Earthless – From The West

La band californiana è un ensemble che affonda le sue radici e la sua ragion d’essere nella musica dal vivo, fatta per stare su un palco e volare alto.

Album dal vivo per i magnifici Earthless, che hanno la loro missione nello stare davanti ad un pubblico a suonare.

Il disco è stato registrato dal vivo a San Francisco il primo marzo 2018 e cattura alla perfezione tutta la potenza e la varietà musicale di questo grande gruppo. Si può affermare forse a sproposito che questa band potrebbe corrispondere ai Grateful Dead della psichedelia pesante, nel senso che dal vivo cambia tutto rispetto all’ascolto su supporto fonografico. Il tour del concerto qui presente era quello dell’ultima fatica, Black Heaven che è già un bel disco di per sé, che qui viene stravolto rimanendo un punto di partenza per ciò che saranno gli Earthless nel futuro, o forse già solo dal prossimo concerto. La band californiana è un ensemble che affonda le sue radici e la sua ragion d’essere nella musica dal vivo, fatta per stare su un palco e volare alto. La già ricca musica dal vivo si espande, raggiunge lo stato gassoso al più presto e viene inalata dagli spettatori. L’impianto è quello della jam, quasi fosse un’equazione da sviluppare dati gli elementi di partenza, e che nel suo sviluppo acquista vita propria. Per fare pezzi di dieci minuti, ed anche oltre, dal vivo bisogna avere un talento fuori dal comune, perché non è per nulla facile. Le trame sonore si fondono fra loro nel suono stesso, e il trio ha una potenza psichedelica notevole che si fonde con un tiro musicale che va bene oltre i generi o le classificazioni. Dentro ci si può sentire anche un po’ della grandezza dal vivo dei Grand Fuck Railroad, quel vivere per suonare e stare su di un palco che è una dote innata. Prendere il proprio disco e plasmarlo in una veste radicalmente diversa dal vivo, ecco cosa fanno gli Earthless, infatti questo è da considerare a tutti gli effetti una raccolta di inediti, perché sono davvero altro rispetto alla versione in studio. In From The West troviamo anche una cover di Communication Breakdown degli Zeppelin che da ben l’idea di cosa siano gli Earthless, ovvero un gruppo psicotropo più che psichedelico. Un disco dal vivo gigantesco e bellissimo.

Tracklist
01. Black Heaven
02. Electric Flame
03. Gifted By The Wind
04. Uluru Rock
05. Volt Rush
06. Communication Breakdown
07. Violence Of The Red Sea
08. Acid Crusher

Line-up
Mario Rubalcaba
Isaiah Mitchell
Mike Eginton

EARTHLESS – Facebook

Ieri e oggi: intervista agli Hate

Un pezzo di storia del metal italiano. Questo sono gli Hate, esponenti oltretutto di una scena (quella ligure, e genovese nella fattispecie) da sempre viva e florida. Abbiamo potuto incontrarli e parlare con Enzo Vittoria.

ME Prima di tutto, la vostra storia: il vostro primo lavoro sulla lunga distanza è uscito in questo 2018, ma i vostri primi due demo risalgono alla seconda metà degli anni Ottanta…

Siamo nati come trio nel 1983: Enzo, Luca e Dido e dopo un esordio come supporto ad un gruppo più avviato abbiamo aggiunto Daniele alla formazione. Tra il 1984 e ’85 abbiamo sfornato pezzi e live a Genova e in festival fuori Genova poi nell’86 registrammo il primo demo formato da 8 tracce. Qualche live e nell’87 entrammo in studio per un altro demo di sole 4 tracce. Ci fu poi uno stop per la mia partenza per la leva obbligatoria a marzo ’87 e riprendemmo a fine ’88. Purtroppo la morte prematura di Daniele a giugno ’89 chiuse il capitolo Hate. A distanza di tanti anni abbiamo avuto la necessità di ritornare sui nostri passi perché, se pur breve, la nostra carriera aveva lasciato un segno e un seguito. Ci siamo riuniti io e Dido e abbiamo creato questo album con pezzi più maturi rispetto a quando avevamo tra i 15 e i 18 anni. Luca è rientrato nel gruppo rimettendosi in gioco dopo anni di stop ed è ripartito il motore Hate.

ME Volete parlarci della lavorazione di Useful Junk? In particolare, che cosa rappresenta questo disco per voi e nel vostro percorso artistico?

È stata una lavorazione lunga iniziata due anni fa, in quanto i tempi da dedicare al progetto erano limitati. Principalmente io componevo la tracce e le elaboravamo e registravamo nel nostro home studio. Dopo circa un anno e più di registrazioni siamo arrivati al mixing in studio. Sinceramente io volevo regalare ai vecchi fans un prodotto nuovo e registrato bene (a differenza dei nostri demo). Il gruppo (a parte io e Dido) era ancora da creare per eventuali live ma l’arrivo di Luca ha scatenato la macchina Hate e siamo ripartiti alla grande.

ME Che cosa sono per voi hard rock e metal? Qual è stata la vostra formazione musicale e oggi quali dischi preferite ascoltare?

Fondamentalmente l’hard rock ha significato più ampio e origini più vecchie rispetto al metal prettamente anni ’80 e più circoscritto. Personalmente ci reputiamo una hard rock band perché non facciamo il classico metal tipo Judas priest, Dio, Iron Maiden, ma vestiamo un genere derivato dal rock n roll e delineato da gruppi come Kiss, Motley Crue, Ratt, per arrivare a toccare generi più verso gli anni ’90 come gli Audioslave. La nostra formazione è: Enzo Vittoria basso e voce, David Caradonna chitarra, Luca Lopez batteria e Sebastiano Rusca chitarra. In aggiunta alla line up abbiamo due coriste per i live sessions: Martina Nuovo e Stefania Prian.

ME Cosa ricordate della scena heavy – italiana e genovese – degli anni ’80?

Abbiamo bellissimi ricordi vissuti. Erano gli anni in cui il genere spaziava anche in Italia, spinto ovviamente dal fenomeno mondiale. Si riempivano i teatri nonostante non esistessero social o vetrine, solo con la pubblicità ed il passaparola. C’erano tanti festival che radunavano il popolo metal e compagnie di metallari e rocker ovunque e si viveva di prepotenza.

ME Se doveste dare consigli ad un giovane ascoltatore che sta iniziando adesso a appassionarsi, quali sono i dieci dischi fondamentali che gli suggerireste?

Beh, per me il pezzo hard rock per eccellenza che mi ha cambiato la vita è stato Helter Skelter dei Beatles… da lì in poi Led Zeppelin e via di seguito fino ad arrivare agli anni ’80, quando ho preso coscienza che amavo quei suoni distorti. Diciamo che i 10 dischi che devi avere sono: 1) AC/DC, Highway to hell e Back in black; 2) il primo degli Iron Maiden (anche se non li apprezzo tanto); 3) Ratt, Out of the cellar; 4) Wasp, omonimo; 5) Van Halen, omonimo 1978; 6) Aerosmith, Rocks; 7) Motley Crue, Shout at the devil; 8) Kiss, Detroit rock city e 10) Def Leppard, Hysteria.

ME I vostri progetti futuri?

Per il futuro cercheremo di mettere in cantiere un altro album prima possibile, dobbiamo solo iniziare le registrazioni ma non facendolo di lavoro i tempi si allungano. Abbiamo alcune date live anche insieme ai Necrodeath, vecchi amici che avevano esordito come nostro gruppo di supporto nel ’86.

Angerfish – Get Uncovered

Gli Angerfish hanno senz’altro buone potenzialità, che vengono espresse in particolare nei brani in cui regnano atmosfere in linea con il rock americano degli ultimi trent’anni, dimostrandosi assolutamente sul pezzo quando il sound assume una matrice doom/stoner, più in affanno invece nei brani accelerati da un’urgenza thrash/punk.

