Gli Aborym sono da oltre un decennio una realtà consolidata nel versante più sperimentale del metal. Fabban ha sviluppato un percorso musicale del tutto personale arrivando a una forma di black avanguardistico con il quale ha mostrato in ogni sua uscita un volto diverso rispetto al precedente lavoro.
Parlando di Dirty, si nota subito che possiede sembianze meno claustrofobiche rispetto a “Psychogrotesque” (2010), essendo stata abbandonata la componente ambient a favore del versante elettronico del sound. Il risultato è una creatura multiforme, in grado di passare in pochi secondi da sfuriate di black old style a passaggi dove ritmiche di matrice EBM si impadroniscono della scena, quasi mai però in maniera definitiva: quest’alternanza costante delle atmosfere è un autentico marchio di fabbrica della band italiana.
Dirty martella implacabilmente per tutti i suoi cinquanta minuti di durata, rivelandosi un’esperienza imperdibile per gli ascoltatori dalla mentalità più aperta: infatti, chi ha la fortuna di avere nelle proprie corde generi come il black, l’industrial e l’elettronica avrà di che divertirsi.
Peraltro, nonostante un impatto tutt’altro che rassicurante, non è azzardato affermare che questo lavoro forse è anche quello (relativamente) più immediato che gli Aborym abbiano mai composto, considerando che ogni traccia possiede passaggi che riescono a fare centro anche dopo pochi ascolti.
Il brano che meglio può sintetizzare il contenuto di Dirty è, probabilmente I Don’t Know, che in meno di cinque minuti mostra la versatilità di Fabban e soci: un avvio all’insegna di un blast-beat furioso sovrastato da una base elettro-black da paura, un breve rallentamento con clean vocals, ripartenza e chiusura affidata ad un evocativo assolo di chitarra.
Il valore aggiunto del lavoro è, pero, quello di possedere una sua unicità, oltre ad una qualità che chi si è cimentato in questa forma musicale raramente ha raggiunto, o perché indulgendo troppo sul versante elettronico e sperimentale oppure esibendo una vocazione caciarona e smaccatamente alla ricerca di soluzioni ad effetto. Ciò che traspare da quest’album è la rappresentazione di un malessere globale, che non risparmia alcun appartenente al genere umano, il cui destino sembra segnato in maniera ineluttabile; ma gli Aborym scelgono di non piangersi addosso bensì di reagire esibendo un feroce quanto amaro disincanto.
Dalla Irreversible Crisis (economica ma ancor più di valori) che attanaglia “questo mondo che ci vuole fottere” come ripete ossessivamente Fabban nel brano d’apertura, il percorso attraverso le macerie di un’umanità allo sbando non può che concludersi con l’estinzione della stessa e la fine del pianeta che l’ha ospitata, quasi una liberazione sancita da The Day The Sun Stop Shining .
Gli Aborym confermano con questo loro sesto disco il raggiungimento di uno status di tutto rispetto conquistato grazie a dischi talvolta accolti in maniera controversa, tutti accomunati però da una mai sopita voglia di sperimentare soluzioni non convenzionali.
Da segnalare anche la presenza di un secondo cd contente due tra i brani più noti dei nostri in versione riarrangiata, oltre ad alcune cover tra le quali citerei “Hurt” , brano dei Nine Inch Nails noto anche per la sua struggente interpretazione fornita da Johnny Cash.
Tracklist :
Disc 1
1. Irreversible Crisis
2. Across the Universe
3. Dirty
4. Bleedthrough
5. Raped by Daddy
6. I Don’t Know
7. The Factory of Death
8. Helter Skelter Youth
9. Face the Reptile
10. The Day the Sun Stop Shining
Disc 2
1. Fire Walk with Us (new version)
2. Roma Divina Urbs (new version)
3. Hallowed Be Thy Name (Iron Maiden cover)
4. Comfortably Numb (Pink Floyd cover)
5. Hurt (Nine Inch Nails cover)
6. Need for Limited Loss (new track)
Line-up :
Fabban – Bass, Keyboards, Vocals
Faust – Drums
Paolo Pieri – Guitars, Keyboards, Programming