DECAYED – Of Fire and Evil

Dodicesimo album dei capostipiti del Black Metal Lusitano. Un album maturo, completo, da avere assolutamente.

Sinceramente, quando nel 1992 ricevetti per posta il demo Thus Revealed dei portoghesi Decayed, autodefinitisi band black metal, nutrivo forti dubbi, non fosse altro per la loro provenienza.

Il 26 febbraio del lontano 1992 uscì, quello che per molti (e per il sottoscritto) fu il vero, primo, unico Manifesto del Black Metal, ossia A Blaze In The Northern Sky di Fenriz & Co. Il glaciale inizio, da dove tutto cominciò. Il Nero, Freddo ed Oscuro lato del Metal. La trasposizione del tutto musicale, fino ad allora conosciuto. Lo stravolgimento dei canoni fondamentali della musica. Suono estremo, per me, per pochi e per nessun altro. Misogina declinazione musicale, ove tutto era permesso, perché l’IO musicale era tutto…gli altri, il nulla. Vivo solitario, in terre dimenticate, di inverni precoci, di freddo glaciale, di oscuro male che incarna l’essenza della mia esistenza, della mia Terra, nordica, desolata, ove l’inverno stesso dura dodici mesi, ove il sole non brilla mai, né alto nel cielo, né nei nostri cuori. Immaginate ora lo stupore (ma soprattutto la reticenza) nell’affrontare un prodotto proveniente dal Portogallo, più precisamente da Parede/Cascais, vicino a Lisbona! Nel nostro (e nel mio, del tempo) immaginario, terra di sole, di calde estati e di miti inverni…Invece, dovetti ricredermi: al primo approccio, ricevetti una sferzata lungo la schiena. Rabbrividii all’ascolto di brani come Last Sleep e Awakened By Hate, minuti di intenso ipotermico libido musicale: era l’aprile del 1992, ma il demo era uscito già a gennaio, ossia un mese prima dell’uscita del Capolavoro! Da quel giorno, i Decayed – sempre fedelissimi al loro stile – ne hanno fatta di strada. Longevi come pochi altri (nati nel 1990 come Decay), oggi, questi “non più ragazzini” ci propongono Of Fire And Evil (ovviamente non d’amore e altre storie…). Partiamo subito con Firestorm (dopo un Intro da brividi – Winds from Hell), vera tempesta di fuoco; violento attacco sonoro senza compromessi, in stile Marduk, senza respiro. The Schyte Of Death incalza, con i suoi riff alternati a mid-tempo sempre ben amalgamati, in un botta e risposta che coinvolgerebbe anche l’headbanger più pigro a sbattere la testa, sino a quasi svenire. La successiva A Blood Moon è in pieno stile black nordico; ritmato da chitarre “zanzarose” e riffs monotoni e ripetitivi: l’essenza del black che, come spesso accade nell’album, i nostri non disdegnano di arricchire con – seppur brevi – assoli di lead. Spesso i pezzi vengono introdotti da un parlato brevissimo, che pare introduca sempre l’ascoltatore alla prossima avventura musicale, quasi una presentazione live al prossimo pezzo in divenire, ma che in realtà accrescono l’ansia per il nuovo ascolto. Dopo un altro ottimo assaggio di tradizionale black con Across The Sea e una pausa con i funerei arpeggi di Prelude To The Carnage, arriva (appunto) Blaphemous Carnage. Un pezzo che – soprattutto nel chorus –sembra uscito da Seven Churches; thrash black di cupo, satanico rovente inferno sonoro. Tsunami di note con l’immediata God Is Dead! titolo che non lascia dubbi, testo che illumina sugli intenti della band, note che uccidono  nostri padiglioni auricolari. La successiva track (The Skull Of Akator) ci trasporta direttamente ad El Dorado, o meglio conosciuta come Akator , ossia the lost city of gold, il vero capolavoro black metal di tutto l’album (e la mia preferita), tinta di epico mistero Inca. La successiva Alvorecer De Almas Perdidas (uscita anche come singolo e video ufficiale) è un pezzo travolgente, un misto di rabbia e furia, dove lo scream di Vulturius, da il meglio di sé, urlando sopra ad un susseguirsi di cambi tempo e ad un inseguirsi di chitarra-basso-batteria, tra tempi black, crust ed accelerazioni quasi alle soglie del grind. L’album termina con la title track, non una vera e propria canzone, ma una marcia funebre che, dopo un’oscura ma sensuale voce di donna che ripete Of Fire And Evil, quasi a convincerci che il Lato Sinistro del Sentiero sia quello giusto da percorrere, veniamo precipitati direttamente nei meandri dell’Inferno con Lui (il Diavolo) che ci ipnotizza, ci ottenebra la mente, in un sottofondo di funereo, terrificante terrore.
Vero, non siamo nel Finnmark norvegese ma, vi assicuro, anche questo viaggio in Portogallo raffredderà anche i cuori e gli animi più caldi.