Gli Angerfish sono un quartetto di rockers provenienti da Fidenza, attivi dal 2015 e con un ep omonimo alle spalle rilasciato lo scorso anno.

Dopo alcuni cambi di line up la band ha trovato stabilità, ed è composta oggi da Elia Buzzetti (voce e chitarra), Enrico Lisè (chitarra), Alex Petrolini (basso) ed Emmanuel Costa (voce e batteria), protagonisti di questo debutto sulla lunga distanza intitolato Get Uncovered.
Il sound proposto dal gruppo nostrano si muove tra l’hard rock, il doom e lo stoner di matrice statunitense, con qualche puntata thrash/punk oriented nelle dirette From Outside e Wash Your Crap, quelli che risultano gli episodi meno riusciti dell’album.
Gli altri brani invece mostrano un sound potente, con gli Angerfish ad esibire i muscoli con una serie di mid tempo che tra le note lasciano intravedere spunti di quei generi che hanno fatto la storia del rock di fine millennio.
L’opener Lazy Woman, la doom/stoner Chaos e la conclusiva Facing Death sono gli episodi che alzano di molto il giudizio su questo lavoro: potenti e monolitici, a tratti drogati di grunge e stoner, risultano l’anima desertica del gruppo, ispirato da Black Sabbath, Black Label Society, Sleep, Kyuss e Soundgarden.
Gli Angerfish hanno senz’altro buone potenzialità, che vengono espresse in particolare nei brani in cui regnano atmosfere in linea con il rock americano degli ultimi trent’anni, dimostrandosi assolutamente sul pezzo quando il sound assume una matrice doom/stoner, più in affanno invece nei brani accelerati da un’urgenza thrash/punk che, a mio avviso, appaiono fuori contesto rispetto a quelle che sono le coordinate di base del sound esibito in Get Uncovered.

Tracklist
1.Lazy Woman
2.Wrapped
3.From Outside
4.Chaos
5.Face to Face
6.Wash your Crap
7.Facing Death

Line-up
Elia Buzzetti – Vocals and Guitar
Enrico Lisè – Lead Guitar
Alex Petrolini – Bass Guitar
Emmanuel Costa – Vocals and Drums

ANGERFISH – Facebook

Tragacanth – The Journey Of A Man

Death metal feroce e tecnico, a tratti assolutamente progressivo ed attraversato da mood atmosferici, mentre un’anima black è foriera di cavalcate sferzate da gelidi venti nordici.

I Paesi Bassi sono per tradizione una delle terre più importanti per lo sviluppo delle sonorità estreme, specialmente per quanto riguarda il caro e vecchio death metal, fin dai primi anni novanta.

I Tragacanth fanno parte di quelle nuove leve che provano, anche se con approccio diverso, a tenere alta la bandiera del metal estremo nel paese dei tulipani, riuscendoci con un sound interessante e questo nuovo lavoro intitolato The Journey Of A Man, il secondo dopo Anthology Of The East licenziato tre anni fa.
Death metal feroce e tecnico, a tratti assolutamente progressivo ed attraversato da mood atmosferici, mentre un’anima black è foriera di cavalcate sferzate da gelidi venti nordici: questo è il sound proposto dal gruppo proveniente da Utrecht, imprigionato in nove composizioni per cinquanta minuti di intricate parti tecnico progressive e devastanti ripartenze death/black metal che non lasciano scampo.
La bravura tecnica dei nostri non inficia la scorrevolezza di composizioni dalla durata importante, cangianti nelle atmosfere di cui si compongono e perfette nel presentare al meglio i loro creatori.
Denial: They Are Mistaken, Depression: Waning Light e Acceptance: My Destiny Awaits, basterebbero per fare una carneficina, scorticando e torturando i padiglioni auricolari dei fans per via di un songwriting che alterna death metal, progressive, brutal e black metal in un continuo saliscendi estremo di ottimo valore.
Nella musica dei Tragacanth troverete sicuramente note che vi porteranno al confronto con altre e più famose realtà, ma il tutto rimanendo comunque saldamente all’interno in una proposta a suo modo personale.

Tracklist
1.Survival: Stagnate Reality
2.Denial: They Are Mistaken
3.Anger: Kitrine Chole
4.Depression: Waning Light
5.Bargaining: Will You Answer Me?
6.Nightmare: The Vision
7.Acceptance: My Destiny Awaits
8.Suffering: The Essence Implodes
9.Death: Journey’s End

Line-up
Jasper – Drums
Adrian – Guitars
Erik – Guitars
Terry – Vocals
Mark – Bass

TRAGACANTH – Facebook

VOICES FROM BEYOND

Il video di I Am The Presence, dall’album Black Cathedral (Volcano Records).

Il video di I Am The Presence, dall’album Black Cathedral (Volcano Records).

Voices from Beyond were born in 2006. They play an heavy metal characterized by a remarkable sound aggressiveness that dates back to 80s thrash and 90s death metal. VFB take inspiration from horror movies and Lovecraft’s tales, and are moved by passion and the research of a personal sound. They always try to overcome their music limits. In 2008 VFB released their first EP and in 2009 they recorded their first LP at Fear Studio.Today, after a change in the lineup, VFB have just finished recording their second LP, called “The Black Cathedral”

“Black Cathedral” tracklist:
1. Dark Age
2. The Hideout of evil
3. Guardian of the Laws
4. I am The Presence
5. La Valle della Coscienza
6. The Edge of Time
7. The Black Cathedral
8. Descending into The Abyss
9. Across The Mountains
10. The Family
Running Time: 47’20”

VOICES FROM BEYOND line-up:
Roberto Ferri – Vocals
Claudio Tirincanti – Drums
Michele Vasi – Guitar
Andrea Ingenito – Guitar
Enrico Ricci – Bass

More information at:
BAND: https://www.facebook.com/voicesfrombeyond
LABEL: http://www.volcanopromotion.com

Damnatus – Un Niente

Quello di Damnatus è un depressive black cadenzato e melodico, basato soprattutto su un lavoro chitarristico lineare ma efficace nel generare melodie dolenti sulle quali, poi, si poggia lo screaming disperato che declama testi in italiano molto diretti ma non banali.

Un Niente è il primo full length per il progetto solista Damnatus, il cui artefice è il giovane Oikos, musicista dotato di una grande sensibilità che trova sfogo in un depressive black molto esplicito a livello lirico.

L’ep Io odio la vita era già stato piuttosto indicativo del modus operandi di Oikos, il quale opta a livello stilistico per un depressive black cadenzato e melodico, basato soprattutto su un lavoro chitarristico lineare ma efficace nel generare melodie dolenti sulle quali, poi, si poggia lo screaming disperato che declama testi in italiano molto diretti ma non banali.
Il male di vivere nell’ottica Damnatus non ha filtri né edulcorazioni di sorta e l’obiettivo di restituire senza mediazioni il carico di disagio, la frustrazione ed il senso di resa di fronte al peso dell’esistenza riesce piuttosto bene, anche se il tutto potrebbe non soddisfare chi ricerca strutture leggermente più elaborate ed al contempo atmosferiche rinvenibili in altre forme di depressive.
Quella proposta da Oikos è musica sincera, che va apprezzata per quel che è senza stare troppo a vivisezionarne l’operato dal punto di vista sonoro piuttosto che lirico: quello che conta, qui, è il messaggio, che arriva forte, chiaro e brutalmente diretto, offrendo i suoi momenti migliori allorché la forma musicale si avvicina a quella utilizzata dai Katatonia ai tempi dell’accoppiata Discouraged Ones/Tonight’s Decision (Lacrima è il brano in cui ciò avviene in maniera più evidente, risultando senza dubbio il momento migliore dell’album) dove però il tutto veniva levigato, oltre che dalla classe superiore della band svedese, anche da un approccio dai forti richiami alla darkwave, al contrario di quanto avviene in Un Niente in cui viene maggiormente esasperata, anche vocalmente, l’asprezza della componente black.
Oikos trascrive e mette in musica quelle sensazioni sgradevoli che almeno una volta nella vita balenano nella mente di ogni essere senziente: si tratta poi di scegliere se esplicitare tutto questo cercando di trovare una qualsiasi via di uscita, anche estrema, oppure, citando il grande Gaber, “far finta di essere sani”, anche se alla fine ciò che resterà sarà solo e sempre la sofferenza, che la si voglia celare o meno alla vista degli altri.

