Carnal Decay – When Push Comes To Shove

Solo nove minuti di musica bastano per confermare l’ottimo livello raggiunto dai Carnal Decay, band magari poco conosciuta se non ai fans accaniti del brutal death meatl, ma meritevole di maggiore attenzione.

Attivi da una quindicina d’anni, i Carnal Decay sono una delle band di punta della scena svizzera per quanto riguarda le sonorità brutal death.

Una discografia che conta quattro full length, di cui l’ultimo You Owe You Pain uscito lo scorso anno, più un paio di lavori minori, ha contribuito ad accrescere la reputazione del combo che, anche con questi tre nuovi brani, conferma di essere una band in forma smagliante, compatta e perfettamente calata nei panni di caterpillar metallico.
Brani che non lasciano respiro, assolutamente granitici, costruiti come un muro invalicabile di note estreme, con le atmosfere che seguono i ritmi da carneficina metallica; da notare il grande appeal che sprigionano, a tratti esaltanti e spettacolari come Food For Thought, un monolite brutale che alterna potentissime parti cadenzate a violente ripartenze e cantata a due voci con l’ospite Igor Fil dei Katalepsy ad affiancare l’orco Michael Kern.
Non sono da meno la title track, che funge da opener al lavoro, e We All Be Red, altro brano violentissimo ma, grazie anche ad una produzione cristallina, assolutamente in grado di risvegliare antichi istinti omicidi.
Solo nove minuti di musica bastano per confermare l’ottimo livello raggiunto dai Carnal Decay, band magari poco conosciuta se non ai fans accaniti del brutal death, ma meritevole di maggiore attenzione.

Tracklist
1. When Push Comes To Shove
2. Food For Thought (feat. Igor Fil of Katalepsy)
3. We All Bleed Red

Line-up
Sebastian Mantel – Drums
Nasar Skripitskij – Bass
Isabelle Iten – Guitars
Michael Kern – Vocals

CARNAL DECAY – Facebook

UNHUMAN INSURRECTION

Il video di “The Edge of Nothing”, dall’album di prossima uscita “Equilibrium?”

Il video di “The Edge of Nothing”, dall’album di prossima uscita “Equilibrium?”

ALPHA OMEGA Management has a huge pleasure to announce that the Italian metallers UNHUMAN INSURRECTION (aka UHI) will join AT THE GATES in Moscow and St.Petersburg! The other support, for the shows, comes from the French melodic death metallers TEMNEIN. See the details below:

March 23rd – Moscow – Zil Arena
March 25th – St.Petersburg – Zal

UNHUMAN INSURRECTION – formed in 2015, risen from the ashes of “Burn of Black” – is an impact of a powerful mix characterized by an aggressive and harsh sound, blended with melodic vocals which emphasize the sonorities. The band’s debut full-length album “Equilibrium?” is set to be released soon. The album is a personal result of the individual maturation process of each band member came across, breeding their new identity, born by the heavy rhythmic patterns of industrial metal, the violence of Thrash, topping them with clean melodic voicals, like it was rarely done, so far.

More information at:
BAND: https://www.facebook.com/unhumaninsurrection
MANAGEMENT: https://alphaomega-management.com | https://www.facebook.com/OfficialAlphaOmegaManagement

Lelahell – Alif

Prendete i Melechesh, irrobustiteli se possibile con dosi letali di brutal e death/black di estrazione est europea ed otterrete una bomba sonora pari a quella confezionata dai Lelahell.

Per chi ci segue ancor prima della nascita di MetalEyes, il monicker Lelahell non è certo una novità.