Tracklist
1.Winds from Hell… Intro
2.FireStorm
3.The Scythe of Death
4.A Blood Moon
5.Across the Sea
6.Prelude to the Carnage
7.Blasphemous Carnage
8.God Is Dead!
9.The Skull of Akator
10.Alvorecer De Almas Perdidas
11.Of Fire and Evil

Line-up
José Afonso – Guitars, Vocals
Vulturius – Vocals, Bass
Gabriele Giuseppe Rachello – Drums

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Funeral Sun – The Dragging

The Dragging è un ep che ci consegna una band dall’enorme potenziale e che, mantenendo un simile standard qualitativo, potrebbe rendersi in un prossimo futuro protagonista di un full length dirompente.

Ottimo esordio, per quanto breve, di questo terzetto spagnolo chiamato Funeral Sun, autore di un doom tradizionale che sconfina spesso e volentieri in atmosfere vicine al grunge riconducibili, per intensità ed enfasi interpretativa, a certi bravo di Soundgarden e Alice In Chains.

Questo avviene in particolare nel primo e più lungo del due brani, Let Them Bleed, anche grazie alla notevole prova al microfono del chitarrista Javier Gálvez; l’accostamento a certi nomi non deve apparire campato per aria perché su una ben solida base doom è proprio la matrice alternativa ad offrire il valore aggiunto, come conferma anche la successiva title track, specialmente nella sua parte iniziale.
The Dragging è un ep che ci consegna una band dall’enorme potenziale e che, mantenendo un simile standard qualitativo, potrebbe rendersi in un prossimo futuro protagonista di un full length dirompente.

Tracklist:
1. Let Them Bleed
2. The Dragging

Line up:
M. González – Bass
Javier Gálvez – Guitars, Vocals
Xanpe – Drums

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HUNGRYHEART

Il video di “The Only One”, dall’album Hungryheart (Tanzan Records).

Il video di “The Only One”, dall’album Hungryheart (Tanzan Records).

Per festeggiare i 10 anni dalla pubblicazione del loro primo album gli Hungryheart assieme alla loro etichetta Tanzan Music hanno recentemente pubblicato una nuova versione del loro disco d’esordio arrichita da un restyling completo dell’artwork e dalla presenza di due bonus track registrate nella primavera 2018 per questa occasione speciale.

Una di queste due tracce è “The Only One”, brano rivisitato in chiave acustica che è diventato protagonista del nuovo videoclip della band.

Il video realizzato in collaborazione con Tokio Studio è ambientato nella sala di ripresa dello studio di registrazione di Tanzan Music, dove il brano stesso è stato registrato.

La scelta della location e del riprendere la band in questa veste non è assolutamente casuale, infatti sia il video che la registrazione audio vogliono trasmettere il feeling delle performance live degli Hungryheart, apprezzate dai fans del Melodic Rock di tutta Europa.

In questo caso caso viene dato un assaggio del sound acustico del gruppo; ma all’ interno della ristampa si può anche asoltare le attuali sonorità elettriche della band con il brano “River of Soul”, anch’esso rivisitato e registrato nuovamente in una freschissima e moderna versione.

