Putrid Offal – Anatomy

I Putrid Offal sono una delle realtà underground più estreme e devastanti, il loro sound è pari ad una apocalisse metallica dalle ritmiche da bombardamento a tappeto e assoli chirurgici.

Torna quel muro estremo transalpino che sono i Putrid Offal, gruppo che seguiamo da quando il quartetto è tornato sul mercato in occasione dell’ep Suffering, licenziato tre anni fa.

Dieci anni di silenzio dividevano gli inizi della carriera dei Putrid Offal dal ritorno nel 2014, seguito da una costanza nelle uscite sorprendente.
Infatti dopo l’ep il gruppo francese ha licenziato una compilation con i vecchi brani scritti nei primi anni novanta e soprattutto il full length Mature Necropsy del 2015.
Tornano dunque con questo ep intitolato Anatomy, composto da due brani inediti (Anatomy e Didactic Exploration), due ri-registrazioni (Rotted Flesh e Gurgling Prey, presenti nel primo demo, con il primo anche nel full length) e due brani live, tanto basta per sconvolgere l’ascoltatore con il loro devastante death/grind.
Niente di nuovo, solo la conferma che i Putrid Offal sono una delle realtà underground più estreme e devastanti, il loro sound è pari ad una apocalisse metallica dalle ritmiche da bombardamento a tappeto e assoli chirurgici per mandare in tilt il vostro lettore cd.
Come da tradizione, gran lavoro delle due voci (growl e scream) che continuano imperterrite a darsi battaglia tra accelerazioni, pochi rallentamenti e potenza inaudita espressa come se non ci fosse un domani.
I Putrid Offal non lasciano scampo, se vi prendono siete fottuti…

Tracklist
1. Anatomy
2. Didactic Exploration
3. Rotted Flesh
4. Gurgling Prey
5. Requiem for a Corpse
6.Purulent Cold

Line-up
Franck Peiffer – Vocals
Phil Reinhalter- Guitars
Frédéric Houriez – Bass
Laye Louhenapessy – Drums

PUTRID OFFAL – Facebook

Crimson Altar – Clairvoyance

Buoni riff che denotano la devozione per il sound ottantiano, interessanti e auspicabilmente incrementabili interventi del flauto, che conferiscono al tutto un’aura particolare, ed una sincera attitudine per il genere, rendono Clairvoyance una prova interessante soprattutto in prospettiva.

Un anno dopo la sua uscita come demo su musicassetta, il primo atto discografico dei Crimson Altar, Clairvoyance, viene pubblicato in versione cd dalla Loneravn Records.

La band proviene da Portland ed è dedita ad un doom di concezione piuttosto antica, dai richiami occulti e psichedelici, caratterizzato dalla voce femminile e dall’uso del flauto, sempre da parte della stessa Alexis Kralicek.
Trattandosi di un esordio assoluto non è il caso d’essere troppo esigenti, per cui si può perdonare qualche imperfezione perché musicalmente il lavoro scorre via bene ed ha decisamente un suo fascino; quindi si può passare sopra al fatto che l’interpretazione vocale non sia sempre impeccabile, complice anche una produzione minimale che impedisce di dare una minima sistematina dove ce ne sarebbe stato bisogno: nel complesso la timbrica di Alexis è intrigante ma nei passaggi più rallentati emergono dei limiti che invece vengono superati allorché i ritmi accelerano.
Chiaramente tutto ciò intacca solo in parte l’esito di un ep che mostra diversi spunti notevoli, con il brano di apertura Soul Seer che si rivela piuttosto emblematico di come potrà svilupparsi il sound dei Crimson Altar nel momento in cui riusciranno a curare al meglio ogni dettaglio.
Buoni riff che denotano la devozione per il sound ottantiano, interessanti e auspicabilmente incrementabili interventi del flauto, che conferiscono al tutto un’aura particolare, ed una sincera attitudine per il genere, rendono Clairvoyance una prova interessante soprattutto in prospettiva, anche se al netto delle imperfezioni il lavoro si rivela fin d’ora meritevole di un ascolto.

Tracklist:
01. Soul Seer
02. Break Free
03. Dead Winter
04. Clairvoyance

Line up:
Rob Turman – Bass
Jesse Fernandez – Drums
Mat Madani – Guitars
Alexis Kralicek – Vocals, Flute

CRIMSON ALTAR – Facebook

Ankor – Beyond the Silence of These Years

La proposta degli Ankor è oltremodo immatura, poco personale e piena di melodie facili quel tanto da rapire adolescenti, non certo alternative rockers di vecchia data.

