Rorcal / Process Of Guilt – Split

Un altro split 12” interessante quello che ci viene proposto da un pool di etichette, con due band dedite a sonorità a cavallo tra black-sludge-doom con una vena industrial come gli svizzeri Rorcal ed i portoghesi Process of Guilt.

Un altro split 12” interessante quello che ci viene proposto da un pool di etichette, con due band dedite a sonorità a cavallo tra black-sludge-doom con una vena industrial come gli svizzeri Rorcal ed i portoghesi Process of Guilt.

Il lato A è appannaggio degli elvetici che, in realtà, con i loro tre brani mostrano una maggiore propensione al black metal, in particolare facendo riferimento ai Blut Aus Nord dei “Memoria Vetusta”, il che corrisponde ad un’interpretazione del genere dai tratti prevalentemente avanguardistici e claustrofobici. In IX non vi sono particolari deviazioni rispetto ad un percorso violento e dissonante, mentre in XI affiora qualche rallentamento e il brano, nonostante qualche lieve concessione melodica, appare ancora più feroce rispetto al precedente; X riparte esattamente dalla fine di XI per poi sfociare in ritmi maggiormente cadenzati. Quando il testimone passa, voltando il lato, ai Process Of Guilt, si capisce subito che i lusitani interpretano il loro pesante sludge dalle sfumature industrial/postmetal nel miglior modo possibile, ovvero imprimendo al proprio sound quel marchio che avevano già proposto con successo in occasione del loro magnifico ultimo album “Fæmin”. Un impatto sonoro denso, avvolgente, dalle distorsioni portate alle estreme conseguenze rappresenta, di fatto, un muro di totale incomunicabilità che si fa musica: impietosi i primi due movimenti di Liar, mentre quello di chiusura è costituito da due minuti e mezzo di minaccioso ambient. Da notare come, alla fin fine, le band possiedano un approccio musicale non del tutto dissimile pur approdandovi da diversi versanti stilistici (i Rorcal dal black ed i Process Of Guilt dal doom), a rimarcare quanto il rapporto di collaborazione in atto tra loro da tempo abbia prodotto un reciproco arricchimento dei rispettivi sound. Uno split da avere per chi apprezza queste sonorità, ancor più appetibile per il formato 12” molto curato dal punto di vista grafico, disponibile nella (ormai classica) edizione limitata a 666 copie …

Tracklist:
Side A
1. Rorcal – IX
2. Rorcal – X
3. Rorcal – XI

Side B
4. Process of Guilt – Liar: Movement I
5. Process of Guilt – Liar: Movement II
6. Process of Guilt – Liar: Movement III

Line-up:
Rorcal
Bruno da Encarnação – Bass
Ron Lahyani – Drums
Diogo Almeida – Guitars
JP Schopfer – Guitars
Yonni Chapatte – Vocals

Process Of Guilt
Custódio Rato – Bass
Gonçalo Correia – Drums
Nuno David – Guitars
Hugo Santos – Vocals, Guitars

RORCAL – Facebook

PROCESS OF GUILT – Facebook

Azooma – A Hymn Of The Vicious Monster

Gli iraniani Azooma sorprendono con il loro debutto fatto di un death metal tecnico e originale.

Mashhad è la capitale del Razavi Khorasan iraniano e la città da cui provengono i death metallers Azooma, all’esordio con un album uscito un paio di mesi fa intitolato A Hymn of the Vicious Monster.

Attivo dal 2004, il combo iraniano inizia la sua avventura nel mondo metallico suonando cover di Iron Maiden, Metallica, Iced Earth, Kreator e Death, ma già nel 2005 decide di scrivere brani propri confrontandosi con il death metal dai richiami prog e influenzati dalla cultura del loro paese.
È storia degli ultimi anni la firma con l’etichetta spagnola Xtreem Music, che licenzia questo Ep di esordio che ha del clamoroso.
Il materiale inserito nel lavoro dalla band è stato scritto negli anni e, fortunatamente, ha trovato modo di vedere la luce, in quanto trattasi di sei brani notevoli.
Il death progressivo suonato dagli Azooma, originalissimo e tecnico, da far invidia ai mostri sacri del genere, dal tiro micidiale ed impreziosito da atmosfere e suoni della cultura persiana, sempre sostenute da un tono epico e drammatico, rende A Hymn of the Vicious Monster un gioiello metallico tutto da ascoltare.
I musicisti della band, veri virtuosi del proprio strumento, regalano prestazioni sopra le righe creando un tornado di suoni che vi avvolgerà rischiando di portarvi via.
Ahmad Tokallou, chitarrista eccezionale, svolge un lavoro mastodontico alla sei corde, martirizzando il lo strumento con solos e ritmiche suonate alla velocità della luce ma sempre dal gusto eccelso; la sezione ritmica (Farid Shariat al basso e Saeed Shariat alla batteria) si rende protagonista di una massacrante dimostrazione di forza tra gli innumerevoli cambi di tempo e le scorribande potenti e distruttive.
Tra tutte queste meraviglie strumentali spicca il growl feroce del vocalist Shahin Vaqfipour, molto bravo anche con le clean vocals, benché usate solo in pochi frangenti (Gyrocompass), che accompagna la vena creativa dei propri compagni con timbriche cavernose e melanconici momenti intimisti.
C’è tanto progressive nel songwriting del gruppo (digressioni di scuola crimsoniana), mai così ben amalgamato con la furia metallica espressa dal death epico della band; i suoni di estrazione popolare della loro terra sono usati con parsimonia, ma inseriti sempre ottimamente nelle strutture complicate delle song che, una dopo l’altra, regalano momenti di esaltante musica estrema, improbabile ed alquanto affascinante jam tra i Death ed i King Crimson.
Da ascoltare e riascoltare questo ennesimo bellissimo lavoro proveniente da terre lontane dal consueto circuito metallico, ma che non ha davvero nulla da invidiare ai lavori dei tradizionali continenti di riferimento.

