Adramelech – Pure Blood Doom

Una ferale mazzata death metal vecchia scuola, un monolite estremo che non conosce pause, ispirato dai gruppi che misero l’Europa a ferro e fuoco negli anni prima dell’avvento del nuovo millennio.

Band storica della scena death metal finlandese, gli Adramelech non ebbero grossa visibilità, tormentati dai continui cambi di formazione e superati in popolarità da leggende come Amorphis, Demigod ed Impaled Nazarene.

La data di nascita del gruppo è di quelle da brividi : era infatti il 1991, in un periodo nel quale venne scritta la storia del metal estremo nord europeo, mentre nel 1996, dopo un paio di demo ed altrettanti ep, venne licenziato tramite la Repulse di Dave Rotten il debutto sulla lunga distanza Psychostasia.
Ancora due album prima del lungo silenzio non ancora terminato, di cui Pure Blood Doom è il penultimo, ora riproposto completamente rimasterizzato grazie alla Nuclear Abominations records.
Uscito originariamente nel 1999 e seguito sei anni dopo da Terror of Thousand Faces, l’album risulta una ferale mazzata death metal vecchia scuola, un monolite estremo che non conosce pause, ispirato dai gruppi che misero l’Europa a ferro e fuoco negli anni prima dell’avvento del nuovo millennio.
Parliamo di Grave, Vader e Sinister, quindi pochi riscontri con il classico sound finlandese/scandinavo e più in linea con il genere suonato nel centro Europa: Pure Blood Doom non conosce pause, tra mid tempo, riff granitici e atmosfere pesanti ed oscure.
Formato da nove terremotanti tracce che sono lo specchio del death metal suonato negli anni novanta, Pure Blood Doom fu ancora una volta frenato dai problemi interni al gruppo che non consentirono un’adeguata promozione al disco.
Un’ottima occasione per rivalutare l’album e la band finlandese vi viene data dalla Nuclear Abominations Records, quindi è d’obbligo fermarsi un attimo, guardarsi indietro e riscoprire questo gioiello estremo.

Tracklist
1.Centuries of Murder
2.Thule
3.Abomination 459
4.Season of the Predator
5.Thingstead
6.Lord of the Red Land
7.Evercursed
8.The Book of the Black Earth
9.Spawn of the Suffering

Line-up
Jarkko Rantanen – Drums
Jari Laine – Guitars, Bass
Ali Leiniö – Bass, Guitars, Vocals

https://www.facebook.com/Adramelech-216261348385371/

Descrizione Breve
Uscito originariamente nel 1999 e seguito sei anni dopo da Terror of Thousand Faces, l’album risulta

Autore
Alberto Centenari

Voto
75

Genere – Sottogeneri – Anno – Label
2018 Death Metal 7.50

Derdian – DNA

DNA va gustato nella sua interezza, quale bellissimo affresco musicale, magari lungo da digerire per gli ascolti frettolosi dei fans moderni, ma un’opera che ancora una volta conferma i Derdian come gruppo tra i migliori della scena power progressiva odierna.

Come mia abitudine vado contro il trend che vuole il metal in crisi qualitativa: anche quest’anno le opere che hanno arricchito le discografie degli amanti dei suoni classici non mancano di certo, magari meno glorificate dagli addetti ai lavori rispetto agli anni d’oro, ma pur sempre in grado di risplendere sugli scaffali degli ormai “pochi” negozi di settore.