Ecco un album che teoricamente potrebbe far impazzire sfilze di ragazzini alternativi: un sound alternative rock con qualche spunto core, una serie di brani dall’appeal perfetto per non uscire dal lettore dello smartphone, momenti di scream vocals in contrasto con la vocina da lolita che fa il buono ed il cattivo tempo e la cover di un brano dei Linkin Park (Numb) uscito come video tanto per ribadire l’alto grado di ruffianeria dei catalani Ankor.

Il quartetto è diviso in egual misura tra la parte femminile e quella maschile, attivo dal 2003 e con una buona discografia alle spalle che conta tre full length ed una manciata di lavori minori, fino ad arrivare a questo Beyond the Silence of These Years che sinceramente lascia l’amaro in bocca.
Intendiamoci, non c’è niente che non funzioni in questo lavoro, ma la proposta degli Ankor è oltremodo immatura, poco personale e piena di melodie facili quel tanto da rapire adolescenti, non certo alternative rockers di vecchia data.
Quindi sappiate che Beyond the Silence of These Years è un lavoro composto da una serie di brani che sembrano usciti da qualche pubblicità per articoli da ragazzini, skateboard sotto i piedi e lacrimuccia rabbiosa che cade da sguardi da finti duri.
Poco, insomma per smuovere, l’interesse degli amanti del genere, anche se qualche traccia presenta buone melodie e Shhh… (I’m Not Gonna Lose It) ribadisce l’amore del gruppo per i Linkin Park del compianto Chester Bennington.
Troppo poco, ma forse abbastanza per riuscire a far breccia tra gli adolescenti iberici.

Tracklist
1.The Monster I Am
2.Love Is Not Forever
3.Lost Soul
4.Nana
5.Shhh… (I’m Not Gonna Lose It)
6.Kiss Me Goodnight
7.From Marbles to Cocaine
8.The Legend of Charles the Giant
9.Endless Road
10.Unique & Equal
11.Interstellar

Line-up
Jessie Williams – Vocals/Screams
David Romeu – Guitar/Vocals
Fito Martínez – Guitar/Insane vocals
Ra Tache – Drums/Keys

ANKOR – Facebook

Dragonhammer – Obscurity

L’oscurità sta arrivando e la colonna sonora dei tempi bui che ci aspettano non può che essere Obscurity, il nuovo album dei Dragonhammer.

L’oscurità sta arrivando e la colonna sonora dei tempi bui che ci aspettano non può che essere il power metal progressivo dei nostrani Dragonhammer.

Lo storico gruppo torna con un nuovo lavoro dopo l’ottimo The X Experiment, uscito quattro anni, fa e le ristampe dei primi due album licenziate dalla My Kingdom Music, label che firma anche Obscurity.
Band che si può senz’altro definire storica essendo attiva da quasi vent’anni, i Dragonhammer non sbagliano un colpo e i fans del gruppo e dei suoni classici legati al power metal possono stare tranquilli: il nuovo album è ancora una volta un’opera che non cambia di una virgola il sound della band, ma rimane saldamente ancorato su ottimi livelli qualitativi, in un genere nel quale il nostro paese è diventato con gli anni fucina di realtà sopra le righe.
Ovviamente i Dragonhammer, sempre saldi tra le mani della storica coppia formata dal cantante e chitarrista Max Aguzzi e dal bassista Gae Amodio, fanno sicuramente parte di quel gruppo di band che traina la scena italiana verso la gloria metallica, con il loro power metal dal taglio progressivo, oscuro e perfettamente bilanciato tra la tradizione europea e quella classica statunitense.
L’intro Darkness Is Coming ci avverte che tempi bui si prospettano all’orizzonte, mentre The Eye Of The Storm imprime a chiare lettere il marchio dei Dragonhammer: una cavalcata metallica, potente ma non troppo veloce, animata da un’anima progressiva e da un chorus epico.
L’album prosegue con Brother vs Brother, dal piglio hard rock e lascia alla memorabile Under The Vatican’s Ground il gradino più alto del podio, tra Dio e progressive metal, dai tasti d’avorio che inventano ricami neoclassici in un’atmosfera di opprimente oscurità.
Continuiamo ad esaltarci tra le trame delle varie tracce, una più oscura e progressivamente melodica dell’altra, Aguzzi fa il Ronnie James Dio in più di un’occasione ed il gruppo gira a mille, regalandoci ottimo metal con The Town Of Evil, ill crescendo classicamente heavy di Children Of The Sun e la conclusiva title track.
Ottimo ritorno di un gruppo che non ha mai sbagliato un colpo, centrando bersagli a ripetizione, e che ormai si può certamente considerare un’istituzione nel genere sul suolo italico.

