Diĝir Gidim – I Thought There Was the Sun Awaiting My Awakening

Da un luogo “sconosciuto” notevole esordio di incompromissorio e magmatico black metal.

Entità aliene provenienti da lontani mondi, demoni sputati fuori da innominabili profondità, questo il quesito che mi sono posto ascoltando i Diĝir Gidim, duo proveniente da un luogo ignoto, che esordisce dal nulla con un opus misterioso, affascinante, per nulla di facile ascolto.

L’unica notizia è che uno dei due musicisti, Lalartu, ha esordito nel 2016 con il suo progetto black ambient Titaan, mentre Utanapistim Ziusudra, che suona tutti gli strumenti, è del tutto sconosciuto. La label italiana ATMF, sempre attenta nella ricerca di nuove emozioni black metal, li fa esordire con un full di quattro lunghe composizioni all’insegna di un black metal intenso, magmatico, cangiante, ritualistico, devoto al fascino di antichi mondi, in questo caso la Mesopotamia; il Diĝir è un simbolo cuneiforme che rappresenta la suprema divinità Anu deus otiosus, mentre Gidim rappresenta l’ombra o lo spirito della persone morte; già altre band hanno subito il fascino delle Civiltà Egizie, vedi Nile e Melechesch, ma con i Diĝir Gidim il tutto, sia a livello concettuale che a livello musicale, si spinge maggiormente in profondità scavando a fondo e generando gelide emozioni in chi si vorrà far trasportare in questo flusso infinito di note e vocals straziate.
I quattro lunghi brani costituiscono un flusso costante e continuo in cui ritualistici cori, scream feroci e incompromissori, note dissonanti di chitarre si inseguono, si confondono per creare un massa incandescente dove alcune linee melodiche sono talmente oscure da atterrire l’ascoltatore; il termine estremo in questo caso assume, per chi vi si avventura, un effetto assolutamente catartico. Le spire gelide di vortici impazziti nell’oscurità infernale del primo magnifico brano si collegano, si amalgamano con cori di dei ancestrali, adorati ma non capiti, in un continuum senza luce né speranza, in abissi infiniti dove non vi è alcun filtro ma solo nichilismo assoluto: la presenza di un dio autoritario e vendicativo nega a menti schiave qualunque forma di ribellione e affrancamento. Il sound, che trova la sua genesi nei Deathspell Omega, nei Blut Aus Nord, è ribollente, non conosce pause liberatorie, tutto si stratifica, si attorciglia, si fonde e lascia alla fine dell’ascolto una sensazione di spossante purificazione. Da assimilare a piccole dosi, ma assolutamente da sentire!

TRACKLIST
1. The Revelation of the Wandering
2. Conversing with the Ethereal
3. The Glow Inside the Shell
4. The Eye Looks Through the Veils of Unconsciousness

LINE-UP
Utanapištim Ziusudra – All instruments and Music
Lalartu – Vocals and lyrics

DIGIR GIDIM – Facebook

src=”https://bandcamp.com/EmbeddedPlayer/album=2322564852/size=small/bgcol=ffffff/linkcol=0687f5/transparent=true/” seamless>I Thought There Was the Sun Awaiting My Awakening by DIGIR GIDIM

Opprobre – Le Naufrage

Un plauso alla scena transalpina che continua a far nascere band che conoscono l’arte di emozionare.

Sembra un anno significativo per il black metal miscelato con il post black! Alla conferma dei The Great Old Ones si aggiunge l’esordio di questa giovane band, Opprobre, francese di Montpellier composta da quattro musicisti, derivanti da band come Mysticisme e Antropofago, che hanno esordito nel 2016 con il singolo Abysses in digital download e ora sulla label francese Endless Decrepitude Productions, fanno uscire Le Naufrage interamente cantato in francese, con copertina suggestiva e splendida raffigurante il dipinto del 1842, Snow Storm, dell’artista William Turner.

La proposta musicale appare già matura nell’elaborare un black metal sia raw che melodico, impastandolo con suoni post black/ dark per creare un profondo mood atmosferico ricco di pathos decadente e oscuro; l’assenza di soli, un suono di bass guitar ben presente e intarsi di piano e keyboard fanno risaltare l’arte della band transalpina. Fin dall’opening track Discerner, introdotta da rumori di vento e onde perigliose, ci si inabissa in un viaggio “ignoto” su dolenti note di keyboard, mentre in Abysses il veliero beccheggia e mostri marini gonfiano l’oceano mai sazio di tributi umani. La prima delicata parte di Inconnue, punteggiata da impressionistiche note di piano, ci conduce verso sferzanti note black cariche di primitivi istinti dove dei vendicativi pretendono continui sacrifici umani: qui lo scream esibito è particolarmente acido e ficcante, mentre il guitar sound è realmente evocativo. La title track, uno dei brani migliori, distilla puro black metal in mid tempo, creando paesaggi sonori in cui la mente è incatenata in assurdi e liquidi incubi. Ulteriore menzione per il brano finale Danse Catatonique, che con i suoi dieci minuti porta a definitivo compimento l’opera dove un io immobile agli eventi attende inerme una fine nel nulla, poiché nulla é sempre stato. In definitiva, un plauso alla band francese autrice di un buon lavoro che non entrerà nelle classifiche di merito di fine anno, ma che rappresenta una delle tante piccole pepite rinvenute durante le nostre ricerche musicali.

