Vento di Nord-Est: ricordando il prog italiano anni Novanta

Quando ormai la bella storia del new prog inglese degli anni Ottanta andava avviandosi verso il suo malinconico tramonto, gli echi – opportunamente rivisitati – cominciarono ad attecchire anche nel nostro paese.

Tra la fine del decennio e il principio del successivo, alcune coraggiose formazioni, su tutti i Men of Lake (i quali si ispiravano al progressive britannico dei Rare Bird ed al kraut rock dei primi Tangerine Dream) e i Jester’s Joke (dal nome marillioniano, pure loro arruolati dalla francese Musea) iniziarono a muovere i primi passi, dapprima su cassetta. Erano, del resto, gli anni dei demo tapes, e non solo per il metal. I più longevi sarebbero stati i Twenty Four Hours, ancora su Musea, in bilico tra i Pink Floyd di A Saucerful of Secrets ed atmosfere magniloquenti ispirate ai primi King Crimson, con il mellotron sugli scudi. Impossibile è dimenticare poi i fiorentini Nuova Era (lanciati dalla mitica Contempo Records) e lo storico ed ottimo debut inciso dai genovesi Eris Pluvia (Rings of Earthly Light, Musea, 1991), dai quali sono derivati, in seguito, Narrow Pass ed Ancient Veil, oggi ancora sulla breccia, e con ottimi dischi di matrice canterburyana. Da ricordare anche i toscani (di Livorno, per la precisione) Egoband, che, con Trip in the Light of the World (1992), incantarono non solo i fans del new prog alla Marillion, ma anche quelli di sonorità più hard e dark, alla Van der Graaf-Peter Hammill, prima di virare coi lavori susseguenti verso un anonimo r ‘n’ b psichedelico.

Sul finire degli Eighties, uno dei gruppi italiani più promettenti erano senz’altro i Black Jester, nati a Treviso e responsabili d’un entusiasmante hard prog, con magnifici impasti di chitarra e di tastiere, suoni barocchi e la particolarissima voce di Alex ‘The Jester’ D’Este (poi negli Snowblind, una cover band dei Black Sabbath). Dopo un promettente nastro omonimo, nel 1990, i Black Jester firmarono per la WMMS di Peter Wustmann, la label tedesca che – sino alla cessazione delle attività, tra 1996 e 1997 – tanto e bene avrebbe fatto, al fine di promuovere il nuovo progressive italiano. Nel 1993 e nel 1994, rispettivamente, i Black Jester pubblicarono i loro due capolavori: Diary of a Blind Angel e Welcome to the Moonlight Circus, felicemente impregnati di un pomp rock metallizzato, sinfonico e favolistico. Il gruppo si sciolse dopo avere tentato la difficile trasposizione di Dante su disco (The Divine Comedy, 1997). Alcuni dei suoi membri hanno successivamente suonato, con ex componenti delle Orme, nei più intimistici Faveravola (2006) ed, in particolare, nei Moonlight Circus. Questi ultimi hanno rilasciato Outskirts of Reality (2000) e Madness in Mask (2007): a tutti gli effetti, una ripresa e una continuazione, aggiornata al nuovo millennio, di quanto realizzato dai Black Jester nel 1994, assieme al paroliere Loris Furlan, oggi editore musicale, con la sua Lizard Records, presso la quale incidono interessanti artisti nostrani di prog, post rock, avanguardia e jazz rock.

Affini ai Black Jester, per provenienza geografica e genere musicale di appartenenza, erano pure gli Helreid, nati anche loro a fine anni Ottanta. Esordirono solo nel 1997, con lo stupendo Mémoires e, quattro anni più tardi, sempre per la piemontese Underground Symphony, realizzarono Fingerprints of the Gods (il titolo veniva dal classico di archeologia spaziale di Graham Hancock, Impronte degli dèi). Gli Helreid, di cui resta realmente nella memoria Mark the Wizard, sono da pochi anni in pista di nuovo: il disco del ritorno (aggiungendo una ‘h’ alla fine del loro nome) è stato Fragmenta, uscito nel 2012, idealmente in linea con gli esordi, come se il tempo non fosse mai passato.
La breve ma meritata stagione di gloria dei Black Jester, nella prima metà degli anni Novanta, fece altresì da traino per tutta una scena validissima ed in fermento, come quella del Nord- Est italiano di allora. L’epicentro era Treviso, dove tra il 1988 e il 1990 furono attivi gli Spleen (recuperati poi nel 1994 dalla Mellow), da cui sorsero i Marathon. Questi furono di fatto i Rush italiani. Dopo il demo World of Trend (1991), i Marathon si accasarono anche loro presso la WMMS e pubblicarono due strabilianti lavori, di metal-prog, melodico ed iper-tecnico: Impossible Is Possible (1993) e Sublime Dreams (1994), con la collaborazione di alcuni membri dei tedeschi Manner.