TRACKLIST:
01 ROCK CITY
02 STEALING THE NIGHT
03 RIVER OF SOUL
04 HANG ON TO ME
05 THE ONLY ONE
06 INNOCENT TEARS
07 SHADOWS
08 HARD LOVIN’ WOMAN
09 BREATH AWAY
10 IT TAKES TWO
11 GINA
12 RIVER OF SOUL (2018 REVISITED)
13 THE ONLY ONE (2018 ACOUSTIC VERSION)

www.hungryheartofficial.com

www.facebook.com/hungryheartband

LINE UP:
Mario Percudani: Guitar/Vocals
Josh Zighetti: Vocals
Paolo Botteschi: Drums
Stefano “Skool” Scola: Bass

Data d’uscita: 01/06/2018

Genere Melodic Hard Rock

Label: Tanzan Music

NOTE:
All songs written by Mario Percudani except: #02 / #03 / #08 / #12 by Mario Percudani / Giuseppe Zighetti #11 by M. Bolton / B. Halligan Jr. / K. Diamond
Tracks #01 – #11 recorded & mixed by Daniele Mandelli and Alberto Callegari at Elfo Studio, produced and arranged by Hungryheart
Tracks #12 / #13 recorded & mixed by Daniele Mandelli and Mario Percudani at Tanzan Music Studio, produced by Mario Percudani. Executive producer: Tanzan Music
All tracks re-mastered by Daniele Mandelli at Tanzan Music Studio. All songs published by Tanzan Music Ed. Musicali s.r.l. (SUISA – Switzerland) except “Gina”.

Godless Enthropia – Tetracyclic Dominion

Tetracyclic Dominion è un esaustivo manifesto di metal estremo maturo, tecnico e progressivo, tra tradizione e modernità, con devastanti parti estreme in cui non mancano i classici cambi di tempo e ragnatele strumentali di scuola americana che si trasformano in passaggi atmosferici vicini al post rock.

Il metal estremo è un universo musicale dove se ci si perde si possono trovare creature affascinanti, molte delle quali legate alla tradizione, altre che viaggiano in territori progressivi e molte che sperimentano soluzione avanguardistiche o moderne, contaminandolo o restando fedeli alle linee tracciate dai vari generi.

Il death metal per esempio è tra i generi estremi quello che più ha subito trasformazioni e continua ancora oggi dopo decenni ad allargare i propri confini anche se negli ultimi anni il sound vecchia scuola ha ritrovato il consenso dei fans.
I Godless Enthropia sono una death metal band tricolore, fondata a Torino nel 2012 dopo lo scioglimento dei Beyond the Unholy Truth, debuttano con il primo full length dopo aver dato alle stampe un ep (Dystopian Metaphors) ed un singolo tra il 2013 e l’anno dopo.
Sistemata la line up dopo un paio di avvicendamenti, la band piemontese arriva a pubblicare Tetracyclic Dominion con l’aiuto della Symbol of Domination Prod. in collaborazione con Hecatombe Records, primo lavoro sulla lunga distanza che non mancherà di soddisfare gli amanti del metal estremo di matrice death metal, ma aperto a varie soluzioni stilistiche.
La band, che dal lato prettamente tecnico sa il fatto suo, imprime al sound una marcia in più soprattutto a livello compositivo e l’album così si presenta come un mastodontico lavoro della durata di un’ora al cui interno, oltre a meraviglie tecniche, troverete una serie di ispirazioni unite in un suono personale e dall’impatto di un carro armato.
Technical death metal, influenze old school, groove e progressive ispirano questa raccolta di brani che si rifanno alle band nobili del death metal estremo seppure, come scritto, con una propria personale visione d’insieme.
Tetracyclic Dominion è un esaustivo manifesto di metal estremo maturo, tecnico e progressivo, tra tradizione e modernità, con devastanti parti estreme in cui non mancano i classici cambi di tempo e ragnatele strumentali di scuola americana che si trasformano in passaggi atmosferici vicini al post rock (Solecism).
Mother Of Cain, la progressiva Erase, Delete, Annihilate o la devastante e brutale Cause of Disease (Sprouts of New Hate) sono parte della stessa anima musicale, sedotta dalla geniale interpretazione del genere da parte dei musicisti nostrani.
Senza fare paragoni scomodi vi invito all’ascolto di questo ottimo esempio di death metal che non trova barriere o confini delimitati, lasciando che i suoi creatori sfoghino tutta la loro ispirazione e tecnica e ci travolge con un’ora di musica estrema sopra la media.

