Il video di “Black Flag”, dall’album “Incorruptible” (Century Media Records).
ICED EARTH
Il video di “Black Flag”, dall’album “Incorruptible” (Century Media Records).
Il video di “Black Flag”, dall’album “Incorruptible” (Century Media Records).
Il video di “Black Flag”, dall’album “Incorruptible” (Century Media Records).
Gli Warcrab hanno il merito di riportare alla natia casa britannica un certo tipo di death metal, con il valore aggiunto di una componente sludge doom che lo rende parzialmente più attuale ma, al di là di tutto, Scars of Aeons è il segno tangibile di una maturazione avvenuta in tempi lunghi ma decisamente importante da parte di questa ottima band.
Riprendiamo con un po’ di ritardo rispetto alla sua uscita Scars of Aeons, che a sua volta è la riedizione in formato cd, a cura dell’Indiana Transcending Obscurity Records, del secondo full length degli inglesi Warcrab, edito solo in digitale nel 2016 dalla Black Bow Records.
Detto così può sembrare tutto molto complicato, ma in realtà si tratta soltanto di intercettare la musica quando è lei che ti si viene a proporre e non viceversa, con il grande vantaggio che, come tutte le forme d’arte, dopo che si è compiuta può tranquillamente restare in attesa per un periodo indeterminato prima che qualcuno sollevi il velo e la porti alla luce.
L’etichetta di Mumbai è una tra quelle che maggiormente spicca nella sua opera di meritoria rilucidatura di opere che, altrimenti, rischierebbero di restare confinate a pochi intimi e questo è appunto il caso di Scars of Aeons, esempio mirabile di death sludge che prende in misura piuttosto equa sia dalla più guerresca tradizione death albionica (quindi Bolt Thrower), sia dal fangoso ma ritmato sludge d’oltreoceano (con gentaglia come i Crowbar a guidarne le fila).
Il risultato è decisamente gustoso, perché gli ottimi Warcrab in poco più di mezzora scaraventano nelle nostre orecchie cinque macigni che hanno il grande pregio di non farsi notare solo per la loro pesantezza ma, anche e soprattutto, per la capacità della band di variare sul tema scovando riff memorabili, oltre a regalare anche ottime parti di chitarra solista che non è cosi scontato ascoltare in certi ambiti.
Ecco perché questa terza uscita targata Warcrab (dopo l’omonimo full length d’esordio del 2012 e l’ep Ashes Of Carnage del 2014) possiede tutti i crismi per soddisfare gli amanti del death così come quelli del doom, con attimi di feroce piacere derivante dall’ascolto di un traccia killer come Destroyer of Worlds.
Gli Warcrab hanno il merito di riportare alla natia casa britannica un certo tipo di death metal, con il valore aggiunto di una componente sludge doom che lo rende parzialmente più attuale ma, al di là di tutto, Scars of Aeons è il segno tangibile di una maturazione avvenuta in tempi lunghi ma decisamente importante da parte di questa ottima band.
Tracklist:
1.Conquest
2.Destroyer of Worlds
3.In the Shadow of Grief
4.Bury Me Before I’m Born
5.Scars of Aeons
Line-up:
Vocals – Martyn Grant
Guitar – Paul “Budgie” Garbett
Guitar – Leigh Jones
Lead Guitar – Geoff Holmes
Bass – Dave “Guppy” Simmonds
Drums – Rich Parker
Perfect World Creation è il classico album da scritto da musicisti per musicisti, con l’autoreferenzialità formale che prevale in maniera schiacciante su un aspetto emotivo pari a zero.
Nell’ambito del technical death metal e del progressive estremo, i gruppi che lasciano senza fiato per tecnica esecutiva perdono molti punti se si parla di pure emozioni, importantissime per entrare nel cuore dell’ascoltatore; ci si imbatte così molto spesso in maestri dello strumento dalla tecnica invidiabile, che mostrano i muscoli con scale ultra veloci e ritmiche inumane, ma che già al secondo ascolto delle loro opere sono destinati ad essere dimenticati, così come temporali passeggeri nelle serate estive.