Il gruppo però forse più importante – non solo di Treviso e dell’Italia nord-orientale, ma di tutto il new prog italiano – rimangono di certo gli Asgard. Nati nel 1984 e quindi ispirati ai Marillion era-Fish, parteciparono alle compilation Italian Rock Invasion (1987) ed Exposure (1988) e si esibirono spesso in concerto: ancora oggi c’è chi ricorda con misto di emozione e nostalgia la loro suite in due parti The Light Spring, tra l’altro mai messa poi su disco. Dopo anni di concerti e di crescita costante gli Asgard furono il primo gruppo italiano a firmare per la WMMS. Il debutto, Gotterdammerung, vide la luce nel 1991. Fu una vera rivelazione, uno stupendo incrocio di retaggi marillioniani e echi della mitologia germanica in musica, un disco che inaugurava il nuovo decennio del prog italiano ed illuminava una scena, in quei giorni, in espansione davvero pronunciata. L’anno successivo, apparve il mini-CD Esoteric Poem, che, in tutto e per tutto, teneva fede al titolo. Alcuni puristi storsero non poco il naso – lo rammento bene, come rammento quegli anni – per gli inserti dark-ambient (molti allora ragionavano intendendo i generi alla stregua di compartimenti stagni), tuttavia gli Asgard avevano dimostrato, solo e semplicemente, di voler progredire lungo la loro strada. Arcana, apparso nel 1993, trovò il perfetto punto di contatto tra lo stile del primo disco e le atmosfere del secondo, preparando la strada alla svolta. Nel 1993, sempre per la WMMS, uscì Imago Mundi: il sound si era indurito e faceva incontrare le origini neo-prog della band con il prog-metal dei Queensryche e dei Dream Theater, con risultati potenti e sublimi. Lo stesso percorso, sia detto per inciso, dei tedeschi – anche loro su WMMS – Ivanhoe, i quali – specie con Visions and Reality (1994) e Symbols of Time (1995), prima di perdersi nel banale heavy maideniano di Paralized (1997) – si mossero tra Rush e Marillion, Dream Theater e Queensryche. Imago Mundi fu uno dei migliori dischi dell’anno 1993, ma anche il canto del cigno di una stagione. Infatti, tra problemi di line-up e ritardi nell’incidere le canzoni del nuovo album, gli Asgard si arenarono e tornarono sulle scene, per una piccola etichetta, solo sette anni dopo. Per quanto discreto, Drachenblut (2000) soffriva del tentativo in verità un po’ artificioso di riportare in vita lo spirito bucolico dei primissimi Genesis, quando ormai il momento magico era passato e l’occasione per un successo su più larga scala purtroppo perduta. Membri degli Asgard, nel 1994, collaborarono altresì alla realizzazione di quello che resta uno dei migliori dischi di pomp rock anni Novanta (insieme A Blueprint of the World, degli americani Enchant, 1993). Mi riferisco ad Hunting the Fox di Ines, bella e brava tastierista tedesca, accompagnata tra gli altri pure da componenti degli storici progsters Anyone’s Daughter e dei friulani Garden Wall (i soli ancora attivi oggi di quella scena, autori di molteplici eccezionali lavori, fra thrash, dark, prog e elettronica robotica). Quanto ad Ines, dopo quel magico esordio, non seppe più confermarsi: Eastern Dawning (1996) esibì una piatta new age, alla Lanvall, appena innervata da spunti per radio FM e momenti di blando soft prog (alla Rebekka), mentre The Flow (1999) denunciò una crisi d’identità notevole e fin più preoccupante, all’insegna di una insignificante world music, etnica e modaiola. Il quarto lavoro, Slipping Into the Unknown (2002), tentò se non altro di tornare all’hard rock, con ballate acustiche e influenze pop desunte dai (peraltro prescindibilissimi) dischi solisti di Phil Collins e Tony Banks.