Tracklist
01. Darkness Is Coming
02. The Eye Of The Storm
03. Brother vs Brother
04. Under The Vatican’s Ground
05. The Game Of Blood
06. The Town Of Evil
07. Children Of The Sun
08. Fighting The Beast
09. Remember My Name
10. Obscurity

Line-up
Max Aguzzi – Lead Guitar and Voice
Gae Amodio – Bass Guitar
Flavio Cicconi – Guitar
Giulio Cattivera – Keyboards
Andrea Gianangeli – Drums

DRAGONHAMMER – Facebook

Vindland – Hanter Savet

Mirabile fusione di black e pagan, un’opera affascinante e ricca di antiche suggestioni.

Ritornano dopo sette anni i francesi Vindland con un’opera di pagan black metal di buon livello, ispirata, emozionante e coinvolgente; il disco in questione Hanter Savet è uscito nel 2016, è andato sold out e ora è stato ristampato con differente artwork, ma il contenuto è rimasto immutato, con nove brani per circa un’ora di grande musica.

La band, un trio, chitarra, vocals and drums, aveva già prodotto un demo (2007) e un EP (2009), ma ora per Black Lion Records compie il grande passo e memore delle proprie origini, la Bretagna nel nord ovest della Francia, esprime tutta la fierezza del suo popolo, abbandonando la lingua inglese e cantando in bretone. E’ come il ritorno di un guerriero dimenticato che vuole riappropriarsi del tempo perduto e fin dal primo brano Orin Kozh i bretoni esprimono tutta la loro furia e il loro gusto compositivo, intessendo su base black continui riff che denotano un grande gusto melodico; lo scream è convincente e deciso, le atmosfere evocative e fiere. Tutti i brani hanno grande forza, non ci sono filler, la band conosce l’arte di creare pagan black di gran classe e il pensiero corre a una leggenda norvegese di fine anni 90, i Windir del grande Valfar, che con la loro musica hanno emozionato nel profondo: i loro quattro full (Soknardair, Arntor, 1184 e Likferd) hanno rappresentato la quintessenza del pagan/viking black e, a mia memoria, nessuna band successiva ha mai raccolto la loro eredità. Ora i Vindland con la loro musica si avvicinano a quelle atmosfere e con il loro suono fanno riandare la memoria a quei gloriosi tempi. Un brano magnifico come Treuzwelus non può non “riscaldare” i cuori del vero ascoltatore di black, e l’alternarsi di furia e melodia con inserti di fisarmonica di Serr-noz lasciano stupiti di fronte alla capacità compositiva dei tre musicisti. E’ incredibile che una band non scandinava conosca così bene il segreto di coinvolgere l’ascoltatore in un affascinante turbinio di emozioni; non ci sono suoni post-metal, post-black, sludge,doom o altre forme di musica estrema, ma solo arrembante ed evocativo pagan black metal ricco di forza e gusto melodico: un fiume in piena che travolge tutto come nel brano Skorneg Du, dove la chitarra trova riff di altri tempi e la sezione ritmica non conosce ostacoli. Anche gli inserti folk e acustici inframmezzati nei brani sono ricchi di buon gusto e non spezzano la tensione e l’epicità del suono. Gli abbondanti undici minuti di Skeud ar gwez con i suoi iniziali arpeggi meditativi, tristi e melanconici, suggellano l’arte del trio bretone prima di una fluida e lunga cavalcata senza ritorno. Veramente un magnifico e inatteso lavoro che non lascerà tanto presto i vostri lettori di cd e la vostra anima.

Tracklist
1. Orin kozh
2. Treuzwelus
3. Serr-noz
4. Pedenn koll
5. Skleur Dallus
6. Morlusenn
7. Skorneg du
8. Skeud ar gwez
9. And the Battle Ended

Line-up
Camille Lepallec – guitars
Marc Le Gall – drums
Romuald Echival – vocals

VINLAND – Facebook

E.G.O.C.I.D.E. – What Price For Freedom?

Un massacro di moshpit, hardcore metal e disagio che si sublima in rabbia e musica che segna.

Debutto discografico per gli E.g.o.c.i.d.e., fautori di un hardcore metal molto vicino alle bellissime cose degli anni novanta come Integrity e tutta la scena del Benelux, ovvero metal con un cuore hardcore, mid tempo esplosivi e tanta cattiveria.

