusura strumentale (Anamnesis) roba da band navigata, non certo da pischelli al primo vagito discografico.
Labirinti ed intrecci chitarristici( Jay Pardhy e Vinit Jani, davvero bravi con le sei corde), evidenziano una personalità debordante, il sound, strutturato su devastanti prove di forza della sezione ritmica(Karan Oberoi al basso e Ajit Singh al drumkit) che, non contenta, arricchisce la sua prova con fenomenali cambi di tempo ed elergisce potenza ed un mood progressivo che coccia con il growl brutale del buon Malcolm Soans.
Dead Planet e Meiosis accentuano il vortice in cui il gruppo asiatico ci scaraventa, siamo nel death metal tecnico, quindi niente smancerie e via per scale e solos virtuosissimi, lasciando che le influenze o meglio, le ispirazioni(Obscura, Cynic e Cannibal Corpse), escano dai solchi dell’album in tutta la loro inesauribile potenza.
Ottima partenza e piccolo assaggio delle capacità del gruppo Indiano, che potrebbe riservare grosse soddisfazioni agli amanti del genere, specialmente per quelli che seguono le vicende musicali del metallico paese asiatico.

TRACKLIST
1. Dead Planet
2. Meiosis
3. Anamnesis

LINE-UP
Malcolm Soans – Vocals
Vinit Jani – Guitar
Jay Pardhy – Guitar
Karan Oberoi – Bass
Ajit Singh – Drums

GAIJIN – Facebook

The Ritual Aura – Laniakea

Se Da Focus, capolavoro dei Cynic, vi siete appassionati al genere, brani come Era of the Xenotaph, Precursor of Aphotic Collapse e Nebulous Opus Pt. II, vi faranno letteralmente sobbalzare dalla sedia spedendovi su una galassia sperduta.

Accompagnato da una bellissima copertina fantascientifica, irrompe sul mercato underground, il primo lavoro dei technical deathsters australiani The Ritual Aura (ex Obscenium), licenziato dalla Lacerated Enemy Records e stampato in edizione limitata a duecento copie.

Liniakea è un opera affascinante, composta da un sound progressivo che accomuna melodia e mood estremo, tecnica sopraffina ed impatto tellurico in un unica esplosione di note, violente e cerebrali, intricate ma allo stesso tempo mature, facendo della band una gran bella sorpresa per gli amanti di queste sonorità.
Ovviamente la tecnica dei musicisti è spaventosa: sezione ritmica da infarto, chitarra che illumina la scena con solos funambolici, growl tosto il giusto e orchestrazioni che a tratti regalano atmosfere sci-fi in un tripudio di cambi di tempo, dita che vanno su e giù alla velocità della luce, sul manico della sei corde con Nebulous Opus Pt, II che ruba la scena, song enorme per cui vale l’ascolto del disco, un susseguirsi di cambi di tempo, orchestrazioni bombastiche e chitarra che sfida lo spartito in una rincorsa a note perse nello spazio profondo.
Non un album “facile”, come del resto tutti i lavori che puntano molto sulla tecnica esecutiva, aiutato dal minutaggio ridotto ( venticinque minuti), però Laniakea si riesce a seguire nelle sue scorribande nel mondo delle sette note estreme, nobilitate da quattro musicisti superlativi e da reminiscenze progressive che ne ampliano il raggio d’azione.
Non solo estremismo sonoro dunque , ma musica che attraversa barriere, cavalcando una tempesta di suoni, umori e sensazioni, guidati da questi quattro musicisti disumani, al secolo Darren Joy al basso, Adam Giangiordano alle pelli, Levi Dale alla chitarra e Jamie Kay alle vocals.
Se da Focus, capolavoro dei Cynic, vi siete appassionati al genere, brani come Era of the Xenotaph, Precursor of Aphotic Collapse e la già citata Nebulous Opus Pt. II, vi faranno letteralmente sobbalzare dalla sedia spedendovi su una galassia sperduta. Consigliato.

Tracklist:
1. Mythos of Sojourn
2. Ectoplasm
3. Time-Lost Utopia
4. Era of the Xenotaph
5. Nebulous Opus Pt, I
6. Precursor of Aphotic Collapse
7. Erased in the Purge
8. Nebulous Opus Pt, II
9. Laniakea

Line-up:
Darren Joy – Bass
Adam Giangiordano – Drums
Levi Dale – Guitars
Jamie Kay – Vocals

Profanity – Hatred Hell Within

Tre brani che convincono per quello che si spera sia un nuovo inizio.

Band estrema con la quale vale la pena far conoscenza sono i tedeschi Profanity, dediti ad un death metal tecnico di ottima fattura: Hatred Hell Within è un Ep di tre brani, uscito sul finire dello scorso anno (dicembre) per cui relativamente fresco di stampa.

Il gruppo di Augsburg ha festeggiato lo scorso anno i vent’anni dalla nascita, perciò chiaramente non stiamo parlando di novellini della scena estrema germanica: il suo percorso musicale si è interrotto per una dozzina d’anni tra il 2002 e il 2014, ma nella seconda metà degli anni novanta le uscite discografiche avevano mantenuto un buon ritmo fino al 2000, con l’uscita di demo, split e dei due full length “Shadow’s To Fall” del 1997 e l’ultimo “Slaughtering Thoughts” ad inizio millennio.
Quindi i Profanity si rifanno vivi per devastare padiglioni auricolari, con il loro death metal molto tecnico, gioia per i fan del metal estremo, impreziosito da velocissimi cambi di tempo, scale e funambolismi vari, il tutto mantenendo una notevole violenza di fondo grazie all’esperienza di chi il genere lo mastica da un bel po’.
Il trio è composto da una sezione ritmica mastodontica, composta da Daniel Unzner al basso e Armin Hassmann alle pelli, fenomenale nel mantenere elevato il muro sonoro del sound, su cui spicca il sontuoso axeman e belluino vocalist Thomas Sartor, , protagonista indiscusso di questi tre brani dall’impatto brutale ma magnificamente eseguiti.
Il classico pelo nell’uovo sta nello specchiarsi troppo del buon Sartor, bravissimo ma spesso cervellotico ed intricatissimo nelle sue parti, il che rischia spesso di far perdere fruibilità alle cavalcate estreme del gruppo, che di conseguenza, lasciano per strada un po’ dell’impatto prodotto dal loro sound.
Niente di imperdonabile, d’altronde il genere suonato ha tra i fan molti amanti della pura tecnica che troveranno di che crogiolarsi nei virtuosismi del leader e dei suoi compari.
Tre brani che convincono per quello che si spera sia un nuovo inizio.

Tracklist:
1. Melting
2. I Am Your Soul (You Made Me Flesh)
3. Hatred Hell Within

Line-up:
Thomas Sartor – vocals and guitars
Daniel Unzner- bass
Armin Hassmann – drums

PROFANITY – Facebook