Nei primi anni ’90, in Veneto, furono attivi anche i Top Left Corner, di Padova. Anche per loro un demo tape omonimo (1994), e due buonissimi dischi, per la WMMS: Mystery Book (1994) – col suo progressive epico alla Rush-Yes-Asgard – e Nowhere (1996). Sempre dal Nord-Est venivano inoltre i friulani Barrock, autentici maestri del prog sinfonico, guidati dal grande Walter Poles. Tre lavori, oltre alle tante cassette registrate tra il 1983 e il 1988: L’alchimista (inciso nel 1990 e pubblicato in Giappone dalla Moon Witch, l’anno dopo), Oxian (edito dalla olandese SI Music nel 1995) ed infine La strega, licenziato dalla ligure Mellow Records, nel 1999, proprio in conclusione della decade. In Friuli, ad Udine, furono attivi anche i Last Warning, nati nel 1987. Dopo il demo Bloody Dream (1992-1993), incisero per la WMMS il fantastico From the Floor of the Well (1994), a metà strada fra Threshold e Crimson Glory, per poi proseguire su Underground Symphony. Di Udine sono pure gli straordinari Quasar Lux Symphoniae, tra i maggiori e forse sottovalutati gruppi italiani di prog barocco ed orchestrale. Formatisi nel lontano 1976, incisero sempre per la WMMS due capolavori, quali la rock opera Abraham (1994) e il mitologico The Enlightening March of Argonauts (1997). E la loro discografia non si ferma qui.
Affini al vento che soffiava da Nord-Est furono poi i varesini Court, che si fecero notare col demo-tape Live, nel 1992. Il loro And You’ll Follow the Winds (1993) fu un autentico gioiellino hard-folk, che rimpiazzava senza rimpianti le tastiere (virtualmente assenti) con chitarre acustiche e flauto alla Jethro Tull. Fenomenali dal vivo – condivisero il palco fra Italia e Germania con i Black Jester e gli Ivanhoe, nell’estate 1994 – i Court smarrirono purtroppo quasi subito la propria identità: Distances (1997) mise in mostra soltanto un rock annacquato, con momenti di sbadiglio o addirittura irritanti, pochissimo prog e un vago orientamento psichedelico mal metabolizzato. Anche il successivo Frost of Watermelon (2007), ispirato ai Caravan, non lasciò il segno. Da riscoprire comunque il debutto, insieme a quello dei modenesi Lie Tears – i quali, dopo i nastri Hypnotic Mind (1995) e Lost Sand Sad (1997) – pubblicarono per la Underground Symphony A Gate for Another Life (1999), davvero bellissimo nei suoi riusciti intrecci di hard melodico inglese e new prog appena metallizzato.
Oggigiorno, quel mondo e quella scena musicale, che specie nel Nord-Est italiano dei primi anni ’90 vide emergere ottimi gruppi, non esistono più. Restano solo i ricordi. In generale, il new prog – sia inglese, sia europeo ed italiano – pare avere ormai esaurito la sua linfa vitale. Consiglio nondimeno di dare un ascolto a chi, nella nostra penisola, ancora ci crede e realizza CD validi e interessanti. Si ascoltino in particolare i Cage, i riformati CAP, gli Archangel (con Clive Nolan dei Pendragon, alle tastiere, in qualità di ospite), i Sithonia, i Gran Turismo Veloce, gli scoppiettanti Flower Flesh e, soprattutto, i grandissimi Graal, forse i migliori eredi in termini compositivi dei Black Jester, epici e gotici, con il loro hard prog pomposo e fantasy, che – attraverso quattro meravigliosi album – cita e riprende in una maniera originale, creativa e personale, l’eredità perenne di Uriah Heep, Magnum, Rainbow e Dio. Perché la fiamma non si spegne mai.