TRACKLIST
1. Discerner
2. Abysses
3. L’Inconnue,
4. L’Inconnue, Pt. 2
5. Opprobre
6. Sensitive
7. Danse catatonique

LINE-UP
Cyril – Bass
Clément – Drums, Guitars, Synth
Vincent – Guitars, Vocals (lead)
Olivier – Guitars, Synth, Vocals

OPPROBRE – Facebook

Mosaic – Old Man’s Wyntar

Supreme Thuringian Folklore …come spesso accade nell’underground si celano grandi realtà per “open-minded people”.

Spettacolare riedizione (la quarta in tre anni) da parte della tedesca Eisenwald dell’ep Old Man’s Wyntar dei Mosaic, che in realtà nascondono le gesta musicali di un solo artista, Inkantator Koura, accompagnato da altri musicisti (Leshiyas, Scorpios, Maya e altri).

Le tre precedenti edizioni non sono neanche lontanamente paragonabili alla magnificenza dell’ attuale packakging in A5 digibook con testi tedesco e inglese, con intervista all’artista e storia del concept; inoltre, per rendere imperdibile il tutto e’ stato aggiunto un terzo capitolo intitolato Joyful reminiscense and sacred eyes. Inkantator Koura narra di un concept riguardo a winter journey through ancient mysticism and bittersweet darkness e lo fa creando un masterpiece, stratificando suoni black metal, neofolk, ambient, experimental trascinando l’ascoltatore in un vortice di emozioni varianti dall’ incanto alla melanconia, dall’orgoglio alla oscurità, dalla disperazione alla estasi. L’opera alterna momenti folk e neo folk struggenti e dolorosi con parti black raramente esasperate o ritmicamente forsennate, ma cariche di fierezza e disperazione; la struttura è complessa a formare una materia cangiante che sfida l’ascoltatore ad entrare in un regno di freddo e oscurità omaggiante la stagione invernale. L’opera originaria, edita nel 2014, nelle parole dell’autore intesa come un omaggio a Paysage d’Hiver, entità guidata da Wintherr (ora anche nei Darkspace), si divide in due capitoli: il primo, Awakening & Snowfall, inizia con Incipit:Geherre, una litania ovattata sferzata da un gelido vento, per poi proseguire con Onset of Wyntar, brano a tinte black molto atmosferico con Inkantator che declama le sue lyrickal magick.
Il terzo brano Im Winter, che conclude il primo capitolo, profuma di immobili e infiniti ghiacci e mi ha ricordato echi, probabilmente non voluti, di una leggenda Krauta di acidfolk, gli Amon Duul II (qualche vecchio ascoltatore ricorderà); il secondo capitolo, …of Magick and Darkness, presenta Snowscape, un breve viaggio guidato da una tersa melodia,White gloom, un fiero inno black come un lupo in cerca di prede da dilaniare, mentre in the darkness the wind still blows… e Black Glimmer, spettrale e salmodiante racconto ricco di tensione per un posto in cui …nothing shall be green here, for as long as winter reigns. Il terzo capitolo, Joyful reminiscense and sacred eyes, presenta altri tre brani che completano il concept, Silent world, holy awe, oscuro e acido folk rock ,Vom ersten schnee/a tale of mother Hulda dove una nonna, su note molto malinconiche, narra al nipote l’origine della neve; il finale Silver Nights, della durata di circa venti minuti (l’opera dura in tutto molto più di un’ora) chiude su intense, atmosferiche ed epiche note black un lavoro molto particolare, originale, di non facile assimilazione e, come chiosa Inkantator, …for candid, open minded people that take an umbiased approach to music and don’t need to sort everything into stereotyped thinking.

TRACKLIST
1.Incipit: Geherre
2.Onset of Wyntar
3.Im Winter
4.Snowscape
5.White Gloom
6.Black Glimmer
7.Silent World, Holy Awe
8.Vom ersten Schnee
9.Silver Nights

LINE-UP
Inkantator Koura – all instruments and vocals

MOSAIC – Facebook

Fen – Winter

Opere che emozionano cosi profondamente sono perle rare che non possiamo perdere.

Ritornano gli albionici Fen con il loro quinto full a tre anni di distanza da “Carrion Skies”, un altro meraviglioso opus, intriso di quella oscura vena malinconica, figlia diretta della paludosa zona dell’est dell’Inghilterra da cui provengono, le Fenland.

Il trio inglese, attivo dal 2007, continua ad elaborare un suono che si bilancia sempre meglio tra intuizioni post-rock e influssi black metal creando un equilibrio che ha pochi eguali; la nuova opera Winter, dalla copertina, come al solito, evocativa e dalle tinte pastello si dipana per una abbondante ora in sei movimenti (Pathway, Penance, Fear, Interment, Death, Sight) che descrivono il senso di perdita e l’eterno dilemma vita – morte, conducendo noi ascoltatori a un profondo viaggio interiore ricco di contrasti e dubbi; l’opera nella sua alternanza di atmosfere tristi, meditative e momenti black condotti con grande maestria da una solida sezione ritmica, da un guitar sound convinto e variegato e da uno scream incisivo, ha bisogno di essere centellinata con molti attenti ascolti perché, ad un approccio superficiale non rivela la sua alta qualità.
Le atmosfere suggestive sono molteplici, passando dall’ opener di diciassette minuti, Pathway, dove anime sferzate da tormente di neve urlano la loro ribellione all’infinito, al viaggio introspettivo di Fear dove una circolare melodia si infrange su stalattiti black affilate e disperate; l’urlo feroce di Death non lascia scampo e ci trasporta velocemente verso una “blessed death”, mentre i delicati arpeggi tinteggiati di ambient di Sight si aprono in una ultima decisa cavalcata che conclude un lavoro superbo … I Surrender, I Descend, I Dissolve, I End.
Da ricordare a lungo .

