Totalselfhatred – Solitude

Non è affatto semplice raffigurare la sofferenza ed il disagio interiore attraverso contenuti musicali così nitidi e relativamente accessibili: la grandezza dei Totalselfhatred risiede proprio in questa dote che è solo di pochi.

I finlandesi Totalselfhatred, fin dalla loro apparizione sulla scena con il full length autointitolato giusto dieci anni fa, rappresentano quell’ala del depressive black metal capace di unire la disperazione espressa dalle liriche e dal concept,  insito in lavori riconducibili al sottogenere, ad un senso melodico che diviene l’elemento cardine su cui si fondano i dischi più riusciti.n

Sette anni dopo Apocalypse in Your Heart, quando forse qualcuno li aveva dati per persi, ecco di nuovo tra noi questi quattro finnici abili come pochi nell’evocare le visioni più luttuose, lasciando che l’autoannientamento divenga, grazie alla dolorosa bellezza della loro musica, persino un evento accettabile.
Solitude si snoda lungo cinque brani medi lunghi , un tempo necessario ad ogni episodio per delineare una propria identità melodica e rimica e, all’intero lavoro, per imprimersi efficacemente nella memoria degli ascoltatori: a livello strettamente stilistico, in effetti, l’album non sarebbe così naturalmente catalogabile nel DBSM perché, al di là delle vocals strazianti (ma neppure troppo rispetto ad altre realtà), musicalmente ci troviamo di fronte ad un’opera che sicuramente non evoca allegria ma nella quale la melodia gioca un ruolo fondamentale in gran parte dei brani, fatta eccezione per la sola e più ruvida Hollow, mentre nelle restanti tracce la bilancia pende a favore delle parti più rarefatte e malinconiche .
La quasi title track Solitude MMXIII regala melodie chitarristiche struggenti, mentre lo strazio esistenziale assume toni ancora più intensi in Cold Numbness e Black Infinity, fino allo splendido finale con Nyctophilia, che ben illustra quello che è per assurdo è il momento di sollievo per il depresso, la notte, unica parte nella giornata nella quale ci si può togliere la maschera a smettere di fingere di divertirsi o fare vita sociale, cosa che alla fine è ancora più pesante della solitudine stessa.
Non è affatto semplice raffigurare la sofferenza ed il disagio interiore attraverso contenuti musicali così nitidi e relativamente accessibili: la grandezza dei Totalselfhatred risiede proprio in questa dote che è solo di pochi.

Tracklist:
1. Solitude MMXIII
2. Cold Numbness
3. Hollow
4. Black Infinity
5. Nyctophilia

Line-up:
A. – guitars, keyboards, vocals
C. – guitars, vocals
I. – drums, vocals
J. – guitars, vocals
N. – bass

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Hot Box – White Trash

Se cercate un bel disco di rapcore nu metal, divertente, diretto e che garantisca molti ascolti avete trovato il titolo giusto.

Il nu metal è un genere strano, che è comparso quasi dal nulla, anche se i suoi prodromi ci sono da tempo: sembra morto ma riesce sempre a rispuntare da qualche parte, seppure non in ambito mainstream.

Questa volta il nu metal, o forse meglio rapcore in questo caso, ci porta in Israele, paese che musicalmente riserva molte sorprese e gli Hot Box sono sicuramente una di queste. Il loro sound è sinuoso, bello potente e deciso, con dei bei giri funky, che aprono la strada a chitarre in puro stile rapcore. I ragazzi cominciano a fare musica nel 2012 nelle città di Arad e Be’er Sheva, facendosi presto un nome nell’underground isrealiano che è molto vivo e ha una grande passione per l’hip hop. Ascoltando White Trash ci si accorge subito che questi israeliani hanno un flow ed un passo molto diverso rispetto alla maggioranza dei gruppi rapcore. La loro musica sembra rimbalzare, con un groove continuo ed incessante, guidati da un basso davvero potente e che struttura tutta le loro composizioni. I pezzi di questo ep sono un ottimo biglietto di visita per questo gruppo che diverte moltissimo e che ha un suono davvero interessante. Dispiace che questo sia solo un ep, ma ripensandoci meglio così perché un lavoro ristretto come questo è ancora più dirompente. Gli Hot Box hanno molte soluzioni sonore e possiedono anche un’attitudine hardcore politicamente scorretta che è un ulteriore valore aggiunto. Se cercate un bel disco di rapcore nu metal, divertente, diretto e che garantisca molti ascolti avete trovato il titolo giusto. I ragazzi israeliani riescono a cambiare registro con facilità e sono sempre in controllo e soprattutto fanno musica con il cuore, e il loro è un cuore grande. Con un disco così la sconfitta non esiste.

Tracklist
1.Intro (sketch – not mixed)
2.Rap Guillotine
3.Big Bag Johnny
4.ShellShock
5.Ugh!
6.Use a friend

Line-up
Dave AKA Cise2 – Vocals
Eddie AKA Flippa – Guitars
Elick AKA SixPack – Bass
Danny AKA Skinny – Drums

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Graveyard – Back To The Mausoleum

Back To The Mausoleum è un ep composto da quattro brani più intro che nulla aggiunge e nulla toglie ai Graveyard, band di genere che è sempre una sicurezza per gli amanti del death tradizionale di scuola nord europea.