Questo ep di sei tracce ci mostra un gruppo con le idee chiare, tanta rabbia e la giusta attitudine musicale. Ascoltare questo suono è un rituffarsi in sonorità che pensavo dimenticate ma che mi hanno accompagnato per gran parte della mia vita, come quella di altri miei coetanei e non solo. Il suono è l’hardcore metal, figlio degenere dell’hardcore delle generazioni precedenti, di quel suono che parte dall’Inghilterra, passa per l’Italia, con alcuni fondamentali gruppi come i Raw Power per intenderci, e poi arriva per la sua mutazione finale e necessaria negli States, dove assume la sua forma definitiva. Gli E.g.o.c.i.d.e. sono tutto ciò e ancora di più, perché seppur con una produzione molto casalinga, riescono a rielaborare il tutto personalmente e con un tiro davvero micidiale, che li porta al di sopra di molti altri gruppi. Le tracce migliori, ma questa è un’opinione totalmente personale che porto avanti da anni, sono quelle cantate in italiano, perché sono qui che gli E.g.o.c.i.d.e. spiccano particolarmente. Anche le tracce in inglese sono di buonissimo livello, per un giudizio complessivo sicuramente ben al di sopra della media, ma quelle in italiano sono spettacolari.
Un massacro di moshpit, hardcore metal e disagio che si sublima in rabbia e musica che segna.

Tracklist
1.No Cause For Concern
2.Declama
3.Gloria Riflessa
4.Prayer (Of A Cynic)
5.Three Crowns
6.Verba Manent

Line-up
Alex – Vocals/Lyrics
Gab – Guitar/Choruses
Matt – Bass/Choruses
Nico – Drums/Choruses

FORGOTTEN TOMB

Il lyric video di We Owe You Nothing, dall’album omonimo in uscita a ottobre (Agonia Records).

Il lyric video di We Owe You Nothing, dall’album omonimo in uscita a ottobre (Agonia Records).

Fragarak – A Spectral Oblivion

L’ennesima conferma di quanta buona musica si possa scoprire se ci si spinge oltre le consuete a frontiere del metal/rock.

Sono ormai un bel po’ di anni che, prima nella sezione dedicata al metal di In Your Eyes e ora su MetalEyes IYE, vi teniamo informati sul metal che viene suonato nell’estremo oriente, soprattutto in India.

Il paese asiatico è un enorme scrigno di musica metal/rock, con una manciata di eccellenze in campo estremo e classico che non sfigurano sicuramente al cospetto dei più blasonati colleghi europei.
Il death metal progressivo, un genere che in Europa comincia ad inciampare in quanto a freschezza compositiva, sulle rive del Gange trova nuova linfa tra lo spartito dei Demonic Resurrection e dei Fragarak, di cui vi avevamo parlato tre anni fa in occasione dell’uscita del primo full length (Crypts of Dissimulation).
Non sono le uniche band da nominare, ovviamente, ma con questo nuovo album il gruppo di New Delhi risponde da par suo al bellissimo lavoro dei colleghi di Mumbai con questo mastodontico A Spectral Oblivion, ottantacinque minuti di musica estrema progressiva sopra le righe, violenta, atmosfericamente oscura, splendida colonna sonora di un mondo e di una società estrema raccontata per mezzo di un death metal old school, tecnicamente di un altro pianeta e dal sound che varia tra la furia del genere e le parti acustiche, progressivamente ineccepibili.
La differenza non da poco tra queste due spettacolari band sta nell’uso delle orchestrazioni da parte dei Demonic Resurrection, mentre nei Fragarak, l’epico andamento dei brani porta a sfumature evocative che si manifestano tra i ricami acustici di una bellezza devastante.
Supratim Sen usa tutti i mezzi in possesso di un singer di genere per rendere ancora più drammatica e maligna l’atmosfera, con growl profondi e scream laceranti, mentre i suoi compagni inventano fughe su e giù per uno spartito dato alle fiamme dagli strumenti che divampano tra le loro mani.
A Spectral Oblivion sembra durare lo spazio di un brano e l’ascoltatore viene catturato dalle lunghe suite, inframezzate da intermezzi acustici, con un attenzione particolare per In Rumination II – Reflections, Spectre – In Oblivion Awaken e Of Ends Ethereal.
Come nel primo album, l’influenza degli Opeth si fa sentire nelle parti progressive, mentre il lato estremo dei Fragarak mantiene le sue splendide coordinate old school death metal.
Un album bellissimo, l’ennesima conferma di quanta buona musica si possa scoprire se ci si spinge oltre le consuete a frontiere del metal/rock.