Tracklist:
1. Alba di un nuovo dolore
2. Un altro giorno
3. Letargia
4. Lo specchio del vuoto
5. Lacrima
6. Tempi Andati
7. Un niente

Line-up:
Oikos – All instruments, Vocals

Codename : Delirious – The Great Heartless

I Codename: Delirious potrebbero suonare benissimo sia il metalcore e l’elettro metal così come il deathcore o il nu metal, invece scelgono la via più difficile, ovvero quella della sintesi originale e personale.

Debutto per gli italiani Codename: Delirious, propugnatori di un metalcore con molto groove e dagli importanti inserti di elettronica.

Il disco ha una sua struttura portante ben definita, sebbene alcuni passaggi siano ancora titubanti. Il gruppo milanese sforna un lavoro che è assai difficile da ascoltare in Italia, con moltissime cose dentro, mostrando ancora notevoli margini di miglioramento. Ci sono molti generi dentro a The Great Heartless, dal metalcore al numetal, fino ad un nuovo ibrido fra metal ed elettronica. Il gruppo stesso si definisce dubmetal e non sbaglia certamente, anzi il dub visto come cambio open source di un suono è proprio il termine adatto. La resa globale è di buona qualità, ma soprattutto il tutto è molto vario ed amalgamato bene. Inevitabilmente, mettendo molta carne al fuoco, ci sono dei momenti di confusione, delle vie ancora da esplorare e alcune titubanze su quale prendere, ma ciò è nulla in confronto a quanto di buono si ascolta qui. La caratteristica migliore del disco è il suo continuo mutare, l’essere perennemente in bilico fra elettronica e metal, con il cantato che detta la linea e il resto del gruppo che fa benissimo il resto. Dal punto di vista del metal questo è sicuramente un lavoro moderno, fatto da giovani curiosi e molto capaci nel plasmare diversi materiali a proprio piacimento. Inoltre il disco è molto divertente da ascoltare, perché si vaga e mentre lo si ascolta si viene piacevolmente presi per mano e condotti a distanza di sicurezza dalla realtà. I Codename: Delirious potrebbero suonare benissimo sia il metalcore e l’elettro metal così come il deathcore o il nu metal, invece scelgono la via più difficile, ovvero quella della sintesi originale e personale. Un buon debutto che lascia intravedere un fulgido futuro.

Tracklist
1 – Act So Tough (HVRD RMX)
2 – Ryo/Leon
3 – Dr. Braun
4 – …chissà
5 – Lost At Sea
6 – Love Song (for people who don’t feel a thing)
7 – Worst Of Me
8 – He Gotta Know The Name
9 – Bridge Over Alpha-Z

Line-up
Luca – Consolle
Marco – Bass/Backing Vocals
Dario – Guitar
Omar – Voice
Chris – Drums

CODENAME: DELIRIOUS

Pale Divine – Pale Divine

Distante sei anni dal precedente Painted Windows Black, Pale Divine presenta da tradizione del trio statunitense un esempio di doom metal pregno di sfumature heavy e di straordinarie jam dove esce prepotentemente l’anima bluesy che è il marchio di fabbrica del sound del gruppo.

La label americana Shadow Kingdom non sbaglia un colpo, specialmente nei generi classici e di stampo heavy metal e doom, con un roster che si avvale di gruppi di livello, partendo dai nostrani e leggendari Death SS e passando per una serie di realtà dell’underground mondiale come Iron Void, Vanik e Death Mask tra le altre.

I Pale Divine, trio proveniente dalla Pennsylvania, sono attivi da più di vent’anni e con una discografia che se non ha regalato tanto numericamente ha sicuramente offerto del doom metal classico di qualità, per mezzo di quattro splendidi lavori a cui si aggiunge il nuovo album omonimo.
Distante sei anni dal precedente Painted Windows Black, Pale Divine presenta da tradizione del trio statunitense un esempio di doom metal pregno di sfumature heavy e di straordinarie jam dove esce prepotentemente l’anima bluesy che è il marchio di fabbrica del sound del gruppo
Lunghe jam si alternano così a brani dal piglio hard & heavy, il sound non rallenta mai troppo ma mantiene una spigliata vena cadenzata su cui la chitarra si scatena in lunghi solos.
Bleeding Soul, So Low, Shades Of Blue e la conclusiva Ship Of Fools sono i brani su cui la band costruisce le fondamenta per rendere ottimo un album marchiato a fuoco dalla vena compositiva ispirata come sempre da Trouble, Pentagram, Revelation e compagnia.
Ottimo ritorno per la band statunitense, Pale Divine è un lavoro consigliato a tutti gli amanti del doom metal classico.

Tracklist
1.Spinning Wheel
2.Bleeding Soul
3.Chemical Decline
4.So Low
5.Curse the Shadows
6.Shades of Blue
7.Silver Tongues
8.Ship of Fools

Line-up
Greg Diener – Guitar/vocals
Darin McCloskey – Drums
Ron McGinnis – Bass

PALE DIVINE – Facebook

Le molte anime della NWOBHM

L’importanza storica irrinunciabile della New Wave of British Heavy Metal è da tempo ampiamente riconosciuta senza riserve. Sull’argomento, presenza fissa in tutte le enciclopedie di rock e hard and heavy, sono stati scritti numerosi libri e articoli (fondamentali e veramente dettagliatissimi quelli di Gianni Della Cioppa). L’intenzione di questo articolo non è pertanto quella di scrivere una ennesima storia di classici, più o meno famosi – riscoperti anche grazie alle tantissime ristampe, pure recenti – quanto semmai quello di illustrare le molte anime musicali del fenomeno.

La NWOBHM non fu, infatti, un genere, né tanto meno un approccio stilistico: al suo interno del resto erano presenti gruppi diversissimi tra loro – basti solo pensare ai più celebri: Iron Maiden, Def Leppard e Saxon – quanto piuttosto una corrente artistica, entro la quale trovavano posto, poi, band stilisticamente anche assai differenti l’una dall’altra.
Molte band della NWOBHM venivano (ed era cosa del tutto naturale, in termini di evoluzione) dal più classico hard rock anni Settanta. E’ il caso dei mitici Samson di Bruce Dickinson, degli Urchin, dei White Spirit. Questi ultimi incisero nel 1981 il loro primo e unico disco: un capolavoro di hard sinfonico, che aggiornava e trasportava nel nuovo decennio la lezione di Deep Purple e Uriah Heep, con la chitarra della futura Vergine di Ferro Janick Gers. Hard rock di alta classe, con retaggi blues di ascendenza Led Zeppelin, porzioni epiche e testi tra l’esoterico e il misticheggiante (con rimandi alla storia ecclesiastica anglo-britannica) per gli indimenticabili Diamond Head. Di formazione HR anche i Rage (1981-1983), formati da membri dei Nutz (1974-1977). Dal canto loro i Def Leppard di Sheffield, con il mini del 1978 e lo storico debutto On Through the Night del 1980, portarono nel Regno Unito le sonorità spaziali dei Rush, prima di svoltare in direzione AC/DC, con High and Dry (1981), e di scrivere quindi – con la triade Pyromania (1983) – Hysteria (1987) – Adrenalize (1992) – pagine immortali di hard tecnologico e melodico, baciate da meritatissimo successo.
Della NWOBHM hanno fatto parte inoltre, rammentiamolo, anche band street (Battle Axe, Heavy Pettin’, Black Rose) e glam (Soldier, Girl, i fantastici Wrathchild). Altri ancora hanno guardato e con sommo frutto al punk ed agli insegnamenti dei Motorhead, come nel caso dei Warfare di Evo e dei Plasmatics (formidabile il loro Coup d’Etat) della compianta Wendy ‘O’ Williams. Più boogie, invece, gli Starfighters e i Vardis, questi ultimi riediti su compact di recente.