TRACKLIST
1. I (Pathway)
2. II (Penance)
3. III (Fear)
4. IV (Interment)
5. V (Death)
6. VI (Sight)

LINE-UP
Grungyn Bass, Vocals
The Watcher Guitars, Vocals
Derwydd Drums, Percussion

FEN – Facebook

Red Harvest – HyBreed

The Soundtrack to the Apocalypse: ristampa fondamentale per una band geniale e avvincente, da maneggiare con cura …

Ogni anno il mondo musicale è sommerso da grandi quantità di materiale e diventa sempre più difficile, anche per chi si diletta come “cercatore d’oro”, seguire tutte le uscite, nuove o ristampe che siano; in questo caso rischia di passare inosservata la reissue di un autentico capolavoro della leggenda underground norvegese Red Harvest, band attiva fin dal lontano 1989 con il demo Occultica, con il suo suono claustrofobico figlio di commistioni industrial, death, doom e ambient.

La ristampa in questione, Hybreed, presentata in un elegante confezione accompagnata da una copertina virata rosso deserto e con un secondo cd contenente un concerto reunion del 2013, presenta il loro apice creativo, anche se i successivi quattro full esalteranno e completeranno il loro percorso artistico. L’opera, uscita nel 1996 per Voices of Wonder, si articola su undici brani che presentano un grande varietà di suoni miscelati sapientemente tra loro, a partire dal opener Mazturnation, breve, ma intenso urlo ribelle di entità aliene alla natura bizzarra, per poi proseguire con il lento cammino di un’anima ruggente in Lone Walk; l’incipit di questa opera è già magistrale ma è con il prosieguo dei brani che si rimane stupefatti di fronte alla magnificenza regalataci da cinque grandi artisti: Mutant, urgente messaggio da un futuro graffiante e oscuro, After All, quattro minuti in cui sembrano scontrarsi oscuri eserciti di anime bruciate che ci narrano di inferni micidiali, l’oasi elettroacustica lugubre e metropolitana di Ozrham, screziata da fredde percussioni anticipa lo zenith On sacred ground, dove una maestosa melodia si apre lentamente in un mondo pesante, plumbeo e greve: un brano veramente magnifico! La materia fluttuante e le cascate laviche che accompagnano The Harder they fall trovano fugace quiete nell’ottavo brano Underwater, dove il lento salmodiare è squarciato da strali improvvisi di oscura luce; gli ultimi tre brani, Monumental, In deep (sinistra ambient) e The Burning wheel, portano a completa sublimazione l’arte di una band che tanto ha dato e poco o niente ha ricevuto. Ripetuti ascolti porteranno assuefazione e gioveranno allo spirito in questi tempi privi di certezze; la promessa da parte della band di un comeback discografico nel 2017 ci lascia speranzosi di poter ascoltare altre meraviglie.

TRACKLIST
1.Maztürnation
2.The Lone Walk
3.Mutant
4.After All…
5.Ozrham
6.On Sacred Ground
7.The Harder They Fall
8.Underwater
9.Monumental

CD2
1.In Deep
2.The Burning Wheel
3.Live BlastFest 2016
4.Omnipotent
5.The Antidote
6.Hole in Me
7.Godtech
8.Cybernaut
9.Mouth Of Madness
10.Sick Transit Gloria Mundi
11.Absolut Dunkel-Heit

LINE-UP
Jimmy Bergsten – Vocals, Guitars, Keyboards
Cato Bekkevold – Drums
Thomas Brandt – Bass
Ketil Eggum – Guitars
Lars Sørensen – Samples, Keyboards

RED HARVEST – Facebook

Bathsheba – Servus

“Open your eyes,open your mind”un gioiello di heavy,dark doom da una giovane realta’che promette meraviglie.

Un grande, atteso, esordio quello dei Bathsheba, quartetto dedito a un evocativo, atmosferico effluvio di arte doom.

Nati nel 2014 e già autori di un demo e di un EP (Sleepless Gods), i belgi arrivano sulla magnifica Svart Records a questo opus di spettrale heavy doom: i testi si immergono in storie di occultismo e il loro suono è imbevuto di pura arte doom con un suono denso, avvolgente, lento, spirituale già a partire dall’opening Conjuration of Fire, che scalda gli animi preparandoci a ulteriori meraviglie; queste immediatamente emergono dal secondo brano Ain Soph dove un inizio dalle forti tinte black si sfibra in un arcigno heavy doom accompagnato dalla voce di Michelle Nocon, vocalist anche nei Death Penalty di Gaz Jennings, chitarra dei mai dimenticati Cathedral, che intona litanie sinistre modulando le sue vocal su toni ora aspri ora soavi, e la presenza di un sax accresce e arricchisce l’atmosfera opprimente creata dalle chitarre per un brano notevole da ascoltare a lungo.
Le altre quattro tracce sono ricche di sfumature, sempre rimanendo all’interno della musica del “destino”, con la ammaliante voce di Michelle che può ricordare Jex Thoth, altra grande female vocalist, e il suono oscuro, mastodontico, ricco delle chitarre che si librano in assoli misurati ed evocativi.
Un’atmosfera cupa, ben resa dalla ottima produzione, penetra profondamente nelle ossa regalandoci tre quarti d’ora di intenso piacere che porta assuefazione e ci induce a continui assaggi: la final track dal suggestivo titolo I, at the end of everything, con i suoi aromi darkwave, suggella infine una grande opera da un band che promette ulteriori meraviglie.

