Sons Of Apollo – Psychotic Symphony

I Sons Of Apollo hanno dato vita ad un album duro come l’acciaio, forgiato nell’olimpo e ricevuto dai noi mortali come dono dagli dei, drammatico, tragico, intenso ed oscuro come i nuvoloni che coprono in cielo la reggia dalla quale Zeus decide della sorte degli uomini.

Un intro orientaleggiante, fusa tra le trame dell’opener God Of The Sun, ci invita all’ascolto di questo bellissimo lavoro intitolato Psychotic Symphony, debutto del supergruppo Sons Of Apollo di cui fanno parte autentici mostri del pentagramma progressivo e metallico mondiale come Mike Portnoy alle pelli, Derek Sherinian alle tastiere, Billy Sheehan al basso, Ron “Bumblefoot” Thal alla chitarra ed Jeff Scott Soto dietro al microfono.

Non sappiamo attualmente se i Sons Of Apollo rimarranno un progetto estemporaneo o si trasformeranno in una band vera, ma alla luce di questa raccolta di brani si fa spazio in noi la speranza che questo inumano sodalizio artistico possa avere un seguito.
Psychotic Symphony è un lavoro straordinario per intensità, sagacia compositiva e la perfetta coesione tra l’elemento tecnico (qui ai massimi livelli) e quello emozionale.
I figli del dio greco, infatti, hanno dato vita ad un album duro come l’acciaio, forgiato nell’olimpo e ricevuto dai noi mortali come dono dagli dei, drammatico, tragico, intenso ed oscuro come i nuvoloni che coprono in cielo la reggia dalla quale Zeus decide della sorte degli uomini.
Un Soto stratosferico fa il fenomeno (e mette i brividi) su brani nati per stupire, ma lasciati nelle mani dell’emotività, dunque non mero esercizio di stile, ma spettacolare dispiegamento di mezzi per regalare musica metal fuori categoria.
Molto più vicina ai Symphony X che ai Dream Theater (tanto per fare due nomi scomodi), la musica dei Sons Of Apollo si può certo chiamare prog metal, dove metal sta per una forza dirompente, una tempesta di suoni nella quale i fulmini sono prodotti dalla chitarra di Thal, la pioggia ritmica incessante dalla coppia Portnoy/Sheehan, le trombe d’aria dagli intrecci tastieristici di Sherinian ed i tuoni da un Soto novello Zeus.
E allora perdetevi negli undici minuti della già citata God Of The Sun, monumentale brano d’apertura che ci scaraventa nella lotta intestina tra gli dei, mentre la diretta Coming Home conferma l’atmosfera battagliera dell’opera.
Labyrinth, la semi ballad Alive, la conclusiva, mastodontica e strumentale Opus Maximus (dall’inizio epic/doom) traccia che con l’opener risulta la coppia d’assi di Psychotic Symphony, ribadiscono il valore di un lavoro da non perdere assolutamente se siete amanti del metal progressivo.

Tracklist
1 God of The Sun
2 Coming Home
3 Signs of The Time
4 Labyrinth
5 Alive
6 Lost In Oblivion
7 Figaro’s Whore
8 Divine Addiction
9 Opus Maximus

Line-up
Mike Portnoy – drums and vocals
Derek Sherinian – keyboards
Billy Sheehan – bass
Ron “Bumblefoot” Thal – guitar and vocals
Jeff Scott Soto – vocals

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Mork – Eremittens Dal

Eremittens Dal non può essere considerato fondamentale ma neppure derubricato come rappresentazione esclusivamente derivativa: aderente ai codici del genere forse anche più degli stessi padri fondatori, Mork è la fotografia in bianco e nero di un genere che mantiene una sua funzione sia quando espresso tramite spinte innovative, sia quando chi lo suona si pone quale sorta di guardiano e garante della sua ortodossia.

Con il terzo lavoro targato Mork, progetto solista del norvegese Thomas Eriksen, il black metal torna alla casa natia riprendendo le sue sembianze originarie.

Il discorso si potrebbe anche chiudere qui, perché con tali premesse non è certo arduo intuire cosa ci si debba attendere da Eremittens Dal, resta solo da provare a capire quale valenza attribuire a un lavoro di questo tipo e se possa valere la pena di immergersi nel suo ascolto.
La risposta a quest’ultimo quesito è affermativa, perché a fronte di un’originalità pari a zero abbiamo anche a che fare con un musicista che conosce alla perfezione la materia ed opta per esibirne la forma più ortodossa, non per mera convenienza o scarsa ispirazione, ma esclusivamente perché è ciò che corrisponde al suo sentire.
Da tutto questo scaturisce un album a suo modo prevedibile, con un’alternanza regolare tra rallentamenti ed accelerazioni, ma con alcune tracce notevoli come la title track, intrisa da un’austera solennità, e Hedningens Spisse Brodder e Forsteinet I Hat, trascinanti episodi in quota Darkthrone.
Eremittens Dal non può essere considerato fondamentale ma neppure derubricato come rappresentazione esclusivamente derivativa: aderente ai codici del genere forse anche più degli stessi padri fondatori, Mork è la fotografia in bianco e nero di un genere che mantiene una sua funzione sia quando espresso tramite spinte innovative, sia quando chi lo suona si pone quale sorta di guardiano e garante della sua ortodossia.
Tutto ciò finisce per erigere un muro difficilmente valicabile all’interno della cerchia dei potenziali fruitori, collocando da un lato chi accetta l’esistenza del black metal solo se pervaso da spinte avanguardiste o sperimentali, e dall’altra chi ritiene che il compito del genere sia quello di veicolare senza mediazioni il senso di misantropica malinconia che è comune a chi lo suona e a chi lo ascolta: personalmente mi colloco da quest’ultima parte, e ciò mi fa apprezzare non poco l’operato di Thomas Eriksen.