Talvolta, anche se nessuno ama ricordarlo, e quasi sempre per partito preso, dalla NWOBHM sono arrivati anche gioielli di hard melodico ed AOR: non tanto gli Aragorn, quanto i seminali Praying Mantis (ancora sulla breccia, e con bellissimi lavori), i Tygers of Pan Tang del sottovalutato The Cage (MCA, 1982), gli stessi Saxon di Destiny (1988) ed in certe ballate pure i Tytan (1982-1985); ad un certo punto, da alcuni, anche i grandiosi Magnum di Birmingham (nati in realtà molto prima, tra il 1972 ed il 1976) sono stati inseriti, un po’ forzatamente, nel filone della NWOBHM, in virtù di talune trame sonore tra primi Black Sabbath e Rainbow di Rising che andavano ad infittire stupende tessiture pomp rock, di matrice talvolta emersoniana. Un discorso simile può farsi per i Nightwing, meno noti, ma comunque di valore, così come per i Tobruk e per i Grand Prix (tre LP alla Uriah Heep in carniere, ristampati dalla Lemon).
Dal pomp al progressive il passo, si sa, è breve e numerosi acts inglesi della NWOBHM flirtarono e non poco con la tradizione del prog. Tra questi i Gaskin (capaci di riecheggiare le lunghe escursioni armoniche dei Wishbone Ash di Argus), i fenomenali e da riscoprire Marquis de Sade e Triarchy (i cui filamentosi riff di tastiere e synth erano a dire poco essenziali nell’economia sonora dei brani), i Demon (passati dalle atmosfere gotiche dei primi due album a più liquidi paesaggi pinkfloydiani), i misteriosi e notevoli Dark Star (1981), la EF Band (responsabile di un oscuro heavy prog, condito di flauto, alla Jethro Tull), i Limelight (il cui esordio omonimo uscito per la Metal Heart nel 1980 si muoveva tra ELP, King Crimson e Status Quo), gli Shiva (Fire Dance, recentemente ristampato, è un gioiellino di Hi-Tech hard prog alla Rush) e gli entusiasmanti Saracen (che, con due dischi, tra il 1981 e il 1984, furono il vero anello di congiunzione fra NWOBHM e new prog alla Marillion).

In ambito traditional doom, vanno qui assolutamente segnalati i sabbathiani Legend (con tastiere), i Ritual (con tematiche legate all’occultismo), i Desolation Angels ed i più tardi Tyrant. Antesignani e padrini del black metal – sin dal 1982, ma venuti fuori con la NWOBHM – ovviamente i Venom da Newcastle.
Spesso confuso con il doom, il dark metal è in realtà una forma di heavy tradizionale che tratta nelle liriche ed a livello iconografico temi legati alla magia, all’esoterismo e alle scienze occulte. Durante la NWOBHM il dark metal, non senza richiami ai Judas Priest, nacque proprio in Inghilterra, grazie a gruppi basilari come Quartz (attivi sin dal 1977), Angel Witch (dal 1979), Satan, Cloven Hoof e Satanic Rites. Oggi il genere, sempre erroneamente confuso con il doom (e quasi mai nominato), è rinato in forma più moderna, grazie a ottime band come Evergrey, Epysode e i riformati Stormwitch (tra Europa settentrionale e Germania).
La NWOBHM ci ha dato anche gruppi epic metal (gli Overdrive), power (Dark Heart) e speed (i capostipiti Raven e gli Holocaust, adorati dai Metallica). Oggi, come si accennava, grazie alle tante riedizioni laser (alla rinfusa possiamo menzionare ad esempio Blietzkrieg, Elixir e Denigh, nonché gli irlandesi Sweet Savage, dell’immenso chitarrista Vivian Campbell, prima che entrasse nei Dio), non è più un’impresa recuperare dunque il materiale originario d’una scena davvero aurea. Scena – non genere, si rammenti – che vede anche apposite tribute-band (i Roxxcalibur, con le copertine di Rodney Matthews, hanno omaggiato, alla grande, Jaguar, Tokyo Blade, Chateaux, More, Cryer, Savage, Grim Reaper, ed i doomsters Witchfynde e Witchfinder General), ristampe anche delle mitiche raccolte di quell’epoca (tra queste, la leggendaria Metal for Muthas II, con i Trespass, Easy Money, Xero, Horse Power, Chevy e Raid, tra gli altri) e di quei gruppi (come i Damascus), che registrarono all’epoca solo singoli. Pezzi di storia, veramente.

Winterdream – Inner Lands

Bellissimo debutto per i Winterdream, duo nostrano al debutto con Inner Lands, convincente lavoro composto all’insegna di un valido symphonic/power/folk metal.

Per suonare dell’ottimo symphonic metal non è necessario avere la carta d’identità scandinava o olandese, anche nel nostro paese non mancano band dalle indubbie capacità nell’affrontare l’anima sinfonica del metal con il talento ed una innata predisposizione nel creare ambientazioni in musica che richiamano tempi andati e leggende di cui il nostro paese è ricco, essendo dal punto di vista storico il fulcro dell’intero pianeta.

Da nord a sud dello stivale ottime realtà sinfoniche si sono create il proprio spazio in un mondo come quello del metal, purtroppo ancora lontano dalla tradizione consolidata di altri paesi, ai quali musicalmente si ispirano questi due artisti campani.
Christian Di Benedetto, autore di musica e testi e alle prese con orchestrazioni, chitarra, tastiere, mix e mastering, e Margherita Palladino, splendida interprete canora, hanno dato vita con questo primo lavoro intitolato Inner Lands, ad un bellissimo affresco di metal sinfonico targato Winterdream.
L’album è composto da sei brani che si nutrono dell’epico ed evocativo incedere delle migliori proposte del genere, lo valorizzano con note folkeggianti, lo potenziano con ritmiche power e lasciano che l’eterea voce della cantante si posi come candida neve sulla radura sul tappeto musicale creato dal polistrumentista nostrano.
Broken Sword Of Isidur è il piccolo capolavoro che funge da sunto di questo primo album del duo, un brano dalle sognati basi folk con break centrale ed ultima parte in un crescendo sinfonico davvero suggestivo.
Ovviamente anche gli altri brani funzionano benissimo, da Escape From The Nightmare a Telling Tales To The Stars, tracce prettamente symphonic metal, fino alla conclusiva ed atmosferica Our Truth.
Inner Lands risulta così una piacevole sorpresa, da consigliare senza indugi agli amanti del genere.

Tracklist
1.In the Reigning Obscurity
2.Escape from the Nightmare
3.Telling Tales to the Stars
4.Winterdream
5.Broken Sword of Isildur
6.Our Truth

Line-up
Margoth (Margherita Palladino) – Vocals
Christian Di Benedetto – Keyboards, Guitars

WINTERDREAM – Facebook

Oberon – Aeon Chaser

La grandezza di Oberon risiede nel suo trattare argomenti di grande profondità, rivestendoli di una struttura musicale sicuramente ricercata ma nel contempo alla portata di un pubblico più ampio, proprio in virtù idi un afflato melodico che costituisce l’asse portante di un sound sempre ricco ed originale.

Dopo qualche anno è un vero piacere ritrovare Oberon, il quale mi incantò nel 2014 con il suo Dream Awakening, album che ne segnava il ritorno sulle scene dopo un lunghissimo silenzio.