TRACKLIST
1. Conjuration of Fire
2. Ain Soph
3. Manifest
4. Demon 13
5. The Sleepless Gods
6. I at the End of Everything

LINE-UP
Raf Meuken Bass
Jelle Stevens Drums
Dwight Goosens Guitars
Michelle Nocon Vocals

BATHSHEBA – Facebook

Helheim – landawarijaR

Un perfetto e affascinante incrocio tra sonorità viking black e suoni prog;una band unica !

Attivi fino dal lontano 1993, quando fu pubblicato l’omonimo demo, i leggendari Helheim all’alba del 2017 pubblicano il loro nono full e continuano a sviluppare il loro suono che testimonia sia liricamente che musicalmente l’attaccamento alle più profonde tradizioni norrene.

Da ogni nota di questo disco emerge la fierezza delle loro radici, l’epica spavalderia, la furia di antichi guerrieri che vogliono rivivere antiche atmosfere ormai dimenticate. In tutti questi anni di attività la band ha evoluto, pur restando ancorata al più puro viking/black, il proprio suono partendo dalla furia cieca di perle black come Jormundgand (1995) e Av norrøn ætt (1997), per poi incorporare altre influenze folk, heavy e progressive creando un loro personale suono; anche la stabilità della line up negli anni ha contribuito a rafforzare la loro personalità . Il disco è splendido! Fin dal primo brano (Ymr) si assiste a un continuo alternarsi di suoni prettamente black cupi ed oscuri con momenti più meditabondi e folkeggianti solcati da squarci melodici e atmosferici con evocative chitarre, come nella meravigliosa title track che ingloba in modo naturale echi prog d’annata, omaggiando la Premiata Forneria Marconi con il tema principale di Impressioni di Settembre; gli ascoltatori più “open minded” sicuramente si emozioneranno come il sottoscritto. Anche il passare da clean vocals a scream e chorus suggestivi contribuisce a creare un’opera magnifica che potrebbe ritagliarsi uno spazio tra le migliori di questo inizio anno. La ricerca melodica in ogni brano, mai banale, ritaglia sprazzi di grande gusto e sensibilità senza perdere mai l’urgenza e la forza distruttiva di questa grande band viking/black; e l’arte creata da questi artisti, libera da biechi vincoli commerciali, continua a librarsi fiera nel cielo …

TRACKLIST
1. Ymr
2. Baklengs mot intet
3. Rista blóðørn
4. landawarijaR
5. Ouroboros
6. Synir af heiðindómr
7. Enda-dagr

LINE-UP
V’gandr – Bass, Vocals
Hrymr – Drums, Drum programming
H’grimnir – Vocals, Guitars (rhythm)
Reichborn – Guitars (lead)

HELHEIM – Facebook

The Great Old Ones – EOD: A Tale of Dark Legacy

La band transalpina prosegue la sua elaborazione del verbo lovecraftiano con un terzo album pregno di atmosfere black malsane e orrorifiche.

I’m finally here…i’m finally here in Innsmouth“… questi sono i primi versi dell’ intro del terzo full della band francese di Bordeaux The Great Old Ones, realtà della scena black e post-black; fino dagli esordi “Al Azif ” del 2012 il loro suono e i loro testi sono stati totalmente devoti al culto di H.P.Lovecraft, maestro dell’ orrore cosmico e cantore dei Grandi Antichi e del mito di Cthulu.

L’Ordine Esoterico di Dagon è un culto importato da Obed Marsh (da conoscere l’omonima doom band australiana) in Innsmouth poco dopo il 1800, dove gli adepti si sottoponevano, per ottenere imperitura prosperità, a insane unioni con esseri mostruosi derivanti dagli abissi; la band si immerge completamente nelle atmosfere oscure e malsane evocate dal racconto del maestro di Providence creando un opera a forti tinte black metal, limando al meglio i dettagli post-black presenti sui precedenti lavori; per raggiungere questo obiettivo il suono prodotto da ben tre chitarre parte da un veemente assalto black metal (The Shadow over Innsmouth) colmo di repentini cambi di tempo con uno screaming cupo, passa attraverso momenti più sperimentali come The Ritual che, con percussioni e tastiere, crea veramente un mood di angosciante attesa prima di evolvere in una malvagia cavalcata black; tutti i brani, in totale sette compreso il breve intro, sono tesi a “mostrare” l’atmosfera presente nel racconto di Lovecraft e una menzione speciale per Mare Infinitum, l’ ultimo brano che nei suoi abbondanti dieci minuti dipana un oscuro aroma di antica magnificenza. In definitiva un buon album che ha bisogno di attenti ascolti per poter essere assimilato in toto, magari rileggendo, per poter cogliere tutte le sfumature, lo splendido racconto di Lovecraft; nel panorama internazionale dell’estremo ormai ci sono diverse band death (dal sudamerica, ma non solo) e black che, partendo dagli scritti del maestro, creano un suono che cerca di ricordare le atmosfere malsane, orrorifiche generate dalla mente dello scrittore americano.

TRACKLIST
1. Searching for R. Olmstead
2. The Shadow over Innsmouth
3. When the Stars Align
4. The Ritual
5. Wanderings
6. In Screams and Flames
7. Mare Infinitum

LINE-UP
Sébastien Lalanne – Bass
Xavier Godart – Guitars
Benjamin Guerry – Guitars, Vocals, Lyrics, Songwriting
Léo Isnard – Drums
Jeff Grimal – Guitars, Vocals

THE GRAET OLD ONES – Facebook

Emptiness – Not for Music

La band afferma “We try to transport the listener into a world that wants to exclude him. Nothing to enjoy”.la conferma di un band che ha trovato il proprio suono.