Tracklist:
1. Preface
2. Chapter I: Self-Inflected
3. Chapter II: Eridanus Supervoid
4. Chapter III: Encapsulated Delusion
5. Chapter IV: Gyrocompass
6. Appendix

Line-up:
Farid Shariat – Bass
Saeed Shariat – Drums
Ahmad Tokallou – Guitar
Shahin Vaqfipour – Vocals

AZOOMA – Facebook

Blut Aus Nord / P.H.O.B.O.S. – Triunity

Molto valida l’idea della Debemur Morti di abbinare in questo split album due realtà che, muovendosi da punti di partenza piuttosto lontani tra loro,sono approdate con il tempo a sonorità relativamente vicine, non solo per attitudine sperimentale.

Split dalle diverse ed interessanti motivazioni, questo che vede all’opera due band francesi differenti per fama ed estrazione, ovvero i monumenti del black/death avanguardistico Blut Aus Nord e gli interessanti industrial doomsters P.H.O.B.O.S..

C’era ovviamente curiosità per le scelte stilistiche intraprese da Vindsval e soci dopo la trilogia “777” che aveva spostato progressivamente il sound verso coordinate meno estreme per approdare ad una sorta di dark industrial/ambient nell’atto conclusivo “Cosmosophy”: chi non aveva apprezzato tale svolta può dormire sonni tranquilli visto che i Blut Aus Nord sono tornati a fare, con la bravura che è loro riconosciuta, quel metal estremo ricco di dissonanze ma, nel contempo, capace di avvolgere nelle proprie intricate spire, che ha fornito in passato frutti prelibati; le tre tracce sono ugualmente intense, complesse e avvincenti, anche se la vena oscuramente melodica che si manifestava a tratti in “777” non è andata del tutto dispersa (Némeïnn). Dei P.H.O.B.O.S., al contrario, nulla conoscevo pertanto non ho a disposizione particolari termini di paragone: intanto va detto che trattasi di una one-man band, attiva da oltre un decennio e con tre full-length all’attivo, condotta dal parigino Frédéric Sacri e, indubbiamente, il loro industrial doom non mostra il minimo ammiccamento a sonorità più fruibili, mostrandosi impietosamente ossessivo, alienante, insomma nulla che possa interessare qualcuno che non abbia un minimo di familiarità con questi suoni, ma molto intrigante per chi, invece, in passato si fece irretire da entità mostruose quali Godflesh o Scorn. Ho trovato molto valida l’idea della Debemur Morti di abbinare in questo split album due realtà che, muovendosi da punti di partenza piuttosto lontani tra loro, sono approdate con il tempo a sonorità relativamente vicine, non solo per attitudine sperimentale. Triunity si rivela così, nel contempo, una risposta eloquente ai dubbi espressi da qualcuno (non certo da parte mia, visto che considero la trilogia “777” un’opera magnifica in ogni sua parte) nei confronti delle scelte stilistiche operate dai Blut Aus Nord nel recente passato, e un’opportunità per far conoscere ad un pubblico auspicabilmente più ampio i meno noti ma ugualmente efficaci, nonché degni della massima attenzione, P.H.O.B.O.S..

Tracklist:
1. Blut aus Nord – De Librio Arbitrio
2. Blut aus Nord – Hùbris
3. Blut aus Nord – Némeïnn
4. P.H.O.B.O.S. – Glowing Phosphoros
5. P.H.O.B.O.S. – Transfixed at Golgotha
6. P.H.O.B.O.S. – Ahrimanic Impulse Victory

Line-up:
Blut aus Nord:
Vindsval – Vocals, Guitars GhÖst – Bass
Gionata “Thorns” Potenti – Drums

P.H.O.B.O.S.:
Frédéric Sacri – Guitars, Keyboards, Vocals

BLUT AUS NORD – Facebook

Chiral – Abisso

Un EP davvero coinvolgente, composto da un musicista che, a giudicare dalle premesse, possiede tutti i numeri per lasciare in un prossimo futuro un segno tangibile nella scena metal tricolore.

Chiral è un giovane musicista piacentino che, con Abisso, mostra senza indugi il suo intento di proporre musica in grado di coniugare le ruvidezze e le ritmiche del black, la disperazione del depressive ed il malinconico gusto melodico di un progressive dai tratti ovviamente piuttosto cupi.

Abisso è un EP che arriva ad un anno di distanza dal demo “Winter Eternal” e, considerando che il progetto Chiral è di nascita recente, stupisce ancor di più la qualità messa in mostra in questa occasione.
Il lavoro è un breve concept incentrato sulle reazioni di una persona messa di fronte alla cruda realtà di dover affrontare la tragedia di una malattia incurabile e sulle nefaste conseguenze che ciò provoca anche a livello psichico, fino all’approssimarsi dell’atto conclusivo.
In questo senso le tematiche trattate non sono una novità (al riguardo vi invito a riscoprire il magnifico “The Incurable Tragedy” degli Into Eternity) ma spicca fin da subito l’abilità di Chiral nel tratteggiare i singoli momenti del racconto, alternando momenti di rabbia, dolore e disperazione ben rappresentati dalle diverse sfumature stilistiche esibite nelle diverse circostanze.
Abisso è diviso in due atti: il primo introduce in maniera efficace l’ascoltatore in questo riuscito melange emozionale con Disceso Nel Buio e Oblio, prima che la title-track apra il secondo ergendosi a brano guida ed autentica perla, nella quale le accelerazioni del black lasciano ancor più spazio a momenti di grande pathos creati dal lavoro chitarristico di Chiral, che privilegia l’impatto e l’intensità rispetto al puro sfoggio di tecnica: mai come in questo caso l’etichetta progressive affibbiata al nostro si rivela agli antipodi di una sterile e solo formale vena sperimentale.
Un EP davvero coinvolgente, composto da un musicista che, a giudicare dalle premesse, possiede tutti i numeri per lasciare in un prossimo futuro un segno tangibile nella scena metal tricolore.