Il musicista norvegese oggi si ripresenta dopo aver reso il suo antico progetto solista una band vera e propria, ed il risultato che ne scaturisce è un lavoro che se, da un lato, smarrisce in parte quella magia che ne ammantava il predecessore, d’altro canto acquista uno spessore più rock, con diverse divagazioni nel gothic di matrice novantiana, ovviamente in una versione riveduta, corretta ed arricchita dal talento di Bard Titlestad.
Quella che ne consegue è sempre e comunque una prova di livello sublime, grazie ad un lotto di brani affascinanti, vari e ricchi di intuizioni melodiche nei momenti più soffusi, coinvolgenti allorché il passo assume ritmi più spediti.
Inutile dire che almeno per gusto personale la preferenza va a canzoni di cristallina bellezza come To Live To Die, Worlds Apart, Lost Souls, in cui elementi neo folk si mescolano sapientemente a pulsioni cantautorali dalle reminiscenze buckleyane, andando a comporre un magnifico quadro.
Che dire poi della splendida Laniakea, in odore di progressive con il suo fluido lavoro chitarristico, della travolgente Walk In Twilight, della gotica perfezione di The Secret Fire, altri punti di forza di un album ricco dal punto di vista musicale e come sempre profondo anche a livello lirico, visto che per Bard la musica è sempre stata anche (se non soprattutto) il veicolo per esprimere le proprie elaborate convinzioni filosofiche.
Nelle note di accompagnamento si afferma che Oberon vede l’arte come un progetto sciamanico, ma la cosa che più sorprende è che tale obiettivo venga perseguito tramite una forma musicale tutt’altro che ostica o fatta da interminabili composizioni ritualistiche; la grandezza di Bard risiede nel suo trattare argomenti di grande profondità, rivestendoli di una struttura musicale sicuramente ricercata ma nel contempo alla portata di un pubblico più ampio, proprio in virtù idi un afflato melodico che costituisce l’asse portante di un sound sempre ricco ed originale.

Tracklist:
1.Omega
2.Walk In Twilight
3.To Live To Die
4.Black Aura
5.The Secret Fire
6.Worlds Apart
7.Laniakea
8.Surrender
9.Lost Souls
10.Brother Of The Order
11.Magus Of The Dunes

Line-up:
Bard Oberon: vocals, guitars, bass, keyboards, percussion
James F.: guitars
Jan Petter Sketting: guitars, percussion
Tory J. Raugstad: drums

OBERON – Facebook

METEORE: EXORCIST

Primo ed unico disco di una band misteriosissima, dietro la quale si celano in realtà gli statunitensi Virgin Steele (i nomi dei componenti degli Exorcist sono del resto palesi pseudonimi).

ExorcistNightmare Theatre

L’uscita di questo disco nel 1986 venne subito accompagnata dalla voce secondo la quale dietro alla band degli Exorcist (che in effetti nessuno aveva visto in faccia e che non si esibivano dal vivo), si celassero in realtà i newyorkesi Virgin Steele, campioni dell’epic metal e dell’hard rock più cromato di gran classe desiderosi di misurarsi con un album thrash, allora al culmine della popolarità, specie in America. La biografia ufficiale degli Exorcist affermava soltanto che il quartetto proveniva dalle terre canadesi. Da parte sua, il vocalist dei Virgin Steele, il cantante e tastierista David De Feis, non fece altro che negare ogni forma di coinvolgimento suo e dei suoi compagni d’arme. Tutti, peraltro, si convinsero della cosa, che oggi viene in buona sostanza data per assodata. Le coincidenze, d’altra parte, non erano poche: ambedue le band appartenevano alla scuderia della Cobra, erano prodotte da De Feis stesso e impiegavano il medesimo studio di registrazione, il Sonic Sound. Inoltre, dopo che Nightmare Theatre fu stampato, gli Exorcist scomparvero nel nulla: una vera meteora, insomma. Lo sfogo thrash dei Virgin Steele, ristampato giusto un anno fa dalla HR Records in edizione doppia, è da riascoltare: un thrash assai oscuro e tetro, non distante da certo horror metal di qualità, intriso di atmosfere dark e con una gran dose di occulta ferocia sonora. Detto altrimenti: un classico, con titoli e testi degni delle evil stories di King Diamond.

Track list
1- Black Mass
2- The Invocation
3- Burnt Offerings
4- The Hex
5- Possessed
6- Call For the Exorcist
7- Death By Bewitchment
8- The Trial
9- Execution of the Witches
10- Consuming Flames of Redemption
11- Megawatt Mayhem
12- Riding to Hell
13- Queen of the Dead
14- Lucifer’s Lament
15- The Banishment

Line up
Damian Rath – Vocals
Marc Dorian – Guitars
Geoff Fontaine – Drums
Jamie Locke – Bass

Clouds – Dor

I cinquanta minuti di musica contenuti in Dor sono lo stato dell’arte del death doom melodico in questo momento, in quanto mi riesce difficile immaginare altre band oggi, se non i soli Saturnus, capaci di sollecitare con la stessa continuità le corde emotive degli appassionati.

Credo d’aver già parlato più volte (magari a sproposito) dell’effetto catartico che le forme più oscure e malinconiche del doom possono rivestire nei confronti degli spiriti maggiormente sensibili, specialmente quando si ritrovano a dover mettere assieme i cocci di una fragile esistenza.

La musica è il collante ideale per provare, se non a risolvere, sicuramente a riassemblare parzialmente quanto il corso della vita sta provando a mandare in frantumi e, in tal senso, in coincidenza dell’uscita di ogni album che vede coinvolto Daniel Neagoe, sia con gli Eye Of Solitude sia con il suo più recente progetto Clouds, è un po’ come avere la possibilità di ascoltare le parole di un amico che, invece di edulcorare inutilmente la realtà, decide di mostrare tutto il dolore del modo facendo scendere lacrime liberatorie e purificatrici.
Daniel, rispetto a molti altri grandi del settore, ha una prolificità compositiva che lo contraddistingue in maniera decisiva: per fare un esempio, negli ultimi sei anni, il tempo necessario per ascoltare un nuovo (capo)lavoro degli Evoken dopo Atra Mors, il musicista rumeno con le sue due band principali ha pubblicato complessivamente ben sette full length ed un numero considerevole di ep e singoli, tutto materiale di spessore artistico incommensurabile.
Rispetto agli EOS, con i Clouds Neagoe esplora il lato più melanconico e atmosferico del doom, coerentemente con quello che era stato l’intento manifestati all’epoca dell’esordio con Doliu, ovvero quello di omaggiare la memoria di chi non è più tra noi.
Tutto questo porta il sound di un album stupendo come Dor ad essere quasi antitetico per approccio al capolavoro degli Eye of Solitude che fu Canto III: mente in quel caso il senso della tragedia e del fallimento umano, nella vana ricerca di un senso all’esistenza, era qualcosa di tangibile, quasi fisico, ed esibito in maniera mirabilmente drammatica, qui il dolore è meno intenso e più soffuso, reso sopportabile nel suo essere diluito lungo brani intrisi di splendide melodie ed interpretati magistralmente dallo stesso Daniel e dagli ospiti che, come di consueto, arricchiscono ogni lavoro targato Clouds.
I cinquanta minuti di musica contenuti in Dor sono lo stato dell’arte del genere in questo momento, in quanto mi riesce difficile immaginare altre band oggi, se non i soli Saturnus, capaci di sollecitare con la stessa continuità le corde emotive degli appassionati, i quali non potranno che essere soggiogati dalla bellezza di questi sei brani dall’incedere struggente e in grado di indurre alla commozione dalla prima nota di Forever and a Day all’ultima di Alone.
The Last Day Of Sun è un grido di dolore in cui la disperazione (No one to hear my endless story / No one to set me free) si alterna alla disillusione, una prova di sommo lirismo che Daniel ci regala, assieme alla limpidezza di When I’m Gone, in cui ritroviamo la gradita partecipazione della bravissima Gogo Melone, e all’abbandono di The Forever Sleep, interpretata magistralmente da Pim Blankenstain (Can I close my eyes / This must be the night I die / Never to wake up again / The forever sleep and no more pain).
Il finale della title track è letteralmente lacerante nel sua tragica bellezza, mentre in Alone si può apprezzare lo splendido operato della giovane violinista Irina Movileanu, il cui tocco avvicina non poco il brano agli episodi più evocativi dei sempre imprescindibili My Dying Bride.
I Clouds odierni ripropongono la line-up a forte componente rumena già vista all’opera dal vivo quest’anno che comprende, oltre all’appena citata Irina, la base ritmica dei Descend Into Despair (Alex Costin e Luca Breaz) ad accompagnare l’ormai consolidata presenza dell’altro loro compagno Xander Coza alla chitarra, ai quali si aggiunge Indee Rehal-Sagoo, il quale non collaborava in studio con Neagoe dai tempi di Canto III; non so se tutto questo abbia contribuito a rendere i Clouds (al netto della sempre gradita partecipazione dei vari ospiti) un qualcosa di più vicino che in passato all’idea di band canonica, fatto sta che Dor si rivela a mio avviso il punto più alto di una discografia già comprensiva di gemme come Doliu, Departe e lo stesso Destin, ma indipendentemente da ciò, l’importante è sapere che “l’amico” di cui si parlava all’inizio è sempre lì, pronto a renderci più sopportabili i rovesci e le sventure dell’ esistenza esibendone senza filtri la sua ineluttabile caducità.