Il respiro pulsante del fuoco in un una natura madre e matrigna, una profonda immersione in un oscuro e liquido mondo incubico senza via di uscita.

Queste sono le sensazioni che possono permeare l’ascolto dei belgi Emptiness con il loro quinto full, a tre anni da “Nothing but the Whole” che me li fece conoscere e stra-apprezzare: è necessario, com’è scritto sul cd, essere realmente “open minded” per poter metabolizzare questa affascinante opera concepita da quattro musicisti che, partendo da basi black e death metal, evolvono verso un sound realmente unico approdando a un atmosferico mix di darkwave (può ricordare in parte i Bauhaus), sinistra ambient con un flavour psichedelico (Digging the sky) e qualche strano aroma pop nella melodia (Ever). Due di loro, Olivier Lomer-WIlbers alla chitarra e Jerome Bezier al basso e alla voce, derivano dalla band di puro black metal Enthroned, una leggenda per i veri cultori del genere; la voce di Bezier con il suo profondo timbro, più che cantare in senso stretto, ammalia narrando storie oscure e malate e contribuisce a rendere i brani ancora più claustrofobici e “otherwordly”. Per chi voglia addentrarsi in questa “selva oscura” è oltremodo necessario rammentare che non troveranno cavalcate black o ritmi serrati death ma un suono indefinito figlio di tempi cupi, plumbei, claustrofobici e senza speranza. Diversamente estremo per un opera affascinante e misteriosa.

TRACKLIST
1. Meat Heart
2. It Might Be
3. Circle Girl
4. Your Skin Won’t Hide You
5. Digging the Sky
6. Ever
7. Let It Fall

LINE-UP
Phorgath – Bass, Vocals
Jonas Sanders – Drums
Olve J.LW – Guitars, Vocals
Peter Verwimp – Guitars

EMPTINESS – Facebook

Djevel – Norske Ritualer

I Djevel sono l’incarnazione del black metal più puro, come si suonava negli anni Novanta. Da “sentire “con il cuore.

Aprendo la confezione del cd appare su sfondo nero la scritta NORSK BLACK METAL e praticamente per ogni cultore delle Arti Nere questo e’ il VERBO; solo puro, incontaminato, gelido, maestoso e misterioso black metal suonato da una band della Norvegia, dove tutto è nato, dedita dal 2011 ad emozionare noi ascoltatori con piccole gemme da custodire nelle nostre “caverne” musicali.

I Djevel, gruppo comprendente artisti impegnati anche in altre realtà BM (Kvelertak, Enslaved, Koldbrann e Orcustus) sono giunti in sei anni di vita al quarto full mantenendo sempre alta la qualità della loro arte che rispecchia in tutto per tutto la magnificenza del suono norvegese: quello antico, incompromissorio, violento, sferzante, con un guitar sound che ricordando i bei tempi dei Satyricon, dei Taake e di altre leggende, è sempre volto a creare “melodie” oscure, potenti, ancestrali, figlie di una natura selvaggia e senza regole. Il drumming di Dirge Rep, che ha iniziato a suonare nel 1993 con i Gehenna per poi continuare con Enslaved, Aura Noir ed altri, é incessante nel seguire le evoluzioni delle chitarre contribuendo con i suoi cambi di ritmo alla piena riuscita di questo oscuro rito; lo scream espressivo e maligno di Erlend Hjelvik (Kvelertak), alternato con tenebrosi cori e qualche clean vocal di Trond Ciekals (NettleCarrier, altra realtà norvegese da sentire) racchiude al meglio lo spirito del vero black. Le canzoni, con testi interamente in norvegese, sono di buon valore alternando in varia misura parti veloci e parti in mid tempo, con qualche intermezzo acustico rievocante antichi madrigali medievali di melanconica bellezza (il quinto e l’ottavo brano). E’ vero che il genere negli anni è mutato, è cambiato, ha assorbito molteplici influenze, variando e portando comunque buoni frutti, ma la purezza la si ritrova sempre alla fonte norvegese dove, per alcune band, sembra che il tempo si sia fermato agli anni ’90: oltre ai Djevel date un ascolto ai Nordjevel, agli Svartelder, ai citati NettleCarrier, tutte malevole creature che mantengono in vita il vero spirito dell’arte nera. Qualcuno potrebbe affermare che queste band manchino di personalità, di un loro suono ma, sinceramente, credo sia una inutile e sterile affermazione: quando gli artisti suonano con passione, tenacia, credendo in quello che fanno, bisogna solo ascoltare e “sentire” con il cuore.

TRACKLIST
1. Vi slakter den foerste og den andre, den tredje lar vi gaa mot nord
2. Jeg maner eder alle
3. Doedskraft og tre nagler
4. Med christi legeme og blod under hoeiere fod
5. Til mitt kjaere Norge
6. Med tornespiger var han haengt
7. Maatte vetter rase som aldrig foer
8. Afgrunds Engle

LINE-UP
Mannevond – Bass
T. Ciekals – Guitars, Vocals (clean), Vocals (chants)
Hjelvik – Vocals (harsh)
Dirge Rep – Drums

DJEVEL – Facebook

Ultha – Converging Sins

La band afferma di essere un blend di USBM, Scandinavian BM,doom miscelato con darkwave vocals;altamente consigliato

Nell’oscuro e multiforme mondo del black metal esistono realtà che cercano di emozionare l’ascoltatore, creando un suono che memore delle nobili radici possa evolvere in un qualcosa di personale e riconoscibile.

