Burning Rain – Face The Music

I Burning Rain hanno dato vita all’ennesimo grande album di hard rock classico, colmo di belle canzoni, suonato e cantato divinamente, piazzandosi tra le migliori uscite di questo anno ricco di soddisfazioni per gli amanti del genere.

Dough Aldrich è probabilmente uno tra i tre chitarristi hard rock più importanti ed influenti oggi in attività.

Il suo curriculum, che conta band straordinarie come Dio e Whitesnake e altre che gli appassionati ricorderanno per una manciata di album bellissimi (Revolution Saints su tutte), si è ulteriormente impreziosito dopo gli album con quella macchina da guerra hard rock che risponde al nome di The Dead Daisies.
Ora il chitarrista statunitense, a riposo con i Daisies, torna a far parlare di sé con i Burning Rain, band arrivata al quarto album e che non produceva più musica dal 2013, anno di uscita dell’ultimo Epic Obsession.
Affiancato dal carismatico cantante Keith St. John, un altro personaggio che di rock duro ne sa tanto (Kingdom Come, ex-Montrose) e dalla sezione ritmica composta dal bassista Brad Lang (Y&T) e il batterista Blas Elias (Slaughter), Aldrich impartisce un’altra lezione di hard rock con una raccolta di brani fiammeggiante, una tempesta di sonorità classiche di livello assoluto che confermano l’ottimo momento di forma del genere.
Face The Music incolla letteralmente alla poltrona, sempre che si riesca a stare seduti quando il riff di Revolution apre le danze, seguito da una Lorelei che unisce The Dead Daisies e Whitesnake in un’unica terremotante hard rock song.
Ketih St. John è un Coverdale in overdose da anfetamina, un animale che fa il bello e cattivo tempo su un sound robusto e graffiante, dal grande appeal in brani trascinanti come Midnight Train, la title track e Beautiful Road, autentiche gemme di questo lavoro.
Ma c’è ancora da godere tra le trame hard blues di Hit And Run e Since I’m Loving You, traccia in cui il singer gioca a fare il Plant d’annata.
I Burning Rain hanno dato vita all’ennesimo grande album di hard rock classico, colmo di belle canzoni, suonato e cantato divinamente, piazzandosi tra le migliori uscite di questo anno ricco di soddisfazioni per gli amanti del genere.

Tracklist
1. Revolution
2. Lorelei
3. Nasty Hustle
4. Midnight Train
5. Shelter
6. Face The Music
7. Beautiful Road
8. Hit And Run
9. If It’s Love
10. Hideaway
11. Since I’m Loving You

Line-up
Doug Aldrich – Guitars
Keith St. John – Vocals
Brad Lang – Bass
Blas Elias – Drums

BURNING RAIN – Facebook

Firespawn – Abominate

Abominate arriva a segnare questo inizio d’estate del 2019, a conferma delle indubbie capacità del gruppo e della ritrovata salute del death metal classico di matrice scandinava.

Quello che poteva passare per uno dei tanti super gruppi da uno o due lavori lanciati come missili nel mondo metallico, per poi sparire nell’oblio delle tante collaborazioni dei suoi protagonisti, torna con un altro macigno sonoro, un monumentale album di death metal scandinavo intitolato Abominate.

I Firespawn arrivano al traguardo del terzo album, dopo il debutto del 2015 intitolato Shadow Realms ed il bellissimo The Reprobate, licenziato un paio di anni fa, ed entrato di prepotenza tra le migliori releases in campo death di quell’anno.
Ora il mitico growl di LG Petrov (Entombed) accompagnato da Alex Impaler al basso (Necrophobic e con i Naglfar in sede live), Victor Brandt alla chitarra (Entombed A.D.) a far coppia con Fredrik Folkare (Unleashed, Necrophobic) e Matte Modin alla batteria (Raised Fist, ex-Dark Funeral, ex-Defleshed) si staglia su altri undici possenti brani che formano questo monumento al death metal scandinavo.
Una bomba Abominate, un’esplosiva e terremotante eruzione vulcanica che forma colate di lava distruttiva, una tempesta di cenere, maremoti e tsunami, un’apocalisse estrema che non trova soluzione di continuità.
Petrov continua dopo anni a incidere con il suo inconfondibile latrato disumano al servizio dell’ennesima raccolta di brani di altra categoria, assecondato da un gruppo di musicisti che mettono la firma su una track list che non conosce pause.
Abominate per chi conosce il genere non è una sorpresa, questo è bene chiarirlo, perché i Firespawn portano avanti un modo di fare musica estrema radicato nella storia del genere e il loro tellurico sound è erede di quei gruppi che hanno fatto scuola, storia e leggenda, a cominciare ovviamente dagli Entombed di Left Hand Path e Clandestine.
The Gallows End apre le ostilità e veniamo quindi travolti dal furore del quintetto svedese, tra accelerazioni, rallentamenti, ritmiche telluriche, solos ricchi di melodie che sanguinano sotto le corde tirate allo spasimo dai due chitarristi, con la title track, The Great One, The Hunter e The Undertakers non lasciano scampo.
Abominate arriva a segnare questo inizio d’estate del 2019, a conferma delle indubbie capacità del gruppo e della ritrovata salute del death metal classico di matrice scandinava.