Tracklist:
1. Forever and a Day
2. The Last Day of Sun
3. When I’m Gone
4. Dor
5. The Forever Sleep
6. Alone

Line-up:
Alex Costin – Bass
Luca Breaz – Drums
Indee Rehal-Sagoo – Guitars
Xander Coza – Guitars
Daniel Neagoe – Vocals, Guitars, Bass, Drums, Keyboards
Irina Movileanu – Violin

Guests :
Gogo Melone – vocals on 3.
Pim Blankestein – vocals on 5.

CLOUDS – Facebook

F.U.A. – Socially Transmitted Disease

Socially Transmitted Disease è una bomba sonora di punk rock/metal composta da quattordici diretti in pieno volto, travolgente e perfetto per non fare prigionieri dall’alto di un palco.

Quando si ha a che fare con la Wormholedeath non si sa mai dove si andrà a parare (musicalmente parlando).

Ecco che tra rock alternativo, metal classico, death metal, tormenti gotici e sinfonie spuntano gli olandesi F.U.A. a confermare l’assoluta varietà stilistica del roster della label.
Il quartetto orange, infatti, ci presenta il primo full length, Socially Transmitted Disease, una bomba sonora di punk rock/metal composta da quattordici diretti in pieno volto, travolgente e perfetto per non fare prigionieri dall’alto di un palco.
Capitanati dalla cantante Daphne Detleij, il gruppo è volato ai Real Sound Studio e con Wahoomi Corvi e la supervisione del boss dell’etichetta hanno dato vita a questa esplosione di suoni ispirati dal punk rock anni ottanta, ma che lascia spazio ad influenze alternative e potenza metal, per un risultato che accontenterà vari tipi di ascoltatori.
Una raccolta di brani, quindi, in cui si evidenzia questo ibrido stilistico, convincente in ogni sua parte, rock nella sua anima più ribelle e sguaiata che guarda al passato ma lascia aperte le porte a moderni input stilistici, tra impatto potente e metallico ed approccio punk rock.
L’album parte con l’opener Cheers, passa per la clamorosa Blame It On The Weed (con tanto di stacchetto reggae, che tanto sa di Clash o di Rancid) e non trova ostacoli lungo tutta la sua durata: it’s only rock ‘n’ roll direbbe qualcuno, e sicuramente tra lo spartito di Fake, I Want To It You In The Face e Make Punk Great Again troverete ottime scuse per ridurvi la fronte in un ammasso di poltiglia sanguinolenta, spaccata contro la parete a colpi di punk/rock/metal/core dei F.U.A.

Tracklist
1. Cheers
2. Blind
3. M.O.U.S.
4. Blame it on the weed
5. Fake
6. Make Punk Great Again
7. Hey, Hello!
8. Love You
9. Riot
10. I Want To Hit You In The Face
11. Fuck You Anyway
12. S.T.D.
13. Wankers in Blue
14. Psychotic

Line-up
Daphne Detleij – Vocals
Sander Pietersen – Drums
Robbert Vanderbijl (Bakkie) – Bass
Mitchell Verschoor – Guitars

F.U.A. – Facebook

The Fog Ensemble – Throbs

Throbs è un’opera che vive di emozioni e del gioco fra la poca luce e la molta oscurità e la nebbia ovviamente, quella coltre che spesso cala maggiormente dentro di noi piuttosto che fuori di noi, e che ci cela l’andamento della vita.

I The Fog Ensemble sono un gruppo greco forse fra i più originali al mondo, e non si sta esagerando.
La loro musica è una strana ed esplosiva miscela di shoegaze, post punk, minimalismo e psichedelia molto non convenzionale.

Throbs è un’opera che vive di emozioni e del gioco fra la poca luce e la molta oscurità e la nebbia ovviamente, quella coltre che spesso cala maggiormente dentro di noi piuttosto che fuori di noi, e che ci cela l’andamento della vita. Il gruppo greco usa tutti gli elementi in suo possesso per fare una musica che colpisce al cuore chi ama le distorsioni che portano la propria anima in un altro posto. Vi sono molte influenze e sono quasi tutte inglesi, perché si può dire quello che si vuole, ma la terra di Albione in quanto a distorsioni malinconiche è sempre al primo posto. I The Fog Ensemble hanno inciso il disco nello studio degli Shellac, e qualcosa anche del gruppo americano è rimasto all’interno del disco, ma la quasi totalità è opera loro. Il disco ha un andamento lento e dolcemente mortale, come un’incredibile dolcezza che ti possiede prima della fine, ci sono momenti ripetitivi e paranoici, e al contempo immense aperture melodiche che si schiudono quando meno te lo aspetti. I brani sono totalmente strumentali e ciò conferisce loro una forza che forse le parole avrebbero disperso, o forse no, ma ascoltando questi brani strumentali la meraviglia è comunque tanta. Raro è l’ascolto di un disco che non sai cosa ti possa riservare, e Throbs è una continua sorpresa, anche grazie ad un uso sapiente dell’elettronica che va a coadiuvare gli altri strumenti in maniera molto adeguata. Ogni canzone è un potenziale singolo per accompagnare dolci e tremendi momenti di smarrimento, e questo disco è un continuo perdersi dentro la musica, recuperando quel gusto antico di ascoltare un disco da capo a piedi, senza mai staccare, o solo per girare il lato. Un lavoro estremamente completo ed ipnotico, per gli amanti di varie sonorità, e soprattutto per chi apprezza la musica che scatena un vortice di emozioni.

Tracklist
01. Lighthouse
02. Droog Party
03. Fever Bliss
04. Weather Girl
05. False Moves
06. Throbs
07. Breathe

Line-up
Antonis Karakostas – Guitars,Loops,Programming
Nicholas Kondylis – Bass
George Nanopoulos – Drums

THE FOG ENSEMBLE – Facebook

Athrox – Through The Mirror

La band, dotata di una personalità debordante, ci travolge con la sua raffinata e drammatica potenza, i brani si susseguono, storie e problematiche di tutti i giorni vengono raccontate attraverso uno specchio, mentre la musica segue la narrazione tra spettacolari e cangianti momenti di metal dall’alta potenze espressiva.