Tracklist
1.Al-Qalyah
2.Mother of Cain
3.Into the Asylum
4.Witch Burning Princess
5.Unpredictable Dementia (Mechanical Disease)
6.Erase, Delete, Annihilate
7.Dysphemic Phænomenons
8.Third Eye, Cauterized
9.Solecism I
10.Cause of Disease (Sprouts of New Hate)
11.Palace of Fornication
12.Adynaton
13.Solecism II
14.The Heights of Eidos (Mother of Cain Part II)

Line-up
Davide Ponzetto – Vocals
Wael Ben Halima – Lead and rhythm guitars
Simone Cavalera – Lead and rhythm guitars
Claudio Colla – Bass guitar
Simone Cottura – Drums

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Vendetta Red – Quinceañera

Un lavoro vario, maturo, un viaggio nel rock dell’ultimo trentennio nel quale ogni brano ha una sua ispirazione e linea guida, tra alternative, rock, elettronica, grunge, post rock e si potrebbe andare avanti elencando un’infinità di band e sottogeneri che appaiono e scompaiono tra le trame di Quinceañera.

Dopo l’esplosione del rock dalle camicie di flanella e talenti buttati via tra eroina e crisi esistenziali, Seattle ha continuato a sfornare musicisti, magari non più sotto i riflettori come negli ultimi anni del nuovo millennio, ma pur sempre fautori di un modo di fare rock che è diventato un marchio di fabbrica.

I Vendetta Red sono di Seattle, esordirono addirittura nel 1998, anno che aveva già visto affievolirsi il fermento generato da Nirvana & company e si leccava le ferite con chi cercava fortuna cavalcando un destriero ormai zoppo (Nickelback e il cosiddetto post grunge).
Quattro album nei primi cinque anni del nuovo millennio, un paio di ep e lo split targato 2005 che decretava la fine della band, almeno fino al 2010 e all’annuncio di una reunion live avvenuta al Corazon di Seattle, prima di riprendere i lavori e tornare dopo un paio di singoli con questo Quinceañera, album che ne decreta ufficialmente la rinascita anche e soprattutto qualitativamente parlando.
Un lavoro vario, maturo, un viaggio nel rock dell’ultimo trentennio nel quale ogni brano ha una sua ispirazione e linea guida, tra alternative, rock, elettronica, grunge, post rock e si potrebbe andare avanti elencando un’infinità di band e sottogeneri che appaiono e scompaiono tra le trame di Quinceañera.
Oggi i Vendetta Red sono Zach Davidson, Leif Andersen, Jonah Bergman e Burke Thomas, e sono tornati con un lavoro bellissimo, una raccolta di brani alternative rock come piace chiamarlo a molti, che spazia tra Beatles e Jane’s Addiction, Screaming Trees e Smiths, con un tocco di pazzia punk rock alla Iggy Pop e la bellezza intrinseca di un Marc Bolan ipnotico e psichedelico.
Non conosce passo incerto questo lavoro, ci ammalia con la sua verve cangiante, la sua alternanza di colori vivaci e la sua totale anarchia compositiva, mentre oggi la pioggia è cessata e a Seattle splende il sole.

Tracklist
1.Swim
2.Wild and Dangerous
3.The Dreamers
4.Encantado
5.Where There’s a Will, There’s a Pinche Guey
6.West of Birmingham
7.Deceiver
8.The Unending War
9.No Way Out
10.Acquiesce
11.Til You Have Forgiven Me
12.The Circle

Line-up
Zach Davidson – lead vocals, guitars, piano, organ
Leif Andersen – lead guitar, lap steel, mandolin, violin, keyboards, programming, synthesizers
Jonah Bergman – bass
Burke Thomas – drums, percussion

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