Il video dal vivo di ‘Now We Die’, dal bonus DVD di “Catharsis”, in uscita a gennaio (Nuclear Blast).
MACHINE HEAD
Il video dal vivo di ‘Now We Die’, dal bonus DVD di “Catharsis”, in uscita a gennaio (Nuclear Blast).
Il video dal vivo di ‘Now We Die’, dal bonus DVD di “Catharsis”, in uscita a gennaio (Nuclear Blast).
Il video dal vivo di ‘Now We Die’, dal bonus DVD di “Catharsis”, in uscita a gennaio (Nuclear Blast).
Il ritorno della Premiata Forneria Marconi è il trionfo della classe, del talento e della passione, è il veicolo ideale di quelle emozioni che solo la musica sa regalare, imprimendole virtualmente sulla nostra pelle affinché si trasformino in nutrimento per l’anima.
E’ sempre difficile raccontare ciò che contiene e restituisce in termini di sensazioni un disco qualsiasi, figuriamoci se questo corrisponde al ritorno ad un album di inediti dopo oltre un decennio da parte di musicisti che hanno fatto la storia del rock progressivo, non solo in Italia.
Stiamo parlando della Premiata Forneria Marconi, band che è stata una delle tre punte del movimento tricolore negli anni settanta assieme a Banco ed Orme ma che, magari, quelli un po’ meno vetusti del sottoscritto assoceranno più naturalmente al gruppo che diede una nuova veste alle canzoni di Fabrizio De Andrè, accompagnandolo a lungo in tour ed ottenendo un enorme successo.
Il tempo passa inesorabile (sono quarantacinque gli anni che ci dividono da Storia di Un Minuto), ma i due brillanti settantenni che rispondono ai nomi di Franz Di Cioccio e e Patrick Djivas hanno ancora voglia di mostrare a tutti quanto abbiano da dire; e proprio il tempo, con il suo inesorabile trascorrere, connesso alla necessità di cogliere l’attimo e sfruttare ogni occasione senza porsi alcun limite, men che meno anagrafico, è un po’ il filo conduttore di un lavoro che non è solo splendido da un punto di vista strettamente musicale ma, appunto, da quello concettuale.
Giusto per essere chiari fin da subito, Emotional Tattoos, è quanto più lontano si possa immaginare dal fiacco ritorno di un gruppo di reduci: Di Cioccio e Djivas, assieme al loro storico sodale Lucio Fabbri, hanno radunato attorno a loro una band che è uno spettacolare mix tra esperienza e talento; così, alle tastiere troviamo due giovani come Alessandro Scaglione e Alberto Bravin (quest’ultimo si occupa anche della backing vocals), mentre alla batteria, ad alternarsi allo storico Franz, troviamo uno dei più richiesti professionisti dello strumento come Roberto Gualdi e, infine, alla chitarra, il non facile compito di sostituire per la prima volta su un album di inediti Franco Mussida è stato affidato al napoletano Marco Sfogli, uno degli astri nascenti delle sei corde, già ampiamente apprezzato anche fuori dai nostri confini in quanto titolare del ruolo nella band che accompagna James LaBrie in veste solista.
Con queste premesse, gli scettici potrebbero continuare a ritenere che, in fondo, dal punto di vista tecnico non ci sarebbe stato nulla da eccepire a prescindere, ma riguardo ai contenuti? Ecco, qui sta il bello: i tatuaggi emotivi evocati dal titolo si stampano adornando senza soluzione di continuità la pelle dell’ascoltatore, ed ogni immagine corrisponde ad un brano che mostra una ricchezza ed una qualità che, nonostante tutto, riesce ugualmente a stupire.
Gli undici brani rappresentano un viaggio nella memoria per i più anziani e l’eccitante scoperta per i più giovani di un epopea che magari si è persa in tempo reale, ma che nulla vieta di recuperare facendola propria a posteriori: Emotional Tattoos, però, è bene ribadirlo, non ha nulla di nostalgico a livello di sonorità, bensì appare in tutto e per tutto un album assolutamente al passo con i tempi, e se l’impronta della vecchia PFM è sempre lì, ben presente nel ricordarci chi siano gli autori di Celebration (Freedom Square), sono brani dal tocco più moderno come il favoloso singolo La Lezione o caleidoscopici come La danza degli specchi, con la quale i nostri portano a scuola diverse generazioni di musicisti, a risplendere con tratti quasi accecanti all’interno di una tracklist tutta da godersi e della quale appare quanto mai superfluo, se non irrispettoso, stare a raccontarne ogni singolo episodio per filo e per segno, facendo le pulci all’operato di musicisti ai quali andrebbero piuttosto intitolate vie e piazze in segno di imperitura gratitudine.
Come ciliegina sulla torta la PFM ha pubblicato Emotional Tattoos nel formato in doppio cd offrendo agli appassionati la possibilità di ascoltare l’album sia in lingua madre che in inglese: il mio consiglio è quello di godere di entrambe le versioni, in quanto alcuni brani si esaltano nella versione anglofona (The Lesson è molto più efficace rispetto a La Lezione), mentre in altri casi l’afflato poetico che l’italiano emana a prescindere fa la differenza nel confronto tra Il Regno e We’re Not An Island e tra La Danza degli Specchi e A Day We Share.
Il ritorno della Premiata Forneria Marconi è il trionfo della classe, del talento e della passione, è il veicolo ideale di quelle emozioni che solo la musica sa regalare, imprimendole virtualmente sulla nostra pelle affinché si trasformino in nutrimento per l’anima.