Per quanto riguarda l’ormai sfavillante scena tricolore direi che mancavano proprio i Derdian a spingere il power progressive metal verso un altro anno da ricordare e, puntualmente, il gruppo milanese è tornato con questo nuovo monumentale lavoro dal titolo DNA.
Due cosine risaltano subito all’attenzione di chi con mano tremante infilerà il dischetto ottico nel lettore: il ritorno dietro al microfono di Ivan Giannini, uno dei singer più dotati della scena e l’uscita in regime di autoproduzione, davvero strano per un gruppo da oltre vent’anni in pista con album di altissima qualità ed un passato alla corte della storica label Magna Carta.
D’altronde anche DNA conferma l’assoluto valore di questa nostra splendida realtà, un gruppo che dal 2014, anno di uscita di Human Reset, ha infilato tre straordinarie opere come appunto Human Reset, Revolution Era (con Giannini temporaneamente sostituito da vocalist come Fabio Lione, Ralph Scheepers, Henning Basse e Terence Holler, tanto per nominarne alcuni) ed ora questo monumento al power prog sinfonico di oltre un’ora di saliscendi emozionali, cavalcate power, spettacolari trame progressive, il tutto nella più assoluta armonia e varietà stilistica con il sestetto che passa dal power al prog, dal folk all’hard & heavy, da atmosfere epiche ad parti swing ed ariose armonie dove le melodie sono regine incontrastate con una naturalezza straordinaria.
DNA è tutto qui, se vi basta, magari per convincervi andate direttamente alla traccia sette, quella Elohim che stupisce con lo swing che spezza l’epica cavalcata in crescendo; ma l’album va gustato nella sua interezza, quale bellissimo affresco musicale, magari lungo da digerire per gli ascolti frettolosi dei fans moderni; un’opera che con l’aiuto di piccoli capolavori come la title track, Never Born, Red And White o Part Of This World conferma i Derdian come gruppo tra i migliori della scena power progressiva odierna.

Tracklist
1.Abduction
2.DNA
3.False Flag Operation
4.Never Born
5.Hail to the Masters
6.Red and White
7.Elohim
8.Nothing Will Remain
9.Fire from the Dust
10.Destiny Never Awaits
11.Frame of the End
12.Part of This World
13.Ya nada cambiara

Line-up
Enrico “Henry” Pistolese – Guitars, Vocals (backing)
Salvatore Giordano – Drums
Marco “Gary” Garau – Keyboards
Dario Radaelli – Guitars
Marco Banfi – Bass
Ivan Giannini – Vocals

DERDIAN – Facebook

EIDULON

Il video di A Shimmer in the Void (feat. Nordvargr), dall’album Combustioni (Malignant Records).

Il video di A Shimmer in the Void (feat. Nordvargr), dall’album Combustioni (Malignant Records).

The full-length “Combustioni” is available through Malignant Records: https://malignantrecs.bandcamp.com/album/combustioni

“Combustioni” is a daunting, full on apocalyptic industrial, auditory excursion, complete with crushingly ominous brass chords, fearsome horn proclamations, organ, and doom filled atmospherics. Contributions of murderous, gnarled vocals courtesy of Nordvargr ( Mz.412, Folkstorm) and Luca Soi (Void of Silence, Visthia), as well as caustic noise from Italian heavy electronic practitioners Naxal Protocol (ex-Cazzodio) add a powerful element, often cutting through a blaze of swelling tones and pneumatic percussive pummel, the only respite coming in the form of collaborative tracks with Kammarheit and Caul, which sees Eidulon returning to the foggy gloom and bleak isolationism that populated the debut. Collectively, it’s quite the provocative declaration, shattering genre barriers and setting the soundtrack for a world of incinerated cities, global plagues, and nuclear winters.

Goad – Landor

Nuovo lavoro da parte dello storico gruppo toscano, interprete di un incantevole hard prog gotico, dalle inflessioni ora più folk ora più doomeggianti. Puro romanticismo dark in musica, malinconico e melodico insieme.

In pista ormai dal lontano 1983, i fiorentini Goad confermano con questo loro nuovo lavoro tutta la propria creatività artistica, forti di un’identità che li vede pressoché unici nel panorama musicale di casa nostra.