Tracklist
01.The Gallows End
02.Death And Damnation
03.Abominate
04.Heathen Blood
05.The Great One
06.Cold Void
07.The Hunter
08.Godlessness
09.Blind Kingdom
10.The Undertaker
11.Black Wings Of The Apokalypse

Line-up
LG Petrov – Vocals
A.Impaler – Bass
Victor Brandt – Guitar
Fredrik Folkare – Guitar
Matte Modin – Drums

FIRESPAWN – Facebook

Heavy Feather – Débris & Rubble

Gli Heavy Feather centrano il bersaglio con questo debutto in arrivo da una terra che si sta sempre più imponendo come fucina di gruppi importantissimi per il ritorno in auge di queste storiche sonorità.

Più che ai Led Zeppelin, (influenza primaria di molte delle nuove leve dell’hard rock vintage), con gli svedesi Heavy Feather ci si avvicna alla musica del Free e dei Bad Company, gruppi che hanno avuto come comune denominatore il vocalist Paul Rodgers.

Ma non solo, un’attitudine southern ispirata dai Lynyrd Skynyrd fa di questo ottimo Débris & Rubble le un interessantissimo lavoro per tutti gli amanti del rock settantiano venato di southern ed atmosfere roots.
La prestazione al microfono della brava singer Lisa Lystam alza ancora più in alto il gradimento per un album che regala emozioni mai sopite, provenienti dalla stagione più importante nella lunga storia del rock.
Una raccolta di brani davvero molto belli, aperti dalla forte e potente title track, ma che non cede nel suo prosieguo, alternando quadri rupestri, accenni neanche troppo velati al blues rock (Bad Company) ed atmosfere scaldate dal sole di un’America sudista raccontata brani come Tell Me Your Tale o Hey There Mama.
Gli Heavy Feather centrano il bersaglio con questo debutto in arrivo da una terra che si sta sempre più imponendo come fucina di gruppi importantissimi per il ritorno in auge di queste storiche sonorità.

Tracklist
1. Débris & Rubble
2. Where Did We Go
3. Waited All My Life
4. Dreams
5. Higher
6. Tell Me Your Tale
7. Long Ride
8. I Spend My Money Wrong
9. Hey There Mama
10. Please Don’t Leave
11. Whispering Things

Line-up
Lisa Lystam – Vocals
Matte Gustavsson – Guitars
Morgan Korsmoe – Bass
Ola Göransson – Drums

HEAVY FEATHER – Facebook

Green Oracle – Green Oracle

I brani sono tre viaggi che fanno parte di un disegno più grande che ognuno coglierà in maniera diversa, perché qui si va a toccare il subconscio profondo di ognuno

I Green Oracle sono uno di quei gruppi che appartengono alla schiera degli sciamani musicali, iniziati che mettono in musica riti per accedere a dimensioni diverse dalla nostra.