Tracklist:
1. Atto I: Disceso Nel Buio
2. Atto I: Oblio
3. Atto II: Abisso
4. Atto II: In Assenza

Line-up:
Chiral – Everything

CHIRAL – Facebook

Rhino – Rhino

La Sicilia si conferma, con l’esordio dei Rhino, terra di ottimi artisti e nuovo fulcro dello stoner tricolore.

One, two, three, four rock’n’roll … anzi stoner rock.

Dalla Sicilia, sotto gli influssi dei vapori vulcanici dell’Etna e non solo, arrivano a noi i Rhino con il loro stoner desertico e dai rimandi psichedelici, assuefatti da dosi massicce di Kyuss, Black Sabbath, Sleep e molto rock’n’roll. Jammano che è un piacere i ragazzi siciliani, la loro musica grezza e potente stordisce come un mega joint fumato nei pressi delle fauci di quel vulcano e ci sembrerà di essere inghiottiti dal cono di questo gigante neanche troppo addormentato. I quattro brani che formano questo EP di esordio regalano atmosfere legate allo stoner americano, con suoni impastati come da copione, riff settantiani e un’aura “tossica” che rende il tutto molto freak. A parte la bellissima Bing Bong Bubbles, la più psichedelica del lotto, con i suoi rimandi pinkfloydiani e vicina al capolavoro “Cloud Eye” di un’altra band siciliana come gli Elevators To The Grateful Sky, l’album è una lunga jam composta da tanto spirito rock’n’roll ipervitaminizzato da bombardate di hard rock acido, supportate da una sezione ritmica potente, composta da Marco “Franksquirt” al basso e Alfredo “Frankhobo” alla batteria, i quali non mollano un attimo il tiro ed accompagnano i deliri distorti delle due chitarre, in mano a Seby “Redfrank” e Francesco “Feliscatus”, quest’ultimo alle prese anche con il microfono. Spiral Target, Hiperviper e la grandiosa For My Pleausure, brano sopra le righe dove sono presenti rimandi al blues sporcato da iniezioni di Kyuss, Fu Manchu e Monster Magnet (praticamente il meglio dello stoner psichedelico a stelle e strisce), formano un tris di song che non fanno prigionieri, assottigliando sempre di più la linea che passa dalla Sicilia al deserto americano. Buon banco di prova questo demo per i Rhino, ora più che mai pronti al gran salto del full-length.

Tracklist:
1.Spiral Target
2.Hiperviper
3.Bing Bong Bubbles
4.For My Pleausure

Line-up:
Marco “Franksquirt” – Bass
Alfredo “Frankhobo” – Drums
Seby “Redfrank” – Guitars
Francesco “Feliscatus” – Guitars,Vocals

RHINO – Facebook

Aphonic Threnody & Frowning – Of Graves, of Worms, and Epitaphs

Questo split conferma il momento di grazia degli Aphonic Threnody, dai quali invochiamo a gran voce al più presto un nuovo album, e ci offre un nuova realtà come Frowning che attendiamo con curiosità all’esordio su lunga distanza.

Tempo di split album per gli Aphonic Threnody, i quali, dopo l’ottimo “Immortal In Death”, in coppia con i georgiani Ennui, sempre sotto l’egida della GS Production ci regalano altre due splendide tracce, questa volta condividendo gli spazi con la meno conosciuta one man band tedesca Frowning.

Rispetto a “Ruins”, contenuta nella predente uscita, spicca l’assenza di Kostas sicchè anche le tastiere vengono curate da Riccardo Veronese, il che rende il sound decisamente molto più guitar oriented e, a mio avviso, ancor più efficace rispetto alla già rimarchevole precedente uscita.
Scorched Earth è un brano dall’elevato tasso drammatico, nel quale la band, supportata dall’illustre ospite Jarno Salomaa (Shape Of Despair) rallenta ulteriormente il passo creando atmosfere avvolgenti grazie a riff che combinano impatto e melodia, il tutto esaltato da una magnifica prestazione vocale di Roberto Mura.
La successiva The Last Stand Against the Gloom non si rivela affatto inferiore, esaltando ancor più se possibile l’ispirato trademark classico del death-doom d’oltemanica, tanto che viene spontaneo chiedersi come mai gli Aphonic Threnody non abbiano fatto uscire un intero lavoro a proprio nome, mettendo assieme questi tre eccellenti brani per un minutaggio complessivo di quasi tre quarti d’ora, invece di spalmarli su due split album.
Poco male, comunque, quando la musica è di questo livello, la maniera scelta per veicolarla passa necessariamente in secondo piano.
Come detto, la seconda parte dello split è affidata ad un nome nuovo, Frowning, progetto solista funeral di Val Atra Niteris, musicista tedesco di estrazione black che ha all’attivo un album con gli Heimleiden.
Portandosi inevitabilmente appresso alcune delle caratteristiche tipiche delle one man band, il suono in questo caso è più minimale rispetto a quello di una band vera e propria come gli Aphonic Threnody, ma il risultato non è affatto disprezzabile, anzi: Funeral March è un brano decisamente in linea con gli standard del genere, esibendo una struttura compositiva capace di evocare il giusto pathos, mentre più composita appare In Solitude, dotata com’è di una toccante intro pianistica, e mostrando nel complesso il lato più riflessivo di Val.
Due brani piuttosto convincenti che costituiscono la maniera ottimale per presentarsi agli appassionati in attesa del full-length di prossima uscita .
In definitiva, questo split conferma il momento di grazia degli Aphonic Threnody, dai i quali invochiamo a gran voce al più presto un nuovo album, e ci offre un nuova realtà come Frowning che attendiamo con curiosità all’esordio su lunga distanza.

Tracklist:
1. Aphonic Threnody – Scorched Earth
2. Aphonic Threnody – The Last Stand Against the Gloom
3. Frowning – In Solitude
4. Frowning – Funeral March

Line-up :
Aphonic Threnody
Riccardo – Guitars, Bass, Keyboards
Roberto – Vocals, Lyrics
Abel – Cello
Marco – Drums

Frowning
Val Atra Niteris – Everything

APHONIC THRENODY – Facebook

Aphonic Threnody & Ennui – Immortal In Death

Per entrambe le band ci troviamo probabilmente di fronte al vertice qualitativo raggiunto nel corso delle rispettive discografie.