A mio parere questo è il caso degli Ultha, quintetto teutonico proveniente da Colonia, giunto con Converging Sins al secondo full length dopo l’esordio “Pain Cleanses Every Doubt” del 2014; band estremamente prolifica, visto che nel giro di due anni ha prodotto anche un EP e uno split di omaggio ai Bathory (le nobili radici) con il brano Raise the dead.
Gli Ultha ci propongono un album monumentale sia come lunghezza, cinque brani per sessantaquattro minuti circa, sia come varietà di suoni; non vi è nulla di sperimentale nel loro suono o di particolarmente complicato, ma è la loro capacità di miscelare diverse influenze a fare, secondo me, la differenza con altre opere: si colgono echi di Emperor, sprazzi di Wolves in the Throne Room e altre delizie che lascio all’ascoltatore che si vorrà cimentare nell’ascolto. Le atmosfere si fanno subito intriganti fin dal primo lunghissimo brano, circa diciotto minuti, che inizia in pieno clima atmospheric con un evocativo e affascinante arpeggio di chitarre doppiato da avvolgenti tastiere, per poi esplodere in una sfuriata black, sorretta da uno scream particolarmente efficace; il guitar work è sempre piuttosto creativo nell’elaborare momenti suggestivi e “melodici” per un risultato melanconico ma al contempo aggressivo. Anche la presenza , nella prima parte del secondo brano di nove minuti, di clean vocals femminili a sorreggere la struttura, non scalfisce il mood oscuro che si manifesta pienamente nella seconda parte con un disperato scream e i suoni taglienti delle chitarre. Gli altri tre brani offrono ulteriori particolarità sonore con una menzione speciale per l’ ultimo brano che presenta un intro particolarmente sinistro, lento e surreale per poi deflagrare in una cavalcata infinita. Così dovrebbe essere inteso il black metal oggi, come la possibilità di poter intessere mille idee su un genere da sempre aperto alle sperimentazioni, cosa che farà inorridire tutti i credenti del “true”, ma credo che la strada intrapresa da questa giovane band possa essere quella giusta per poter esprimere la propria personalità; mi aspetto ulteriori grandi cose da loro in futuro.

TRACKLIST
1. The Night Took Her Right Before My Eyes
2. Mirrors in a Black Room
3. Athame | Bane Emanations
4. You Will Learn About Loss
5. Fear Lights the Path (Close to Our Hearts)

LINE-UP
Chris Noir Bass, Vocals
Manuel Schaub Drums
Andy Rosczyk Electronics
Ralph Schmidt Guitars, Vocals
Ralf Conrad Guitars

ULTHA – Facebook

FVNERALS – Wounds

Suoni plumbei e oppressivi, ma che affascinano e feriscono noi ascoltatori

L’ oscurità ammanta costantemente la nostra anima e i Fvnerals, con il loro Wounds, ce lo ricordano in ogni momento; sono emersi dalle terre albioniche in quel di Brighton nel 2013 con il singolo The Hours, bissato nel 2014 con il full The Light per poi pubblicare, dopo un ulteriore singolo (The Path nel 2015), questo pregevole gioiellino.

La loro arte si nutre di doom, funeral, ambient, post-rock, drone miscelata e dosata in un suono che appare atmosferico, profondo, oppressivo con la voce della cantante Tiffany a sublimare e ad accompagnare in modo inquietante questo viaggio; qui non sono eretti muri di suono distorti e non ci sono vocals stordenti e aggressive, ma tutto è più “subdolo”, un lento flusso di coscienza che scava lentamente nella nostra anima ferendola e accentuando a ogni ascolto un profondo senso di isolamento.
Anche il fatto che i sette brani, per un totale di circa quaranta minuti, siano legati e scivolino uno sull’altro serve a rendere più affascinante, misterioso e desolante il percorso, come nell’ultimo brano Where, introdotto da note lontane di piano, accompagnato da una desolata voce e levigato da tristi e disperate note di chitarra; un po’ la summa di tutto il lavoro, come l’ ultimo granello di sale cosparso sulla nostra lacerata anima. Ottimo lavoro da una giovane band che mi ha molto emozionato e che spero possa “colpire” altre anime “torturate”.

TRACKLIST
1. Void
2. Wounds
3. Shiver
4. Teeth
5. Crown
6. Antlers
7. Where

LINE-UP
Tiffany Strom – vocals,bass,synth
Syd Scarlet – guitar
Chris Cooper – drums

FVNERALS – Facebook

Suffer Yourself – Ectoplasm

Ottima seconda prova di funeral doom da una band in costante evoluzione

Fin dalla cover alcuni dischi accendono l’ interesse di noi ascoltatori, di noi ” cercatori d’oro”; mi sbilancio ma questa mi è piaciuta tantissimo e anche il particolare titolo “Ectoplasm” mi ha spinto ad ascoltare il 2° full dei Suffer Yourself, già autori di un ottimo full nel 2014 (Inner Sanctum).