La persistenza della tradizione: forse solo così si potrebbe definire la loro musica, erede del prog (King Crimson, Pink Floyd, VDGG), dell’hard rock anni Settanta (Led Zeppelin, Triumph, Rush, primi Uriah Heep) e del dark più occulto (High Tide, Atomic Rooster, Goblin, Devil Doll). In questa nuova opera – la dicitura non è casuale, in quanto Landor è una sorta di mono-traccia d’oltre cinquanta minuti suddivisa in tredici parti (o movimenti, se si vuole) – l’amore dei quattro toscani, a cui si aggiunto in veste di pianista e ingegnere del suono il lucchese Freddy Delirio (tastierista già con i Death SS e solista notevolissimo), per tematiche romantiche e decadenti trova una ulteriore e nuova declinazione, sonora e canora: progressive tastieristico, doom e impasti folk (con la passione per il gotico a fare, ogni volta, da collante) intersecano i loro piani, in quello che è un concept dalla struggente bellezza, letteraria, oltre che musicale. Non a caso, il secondo CD di questo doppio è un omaggio a Edgar Allan Poe, registrato dal vivo, al Parterre di Firenze, nel luglio dell’oramai lontano 1995: un documento davvero storico, quindi, inciso da una formazione della quale è rimasto solo il vocalist, che arricchisce ulteriormente questa pubblicazione. Alchimisti e teatrali interpreti dell’hard prog, non senza una profonda consistenza materica (si veda l’uso della doppia batteria in Landor), i Goad allora come oggi erano e restano da apprezzare senza riserve, coraggiosi e coerenti.

Tracklist
1- Written on the First Leaf of My Album
2- On Music
3- To One Grave
4- Bolero
5- Goodbye, Adieu
6- Life’s Best
7- Where Are Sights
8- Decline of Life
9- An Old Philosopher
10- The Rocks of Life
11- Defiance
12- Brevities
13- Evocation
14- I’ll Celebrate You
15- Fairyland
16- Dream Within a Dream
17- The Sleeper
18- To One in Paradise
19- Dreamland
20- Alone
21- The Haunted Palace
22- The City in the City
23- The End

Line up
Alessandro Bruno – Guitars, Reeds, Violin
Maurilio Rossi – Vocals, Bass, Guitar, Keyboards
Paolo Carniani – Drums
Enrico Ponte – Drums

GOAD – Facebook

Funeral Mist – Hekatomb

L’album della svolta per i Funeral Mist: il side project di Arioch/Mortuus dei Marduk ci convince. Ad oggi, uno dei migliori album black metal del 2018.

Gli esordi degli svedesi Funeral Mist, sicuramente affetti anche da produzioni non all’altezza, non mi hanno mai completamente convinto; una band i cui primi vagiti risalgono al lontano 1995, ma che vede uscire il primo full-length solo nel 2003 (Salvation, in precedenza era già uscito un ep, Devilry).