Chi pensa che gli split album siano tutto sommato operazioni trascurabili nel complesso della discografia di una band, pur non avendo del tutto torto a livello di principio, viene nell’occasione smentito da questo Immortal In Death, che vede alle prese, con un brano ciascuno, una sorta di internazionale del doom come gli Aphonic Threnody e gli emergenti georgiani Ennui.

Del resto, tre quarti d’ora di musica racchiusa in sole due tracce testimoniano quanta carne al fuoco ci sia all’interno di questo ottimo lavoro all’insegna del funeral-death doom più cupo e malinconico.
Lo split si apre con i venti minuti di Ruins, ad opera degli Aphonic Threnody, band che racchiude musicisti piuttosto noti nella scena quali l’inglese Riccardo V. (Dea Marica, Gallow God), gli italiani Roberto M. e Marco Z. (Dea Marica, Urna), il belga Kostas P. (Pantheist, Wijlen Wij) e l’ungherese Abel L..
Mai come in questo caso, l’unione di queste ottime individualità produce una somma di valori adeguata alle attese, regalando un brano eccellente che va a collocarsi oltre il livello standard raggiunto con le già quotate band di provenienza: Ruins risulta una vera e propria summa di tali esperienze con la quale, aderendo in toto ai dettami della scuola britannica, gli Aphonic Threnody fanno propria la lezione intrisa di decadente lirismo impartita un ventennio fa dai My Dying Bride, rielaborandola con la necessaria competenza ed ottenendo un risultato per certi versi inatteso, tale è il coinvolgimento prodotto da questo brano, capace di crescere in maniera esponenziale fino ad esaltare le caratteristiche peculiari del genere in un finale magnifico.
La traccia proposto dagli Ennui, Hopeless, ci consente di mettere a confronto una scuola più consolidata con quella di recente tradizione dell’area ex-sovietica: il duo georgiano composto da David Unsaved e Serj Shengelia ha all’attivo due album di recente uscita, “Mze Ukunisa” del 2012 e “The Last Way” del 2013, entrambi di ottima fattura e capaci di imporli immediatamente all’attenzione degli appassionati.
Rispetto ai compagni di avventura gli Ennui accentuano maggiormente l’aspetto malinconico della composizione, lasciando che il costante connubio tra la chitarra solista ed il growl profondo di David dipinga uno scenario di immane disperazione; il risultato è brano lungo quanto intenso e in grado di sprigionare emozioni a getto continuo, ale quale è pressoché impossibile restare indifferenti.
Ecco spiegato il motivo per il quale vale la pena di attribuire a questo split, pubblicato dall’etichetta russa GS Production, la stessa dignità di un full-length, non solo per la sua ragguardevole durata complessiva ma soprattutto per la qualità immessa da Aphonic Threnody e Ennui nei due brani spingendomi ad affermare che, per entrambe le band, ci troviamo di fronte al vertice qualitativo raggiunto nel corso delle rispettive discografie.

Tracklist:
1. Aphonic Threnody – Ruins
2. Ennui – Hopeless

Line-up :
Aphonic Threnody
Riccardo V. – Guitars, Bass
Roberto M. – Vocals, Lyrics
Abel L. – Cello
Marco Z. – Drums
Kostas P. – Keyboards

Ennui
Serj Shengelia – Guitars, Bass, Drums
David Unsaved – Guitars, Vocals

APHONIC THRENODY – Facebook

ENNUI – Facebook

Wraithmaze – Fields Of Nihilism

I finnici Wraithmaze si ripropongono al pubblico dopo l’esordio su lunga distanza del 2011 con questo riuscito Ep a base di un death-doom dai tratti spiccatamente melodici.

I finnici Wraithmaze si ripropongono al pubblico dopo l’esordio su lunga distanza del 2011 con questo riuscito Ep a base di un death-doom dai tratti spiccatamente melodici.
Il sound della band, infatti, appare incentrato sull’ottimo lavoro alle tastiere del leader Janne Kielinen, ma va detto che lo strumento non finisce per debordare come sovente avviene in simili frangenti, lasciando invece il giusto spazio anche al resto della strumentazione.
Proprio l’accentuato gusto melodico è ciò che più piace in Fields Of Nihilism: i quattro brani sono decisamente scorrevoli e, in fondo, se non ci fosse il growl di Jarko Rintee ad incattivire e conferire morbosità al songwriting, l’Ep resterebbe stabilmente ancorato ad atmosfere potenzialmente fruibili anche per ascoltatori non necessariamente avvezzi al genere.
Molto azzeccato tra gli altri, il tema portante di Homeless, ma un pò tutti i brani sono disseminati di passaggi emozionanti, avvincenti, spesso accostabili alla solennità di certe colonne sonore (Battle with the Bottle ) ed eseguiti in maniera eccellente dal punto di vista tecnico.
Peccato solo che il tutto si esaurisca in poco più di venti minuti, ma chi volesse, in attesa di un nuovo album, può andarsi tranquillamente a riscoprire il precedente full-length “Adagio in Self-Destruction” senza correre il rischio di restarne deluso.
Davvero bravi i Wraithmaze, i quali, pur senza reinventare la ruota, mettono sul piatto un lavoro affascinante e di grande sostanza, ideale viatico ad un auspicabile prossimo album.

Tracklist:
1. Shrine of the Unwanted
2. Homeless
3. Battle with the Bottle
4. Funeral Autumn

Line-up :
Janne Kielinen – Guitars, Keyboards
Jarkko Rintee – Vocals
Jan Siekkinen – Guitars
Lord Angelslayer – Bass

WRAITHMAZE – Facebook

Karnak – The Cult Of Death

Ventidue minuti di death metal privo di compromessi e suonato in maniera impeccabile.

Per chi non li conoscesse, i Karnak non sono affatto dei novellini della scena death tricolore, essendo attivi già dalla metà degli anni novanta, la band di Gorizia ha nel suo curriculum tre full-length: “Perverted” del 1997, “Melodies Of Sperm Composed” del 1999 e “Dismemberment” datato 2010, più un paio di Ep, licenziati all’inizio del millennio.