Nati come one man band di Stanislav Govorukha già EX AUTO DA FE (funeral death), CORAM DEO (melodic death), ILLUMINANDI (folk-gothic) si sono evoluti nella attuale band, locata in Svezia, che comprende altri tre musicisti che aiutano il leader a creare un grande disco di funeral death doom in cui si miscelano artigianalmente, con cura certosina, molte influenze per creare un opera che come sempre data la lunghezza, cinque brani per un ora di splendida musica, ha bisogno di numerosi ascolti per “entrare”. Il suono, come il titolo esplica, appare come una “sostanza mobile ectoplasmica” e può essere morbido, sinuoso, vaporoso, fluido, non ben definito, ma in ogni caso sempre emozionante e di infinita tristezza, come nel magnifico brano “The Core\Nika Turbina” in ricordo del trentennale del disastro di Chernobyl (…i’ll paint my name on the abandoned walls to come back in thirty years). Due brani anche per la loro lunghezza, Abysmal Emptiness di sedici minuti e Dead Visions di diciannove minuti sono l’ esempio migliore di come sono intersecate anche in modo inaspettato tutte le influenze del leader, da grandi muri di suono (come i grandi Esoteric) in perenne movimento a momenti più direttamente death (metà di Abysmal) che scivolano in parti più morbide, “melodiche”, in modo da rendere questa opera maestosa, misteriosa e cangiante; le vocals del leader passano da un lento salmodiare a un ottimo growl, con parti anche cantate in russo\ucraino. E’ sempre un piacere poter seguire ed ascoltare bravi musicisti che suonando con passione e idee, ci affascinano nel loro percorso musicale.

TRACKLIST
1. Ectoplasm
2. Abysmal Emptiness
3. The Core
4. Dead Visions
5. Transcend the Void

LINE-UP
Malcolm Sohlen – Bass
Kateryna Osmuk – Drums
Lars Abrahamsson – Guitars
Stanislav Govorukha – Guitars, vocals, programming

SUFFER YOURSELF – Facebook

Haast’s Eagled – II: For Mankind

Magnifico secondo disco dai creatori del “kaleidoscopic doom”

Credo che capiti a chiunque ascolti MUSICA: la ricerca continua di nuovi suoni, emozioni e sensazioni in grado di migliorare il nostro stato d’ animo logorato dagli accelerati ritmi di vita; nel grande mare di band dedite al doom, in tutte le sue oscure varietà, ho scoperto questa band del sud del Galles dedita, come riferisce la loro casa discografica la Holy Roar, a un “kaleidoscopic doom” o se preferite a un “doomlounge jazz”.

In ogni caso il disco è splendido e vi invito, come al solito, a provarlo e a dare fiducia a questa nuova realtà denominata Haast’s Eagled, giunta alla sua seconda opera, II: For Mankind (la prima è omonima e si può scaricare dal bandcamp). Il nome particolare deriva da una specie estinta di aquila della Nuova Zelanda; la cover in rosso intenso è inquietante e il full contiene quattro lunghi brani dai sette ai venti minuti che dipanano un sound denso, imponente con grandi suoni di chitarra che possono ricordare gli statunitensi Yob per come lentamente sviluppano il loro brano; esempio è il mastodontico brano Zoltar (venti minuti) che inizia con delicate, tristi note di pianoforte e dopo un minuto vira (doom meets Pink Floyd) con uno splendido caldo, ampio e circolare riff di chitarra che accompagna la lenta ascesa verso le vocals che intonano una litania misteriosa, per poi esplodere in un doom sludge potentissimo e terminare con il piano doppiato da un romantico sax: la traccia è eccellente e per me è tra le migliori di questo 2016 ricco di belle uscite in campo doom e non solo. Anche gli altri tre brani, più contenuti nel minutaggio, offrono delizie sonore tendenti a creare il loro personale sound. Preferisco il termine caleidoscopico a lounge jazz e credo che questi quattro musicisti abbiano un grande potenziale, una loro visione del doom e spero che si possano ascoltare live prima o poi anche nelle nostre terre.

TRACKLIST
1. Pyazz Bhonghi
2. The Uncle
3. Zoltar
4. White Dwarf

LINE-UP
Greg Perkins – Bass
Joseph Sheehy – Drums
Adam Wrench – Guitars, Vocals
Lee Peterson – Unknown

HAAS’T EAGLED – Facebook

Lesbian – Hallucinogenesis

Dall’underground del metal estremo una piccola gemma da scoprire lentamente!

Logo black metal, nome che colpisce l’attenzione, questi cinque musicisti, alcuni derivanti dagli Accused (“Martha splatterhead”), dagli Asva e dai Burning Witch, sono giunti al quarto full in circa dieci anni di attività e continuano ad elaborare, attorcigliare il loro suono attorno a derive doom, sludge, death, progmetal, black, stoner per un risultato che appare caotico ma sempre intelligibile.

Non è assolutamente facile “catalogarli” ma forse il modo migliore per approcciarli è lasciarsi trasportare in questo caos sonoro, stordente, talvolta anche fuori fuoco, ma del resto anche già a partire dalla cover ci indicano la strada; non parliamo poi del concept che regge tutta l’opera “collisione sulla terra di un asteroide ripieno di spore fungine con la creazione di una nuova alba e di una nuova coscienza\spiritualità in cui sopravvive il KOSMOCERATOPS come signore di questa nuova terra”.
Mentre nel loro precedente “Forestelevision” avevano deflagrato con il brano omonimo di quarantacinque minuti, ora il nuovo full presenta quattro brani (dai nove ai quindici minuti) ed è pubblicato dalla americana Translation Loss, nota per pubblicare molte band dal suono “indefinito” (Mouth of an Architect, Intronaut, Rosetta…); fino dal primo loro lavoro “Power Hor” del 2007 i Lesbian continuano a miscelare nel modo più “weird” (con titoli delle song come Pyramidal existinctualism o La brea borealis) possibile i vari generi dal black al death, dal progmetal allo stoner lanciandosi in selvagge cavalcate volte a fondere tutti i suddetti generi, il tutto accompagnato dal growl o dallo scream del nuovo singer Brad Mowen.
Bisogna, come spesso accade, essere nel mood giusto per poter apprezzare, anche dopo ripetuti ascolti queste miscele sonore create da musicisti che non hanno mai timore di ampliare i loro e i nostri orizzonti sonori.