Tracklist:
CD 1 – English version
1. We’re Not An Island
2. Morning Freedom
3. The Lesson
4. So Long
5. A Day We Share
6. There’s A Fire In Me
7. Central District
8. Freedom Square
9. I’m Just A Sound
10. Hannah
11. It’s My Road
CD 2 – Italian version
1. Il Regno
2. Oniro
3. La lezione
4. Mayday
5. La danza degli specchi
6. Il cielo che c’è
7. Quartiere generale
8. Freedom Square
9. Dalla Terra alla Luna
10. Le cose belle
11. Big Bang
Line-up:
Franz Di Cioccio: lead vocals, drums
Patrick Djivas: bass
Alessandro Scaglione: keyboards, Hammond, Moog
Lucio Fabbri: violin
Marco Sfogli: guitars
Roberto Gualdi: drums
Alberto Bravin: keyboards, backing vocals
Il terzo album dei rockers canadesi A Devil’s Din è un’ opera che si destreggia tra il rock psichedelico a cavallo tra gli anni sessanta ed il decennio successivo.
Quest’anno verrà ricordato dagli amanti del rock (oltre che per una serie di reunion più o meno riuscite) per il giusto tributo ad un album che è stato uno dei più influenti della storia della musica, SGT Pepper’s Lonely Hearts Club Band, capolavoro dei The Beatles.
Partiamo da qui per raccontarvi in due parole One Hallucination Under God, terzo lavoro sulla lunga distanza del trio canadese denominato A Devil’s Din, opera che si destreggia tra il rock psichedelico a cavallo tra gli anni sessanta ed il decennio successivo.
Il trio canadese formato da David Lines (voce, chitarra e tastiere), Tom G. Stout (basso e chitarra) e Dominique Salameh (batteria) dà un seguito al primo album uscito nel 2011 (One Day All This Will Be Yours) e a Skylight, uscito lo scorso anno, con questo buon lavoro di rock vintage che qualche tempo fa avremmo probabilmente definito nostalgico, ma che in tempi di rivalutazione delle radici della nostra musica preferita fa bella mostra di sé seguendo i deliri consumati tra erba e LSD dei quattro geni inglesi.
Ovviamente sono passati cinque decenni di rock e gli A Devil’s Din la storia la conoscono a menadito, così che il confine del loro spartito si allarga per abbracciare altre icone e la loro musica si espande, viaggiando su una nuvola di space rock progressivo.
Quaranta minuti in contemplazione, nel giardino dalle siepi formate da piante illegali, abbandonati a sogni dove si incontrano Marc Bolan, Pink Floyd (era Syd Barret) e Hawkwind, il tutto rimaneggiato a creare un cocktail letale di musica psichedelica, rock che trascende per arrivare alla mente dell’ascoltatore in mille e più forme.
Un buon lavoro di musica vintage, consigliato a vecchi rockers dai sogni flower power, o semplicemente agli amanti del rock classico. 2017 s Psychedelic Rock 7.20
Tracklist
1. Eternal Now
2. Brave New World
3. Nearly Normal
4. Home
5. Who You Are
6. Where Do We Go
7. One Hallucination Under God
8. Sea of Time
9. Evolution
Line-up
Dave Lines – Guitar/Keyboards/Vocals
Tom G. Stout – Bass/Guitar/Vocals
Dom Salameh – Drums/Perc/Vocals
Descrizione Breve
Autore
Alberto Centenari
Voto
72
Un granitico e micidiale attacco all’insegna di un death metal vecchia scuola, una serie di pugni in pieno volto portati dai Dauthuz che rifilano, uno dietro l’altro, dieci ganci estremi senza soluzione di continuità, massacrando e sfigurando, senza lasciare scampo.
Un granitico e micidiale attacco all’insegna di un death metal vecchia scuola, una serie di pugni in pieno volto portati dai Dauthuz che rifilano, uno dietro l’altro, dieci ganci estremi senza soluzione di continuità, massacrando e sfigurando, senza lasciare scampo.
Il quintetto olandese arriva al primo lavoro sulla lunga distanza firmando un contratto per la distribuzione con la Wormholedeath , dopo due anni dalla nascita, un ep ed un singolo prima che Destined For Death arrivi a confermare il buon fiuto della label e la devozione del gruppo per il death metal old school.
Ovviamente ispirato alla scena del loro paese, storica rappresentante del metal estremo dai primi anni novanta, con accenni alla primissima ondata scandinava (specialmente nel riffing), l’album è una mazzata nei denti ben assestata, con un growl che è un’incessante ed animalesca aggressione proveniente dall’angolo più recondito dell’inferno, una pesantezza fuori dal comune e non ultima una serie di tracce che nella loro assoluta natura estrema si attaccano alle pareti della nostra scatola cranica come perfidi e famelici parassiti.
Dying Breed, cantata dalla singer dei conterranei Izegrim, Marloes Voskuil, e da cui è tratto un video, rimane il brano simbolo di Destined For Death, ma lasciate che l’album arrivi alla conclusione perché gli attimi di devastazione sonora di una certa consistenza non mancano (Honoured To Serve, Tormentor e la conclusiva Warmaster) così da regalare agli amanti del death metal vecchia scuola un’altra band da segnare sulla proprio personale e sanguinante taccuino.
Tracklist
1.Destined for Death
2.The Hunt
3.Dying Breed (feat. Marloes Voskuil)
4.Made in Blood
5.Honoured to Serve
6.Killing in the Woods
7.Killed in the Woods (Reprise)
8.Tormentor
9.Deep Inside Your Soul
10.Warmaster
Line-up
Manoloxx – Vocals
Dennis Jak – Guitar
Hans Bijland – Guitar
Tim Roeper – Bass
Nick de Vet – Drums