Il gruppo, proveniente da una terra insolita per il metal estremo come l’Algeria , fece la sua comparsa sulle pagine dedicate al metal di Iyezine, all’uscita del suo primo full length, il devastante e tellurico Al Insane… The (Re)Birth of Abderrahmane, ed in seguito per una piacevole intervsita con il leader Redouane Aouameur (in arte Lelahel).
Dopo quattro anni la band nordafricana torna con un nuovo lavoro, questo intenso bombardamento sonoro dal titolo Alif, quaranta minuti durante i quali il death metal incontra atmosfere tradizionali, in un contesto che rimane violentissimo, ai confini con un brutal che si fa apprezzare per una perizia tecnica davvero notevole e più in evidenza rispetto al passato.
Alif è un viaggio estremo di notevole spessore, nel sound si intrecciano come serpenti tra la sabbia del deserto elementi che vanno dal thrash metal, al death e al brutal, con le atmosfere tradizionali che valorizzano il tutto come nella splendida Insiraf/Martyr o nelle tempeste desertiche Paramnesia e Litham (The Reach of Kal asuf).
Come se non bastasse, Redouane Aouameur ci delizia con una serie di ospiti che alzano il livello tecnico di Alif, già di per se assolutamente alto, ma oltremodo valorizzato da Hannes Grossman alla batteria (Necrophagist e Obscura tra gli altri), Tom Geldschläger (ex Obscura), Yacine M. (Litham), Patrick Mameli (Pestilence), ed il bassista Hafid Saidi.
Con queste premesse Alif esploderà letteralmente dal vostro lettore, i riff neri come la pece si muovono mortali tra repentini cambi di tempo, a tratti un death/black feroce (Ignis Fatuus) prende a spallate per farsi spazio il suono più brutale, in uno scontro tra titani estremi nelle aride ed affascinati terre nordafricane.
Prendete i Melechesh, irrobustiteli se possibile con dosi letali di brutal e death/black di estrazione est europea ed otterrete una bomba sonora pari a quella confezionata dai Lelahell.

Tracklist
1.Paramnesia
2.Ignis Fatuus
3.Thou Shalt Not Kill
4.Ribat Essalem
5.Adam the First
6.The Fifth
7.Insiraf / Martyr
8.Litham (The Reach of Kal asuf)
9.Parasits
10.Impunity of the Mutants

Line-up
Redouane Aouameur – Bass, Vocals, Guitars

LELAHELL – Facebook

Moonreich – Fugue

Fugue dei francesi Moonreich è un’opera black, non nel senso moderno del termine; ossia, come spesso purtroppo accade, un minestrone musicale di chitarre, basso, batteria, screams, impregnato di canti gregoriani ed infarcito di organi, tastiere e synth, ma la si individua proprio nella struttura e nel corpo di ogni singolo brano, grazie ad uno studio attento dell’immortale musica del ‘700.

Come è vero che la Finlandia è la terra dei mille laghi, l’Ile de France, da dove provengono i Moonreich, la si può definire la terra dei mille fiumi (d’altro canto Ile-Isola prende proprio il nome dalla moltitudine di fiumi e rii che circondano questa regione della Francia; nome che altrimenti non troverebbe altra spiegazione, non avendo sbocchi sul mare).