Dopo due anni dal bellissimo esordio Are You Alive?, puntualmente recensito da MetalEyes, tornano tramite Revalve Records gli Athrox, band toscana che suona heavy/thrash metal dai molti ricami progressivi e dalle ispirazioni che trovano le proprie radici nel nobile e raffinato metallo statunitense.

La band, fondata dal chitarrista Sandro Seravalle e del batterista Alessandro Brandi quattro anni fa, alza il tiro con questo secondo lavoro dal titolo Through the Mirror, registrato, mixato e masterizzato presso gli studio Outer Sound Studio di Giuseppe Orlando, presentandoci dieci perle metalliche che alternano atmosfere drammatiche, sferzate di rabbioso thrash metal e splendidi momenti di raffinata musica dure progressiva.
Assolutamente all’altezza è la prova dei musicisti su cui si staglia la voce del cantante Giancarlo Picchianti, migliorato in modo esponenziale rispetto alla comunque ottima performance sul primo lavoro, che risultava più classicamente heavy rispetto a questo secondo gioiellino heavy/thrash/prog metal.
La band, dotata di una personalità debordante, ci travolge con la sua raffinata e drammatica potenza, i brani si susseguono, storie e problematiche di tutti i giorni vengono raccontate attraverso uno specchio, mentre la musica segue la narrazione tra spettacolari e cangianti momenti di metal dall’alta potenze espressiva.
Gli Athrox si fanno preferire quando l’irruenza thrash prende il comando delle operazioni, mantenendo comunque un tocco progressivo che non inficia l’ascolto anche di chi, senza tanti fronzoli, preferisce in impatto diretto (Ashes Of Warsaw, Decide Or Die), anche se l’album risulta vario ed assolutamente difficile da catalogare in un solo genere.
Meritano una menzione la progressiva opener Waters Of The Acheron, la potente Sadness n’ Tears e la conclusiva Fallen Apart, ma è l’ascolto in toto di questo lavoro che vi porterà a segnarvi la band toscana come uno dei gruppi più convincenti di questo ultimo periodo dell’anno in corso.

Tracklist
1.Waters of the Acheron
2.Ashes of Warsaw
3.Empty Soul
4.Through the Mirror
5.Imagine the Day
6.Decide or Die
7.Sadness n’ Tears
8.Fragments
9.Dreams of Freedom
10.Fallen Apart

Line-up
Giancarlo “IAN” Picchianti – Lead Vocals
Sandro “SYRO” Seravalle – Guitars
Francesco “FRANK” Capitoni – Guitars
Andrea “LOBO” Capitani – Bass Guitars
Alessandro “AROON” Brandi – Drums

ATHROV – Facebook

LE INTERVISTE DI OVERTHEWALL – FANTASIMA

Grazie alla reciproca collaborazione con la conduttrice radiofonica Mirella Catena, abbiamo la gradita opportunità di pubblicare la versione scritta delle interviste effettuate nel corso del suo programma Overthewall, in onda ogni domenica alle 21.30 su Witch Web Radio.
Questa volta è il turno dei romani Fantasima.

MC Stasera ospite un band con un sound molto particolare. Con noi Chris portavoce de i Fantasima. Come nasce questo progetto e quali sono le vostre precedenti esperienze musicali?

Il progetto nasce dal bisogno di raccontare,di raccontarsi e di dedicare uno o più momenti di silenzio e condividerli con spiriti leggeri che non hanno paura di fermarsi ed ascoltare

MC I Fantasima sono composti da tre musicisti. Citiamo anche gli altri membri del trio?

Artifex alla batteria e Maxbax al basso completano la band insieme a me, Chris, alla chitarra

MC In dialetto siciliano “fantasima” sta ad indicare uno spettro o comunque una presenza inquietante. Anche da voi è così e perché avete scelto questo nome per la band?

La “nostra” Fantasima ha le sue radici in Molise ed è molto legata alla figura della donna vampiro, questo molto prima che Bram Stoker scrivesse il suo Dracula. La donna prendeva i viandanti od i contadini i quali, impossibilitati a tornare a casa per questioni meteorologiche a tarda sera o per mettere in sicurezza i propri animali, si attardavano, trovandosi costretti a dormire all’aperto. Nelle altre regioni la sua figura è molto più leggera ma in Molise ha un forte contenuto spettrale. Artifex ed io poi siamo di famiglia sannita e questi luoghi li conosciamo e li rispettiamo da sempre.

MC Chi vi ascolta si immerge inevitabilmente in un’atmosfera quasi mistica, questa è la sensazione immediata che ho provato. Come nascono le vostre melodie e da cosa sono ispirate?

Sembrerà strano ma non nascono da jam. Parliamo molto tra noi riguardo il concept dell’album ed a questo segue un’idea che può partire dalla mia chitarra, dal basso o dalla batteria. Molto del lavoro però viene fatto da ciascuno di noi in solitudine e poi riportato e discusso durante le prove.

MC Notte è il vostro secondo lavoro discografico, pubblicato quest’anno. Parliamo di questo album che oserei definire un viaggio…

Viaggio è il termine esatto. Il viaggio notturno su un sentiero sino alle luci dell’alba, circondati dal buio, dal nulla. Resta una metafora della vita, fondamentalmente non siamo soli? Alla fine di tutto la vita non ha lieto fine. Perdiamo amici, persone care, tutto è provvisorio ma, nonostante questo, ci alziamo e lottiamo tutti i giorni. Un’incomprensibile senso di rivalsa nei confronti della decadenza di ciò che ci circonda è insita nell’animo umano. Il coraggio è nel non fermarsi, nel continuare a camminare anche nei momenti più bui, di Notte.

MC Nel brano “Dea Mia” si aggiunge al trio un altro musicista. Ci parli di questa collaborazione? Com’è nata?

Si tratta di Peter Verwimp, anima del progetto solista Ashtoreth e chitarrista dei deathers belgi Emptiness. Ci siamo incontrati online e da subito è nata una forte sintonia. La sua ambient è introspettiva, profonda, meravigliosamente pagana. Impossibile non chiedergli una sua presenza su un nostro brano. L’ha ascoltato ed accettato subito. Ne siamo felici, sembra davvero parte integrante della band. Cercate lui o Ashtoreth su Facebook, non ve ne pentirete .

MC Cosa vorreste fosse maggiormente percepito da chi ascolta la vostra musica?

Non vogliamo influenzare sensazioni ma vorremmo dall’ascoltatore che avesse la pazienza di farlo chiudendo gli occhi e lasciandosi andare. Doniamo una quarantina di minuti fuori dalla quotidianità. Quaranta minuti di benvenuto in un mondo altro.

MC Cosa c’è nel futuro dei Fantasima?

Date in promozione per il nuovo album, sicuramente, e da dopo l’estate cominceremo a pensare al terzo lavoro .

MC Dove i nostri ascoltatori possono seguirvi?

Su www.facebook.com/lafantasima troverete tutto ciò che riguarda la band. Un vostro Mi Piace e la condivisione della pagina nel suggerirla agli amici per noi sarebbe un grosso aiuto, davvero. Scriveteci, noi rispondiamo a tutti senza problemi e le sensazioni di chi ascolta o si interessa alla band vanno oltre alle vendite del nostro lavoro.

MC Grazie di essere stato con noi! A te l’ultima parola!

Grazie Mirella, grazie davvero. Permettimi di segnalare anche il link della nostra label del buon Daniele Uncino, la Hellbones Records, la quale ci ha dato una fiducia che speriamo di ripagare piano piano.

Brvmak – In Nomine Patris

In Nomine Patris risulta una valanga musicale di emozioni ed atmosfere che non lasciano scampo, grazie ad un metal estremo, oscuro, epico e progressivo, che alterna potentissime mitragliate death a ricami progressivi pregni di epica sacralità.

Testi sacri e death metal: non è sicuramente la prima volta che una band estrema crea musica per raccontare quello che l’uomo tramanda da generazioni, eppure risulta sempre affascinante questo binomio per molti inusuale.