Tracklist
1.In Rumination I – The Void
2.In Rumination II – Reflections
3.The Phaneron Eclipsed
4.Ālūcinārī I – Transcendence
5.Fathoms of Delirium
6.Ālūcinārī II – Revelations
7.Spectre – An Oblivion Awakens
8.Ālūcinārī III – A Reverie
9.This Chastising Masquerade
10.Of Ends Ethereal
11.Ālūcinārī IV – The Fall

Line-up
Supratim Sen – Vocals
Kartikeya Sinha – Bass
Arpit Pradhan – Guitar
Ruben Franklin – Guitar

FRAGARAK – Facebook

Electric Swan – Windblown

Per gli amanti dell’hard rock vintage Windblown è un lavoro imperdibile, con il quale gli Electric Swan si confermano come una delle migliori realtà del genere, non solo nel nostro paese.

In questi anni che hanno visto il ritorno in auge delle sonorità chiamate old school o vintage (a seconda del genere), ogni scena ha tirato fuori dal cilindro i propri eroi, dalla Scandinavia agli States, passando per l’Europa centrale ed ovviamente dal suolo italico.

La Black Widow, storica label genovese e punto fermo per gli amanti dell’hard rock e del progressive, licenzia questo bellissimo lavoro, il terzo degli Electric Swan del chitarrista piacentino Lucio “Swan” Calegari, dopo il debutto omonimo uscito ormai una decina d’anni fa ed il precedente Swirl In Gravity del 2012, primo album sotto l’ala dell’etichetta ligure.
Da qui partiamo per raccontarvi in poche righe il viaggio sulle ali del cigno elettrico, un volo lungo sessanta minuti, in cui l’hard rock settantiano si ammanta di psichedelia e funky, lasciando senza fiato come si trattasse di un virtuale giro sulle montagne russe del rock.
Presi per il colletto e strattonati dai riff di Calegari, che sanno tanto di Led Zeppelin, Black Sabbath e blues rock, ipnotizzati dalla prova di una Monica Sardella all’attacco delle nuove eroine dell’hard rock (Heidi Solheim, Elin Larsson, Alia Spaceface) e colpiti ai fianchi da una sezione ritmica che si prende carico della struttura dei brani con una varietà stilistica sorprendente (Vincenzo Ferrari al basso e Alessandro Fantasia alla batteria), veniamo dunque portati in alto dalla musica del bellissimo cigno lombardo che non ne vuol sapere di tornare al suolo e continua a farci volare con una serie di straordinarie jam.
Ed i bran sono proprio questo, lunghe jam nelle quali il gruppo mette a disposizione dell’ascoltatore il proprio talento, non scendendo mai sotto un livello d’eccellenza e stupendo grazie ad un  songwriting che non permette di distrarsi un attimo, rapiti dal vortice di musica di cui si compone Windblown.
Pur dovendo teoricamente nominare tutte le tracce dell’album, per dovere di cronaca cito le tre bellissime cover Sin’s A Good Man’s Brother (Grand Funk Railroad), Midnight (T.Rex) e If I’m In Luck I Might Get Picked Up (Betty Davis) ed almeno un tris di capolavori, il poderoso hard rock di Leaves, spezzato in due da un intermezzo soul/funky,  lo strumentale Beautiful Bastard, sette minuti di delirio rock con il sax dell’ospite Simone Battaglia, e l’emozionante Here Is Nowhere, ballad che sanguina blues valorizzata dall’interpretazione straordinaria di Monica Sardella.
Non rimane che fare i complimenti agli Electric Swan per questa bellissima opera consigliata agli amanti dell’hard rock legato alla tradizione settantiana.

Tracklist
01. Cry Your Eyes Out
02. Face To Face
03. Bad Mood
04. Leaves
05. Losin’ Time
06. Sin’s A Good Man’s Brother (Grand Funk Railroad cover)
07. Beautiful Bastard
08. Carried By The Wind
09. Here Is Nowhere
10. If I’m In Luck I Might Get Picked Up (Betty Davis cover)
11. Windblown
12. Midnight (T.Rex cover)

Line-up
Monica Sardella: Vocals
Lucio Calegari: Guitars, Vocals
Vincenzo Ferrari: Bass
Alessandro Fantasia: Drums

Special guests:
Sergio Battaglia: Saxophones (tracks 2, 7)
Samuele Tesori: Flute (track 9)
Paolo Negri: Hammond Organ, Electric Piano, Mellotron, Moog (track 10)

ELECTRIC SWAN – Facebook

Kadavar – RoughTimes

I tre album precedenti dei Kadavar sono stati un continuo crescendo fino al penultimo Berlin, il loro disco migliore ma solo fino all’uscita di Rough Times.

Rough Times è un disco di una profondità e di uno spessore eccezionale, un mastodonte che farà molta strada.