Alla già consistente discografia si va ad aggiungere l’ultimo The Cult Of Death, ancora un Ep contraddistinto da un death metal ai limiti del brutal in certi passaggi, molto vicino quindi allo spirito di Gorguts, Morbid Angel e Nile.
Il lavoro dei nostri è composto da un’intro, tre brani e la cover riuscitissima di Jewel Throne dei seminali Celtic Frost, in tutto ventidue minuti di privi di compromessi, sempre suonati in maniera impeccabile, con diversi rimandi old school, tra un growl demoniaco, sfuriate violentissime e frenate, sull’orlo di un abisso sonoro pronto ad inghiottirci.
Stupendo esempio di ciò è The Construction Of The Pyramid Beta (Invocation), brano veramente terrificante nel suo lento discendere nei meandri di un sound, nel quale non esiste più speranza di luce ma solo dannazione eterna.
Le altre due parti di The construction, The Demon’s Breath e Gamma, sono un massacro brutal death dove le due asce sciorinano assoli e ritmiche inumane e la batteria di Stefano Rumich è un tir senza freni che tutto travolge.
Se questo è l’antipasto del prossimo lavoro sulla lunga distanza ne vedremo, ma soprattutto sentiremo, delle belle.

Tracklist:
1. Intro
2. The Construction of the Pyramid -α- (The Demon’s Breath)
3. The Construction of the Pyramid -β- (Invocation)
4. The Construction of the Pyramid -γ-
5. Jewel Throne (Celtic Frost cover)

Line-up:
Stefano Rumich – Drums, Egyptian percussions
Francesco Ponga – Vocals, Guitars
Lorenzo Orsini – Bass, Vocals
Marco Polo – Guitars

KARNAK – Facebook

Paganizer – Cadaver Casket (On A Gurney To Hell)

Un assaggio di death old school fornitoci tra un album e l’altro da una band dalla qualità non intaccata da una certa prolificità

Veterani della scena Death metal svedese, i Paganizer tornano con un mini CD, dopo World Lobotomy, lavoro sulla lunga distanza licenziato in questo 2013, a dimostrazione della prolificità del combo; sono ben nove, infatti, gli album immessi sul mercato dal 1998, anno di debutto, più svariati mini e split.

Rogga Johansson, leader, voce e chitarra, sembra essere instancabile vista la moltitudine di band della scena con cui ha collaborato, ma i Paganizer sono sicuramente la creatura a cui è più legato e alla quale dedica buona parte delle sue energie. Il mini in questione, sorta di appendice dell’ultimo album, non si discosta né musicalmente né concettualmente dai lavori passati, sempre di old style death metal si tratta, dalle tematiche gore e anticristiane e fortemente influenzato o per meglio dire, visti gli anni di militanza di Rogga nella scena, vicino a band del calibro di Dismember e Grave.
I cinque pezzi che compongono il lavoro risultano così dei buoni esempi di death old school e dove, nell’ultimo album, si riscontravano elementi di scuola grind, in questa occasione i Paganizer sterzano verso sonorità e ritmiche più thrash oriented.
Buoni come sempre sono gli assoli della sei corde e lavoro di ordinaria amministrazione per tutti i musicisti, va elogiata sempre e comunque la volontà e la passione che artisti come Johansson mettono ancora, dopo così tanti anni, nel portare avanti un discorso musicale fuori dai circuiti modaioli, aggiungendo qualità e esperienza alla scena underground e meritandosi doverosamente il massimo rispetto.

Tracklist:
1. On a Gurney to Hell
2. Rot
3. Souls for Sale
4. Afterlife Burner
5. It Came from the Graveyard

Line-up:
Rogga Johansson – Vocals, Guitars
Matthias Fiebig – Drums
Dennis Blomberg – Guitars (lead)

PAGANIZER – Facebook

Kuolemanlaakso – Musta Aurinko Nousee

Una band da tenere d’occhio nel prossimo futuro, quindi, indipendentemente dalla lettura dei nomi presenti in line-up.

Non posso negare che nell’avvicinarmi a questo Ep sono stato inevitabilmente attratto dalla presenza in line-up di Mikko Kotamäki, ben più noto come cantante degli immensi Swallow The Sun.

Va quindi chiarito ogni tipo di equivoco dicendo subito che, al di là della presenza del vocalist, i tratti comuni tra le due band non sono poi moltissimi, in primis perché qui il songwriting non è ad opera di Juha Raivio bensì di Markus Laakso, chitarrista e tastierista ideatore del progetto (non a caso il monicker della band è costituito parzialmente dal suo cognome).
I Kuolemanlaakso hanno esordito nel 2012 con un buon full-length e questo breve Ep, che consta di quattro brani (una delle quali è una cover), è soprattutto propedeutico al prossimo album previsto in uscita nei primi mesi dell’anno; come detto, il sound, pur potendo essere classificato a buon titolo come death-doom, non ne possiede le caratteristiche specifiche che ci si potrebbero attendere da un band finlandese.
Infatti, nonostante Laakso svolga un ruolo fondamentale con le sue tastiere nei folli symphonic-industrial blacksters Chaosweaver, in quest’occasione relega lo strumento ad un ruolo di semplice accompagnamento lasciando che a parlare siano le chitarre e, ovviamente, la voce di Kotamäki: ciò che ne scaturisce è, pertanto, un songwriting dalle diverse sfaccettature.
La prima traccia, Me Vaellamme Yössä, è quella più orecchiabile e potrebbe essere approssimativamente definibile come una versione più aggressiva degli Amorphis, con una bella linea melodica ed il growl di Mikko a condurre le danze, mentre Tulenväki e Kalmoskooppi sono decisamente meno catchy pur rivelandosi tutt’altro che piatte, privilegiando un impatto sbilanciato sul versante death, e nelle quali il vocalist sfoggia anche il suo caratteristico screaming.
L’ultima traccia potrebbe essere catalogata come la più riuscita, anche se in realtà si tratta della cover di una rock band nota in Finlandia negli anni ‘80, gli Juha Leskinen Grand Slam: Musta Aurinko Nousee, che dà anche il titolo all’Ep, era un bel brano anche nella versione originale, ma i Kuolemanlaakso ne rallentano in maniera notevole l’andatura trasformando il tutto in un episodio dal sapore gothic, con il contributo di un Kotamäki che esibisce un’inedita timbrica alla Peter Steele.
La creatura di Markus Laakso mostra un potenziale interessante e, forse, l’unico ostacolo da superare nell’approccio è proprio l’utilizzo della la lingua madre, anche se mi chiedo se abbia ancora senso nel 2013 porsi delle barriere linguistiche quando ormai esistono diversi strumenti per capire il significato di testi redatti in qualsiasi lingua.
Una band da tenere d’occhio nel prossimo futuro, quindi, indipendentemente dalla lettura dei nomi presenti in line-up.