Il disco omonimo è il loro debutto, esce per Argonauta Records e le tre canzoni sono già un proclama fin dai titoli, Please, Do, Hallucinogens. E infatti la loro musica è molto forte ed evocativa, con lunghe jam che sono canali di chiamata per spiriti interdimensionali ma che, alla fine, hanno lo scopo ultimo di cambiarci e di non lasciarci come prima. Musicalmente non ci sono frontiere ma solo limiti da superare, la musica è totale e avviluppa ogni cosa con potenza e dolcezza. Di fondo si potrebbe definirli degli Zu maggiormente rituali e profondi, ad esempio i giochi che fanno con le voci sono profondamente sciamanici, un esempio di qualcosa di molto antico che giace ancora dentro di noi se lo si vuole guardare. Le litanie musicali di Green Oracle sono vicine alla tradizioni ritual doom, ma vanno oltre. Le canzoni qui diventano altro, mutando a seconda delle intenzioni plasmatrici del creatore, offrendo una visione della musica rituale a trecentosessanta gradi. Sono presenti in maniera molto interessante e feconda dei sintetizzatori, che sono dei mezzi molto adeguati per indurre una trance. Incredibili anche le sezioni delle canzoni in cui le chitarre in drone si uniscono con le percussioni. La produzione è primitiva e raccoglie tutto il furore e l’urgenza di composizioni che vanno oltre la forma canzone. I tempi si dilatano e il sangue scorre meno velocemente, mentre il nostro cervello acquista potere ed una superficie psichica maggiore. Sono tre viaggi che fanno parte di un disegno più grande che ognuno coglierà in maniera diversa, perché qui si va a toccare il subconscio profondo di ognuno. Una bella congiunzione fra musica rituale e musica pesante, operata da un collettivo che ha ottime idee.

Tracklist
1. Please
2. Do
3. Hallucinogens

Line-up
Thomas Santarsiero
Matteo Anguillesi
Vanni Anguillesi
Giulia Mannocci

GREEN ORACLE – Facebook

Krypts – Cadaver Circulation

Titolo appropriato per un’opera di death doom fangosa, gelida e putrescente.I Krypts, al loro terzo album, si dimostrano ispirati e dannatamente angoscianti.

Il metallo della morte e la Dark Descent proseguono il loro insano rapporto per portare ai nostri padiglioni auricolari quanto di meglio il panorama death mondiale possa proporre; avvicinarsi al catalogo della label americana per un cultore dell’estremo significa rimanere estasiati e sconvolti dalla bontà delle proposte e io non ricordo una solo opera che non mi abbia soddisfatto appieno.

Anche stavolta il piatto proposto è cucinato con ingredienti di alta qualità e i finlandesi Krypts, già dal 2013 attivi per questa etichetta con Unending Degradation, ci riportano in territori death costantemente affogati in putrescenze doom; nessun lato melodico classicamente inteso, qui la materia è carnale,viscerale , la morte si stacca letteralmente da ogni nota e ci fa sentire il suo fetore. Il quartetto finlandese, da sempre guidato dal vocalist e bassista Antti Kotiranta, ci ha sempre nutrito con questa malsana miscela sonora dove la pesantezza e la soffocante lentezza rendono l’aria irrespirabile e priva di luce e anche questa volta ci offrono un trip similare, in cui sono amalgamati ed equliibrati al meglio tutti gli ingredienti usati. Rispetto al precedente e notevolissimo Remnants of Expansion del 2016, forse, ma si tratta di minuzie, la direzione sonora è appena più ragionata, non mancano momenti più classicamente death come l’inizio di Sinking Transient Waters ma la matrice sonora rimane sempre quella sinistra e terrificante del death doom, le cui decelerazioni fangose e glaciali fanno accapponare la pelle e raggelare il sangue.Un brano come Echoes Emanate Forms, con il suo lento e inesorabile incedere, tramortisce ogni resistenza. Questa è musica che ha il compito di aprire portali dove orrori soprannaturali attendono di poter passare; la band conosce molto bene la materia, è sempre ispiratissima e in scarsi quaranta minuti colpisce senza fare prigionieri. Siamo in terre battute in passato da acts quali Incantation e dai greci Dead Congregation nei loro momenti più lenti e riflessivi, il tutto condito da melodie malsane, paludose e ferali come solo in Finlandia riescono a creare (ricordiamoci di Hooded Menace e Swallowed). Sei brani di media lunghezza con punte notevoli in Vanishing, immane allucinazione, e Circling the Between, glaciale e misteriosa nel suo sviluppo. Altra grande conferma per questi artisti finlandesi: bisognerà ricordarsi anche di loro nelle classifiche di fine anno.

Tracklist
1. Sinking Transient Waters
2. The Reek of Loss
3. Echoes Emanate Forms
4. Mycelium
5. Vanishing
6. Circling the Between

Line-up
Jukka Aho – Guitars
Otso Ukkonen – Drums
Ville Snicker – Guitars
Antti Kotiranta – Vocals, Bass

KRYPTS – Facebook