E’ proprio questa magnifica regione, che ci ha donato negli anni gemme black di squisita fattura e alcune di queste ottime band annoverano tra i loro componenti proprio i membri dei Moonreich: L., il nostro corpulento singer, già frontman dei melodic blacksters Ishtar, Weddir, chitarra e voce, ma anche gigante (pure lui…) leader degli sperimentali Aevlord ed ex The Negation (consiglio). Oppure Siegfried, bassista, il più attivo fra tutti (Taliesin, Valland, ma anche ex Nyseius, ex Azziard, per citarne alcuni) e, infine, Sinai, bravo chitarrista già dei blacksters Griffon. Insomma una terra prolifica, che oggi ci dona questo Fugue (fuga, con duplice ambiguo significato di composizione musicale e di stato di amnesia e di disturbo psicologico).
Ma indubbiamente ciò che i nostri ci hanno voluto esprimere in questo loro ultimo sforzo è la loro passione per una costruzione musicale più complessa, elaborata su contrappunti musicali (tipici delle fughe di Bach) che intrecciano, amalgamano alla perfezione, due differenti melodie, che in un avvolgimento spiroidale, si inseguono, si rincorrono, senza quasi mai raggiungersi, ma soprattutto senza mai sovrapporsi. Ed in questo sublime abbraccio, si immedesimano divinamente gli imprescindibili blast beat, tremolo e scream, quasi come a sottolineare che l’estremo, il nostro caro black metal, non ne costituisce altro che la terza melodia, quando nel ‘700 era ancora materia oscura, e di certo non prevista nel Die Kunst Der Fuge, l’Arte della Fuga di J.S.Bach.
E pertanto l’album non poteva che cominciare con due vere e proprie “fughe” (Every Time She Passes Away
e Every Time the Earth Slips Away), fulgidi esempi di coraggiosa ricerca sonora ma soprattutto di grande capacità ed inventiva musicale dei nostri.
Basterebbero queste due gemme, per terminare la recensione qui e per donare un voto molto alto, ma siccome siamo avidi di nuovi ascolti, ci immergiamo nel terzo pezzo, With Open Throat for Way Too Long, che come un tuono ci sconquassa i timpani, ci capovolge lo stomaco. Una rasoiata inaspettata, di una violenza inaudita; pochi fronzoli, velocità estreme, una ritmica incalzante, pochissimi mid e molti up tempo. Forse la track che subisce le maggiori influenze death (mostrate ampiamente anche dal growl dei backing vocals). Un vero pugno nello stomaco, ove la Fuga qui viene forse interpretata nel suo secondo significato di disturbo psicologico, nel disintegrante incedere, che può essere apprezzato solo dai malati di mente (come chi vi scrive). Heart Symbolism (singolo da cui viene tratto il loro video ufficiale) è un omaggio alla natura, nel senso più entomologico del termine. Qui gli insetti sembrano danzare ai ritmi vertiginosi di un black devastante; nascono, vivono, cacciano, si nutrono, muoiono, sullo sfondo di grigi sottoboschi, in un caleidoscopio di immagini proiettate quasi alla rinfusa, che alla velocità della luce, mantengono il tempo, dettato dalla furia ritmica dei nostri. “Spread your wings” canta ad un certo punto L. e magicamente si staglia l’immagine di una farfalla.
La marziale Rarefaction (a tratti molto Marduk) ci mette tutti sull’attenti, dove il “riposo” viene comandato dai mid tempo, che alienano il nostro breve momento di pausa con assoli distorti, sino alla ripartenza che da marcia militare si trasforma in una corsa perdifiato; nella seconda parte del pezzo, si riparte con un momento molto death di relativa calma, nel quale la ritmica e l’incredibile voce di L. ci cullano sino ad accompagnarci ad un rarefatto monotono torpore. Il risveglio ci scaraventa nella desolata siccità di Carry That Drought Cause I Have No Arms Anymore, con un melodico arpeggio elettrico che dona a questo lamento musicale un fascino quasi etereo, da gustare ad occhi chiusi, lasciandoci trasportare in terre devastate da carestie, miserie, travolti da totale indigenza, privi di ogni forma di sostentamento, se non la nostra amata musica.
Conclude l’album un brano di black metal classico, di ottima fattura, The Things Behind the Moon, quasi a ricordarci che i nostri amano sì le fughe … ma senza disdegnare qualche volta di tornare a casa.
Black roads, take me Home, To the place I belong …

Tracklist
1.Fugue, Pt. 1: Every Time She Passes Away
2.Fugue, Pt. 2: Every Time the Earth Slips Away
3.With Open Throat for Way Too Long
4.Heart Symbolism
5.Rarefaction
6.Carry That Drought Cause I Have No Arms Anymore
7.The Things Behind the Moon

Line-up
L. – Vocals
Weddir – Guitars, Vocals
Siegfried – Bass
Sinaï – Guitars

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