I Dark Matter Secret sono tre musicisti russi provenienti da Mosca il cui primo album intitolato Perfect World Creation segue di un paio d’anni l’ep Xenoform, suonano progressive technical death metal strumentale all’interno del quale si riescono a captare alcuni momenti dal buon impatto melodico, sommersi da altri che si rivelano esercizi tecnici fini a se stessi, lunghe scale già sentite migliaia di volte nel genere e strutturate su ritmiche funamboliche ma che, alla lunga, lasciano il tempo che trovano non appena svanisce lo stupore nel constatare l’abilità del trio.
Perfect World Creation è il classico album da scritto da musicisti per musicisti, con l’autoreferenzialità formale che prevale in maniera schiacciante su un aspetto emotivo pari a zero: un’opera che avvicina la band a gruppi come gli Obscura e a tutta la scena technical death, ma che troverà fans entusiasti solo in coloro che godranno per le intricate parti che sfiorano il nonsense in brani come Ancient Gods Genesis, Synthesis Of Matter o la title track.
Tracklist
1.Chaos Born
2.Ancient Gods Genesis
3.Emergence of Time
4.Synthesis of Matter
5.Constellation Glows
6.Organic Nucleation
7.Perfect World Creation
Line-up
Pavel Semin – Bass
Denis Shvarts – Guitars
Andrey Ischenko – Drums
A Universal Emptiness è una delle sorprese dell’anno, è un album la cui intensità si fa a tratti spasmodica e quello che può apparire un difetto per chi non sa cosa sia il doom (l’incedere monolitico, la voce che rifiuta a priori ogni accenno di pulizia formale), diviene l’irrinunciabile nutrimento per l’anima capace di saziare chi ama il genere.
Uno dei piaceri riservati a chi, per diletto, si ritrova ad ascoltare quotidianamente una caterva di proposte musicali, con lo scopo poi di raccontare a chi ha voglia di leggere se possa valere la pena o meno di soffermare la propria attenzione o meno su un disco, è quello di scoprire realtà fino ad allora sconosciute capaci di colpire con forza immane.
I Catapult The Dead sono un esempio che calza alla perfezione rispetto a quanto ho appena espresso: la band americana, della quale oggettivamente non conoscevo l’esistenza, essendomi sfuggito all’epoca l’unico lavoro precedente, All Is Sorrow, uscito nel 2014, si rende autrice di un mezzo capolavoro di doom death sludge, una di quelle opere capaci di stravolgere psichicamente l’ascoltatore per intensità e doloroso approccio al genere.
Al di là del monicker piuttosto strambo, questo quintetto proveniente da Oakland spara subito uno dei brani più belli dell’anno ascoltati in quest’ambito stilistico, Till It Goes Away, stupefacente messa in musica di un grido di dolore di otto minuti abbondanti: l’impatto anche melodico di questa traccia è di lacerante bellezza e lo strazio evocato dalla voce di Ben Hiteman è esattamente ciò che serve, per aumentare a dismisura la sensazione di intraprendere un viaggio senza ritorno negli abissi dell’umana psiche.
Come spesso capita, piazzare un brano di tale spessore in apertura del lavoro rischia di sminuire quanto verrà dopo, ma la band californiana riesce nella non facile impresa di rendere sempre più penoso l’incedere della propria musica, spaziando tra lo sludge, il post hardcore e ovviamente il preponderante elemento doom, che tutto sommato si rivela ideale esasperazione di quello di matrice più classica piuttosto che una più ortodossa versione funeral death.
Così Anti Aethrr si palesa quale marmoreo monumento all’incomunicabilità prima che Last Breath, introdotta da un inatteso organo ecclesiastico, riporti il tutto su un piano di rabbiosa disperazione dove riemergono tracce di melodia simili ad un unguento dall’effetto palliativo, incapace di lenire realmente le ferite, e la conclusiva Burning Womb riconduca nuovamente il tutto ad un impatto maggiormente emotivo, nonostante le vocals di Hiteman siano costantemente volte ad urlare senza un attimo di cedimento tutto il proprio doloroso risentimento.