I Kadavar sono sempre stati uno dei gruppi più interessanti della psichedelia pesante, e definirli vintage è quasi un’offesa, perché questi tedeschi hanno fatto fare passi da gigante al loro genere. Le atmosfere di Rough Times sono tali che questo disco deve essere gustato lontano dalla nostra civiltà, meglio se in un bosco in solitudine. Cosa potete trovarvi dentro? La risposta è tutto: dal rock allo stoner, da momenti psichedelici a canzoni in totale trance da possessione da parte dei Beatles, e il risultato è magnifico. Si arriva persino al southern rock, ma questo elenco di generi è solo per farvi capire quanta ricchezza ci sia qui dentro. I tre tedeschi sono abituati a far contenti chi cerca qualcosa di più profondo rispetto a certa musica pesante attuale troppo standardizzata, e i Kadavar sono sempre stati originali, possedendo un’immagine ed una comunicazione anni settanta, ovvero lasciando parlare in primis la musica. I tre dischi precedenti dei Kadavar sono stati un continuo crescendo fino al penultimo Berlin, il loro album migliore ma solo fino all’uscita di Rough Times, con il quale non si esce molto da quei binari di Berlin, ma si perfezionano alcune direzioni intraprese in precedenza, migliorando ancora il tutto: la differenza principale è che in Rough Times troviamo meno fuzz e riverberi per una costruzione di psichedelia pesante. I Kadavar per tutta la lunghezza del disco sono una continua sorpresa, costruiscono case nel cielo, aprono porte della percezione e ci invitano in luoghi che si pensavano dimenticati. E’ anche difficile trovare un gruppo come loro che ci convinca a sentire, in questa epoca di dislessia fonica, tutte le tracce del disco da quanto sono belle. Con Rough Times la discografiadei Kadavar si arricchisce di un ulteriore eccezionale capitolo, e come ben rappresenta la seconda traccia Into The Wormhole, qui siamo in un corridoio temporale da attraversare assolutamente.

Tracklist
1. Rough Times
2. Into The Wormehole
3. Skeleton Blues
4. Die Baby Die
5. Vampires
6. Tribulation Nation
7. Words Of Evil
8. The Lost Child
9. You Found The Best in Me
10. A L’Ombre Du Temps

Line-up
Lupus Lindemann – Gesang & Gitarre
Simon “Dragon” Bouteloup – Bass
Tiger – Drums
KADAVAR – Facebook

KAL-EL

Il video di Code Of The Ancient, dall’album Astrodoomeda (Argonauta Records).

Il video di Code Of The Ancient, dall’album Astrodoomeda (Argonauta Records).

“Live to Rock Metal Fest” Contest

MVO Concerti lancia un contest rivolto a tutte le band metal in circolazione! In palio c’è un posto nella line-up del “Live to Rock Metal Fest”, Sabato 16 Dicembre al Crash di Pozzuoli (Na).

L’occasione è di quelle ghiotte: c’è la possibilità di suonare sul palco del “Live to Rock Metal Fest” insieme a Cadaveria, Genus Ordinis Dei, Sudden Death e BigHate.

Partecipare al contest è davvero semplice:
1. Le band dovranno registrare un breve video di 30 secondi ( in questo video è possibile suonare, parlare, salutare, insomma qualsiasi modo riteniate opportuno per presentarvi al meglio)
2. Il video dovrà essere caricato (entro il 25 ottobre) sull’evento Fb: https://www.facebook.com/events/1918541725064552/?fref=ts
(preferibilmente accompagnato dall’hashtag #mvoconcerti)
3. Il video che otterrà più “Like/Mi Piace/Reactions” sarà il vincente del contest e la band potrà salire sul palco del 16 Dicembre al Crash di Pozzuoli per il “Live to Rock Metal Fest”.

MVO Concerti: https://www.facebook.com/mvoconcerti/?fref=ts / mvoconcerti@gmail.com
Live To Rock: https://www.facebook.com/LiveToRock.Eventi/?pnref=story

Kaipa – Children Of The Sounds

Children Of The Sounds è un lavoro suggestivo, un ritorno alle armonie ed alle melodie dei grandi del passato ma con un taglio moderno.

Preparatevi a sognare, lasciatevi prendere per mano dalla ragazzina in copertina ed entrate senza indugi nel mondo fatato del bellissimo ultimo lavoro della storica band progressive svedese Kaipa, che prosegue  una storia nata a metà degli anni settanta e proseguita fino ai giorni d’oggi all’insegna di un elegante rock progressivo.