Tracklist:
1. Me vaellamme yössä
2. Tulenväki
3. Kalmoskooppi
4. Musta aurinko nousee

Line-up :
Usva – Bass
Tiera – Drums
Kouta – Guitars
Laakso – Guitars, Keyboards
Kotamäki – Vocals

KUOLEMANLAAKSO – Facebook

Negura Bunget – Gind A Prins

L’unica maniera per apprezzare pienamente i dieci minuti di musica contenuti in Gind A Prins è quello di liberarsi dell’ingombrante pregiudizio che può derivare dal nome della band stampato sulla copertina.

Non volendo prendere le parti di alcuno, l’unica osservazione che si può fare è che forse sarebbe stato meglio che anche Negru, così come i suoi ex-compagni che in seguito allo split hanno dato vita ai Dordeduh, avesse scelto di utilizzare un nome diverso per il suo attuale progetto, a maggior ragione ora che ha nuovamente rivoluzionato la line-up rispetto a “Poarta de Dincolo”; del resto la qualità della musica espressa è comunque innegabile e, in caso contrario, mantenere un monicker già affermato non sarebbe servito a coprire eventuali pecche.

Ma tant’è … , i Negura Bunget, come anticipazione del loro secondo album nella versione “mark II”, pubblicano questo incantevole 7” che, in linea con le tendenze già manifestate nelle uscite più recenti, è costituito da un folk ambient dal sapore ancestrale e che reca impressa a fuoco la propria provenienza geografica.
Curgerea Muntelui e Taul Fara Fund sono due brani piuttosto brevi in ossequio al formato prescelto, il che non fa che aumentare il desiderio di sentire al più presto nuove composizioni; mentre la prima delle due possiede un struttura canzone più tradizionale e si rivela un episodio maestoso ed emozionante , con la bella voce di Tibor Kati a declamare i consueti testi in lingua madre adagiati su un tappeto di tastiere e strumenti a fiato, la seconda è un esempio ben riuscito di ambient dalla forte componente etnica, dove una litania corale diviene un tutt’uno con il flauto di Petrica Ionutescu.
La magnificenza di “Om” è un ricordo lontano, un paragone improponibile e pure ingiusto, e l’unica maniera per apprezzare pienamente i dieci minuti di musica contenuti in Gind A Prins è quello di liberarsi dell’ingombrante pregiudizio che può derivare dal nome della band stampato sulla copertina.

Tracklist:
1. Curgerea Muntelui
2. Taul Fara Fund

Line-up:
Negru – drums / percussion / dulcimer / xylophone / horns
Tibor Kati – vocals / guitars / keyboards / programming
Adrian Neagoe – guitars / vocals / keyboards
Petrică Ionuţescu – pipes / horns / traditional instruments
Ovidiu Corodan – bass
Vartan Garabedian – percussions / vocals

NEGURA BUNGET – Facebook

Helrunar / Árstíðir Lífsins – Fragments: A Mythological Excavation

“Fragments: A Mythological Excavation” è uno split album, nato dalla collaborazione tra le due label tedesche Prophecy Productions e Vàn Records, che vede impegnate due band forse non troppo conosciute dalle nostre parti ma sicuramente di grande spessore artistico.

Fragments: A Mythological Excavation è uno split album, nato dalla collaborazione tra le due label tedesche Prophecy Productions e Vàn Records, che vede impegnate due band forse non troppo conosciute dalle nostre parti ma sicuramente di grande spessore artistico.

Parliamo degli Helrunar, senz’altro più noti anche perché attivi da ben oltre un decennio, anch’essi tedeschi, e degli Árstíðir Lífsins, combo dalla formazione recente che racchiude musicisti provenienti da diverse nazioni del nord Europa: li accomuna, oltre il genere suonato, anche una passione e una conoscenza tutt’altro che superficiale della mitologia nordica (e non solo, come vedremo).
Entrambe dedite a una forma di black epico, atmosferico e dalla forte componente etnica, le due band colgono questo occasione per presentare ognuna un lungo brano che ne ribadisce una volta di più le capacità già espresse in passato.
Lo split si apre con Wein Fur Polyphem degli Helrunar, i quali , attraverso il proprio leader Skald Draugir, spostano la loro attenzione verso la mitologia mediterranea, affrontando quello che probabilmente ne è il poema più conosciuto, l’Odissea. Il brano è un perfetto esempio di musica colta ed evocativa a 360 gradi: nel suo quarto d’ora si alternano parti corali, passaggi di enorme impatto caratterizzati da riff, ora chirurgici, ora capaci di evocare il fascino mai sopito delle gesta di Ulisse e dei suoi compagni di avventura.
Gli Árstíðir Lífsins, se come già detto si possono considerare in qualche maniera appartenenti allo stesso filone dei propri compagni di split, in realtà spostano ancora più l’asticella verso il lato maggiormente malinconico e sinfonico del genere; intendiamoci, qui non abbiamo a che fare con tastiere bombastiche bensì con strumenti classici che si integrano alla perfezione con le sfuriate di matrice black. Ammetto colpevolmente di non conoscere quanto composto in passato da questa magnifica band, ma il livello compositivo di Vindsvalarmál è tale da indurmi a pensare d’essermi perso qualcosa di importante.
In questi venti minuti la band condotta dal polistrumentista Stefan ci conduce per mano nel mondo dei miti norreni e il tutto avviene con la competenza e la cognizione di causa che proviene solo da uno studio approfondito della materia (lo stesso vale anche per Skald Draugir): tutto ciò trova nella musica il suo naturale sbocco rendendo questo brano una vera e propria perla, superiore al già di per sé notevole contributo degli Helrunar.
Devo dire che ho sempre considerato gli split album alla stregua di opere minori e dal carattere un po’ dispersivo, ma non posso che approvare al 100% quest’operazione, che ci consegna mezz’ora abbondante di ottima musica, oltre ad aumentare l’attesa per le prossime uscite su lunga distanza delle due band.