Onestamente non sono mai impazzito per questo gruppo svedese. Devilry e Salvation erano molto caos sonoro e poca musica; si potrebbe definire un raw all’ennesima potenza. Violenza e velocità, quasi sempre fini a se stesse, un sound talvolta difficilmente accostabile al genere Black Metal , ove il raw ne rappresenta unicamente un singolo aspetto, e forte delle miriadi di possibili varianti (classic, funeral, doom, depressive, symphonic, ambient, drone, atmospheric su tutte), che non impone necessariamente a una band di suonare per il solo gusto di raggiungere velocità warp; violenze sonore più accostabili al grindcore e cacofonie musicali che confondono l’ascoltatore e lo mandano in confusione troppo spesso, più tipiche di uno stile noise (ma sarà poi un genere musicale, mah?). I primi Napalm Death o il deathcore di molte band americane di fine anni ‘90 (pensiamo agli Atrocity US), sembrano qui far da padrone, più che oneste (e meglio centrate) storiche influenze tipiche del genere: dai primi Bathory ai Darkthrone, dai Mayhem ai Marduk …appunto, e prima ancora Venom ed Hellhammer . Furiosi attacchi sonori, poche pause, quasi nessun mid-tempo, ed un cantato – quello di Arioch, meglio conosciuto come Mortuus, frontman dei Triumphator e soprattutto singer dei Marduk dal 2004, all’anagrafe Hans Daniel Rostén – sovrastato spesso dalla base ritmica che copre il disperato tentativo di una voce che vuole emergere, senza quasi mai successo, come un operaio che cerca di farsi sentire dai propri colleghi, mentre un martello pneumatico in un cantiere assorda tutto e tutti . Queste sono – a mio avviso – le sensazioni che abbiamo, ascoltando i primi due lavori dei nostri. A dire il vero non butterei via completamente questi due album; per chi ama il raw portato all’estremo, un drummng – quello di Necromorbus – senza respiro, sparato alla velocità della luce, chitarra e basso che pare facciano a gara per decidere chi è più veloce, incartandosi qualche volta tra loro, generando effetti spesso cacofonici, e un cantato sempre in bilico tra lo scream e il growl, deve possedere anche questi primi lavori. Non fosse altro per comprendere meglio quale sia stata la successiva evoluzione (e aggiungo, per fortuna) del gruppo svedese, o farei meglio a dire della one-man band di Arioch, visto che dal successivo album, (Maranatha) sino ad arrivare all’oggetto della nostra recensione, i vecchi membri (Necromorbus e Nacash) sono scomparsi, sebbene fonti non ufficiali parlino di una collaborazione con il batterista dei Deathspell Omega.
Effettivamente già da Maranatha (2009) si percepiva l’intento di Mr. Rostén di voler cambiare qualcosa, di voltar pagina, di sperimentare. Intendiamoci, non a discapito della velocità – baluardo imprescindibile del frontman dei Marduk…appunto – bensì anche a favore di un suono più complesso, più misurato, più ragionato, per una miglior amalgama di velocità e pause, di violenza sonora e profondi cadenzati respiri. Arioch ha lavorato anche sulla propria voce, qui spesso in bilico tra uno scream e un crust (forse troppo spesso crust), intervallato dall’ossimoro, clean-sporco.
Inaspettato il cambiamento, inatteso il cambio di marcia. Inverosimile, seppur credibile e soprattutto agognato, il nuovo Hekatomb, ovvero il sinestetico oscuro sapore di diabolica maligna novità sonora; nefande furiose velocità permeate di annichilenti pause, rese ancor più sulfuree da un synth in sottofondo, trasportato da un desolato alito di vento, che pare uscito direttamente da Silent HIll (come in Cockatrice) e che quasi in un estremo mortale abbraccio, si lega alla successiva Metamorphosis, cadenzata da lenti ritmi funerei, suggellati dai dolorosi lamenti di Arioch, e da rabbrividenti cori gregoriani.
Non manca il tremolo tipico del guitar sound in pieno stile Black che, costruito su riff che tolgono letteralmente il fiato, fornisce munizioni al drumming, in una sparatoria sonora dove, come un potente e micidiale RPG, miete vittime tra gli ascoltatori. Stiamo parlando di tracks come Within the Without (non With or Without You), che nei brevissimi e rarissimi momenti di quiete, ci diletta con sottofondi di campane a morto, che flirtano con il cantato di Arioch, in un’armoniosa ma macabra storia d’amore; o come in Hosanna, vero fiume sonoro in piena, che esonda travolgendoci, come un flash flood tanto inaspettato, da coglierci all’improvviso, in una giornata tranquilla, annegando ogni nostro credo musicale, vero o falso che sia.
Che dire poi di Pallor Mortis, lamentoso mefitico momento teatrale “his et nunc”, che ci avvolge e ci obbliga a vivere – ora o mai più – un dissennato percorso musicale, che potrà solo ed unicamente portarci all’estremo fatale passo; laceranti e strazianti urla (forse) infantili, in un equilibrio da cerimoniale sabbatico, fanno da contraltare al disperato scream di Arioch, che più che in qualsiasi altra canzone dell’album, qui ci inebria e ci ubriaca di vino rancido, sino a farci perdere i sensi. Canzone terminale (anche nel letterale senso della parola) ma anche demoniaca avanguardia di quello che saranno (speriamo) le prossime future produzioni.

Tracklist
1.In Nomine Domini
2.Naught but Death
3.Shedding Skin
4.Cockatrice
5.Metamorphosis
6.Within the Without
7.Hosanna
8.Pallor Mortis

Line-up
Arioch – Bass, Vocals, Guitars

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