Quella che è probabilmente la migliore e più longeva tra le band della tradizione progressiva scandinava torna con Children Of The Sounds, album d’altri tempi, un viaggio tra il progressive rock britannico, classico e derivativo quanto volete, ma che sprigiona classe da tutti i pori.
Stupende fughe tastieristiche, verve elettrica dai rimandi new prog britannici, un lavoro al microfono straordinario, con le due voci (Patrik Lundström e Aleena Gibson) che si alternano nel raccontare questo viaggio fantastico nel paese delle meraviglie della musica progressiva.
Children Of The Sounds è un lavoro suggestivo, un ritorno alle armonie ed alle melodie dei grandi del passato ma con un taglio moderno, che si evince da una produzione cristallina, e con qualche tocco più duro in alcune soluzioni chitarristiche che portano il sound in zona Arena e Threshold, ma tenendo ben stretto il cordone ombelicale che lega il gruppo svedese ai sui primi passi negli anni settanta (Genesis e Yes).
Come si faceva una volta, ai Kaipa bastano cinque brani, lunghe suite progressive nelle quali sfogare il proprio talento senza far perdere, neanche per un attimo, all’ascoltatore la giusta attenzione per seguire gli intrecci disegnati su uno spartito d’altri tempi, una pergamena d’oro dove nascoste tra le pieghe si intravedono le note delle splendide On The Edge Of New Horizons (diciassette minuti di perfezione progressiva) e Like A Serpentine.
Un’opera sontuosa, assolutamente imperdibile per gli amanti del progressive rock dal taglio classico.

Tracklist
1. Children of the Sounds
2. On The Edge of New Horizons
3. Like A Serpentine
4. The Shadowy Sunlight
5. What’s Behind The Fields

Line-up
Hans Lundin – Keyboards & vocals
Per Nilsson – Electric & acoustic guitars
Morgan Ågren – Drums
Jonas Reingold – Electric basses
Patrik Lundström – Vocals
Aleena Gibson – Vocals

KAIPA – Facebook

Diablo Blvd – Zero Hour

I Diablo Blvd hanno un senso della melodia eccezionale e compongono canzoni molto godibili, sempre con la giusta dose di cattiveria e dolcezza: se ha senso parlare di metal moderno qui si può trovarne la migliore definizione possibile.

I belgi Diablo Blvd suonano un metal costruito attraverso immagini molto forti, come fosse un film, o ancora meglio un’opera teatrale.

La musica arriva potente, melodica e diretta, potenziata da un uso molto sapiente delle possibilità del gruppo che sono molto elevate. Non a caso la band è stata fondata da Alex Agnew, un attore famoso nel Benelux, e dal chitarrista Dave Hubrechts. Dopo due album di buon successo soprattutto nelle classifiche belghe e che li hanno portati ad esibirsi in numerosi festival estivi in patria, il gruppo firma per Sony e fa uscire il terzo disco che si intitola Follow The Deadlights: qui comincia la loro storia con la Nuclear Blast, impressionando molto uno dei boss dell’etichetta, Markus Steiger. E ora eccoci arrivati a Zero Hour, un disco molto bello e perfetto manifesto di cosa siano i Diablo Blvd, ovvero uno dei maggiori gruppi al mondo in fatto di metal melodico, grazie ad senso della melodia eccezionale e a canzoni molto godibili, sempre con la giusta dose di cattiveria e dolcezza: se ha senso parlare di metal moderno qui si può trovarne la migliore definizione possibile. Le influenze sono molte, ma la sintesi è tutta di questi belgi che riescono anche nella difficile impresa di non imitare gli americani o gli scandinavi, costruendosi invece un suono molto personale. Come detto poc’anzi il gruppo costruisce uno spettacolo grazie alla magnificenza di un sound che spesso parte in sordina per poi allargarsi come le ali di un’aquila, non tralasciando mai la dovuta durezza. Zero Hour è la summa del suono dei Diablo Blvd e al contempo il punto più alto di un gruppo che dal vivo rende molto bene, come si può intuire dall’ascolto del disco. Inoltre i testi sono molto acuti e mai banali, e sia ascoltando l’album che guardando i video è manifesto un disegno dietro a tutto questo, un messaggio molto importante che dovrete scoprire da soli.

Tracklist
1. Animal
2. Sing From The Gallows
3. Life Amounts To Nothing
4. God In The Machine
5. You Are All You Love
6. The Song Is Over
7. 00 00
8. Like Rats
9. Demonize
10. The Future Will Do What It’s Told
11. Summer Has Gone

Line-up
Alex Agnew – Andries Beckers –
Kris Martens – Tim Bekaert

DIABLO BLVD – Facebook

Gravewards – Subconscious Lobotomy

Si torna davvero indietro di un bel po’ di anni con l’ascolto dei brani composti per questo lavoro, con una Casket Entrapment che mette subito in chiaro le bellicose intenzioni del terzetto greco: suonare più estremo e tradizionale possibile, riuscendoci ed affascinando con le sue polverose note old school.