A Universal Emptiness è una delle sorprese dell’anno, è un album la cui intensità si fa a tratti spasmodica e quello che può apparire un difetto per chi non sa cosa sia il doom (l’incedere monolitico, la voce che rifiuta a priori ogni accenno di pulizia formale), diviene l’irrinunciabile nutrimento per l’anima capace di saziare chi ama il genere.
Tracklist:
1. Till It Goes Away
2. Anti-Aether
3. Last Breath
4. Burning Womb
Line-up
Ben Hiteman – Vocals and Percussion
Emad Dajani – Guitar
Thomas Lilliston – Guitar
Garrick O’Connor – Keyboards and Guitars
Dan Brownson – Bass
Patrick Spain – Drums
Colmo di riferimenti alla cultura Indù ed alla sacra Trimurti, Samudra è uno scrigno colmo di sorprese, con una band che tecnicamente lascia a bocca aperta riuscendo con grande disinvoltura a far convivere generi apparentemente lontani tra loro.
Cercando nel vasto mondo del metal se ne trovano di gioielli musicali, basta avere voglia di non fermarsi in superficie e scavare in un sottosuolo dove si muovono realtà sconosciute ai più ma di altissimo valore.
Senza paraocchi e con una visione della musica a 360° si possono fare piacevolissimi incontri, sotto forma di gruppi autori di lavori sorprendenti come per esempio i russi Kartikeya con questa bellissima opera estrema dal titolo Samudra.
Ispirato concettualmente alla religione indù, l’album è un concept che si sviluppa in settanta minuti di metal estremo progressivo, il Carnatic Metal come lo chiamano loro, una straordinaria alleanza tra blackened death metal, progressive e folk che sfocia in un saliscendi artistico, un’altalena di emozioni tra tempeste estreme, bellissime parti progressive e suggestive atmosfere folk di origine indiane e arabe.
Colmo di riferimenti alla religione della Sacra Trimurti, Samudra è uno scrigno colmo di sorprese, la band che tecnicamente lascia a bocca aperta riesce con clamorosa disinvoltura a far convivere generi apparentemente lontani tra loro in un sound che tiene incollati alle cuffie, bellissimo esempio di come il metal sia tutt’altro che un genere conservatore come vorrebbe qualcuno ma che, anzi, in questi anni si è trasformato, grazie a gruppi come il sestetto moscovita, in musica camaleontica ed estremamente volubile.
In Russia, come in India, i gruppi sono meno legati alle regole di mercato statunitensi ed europee, così che è facile incontrare realtà di levatura superiore ed assolutamente fuori da qualsivoglia ambizione commerciale; qui a parlare è la musica, con brani fuori dagli schemi e di una bellezza disarmante come Tandava, Mask Of The Blind, Kannada – Munjaaneddu Kumbaaranna (con l’ospite Karl Sanders, leader dei Nile) e i tredici minuti progressivamente estremi di Dharma, Pt. 2 – Into the Tranquil Skies.
Orphaned Land e Melechesh, ma rimanendo in ambito molto più underground e nel territorio indiano, Demonic Resurrection e Fragarak, sono le band accostabili a questi sei geniali musicisti russi, giusto per fornire qualche coordinata in più a chi si volesse accostare a questo magnifico lavoro.
Tracklist
1. Dharma pt. 1 – Into The Sacred Waves
2. Tandava
3. Durga Puja
4. Pranama
5. The Horrors Of Home (feat. Keith Merrow)
6. Mask Of The Blind
7. Samudra
8. The Golden Blades
9. We Shall Never Die
10. Kannada – Munjaaneddu Kumbaaranna (feat. Sai Shankar & Karl Sanders / Nile)
11. Tunnels Of Naraka (feat. David Maxim Micic)
12. The Crimson Age 13. Kumari Kandam
14. Dharma pt. 2 – Into The Tranquil Skies
Line-up
Anton Mars – Vocals
Roman Arsafes – Guitars, Vocals, Ethnic Instruments
Sasha Miro – Bass
Misha Talanov – Violin
Dmitriy Drevo – Percussion
Alex Smirnov – Drums