Tracklist :
1. Helrunar – Wein für Polyphem
2. Árstíðir Lífsins – Vindsvalarmál

Line-up :
Helrunar:
Skald Draugir – Vocals
Alsvartr – Drums, Bass
Discordius – Guitars, Vocals

Árstíðir Lífsins:
Stefán – Guitars, bass, vocals & choirs
Árni – Drums, viola, double bass, vocals & choirs
Georg – Vocals & choirs
Marsél – Vocals & choirs
Sveinn – Piano, keyboards & effects
Kristófr – Percussions & choirs
Tómas – Choirs
Teresa – Vocals
Kristín – Organ

HELRUNAR – Facebook

ARSTIDIR LIFSINS – Facebook

Doomraiser / Caronte – Split

Uno split che si rivela un’autentica chicca per gli appassionati, oltre che un prezioso e gradito antipasto in grado di lenire l’attesa per le prossime prove su lunga distanza di due band dallo status ormai consolidato.

Piatto decisamente succulento, questo split album che vede alle prese due delle punte di diamante della scena doom tricolore, i romani Doomraiser ed i parmensi Caronte.

Dopo tre lavori che l’hanno imposta all’attenzione non solo in ambito nazionale, la band della capitale propone un lungo brano che tutto sommato riassume quella che è stata la sua progressione stilistica in questi anni: elementi di doom primordiale vanno ad amalgamarsi con quelle pulsioni psichedeliche che hanno caratterizzato in particolare l’ultimo “Mountain Of Madness”: in Dream Killers viene evidenziato un ottimo equilibrio tra le varie componenti del sound che appare, soprattutto nella parte iniziale, più diretto del solito; come sempre da rimarcare la prestazione di Nicola “Cynar” Rossi, capace di offrire senza sbavature diversi range vocali. La proposta dei Caronte su articola invece su due brani che, pur mantenendo ben saldo il trademark della band, esplorano in maniera differente la materia stoner psichedelica che i nostri sanno maneggiare sempre con maestria: più lineare e fruibile al primo impatto Tales From The Graves, traccia oscura e avvolgente, resa ancor più affascinante dal sapiente uso dell’hammond, mentre maggiormente disturbata da pesanti influssi dark-esoterici appare Journey Into The Moonlight, brano cangiante nel quale, quando il sound si distende nei suoi passaggj più evocativi, l’interpretazione vocale di Dorian Bones ricorda da vicino per intensità quella del miglior Danzig. Uno split che si rivela, quindi, un’autentica chicca per gli appassionati, oltre che un prezioso e gradito antipasto in grado di lenire l’attesa per le prossime prove su lunga distanza di due band dallo status ormai consolidato.

Tracklist :
1. Doomraiser – Dream Killers
2. Caronte – Back from the Grave
3. Caronte – Journey into the Moonlight

Line-up :
Doomraiser
Cynar – Vocals
Drugo – Guitar
Willer – Guitar
BJ – Bass
Pinna – Drums

Caronte
Tony Bones – Guitars
Mike De Chirico – Drums
Henry Bones – Bass Dorian
Bones – Vocals

DOOMRAISER – Facebook

CARONTE – Facebook

Attractha – Engraved

“Engraved” mette in evidenza una band dalle notevoli potenzialità e dalla sufficiente personalità in grado di regalare soddisfazioni a chi apprezza il metal nella sua veste più classica.

I brasiliani Attractha appartengono all’affollata categoria di band che, a causa di varie vicissitudini legate all’instabilità della line-up, riescono solo dopo diversi anni di attività a presentare al pubblico il frutto del proprio impegno.

In questo caso, il quartetto paulista , con l’Ep intitolato Engraved, fornisce un assaggio di quello che dovrebbe essere il full-length d’esordio programmato entro la fine di quest’anno.
La musica prodotta dai nostri è un heavy metal ricco di diverse sfumature che vanno dall’hard rock al prog-metal, passando per il grunge e l’heavy classico, facendo sì che le quattro tracce proposte possiedano una certa immediatezza che rende davvero piacevole l’ascolto.
Darkness, scelta come singolo per il lancio dell’Ep, mette subito in evidenza sia le ottime doti tecniche del quartetto sia la buona prestazione vocale di Marcos De Canha, ma ancora meglio è la successiva The Choice, dotata di una splendida linea melodica.
Più ordinarie per quanto valide la semi-ballad Blessed Life, impreziosita comunque da un bellissimo assolo di Ricardo Oliveira, e la conclusiva Beginning, dagli evidenti rimandi novantiani.
Engraved mette in evidenza una band dalle notevoli potenzialità e dalla sufficiente personalità in grado di regalare soddisfazioni a chi apprezza il metal nella sua veste più classica.

Tracklist :
01. Darkness
02. The Choice
03. Blessed Life
04. Beginning

Line-up :
Marcos da Canha – Vocals
Ricardo Oliveira – Guitars & vocals
Guilherme Momesso – Bass
Humberto Zambrin – Drums & vocals

ATTRACTHA – Facebook

Soundcloud – The Choice

Aylwin / Zinvmm – Aylwin / Zinvmm

Curioso split album che vede impegnate due band piuttosto lontane tra loro per estrazione geografica e musicale.