Death metal oscuro e feroce, quattro brani estremi che ricordano i malvagi passi della scena di primi anni novanta, specialmente tra Olanda e Regno unito, con una sola concessione americana, ma fortemente presente,costituita dai primi Obituary.

Dall’assolata e caldissima Grecia arrivano i Gravewards, giovane gruppo proveniente dalla capitale che debutta nel mondo dell’underground estremo con Subconscious Lobotomy, demo autoprodotto fatto di quattro devastanti brani incisi come ai vecchi tempi su trecento cassette, e noi di Metaleyes, che dell’underground vi facciamo puntualmente partecipi, ve li presentiamo in tutta la loro attitudine definibile eufemisticamente old school.
Si torna davvero indietro di un bel po’ di anni con l’ascolto dei brani composti per questo lavoro, con una Casket Entrapment che mette subito in chiaro le bellicose intenzioni del terzetto greco: suonare più estremo e tradizionale possibile riuscendoci ed affascinando con le sue polverose note old school.
Fotis al basso e Vasilis alle pelli, con Nikos a costruire riff su riff, mentre con il growl urla come un animale ferito (ricordando non poco il Tardy di Cause Of Death), offrono quattro devastanti canzoni (bellissima Crawling Chaos) che non lasciano trasparire il minimo accenno di modernità ed il loro sound  si infrange come un’onda tempestosa sulle scogliere del death metal old school.
La produzione in linea con la musica suonata questa volta è perfetta per aumentare il fascino e l’atmosfera estremamente sinistra dell’album: Gorefest, Obituary e l’oscuro e bellicoso sound dei Bolt Thrower sono i padrini di questa nuova realtà ellenica da tenere sicuramente sotto osservazione.

Tracklist
1.Casket Entrapment
2.Subconscious Lobotomy
3.Crawling Chaos
4.Deathwomb Incubation

Line-up
Fotis – Bass
Vasilis – Drums
Nikos – Vocals, Guitars

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The Dark Red Seed – Stands With Death

Tosten Larson ci offre un sound tipicamente americano, con un incedere cantautorale e venato di blues che nasconde una vena inquieta e malinconica.

The Dark Red Seed è il nuovo progetto solista promosso dal chitarrista di Portland Tosten Larson, appartenente alla band che accompagna dal vivo l’estroso King Dude: come sempre la Prophecy porta alla luce realtà che si muovono lungo i confini del rock e del metal, fornendo interpretazioni per lo più di grande interesse e che hanno anche il pregio di consentire ai più curiosi di ampliare la propria gamma di ascolti.

Il breve ep intitolato Stands With Death, come si può intuire dal titolo, verte sul rapporto dell’uomo con la morte; un argomento, questo, che in molti hanno già sviscerato ma che offre sempre sfaccettature mai banali a seconda delle angolazioni dal quale lo si guarda: Larson offre una sua visione che vorrebbe essere di serena accettazione ma che non nasconde, però, quel velo d’inquietudine corrispondente all’isolata nuvoletta che improvvisamente oscura il sole in una giornata apparentemente serena.
Il musicista statunitense veicola tutte queste sensazioni attraverso un sound tipicamente americano, con l’incedere cantautorale e venato di blues soprattutto nel primo brano The Antagonist, mentre già in The Tragedy of Ålesund una prima parte più rarefatta viene percossa da un improvvisa sfuriata elettrica; molto più robusta senz’altro la conclusiva The Master and the Slave, che dopo un inizio non esaltante si immerge nella sua seconda metà in un’apprezzabile atmosfera psichedelica.
Personalmente prediligo il bravo Larson quando assume le sembianze di un moderno Johnny Cash, come fa ottimamente nella prima parte di questo breve lavoro: vedremo cosa sarà in grado di offrirci quando nella prossima estate dovrebbe essere realizzato un primo full length a nome The Dark Red Seed, alla luce delle buone basi gettate con Stands With Death.

Tracklist:
1.The Antagonist
2.The Tragedy of Ålesund
3.The Master and the Slave

Line up:
Tosten Larson

THE DARK RED SEED – Facebook

BLOODWAY

Il video di Midlight Scout, dall’album A Fragile Riddle Crypting Clues in uscita a novembre (I, Voidhanger Records).

Il video di Midlight Scout, dall’album A Fragile Riddle Crypting Clues in uscita a novembre (I, Voidhanger Records).