TRACKLIST
1. Pyramidal Existinctualism
2. La Brea Borealis
3. Kosmoceratops
4. Aqualibrium

LINE-UP
Daniel J. La Rochelle – Guitars (rhythm)
Bradley J. Mowen – Vocals
Arran E. McInnis – Guitars (lead)
Dorando P. Hodous – Bass, Vocals
Benjamin P. Thomas-Kennedy – Drums, Percussion

LESBIAN – Facebook

Cardinal Wyrm – Cast Away Souls

La band dice: ”We walked till dawn to find the doorway to the stars”, proseguiamo con loro…

Magnifica la Svart Records, label finnica che in questi ultimi anni ci ha permesso di conoscere alcune grandi band, come ad esempio Oransii Pazuzu, Katla, Domovoyd, che elaborano un loro suono, assolutamente fuori da schemi prefissati.

Dagli Stati Uniti, dalla zona della Bay Area, provengono i Cardinal Wyrm che con Cast Away Souls producono il loro terzo full length, il secondo per Svart dopo Black Hole Gods del 2014; sono in tre, con la particolarità di avere il batterista, Panjal Tiwari, che si occupa anche delle vocals che passano da un tono declamatorio dai rimandi a Peter Steele  ad un growl “schizzato”.
Il loro sound, denso, bizzarro e teatrale, parte da basi doom, ma incontra variazioni heavy, acide e psichedeliche soprattutto nelle parti soliste di chitarra, creando un ponte tra passato e presente, cercando di trovare una strada per apparire personale.
Questo atteggiamento si avverte già nel primo brano (Silver Eminence) che parte doom, ai confini del funeral con un organo pesante come un macigno, per poi dopo un paio di minuti esplodere in un riff heavy vicino al trash, proseguendo poi con densità sludge e riflessi addirittura simil-voivodiani.
Gli altri cinque brani, sei in tutto per circa quarantasei minuti di puro godimento, sono sempre dello stesso alto livello, pieni di variazioni che possono essere colte da ascoltatori attenti (esempio l’intro spettrale di Grave Passages o le vocals darkwave all’inizio di The Resonant Dead); ulteriore nota di merito per Lost Orison, delicato brano aperto e punteggiato da una tromba immaginifica e dalle voci della bassista, Leila Abdul-Rauf (Vastum) e del batterista.
Cover particolare virata su colori viola e nero e testi, scritti dal batterista, declamanti storie di occultismo, depressione e realtà alternative invitano, come al solito, a ripetuti ascolti per scoprire un modo diverso di pensare e suonare doom “mutante”.

TRACKLIST
1. Silver Eminence
2. The Resonant Dead
3. Grave Passage
4. Lost Orison
5. Soul Devouring Fog
6. After the Dry Years

LINE-UP
Nathan Verrill – Guitars,Organ,Bass
Pranjal Tiwari – Drums, Vocals
Leila Abdul-Rauf – Live Bass, Trumpet, Vocals

CARDINAL WYRM – Facebook

Mammoth Weed Wizard Bastard – Y Proffwyd Dwyll

La band sostiene d’essere “la colonna sonora ideale per il nostro prossimo viaggio intergalattico”. Da sentire.

Dal Nord del Galles (Wrexham) discende questo immane flusso di energia doom con flavour psichedelico e cosmico; sono in quattro con stellare voce feminile (Jessica Ball) e sono emersi nel 2015 con un monolite nero (Nachthexen) di trenta minuti, replicato nello stesso anno con il full “Noeth ac Anoeth” che continua a definire il “loro” doom aggiungendo due ulteriori lunghe tracce ipnotiche e stordenti.

E ora nel settembre 2016 esplode, è proprio il caso di dirlo, questo nuovo lavoro con sei brani dal minutaggio più contenuto (in media 8-9 minuti) rispetto al precedente; il loro sound di una pesantezza trascendentale si alimenta di pachidermici riff accompagnati, sovrastati dalla ultraterrena voce della bassista e vocalist Jessica; il synth suonato un po’ da tutti i musicisti proietta il suono verso orizzonti cosmici sconfinati ed inesplorati, avvolgendo il tutto in spire scure e profonde.
A differenza della prima opera, dove spiccava il suddetto monolite nero di trenta minuti, qui i brani, tutti di simile alto valore, appaiono come una “massa” cangiante, inarrestabile nel suo scorrere che può ricordare il kraut rock degli anni 70′, con gocce ben udibili di suoni hawkindiani in alcuni tratti., il tutto sempre con spiccata sensibilità doom.
La band in questi 2 anni ha elaborato il suo suono, con diversi concerti in terra albionica e oltre mare suonando con gruppi come Monolord, Ramesses, All Them Witches, tutte realtà che profumano di doom “mutante”, non disdegnando di misurarsi anche con enormità come gli immensi Napalm Death e i polacchi Behemoth.
Accompagnato anche da un bella confezione apribile a formare una croce, il consiglio è quello di “assaggiare” il disco più e più volte per assaporare a fondo il viaggio intrapreso da questi ragazzi che, spero, decidano di farsi ascoltare “live” anche nelle nostre terre !

TRACKLIST
1. Valmasque
2. Y Proffwyd Dwyll
3. Gallego
4. Testudo
5. Osirian
6. Cithuula

LINE-UP
Paul M.Davies – lead guitar, moog synth, sampletron
Jessica Ball – bass,vocals, cello, sampletron
Wes Leon – rhythm guitar, moog synth
James Carrington – drums, moog synth

MAMMOTH WEED WIZARD BASTARD – Facebook