Dalla tomba di un cimitero abbandonato in una zona imprecisa della Catalogna sorgono ancora una volta i Graveyard, band attivissima nella cena estrema iberica.

In undici anni, infatti, il gruppo proveniente da Barcellona, oltre a tre full length ha licenziato un paio di ep ed una marea di split a completare una discografia invidiabile, numericamente parlando.
Il sound è un buon esempio di death metal old school, catacombale e legato da un sottilissimo filo alla scena scandinava di primi anni novanta con tra Dismember ed Unleashed.
Niente di nuovo dunque, ma d’impatto, specialmente per chi stravede per queste storiche sonorità alle quali la band  aggiunge poche ma ottime atmosfere di lento incedere doom/death, a sottolineare ancor di più i testi incentrati su temi death/horror.
Back To The Mausoleum è un ep composto da quattro brani più intro che nulla aggiunge e nulla toglie ai Graveyard, band di genere che è sempre una sicurezza per gli amanti del death tradizionale di scuola nord europea.
Un growl che sembra uscito dall’ugola di un cadavere sepolto da centinaia di anni e tornato a camminare sulla terra, solos taglienti, armonie e rallentamenti melodici che creano melanconiche atmosfere mortifere e veloci ripartenze feroci come uno zombie accanito sulle viscere di una vittima, è tutto quello che troverete su Back To The Mausoleum, niente male tutto sommato.

Tracklist
1. Scorched Earth
2. And The Shadow Came
3. Craving Cries I Breath
4. In Contemplation
5. An Epiphany Of Retribution

Line-up
Javi – Guitars
Gusi – Drums
Julkarn – Bass & Vocals
Mark – Guitars
Fiar – Live vocals

URL Facebook
https://www.facebook.com/deathmetalgraveyard

Contenuto musicale (link youtube – codice bandcamp – codice soundcloud)

Descrizione Breve

Eversin – Armageddon Genesi

Armageddon Genesi conferma la reputazione che gli Eversin si sono costruiti con fatica ed attitudine, album dopo album, in un moto evolutivo ben lungi dall’essersi esaurito.

Parlare solo di scena tricolore per quanto riguarda gli Eversin appare riduttivo: la band siciliana, infatti, ha dimostrato nel corso degli anni di avere sempre più un taglio internazionale, sia per quanto riguarda il curriculum live sia per quello discografico, dall’alto livello qualitativo in un genere per niente facile come il thrash metal.

Armageddon Genesi segue di tre anni il bellissimo Trinity: The Annihilation, album che aveva portato una tempesta di suoni slayerani sulla scena estrema, marchiata a fuoco dal gruppo con il proprio sound devastante ed a suo modo originale nel saper fondere al meglio il thrash metal classico e quello moderno.
Il nuovo album vede un ulteriore passo verso un approccio unico e personale al genere: la band, con ancora in sella tutti e quattro i cavalieri dell’apocalisse (Ignazio Nicastro/Guerra, Giangabriele Lo Pilato/Pestilenza, Angelo Ferrante/Carestia, Danilo Ficicchia/Morte) lascia quasi definitivamente i suoni dai rimandi old school per un impatto moderno, creando un suono particolare, che se ha molte affinità con i Kreator più sperimentali (Ferrante su questo lavoro appare come un Mille Petrozza indemoniato) alza un muro metallico mostruoso ed invalicabile.
Dalle prime note di Legions si capisce che armageddon e apocalissi si abbatteranno su di noi con una violenza che non lascia scampo, con il basso di Nicastro che forma con il drumming di Ficicchia un maremoto ritmico sul quale le dissonanze chitarristiche di Lo Pilato e le urla petrozziane di Ferrante ingigantiscono a dismisura il clima da fine del mondo, in questo ennesimo monumentale macigno estremo targato Eversin.
Con la partecipazione di Ralph Santolla (purtroppo proprio ieri è giunta la tragica notizia del suo decesso) sulla cadenzata e a suo modo marziale Soulgrinder, e di Lee Wollenschlaeger dei Malevolent Creation sulla title track, l’album imprime una marcia in più al sound del gruppo, che si fa moderno, ritmicamente inarrestabile e devastato da una chitarra i cui assoli sono strumenti di tortura metallica.
Se Havoc Supreme può ricordare Winter Martyrium( da Renewal dei Kreator), le atmosfere apocalittiche delle varie Where Angels Die, Seven Heads e della conclusiva To The Gates Of The Abyss, sono sunto di tutto quello che la band ha fagocitato in questi anni e rigettato sotto forma di metallo dall’indiscussa potenza espressiva.
Armageddon Genesi conferma la reputazione che gli Eversin si sono costruiti con fatica ed attitudine, album dopo album, in un moto evolutivo ben lungi dall’essersi esaurito.

Tracklist
01. A Dying God Walks The Earth
02. Legions
03. Jornada Del Muerto
04. Soulgrinder (feat. Ralph Santolla)
05. Havoc Supreme
06. Where Angels Die
07. Seven Heads
08. Armageddon Genesi (feat. Lee Wollenschlaeger)
09. To The Gates Of The Abyss

Line-up
Ignazio Nicastro – Bass
Angelo Ferrante – Vocals
Giangabriele Lo Pilato – Guitars
Danilo Ficicchia – Drums

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