Tracklist:
1. Hedningens Spisse Brodder
2. Holdere Av Fortet
3. Forsteinet I Hat
4. Eremittens Dal
5. I Hornenes Bilde
6. Likfølget
7. Et Rike I Nord
8. I Enden Av Tauet
9. Mørkets Alter
10. Gravøl

Line-up:
Thomas Eriksen

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Across The Atlantic – Works Of Progress

Il pop punk in questa maniera lo sanno fare solamente in America, ed è un qualcosa che va fortissimo nelle radio punk e metal, specialmente quelle del circuito dei college.

Gli Across The Atlantic vengono fuori dal tumultuoso underground texano, e più precisamente da San Antonio.

La loro proposta musicale è un pop punk con spruzzate di post hardcore, con molta energia e rivolto principalmente ad un pubblico giovanile. Le linee melodiche di Works Of Progress tengono molto bene e il disco scorre facilmente, con ritornelli e stacchi che rimangono in testa, e con un gran sapore di dolcezza. Il pop punk in questa maniera lo sanno fare solamente in America, ed è un qualcosa che va fortissimo nelle radio punk e metal, specialmente quelle del circuito dei college. Negli Across The Atlantic possiamo trovare oltre a tutto ciò anche una buona dose di post hardcore, specialmente nei giochi di rimando fra voce melodica e voce più grezza. La composizione del disco è di buon livello, i texani hanno già capito molto bene cosa può funzionare e cosa no, e dalla loro hanno una notevole energia. Questo lavoro piacerà a chi già segue questo genere e ha dimestichezza, e farà sicuramente nuovi proseliti per chi si avvicinerà a queste sonorità con questo disco. La Sharptone Records, sussidiaria della Nuclear Blast Records, sta costruendo un roster interessante di gruppi che spaziano dal metalcore al pop punk e post hardcore come appunto gli Across The Atlantic. Un disco come Works Of Progress mancava in questa carrellata, ed è anche figlio del gran lavoro che ha fatto per emergere questo gruppo che ha tutte le carte in regola per spiccare il volo.

Tracklist
1. Prelude
2. Playing For Keeps
3. Sundress Funeral
4. Cutting Corners
5. Chin Up
6. 24 Hours
7. Word of Mouth
8. Self (less)
9. Starting Over
10. Blind Eyes
11. Works Of Progress

Line-up
Jay Martinez- Vocals
Jason Lugo- Guitar
Julio Bautista- Guitar
Jayy Garza- Bass
Cody Cook- Drums

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Jac Dalton – Powderkeg

Powderkeg è un buon lavoro, la voce del leader è sanguigna il giusto e le melodie sono perfettamente inserite in un contesto rock che non fa mancare una buona dose di grinta.

Jac Dalton è un singer americano trapiantato in Australia, Powderkeg è il suo terzo album uscito originariamente nel 2015 ma arrivato da noi solo quest’anno e ristampato in autoproduzione.

L’album segue di ben cinque anni, nella prima versione, il precedente Icarus album che aveva fatto conoscere Dalton agli amanti dell’ hard rock melodico.
Accompagnato da una band di tutto rispetto, Dalton è tornato ripresentando Powderkeg, opera scritta a quattro mani con il chitarrista e leader dei rockers Ice Tiger Graham Greene, anche se ad oggi la line up risulta rivoluzionata rispetto a quella protagonista sull’album.
Powderkeg risulta comunque un buon album di hard rock ottantiano, grintoso, melodico e composto da un lotto di buone canzoni tra Whitesnake era cotonata e il primo Bon Jovi.
Greene sembra abbia scritto più della metà dei brani e il sound mostra una vena improntata sulla sei corde tra hard rock melodico, ottime atmosfere nate nella polverosa frontiera (i Bon Jovi di Blaze Of Glory) e quel tocco di blues in un classic rock che rimanda al serpente bianco, quello che mordeva pulzelle tra le vie di Los Angeles.
Blow Me Away con un hard rock pregno di watt, l’irresistibile arena rock di Can’t Unrock Me, l’aor di Just Enough To Believe, primo pezzo da novanta di Powderkeg, così come la title track, che sembra scritta dal Coverdale in stato di grazia del best seller 1987 e One Heart/One Land, ballad dal sapore southern tra Bon Jovi ed i Poison di Every rose has its thorn.
Insomma cari amanti dell’ hard rock melodico ottantiano, Powderkeg è un buon lavoro, la voce del leader è sanguigna il giusto e le melodie sono perfettamente inserite in un contesto rock che non fa mancare una buona dose di grinta.

Tracklist
01. PowderKeg
02. Blow Me Away
03. Roll With The Punches
04. Sweet Emotion
05. Just Enough To Believe
06. HardCore SuperStar
07. Can’t UnRock Me
08. Let It Go
09. One Heart/One Land
10. When I’m Alone With You

Line Up
Jac Dalton – Vocals
Graham Greene – Guitars, B.vocals
Annemieke Heijne – Guitars, B.Vocals
Jim Awram – Bass
Troy Brazier – Drums
Jason Dohrmann – Keyboards, Bass, B.vocals
Donna Greene – Percussions, B.vocals

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