Curioso split album che vede impegnate due band piuttosto lontane tra loro per estrazione geografica e musicale.

Gli Aylwin sono un duo californiano dedito ad un post-black atmosferico che si colloca sulla scia degli Wolves in The Throne Room: dopo un intro ambientale, Hymns mostra subito sonorità interessanti e avvolgenti, con un bel tema melodico violentato dalla doppia cassa e dal consueto screaming sgraziato ma efficace, mentre Hymns II esordisce sconfinando in territori depressive per poi riacquistare un ritmo parossistico nella sua fase centrale e sfumare in un finale di stampo ambientale. Hymns III non modifica in maniera sensibile le coordinate sonore e chiude in maniera positiva la parte dedicata alla band statunitense che, seppure parzialmente penalizzata da una registrazione rivedibile, mostra potenzialità assolutamente da non sottovalutare.
La one-man band spagnola Zinvmm occupa gli ultimi tredici minuti dello split album con una sola traccia, Beith, che ci trasporta verso sonorità di tipo ambient folk dal sapore ancestrale. Nonostante venga naturale il riferimento a realtà quali Burzum et similia, la componente mediterranea del sound prende piacevolmente il sopravvento anche grazie all’uso di una strumentazione non convenzionale ma sempre appropriata.
Split interessante, dunque, e due nomi da tenere senz’altro sotto osservazione.

Tracklist:
1. Aylwin – The imaged engraved (intro)
2. Aylwin – Hymns
3. Aylwin – Hymns II
4. Aylwin – Remain in trance (Evening Ritual)
5. Aylwin – Hymns III
6. Zinvmm – Beith

AYLWIN – Facebook
ZINVUMM – Facebook

Sick Monkey – Anatomia Dell’Essere

Le sensazioni che restano impresse dopo l’ascolto di “Anatomia dell’Essere” sono del tutto positive e per questo motivo contiamo di poterci gustare al più presto un album intero degli ottimi Sick Monkey.

Potente, ruvido e genuino: tre aggettivi che servono per inquadrare il sound dei Sick Monkey, alle prese con il loro primo EP Anatomia Dell’Essere.

La band, proveniente dalla sponda orientale del lago di Garda, nasce nel 2007 e musicalmente, come ci informano le note biografiche, trae linfa dallo stoner in stile Kyuss senza precludersi eventuali escursioni in altri generi.
Lo testimonia la title-track posta in apertura che, dopo un avvio cadenzato come ci si aspetterebbe, si sposta in certi frangenti su ritmiche più spedite che lambiscono territori hardcore pur mantenendo complessivamente l’impatto e le chitarre lisergiche dei maestri del desert rock.
Già a partire dalla successiva Entiende il sound si fa più sempre più viscoso e le chitarre più distorte, mentre con la terza traccia Ruggine il quartetto veneto esprime al massimo le proprie potenzialità grazie a quello che sembra essere un vero marchio di fabbrica: riff granitici, una base ritmica spaccaossa e testi mai banali che raccontano i disagi e le problematiche della quotidianità.
Senza Testo (che, nonostante il titolo non è un brano strumentale) rinsalda l’ottimo lavoro svolto dai Sick Monkey chiudendo un EP nel quale si riscontrano sicuramente molte luci e pochissime ombre: a tale proposito è da valutare quanto possa essere funzionale alla riuscita del lavoro l’utilizzo della lingua italiana che, se da una parte consente ai nostri di comporre i testi in maniera più diretta ed efficace, dall’altra potrebbe costituire un ostacolo al tentativo di donare in futuro un respiro internazionale alla loro musica.
Ma, al di là di questa annotazione, le sensazioni che restano impresse dopo l’ascolto di Anatomia Dell’Essere sono del tutto positive e per questo motivo contiamo di poterci gustare al più presto un album intero degli ottimi Sick Monkey.

Line-up:
Marco Fila – Batteria
Antonio Bonizzato – Voce, Basso
Claudio Luce – Chitarra Solista
Pierpaolo Modena – Voce, Chitarra

1. Anatomia dell’Essere
2. Entiende
3. Ruggine
4. Senza Testo

TEMPLE OF BAAL/RITUALIZATION – THE VISION FADING OF MANKIND

Nel complesso lo split è uno dei migliori usciti nel 2011, e vale sicuramente l’acquisto anche per lo splendido artwork

Split fra due band estreme francesi sulla strada da tempo.

Gli approcci sono differenti, ma l’amore per le tenebre è lo stesso, e i Temple of Baal e i Ritualization sfornano una grande prova di aggressività e durezza. Iniziano i Temple of Baal con un death metal classico di matrice svedese, con una registrazione ruvida e molto molto viva. I Temple sono dei veterani della scena francese, e in questo split hanno registrato nuovamente una canzone del loro primo album, con il nuovo batterista Skum, che fa presagire grandi cose dal vivo. I loro 4 pezzi sono davvero una delizia per ogni palato death metal. A seguire i Ritualization ci danno dentro fin dal primo pezzo Ave Dominus, ma il Dominus in questione non è precisamente il papà di Gesù … I Ritualization sono maggiormente black rispetto ai Temple of Baal, ma hanno anche solide basi death metal, e il loro suono è floridamente vintage come per i loro conterranei e compagni di split. L’ultimo pezzo dei Ritualization è Devil speaks in tongue, una cover dei seminali Mortem, un gruppo peruviano che vale attente ricerche sulla rete. Nel complesso lo split è uno dei migliori usciti nel 2011, e vale sicuramente l’acquisto anche per lo splendido artwork di Christophe Jager.
Insomma la Francia continua a spaccare i culi in ambito metal, e non solo.

Tracklist:
1.Temple Of Baal – Ordeals Of The Void
2.Temple Of Baal – When Mankind Falls
3.Temple Of Baal – Slaves To The Beast
4.Temple Of Baal – Heresy Forever Enthroned
5.Ritualization – Ave Dominus
6.Ritualization – The Second Crowning
7.Ritualization – Devil Speaks In Tongues (Mortem Cover)