Moonreich – Fugue

Fugue dei francesi Moonreich è un’opera black, non nel senso moderno del termine; ossia, come spesso purtroppo accade, un minestrone musicale di chitarre, basso, batteria, screams, impregnato di canti gregoriani ed infarcito di organi, tastiere e synth, ma la si individua proprio nella struttura e nel corpo di ogni singolo brano, grazie ad uno studio attento dell’immortale musica del ‘700.

Come è vero che la Finlandia è la terra dei mille laghi, l’Ile de France, da dove provengono i Moonreich, la si può definire la terra dei mille fiumi (d’altro canto Ile-Isola prende proprio il nome dalla moltitudine di fiumi e rii che circondano questa regione della Francia; nome che altrimenti non troverebbe altra spiegazione, non avendo sbocchi sul mare).

E’ proprio questa magnifica regione, che ci ha donato negli anni gemme black di squisita fattura e alcune di queste ottime band annoverano tra i loro componenti proprio i membri dei Moonreich: L., il nostro corpulento singer, già frontman dei melodic blacksters Ishtar, Weddir, chitarra e voce, ma anche gigante (pure lui…) leader degli sperimentali Aevlord ed ex The Negation (consiglio). Oppure Siegfried, bassista, il più attivo fra tutti (Taliesin, Valland, ma anche ex Nyseius, ex Azziard, per citarne alcuni) e, infine, Sinai, bravo chitarrista già dei blacksters Griffon. Insomma una terra prolifica, che oggi ci dona questo Fugue (fuga, con duplice ambiguo significato di composizione musicale e di stato di amnesia e di disturbo psicologico).
Ma indubbiamente ciò che i nostri ci hanno voluto esprimere in questo loro ultimo sforzo è la loro passione per una costruzione musicale più complessa, elaborata su contrappunti musicali (tipici delle fughe di Bach) che intrecciano, amalgamano alla perfezione, due differenti melodie, che in un avvolgimento spiroidale, si inseguono, si rincorrono, senza quasi mai raggiungersi, ma soprattutto senza mai sovrapporsi. Ed in questo sublime abbraccio, si immedesimano divinamente gli imprescindibili blast beat, tremolo e scream, quasi come a sottolineare che l’estremo, il nostro caro black metal, non ne costituisce altro che la terza melodia, quando nel ‘700 era ancora materia oscura, e di certo non prevista nel Die Kunst Der Fuge, l’Arte della Fuga di J.S.Bach.
E pertanto l’album non poteva che cominciare con due vere e proprie “fughe” (Every Time She Passes Away
e Every Time the Earth Slips Away), fulgidi esempi di coraggiosa ricerca sonora ma soprattutto di grande capacità ed inventiva musicale dei nostri.
Basterebbero queste due gemme, per terminare la recensione qui e per donare un voto molto alto, ma siccome siamo avidi di nuovi ascolti, ci immergiamo nel terzo pezzo, With Open Throat for Way Too Long, che come un tuono ci sconquassa i timpani, ci capovolge lo stomaco. Una rasoiata inaspettata, di una violenza inaudita; pochi fronzoli, velocità estreme, una ritmica incalzante, pochissimi mid e molti up tempo. Forse la track che subisce le maggiori influenze death (mostrate ampiamente anche dal growl dei backing vocals). Un vero pugno nello stomaco, ove la Fuga qui viene forse interpretata nel suo secondo significato di disturbo psicologico, nel disintegrante incedere, che può essere apprezzato solo dai malati di mente (come chi vi scrive). Heart Symbolism (singolo da cui viene tratto il loro video ufficiale) è un omaggio alla natura, nel senso più entomologico del termine. Qui gli insetti sembrano danzare ai ritmi vertiginosi di un black devastante; nascono, vivono, cacciano, si nutrono, muoiono, sullo sfondo di grigi sottoboschi, in un caleidoscopio di immagini proiettate quasi alla rinfusa, che alla velocità della luce, mantengono il tempo, dettato dalla furia ritmica dei nostri. “Spread your wings” canta ad un certo punto L. e magicamente si staglia l’immagine di una farfalla.
La marziale Rarefaction (a tratti molto Marduk) ci mette tutti sull’attenti, dove il “riposo” viene comandato dai mid tempo, che alienano il nostro breve momento di pausa con assoli distorti, sino alla ripartenza che da marcia militare si trasforma in una corsa perdifiato; nella seconda parte del pezzo, si riparte con un momento molto death di relativa calma, nel quale la ritmica e l’incredibile voce di L. ci cullano sino ad accompagnarci ad un rarefatto monotono torpore. Il risveglio ci scaraventa nella desolata siccità di Carry That Drought Cause I Have No Arms Anymore, con un melodico arpeggio elettrico che dona a questo lamento musicale un fascino quasi etereo, da gustare ad occhi chiusi, lasciandoci trasportare in terre devastate da carestie, miserie, travolti da totale indigenza, privi di ogni forma di sostentamento, se non la nostra amata musica.
Conclude l’album un brano di black metal classico, di ottima fattura, The Things Behind the Moon, quasi a ricordarci che i nostri amano sì le fughe … ma senza disdegnare qualche volta di tornare a casa.
Black roads, take me Home, To the place I belong …

Tracklist
1.Fugue, Pt. 1: Every Time She Passes Away
2.Fugue, Pt. 2: Every Time the Earth Slips Away
3.With Open Throat for Way Too Long
4.Heart Symbolism
5.Rarefaction
6.Carry That Drought Cause I Have No Arms Anymore
7.The Things Behind the Moon

Line-up
L. – Vocals
Weddir – Guitars, Vocals
Siegfried – Bass
Sinaï – Guitars

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