Comporre musica per le epiche e misteriose vicende raccontate da più di duemila anni non è certo facile, ma in questo caso i Brvmak hanno fatto un lavoro eccellente e In Nomine Patris, secondo album del gruppo laziale, conquisterà non poco gli amanti del death metal progressivo ed epico.
Il gruppo, in attività da una dozzina d’anni, ha alle spalle un ep ed il primo full length intitolato Captivitas uscito cinque anni fa, lavori discreti ma sicuramente non paragonabili a questa monumentale opera composta da dieci capitoli registrati, mixati e masterizzati al Time Collapse Recording Studio di Roma da Alessio Cattaneo e Riccardo Studer (Novembre, Ade, Scuorn), con un ospite d’eccezione come Paul Masvidal dei Cynic a valorizzare un album già di per sé bellissimo.
In Nomine Patris risulta una valanga musicale di emozioni ed atmosfere che non lasciano scampo, grazie ad un metal estremo, oscuro, epico e progressivo, che alterna potentissime mitragliate death a ricami progressivi pregni di epica sacralità.
Un album che ha nella lunga e conclusiva Revelations il suo apice, una suite di quindici minuti che regala un finale spettacolare all’opera, degna conclusione e vetta di una montagna che deve essere scalata facendo proprie le varie tappe tra virtuosi cambi di tempo, atmosfere ed umori in un sound tempestato da sfuriate incastonate in attimi di tensione sempre pronta ad esplodere.
Non c’è un solo brano sotto la media in una track list che da Genesis, passando per Tetragrammaton, Oblivion e la devastante Golgota, arriva in un crescendo di emozioni ed impatto al gran finale.
Echi di Opeth, Amon Amarth e Behemoth sono esattamente quanto serve a valorizzare questo bellissimo lavoro firmato con grande personalità dai Brvmak.

Tracklist
1. Preludio Alla Genesi
2. Genesis
3. Tetragrammaton
4. Preludio All’Oblio
5. Oblivion
6. Vindictae
7. Omnipotence
8. Golgota
9. Toccata In Si Minore
10. Revelations

Line-up
Sergio Rosa – vocals, guitar, viola
Gabriele Nucci – guitars
Emanuele Lombardi – bass
Davide Tomadini – drums

BRVMAK – Facebook

1914 – The Blind Leading The Blind

Una discesa nell’inferno sulla terra originato dall’uomo in quel periodo, un’opera di una bellezza terrificante raccontata con l’aiuto dell’unica musica possibile, il metal estremo.

E anche questo 2018 che sta per concludersi ha regalato una serie di album bellissimi a chi segue le sorti del metal estremo, ai quali si aggiunge la seconda, mastodontica opera dei deathsters ucraini 1914, monicker che ricorda l’anno di inizio della grande guerra, il più terribile conflitto che la storia dell’uomo ricordi.

La band di Lviv è composta da cinque musicisti, studiosi appassionati di tutto quello che riguarda la prima guerra mondiale, fondatori del gruppo proprio per onorare tutte le vittime cadute nel conflitto.
Il primo album, licenziato tre anni fa ed intitolato Eschatology of War, mostrava già le potenzialità del quintetto ucraino, qui esplose con forza tra le trame di The Blind Leading The Blind, magnifico lavoro accompagnato da una copertina da brividi, con la morte che si aggira tra i cadaveri e i feriti provati dagli scontri, come un maligno avvoltoio in cerca di carne ed anime.
L’artwork con i suoi colori sbiaditi e d’epoca mette i brividi, così come l’intro, una canzone che arriva dal passato e nel passato ci porta, prima che Arrival. The Meuse Argonne ci travolga e ci scaraventi nell’atmosfera bellicosa, oscura, drammatica e tragica dell’opera.
Il sound dei 1914 è un death metal pregno di atmosfere soffocanti e terrorizzanti, viaggia pulito e potente, e frena mentre il pantano delle trincee raggiunge soglie dove solo il doom può spiegarne il disagio, mentre la morte gira tra le macerie ed il filo spinato, lasciandosi trasportare dalla sua crudele fame di anime con sfuriate black assolutamente devastanti ma perfettamente leggibili per merito di un lavoro perfetto in fase di produzione ed arrangiamento.
I brani sono scanditi da sfumature atmosferiche che gelano l’ascoltatore: marce di soldati, canzonette e grida disperate che sembrano arrivare a noi come un ammonimento inascoltato proveniente da un’altra epoca.
A7V Mephisto, High Wood. 75 Acres of Hell e The Hundred Days Offensive sono le tappe fondamentali di questa discesa nell’inferno sulla terra originato dall’uomo in quel periodo, un’opera di una bellezza terrificante raccontata con l’aiuto dell’unica musica possibile, il metal estremo.

Tracklist
1. War in
2. Arrival. The Meuse-Argonne
3. Passchenhell
4. A7V Mephisto
5. High Wood. 75 Acres of Hell
6. Hanging on the Old Barbed Wire
7. Beat the Bastards (The Exploited cover)
8. C’est Mon Dernier Pigeon
9. Stoßtrupp
10. The Hundred Days Offensive
11. War Out

Line-up
Ditmar Kumar – Vocals
Liam Fessen – Guitars
Vitalis Winkelhock – Guitars
Armin von Heinessen – Bass
Rusty Potoplacht – Drums

1914 – Facebook

Selvans – Faunalia

Tutte le canzoni sono magnifici affreschi tutti diversi fra loro, attraverso i quali si viene trasportati in una dimensione dove le nostre tradizioni sono ancora vive, anche quelle più crudeli e demoniache, perché noi siamo degli animali.

La natura, soprattutto quella animale, è la nostra vera casa, ed il cristianesimo ha rotto questo stretto legame, che si è totalmente dissolto con la nostra epoca giustamente chiamata antropocene.

Il nuovo lavoro degli italiani Selvans, chiamato Faunalia, è qui per ricordarci tutto ciò e riportarci sulla retta via: trattasi di un’ulteriore evoluzione del loro avanguardistico black metal, che con questo disco travalica i confini del genere. Infatti l’azzeccato sottotitolo è A Dark Italian Opus, ed infatti è un nero viaggio nel nostro immaginario, nei nostri boschi, nelle nostre tradizioni popolari, con i nostri animali che ci ricordano chi siamo in realtà, ed è qualcosa di ben diverso da questo sentimento moderno che imperversa ovunque. Il duo usa il black metal come codice di partenza per andare a creare un suono che sfocia, in alcuni momenti, nel neo folk e nella musica tenebrosa. Il suono dei Selvans è sempre cangiante ed interessante, vi troviamo il black metal italiano della nuova specie, momenti più classici sottolineati da un organo importante e sempre puntuale, e poi ci sono forti inserti di neo folk con l’introduzione di strumenti tipici. Non c’è posto per la confusione in questo progetto, la direzione è sempre in avanti, il disco è di alto livello e rientra pienamente nella nuova stirpe del black italiano, dove Donwfall Of Nur, Progenie Terrestre Pura, Earth And Pillars ed altri stanno facendo qualcosa di davvero importante, trasmutando il black metal in qualcos’altro, in pieno spirito alchemico. Ascoltando Faunalia si può addirittura parlare di progressive, perché le canzoni sono concepite in maniera non circolare, ma è un continuo avanzare verso nuovi territori. Tutte le canzoni sono magnifici affreschi tutti diversi fra loro, attraverso i quali si viene trasportati in una dimensione dove le nostre tradizioni sono ancora vive, anche quelle più crudeli e demoniache, perché noi siamo degli animali.

Tracklist
1. Ad Malum Finem
2.Notturno Peregrinar
3.Anna Perenna
4.Magna Mater Maior Mons
5.Phersu
6.Requiem Aprutii

Line-up
Haruspex – vocals, keyboards, traditional instruments
Fulguriator – guitars, bass

SELVANS – Facebook