Holy Shire – Midgard

Interessante debutto per i lombardi Holy Shire,che si allontanano dai soliti clichè symphonic per un album folk/epic metal d’autore.

Interessante debutto sulla lunga distanza per i milanesi Holy Shire, freschi di firma con Bakerteam e autori di un album che di questi tempi riesce ad essere originale, allontanandosi dai soliti clichè power, gothic e symphonic cari a molte band della scena, mostrando un approccio più ottantiano, meno pomposo ma altrettanto riuscito.

Fondato nel 2009, con all’attivo un demo ed un Ep (“Pegasus” – 2011), il gruppo è composto da ben otto elementi; Midgard, che si rifà per la maggior parte, a livello di tematiche, alla saga “Il trono di spade”, opera Fantasy di George R.R Martin, è un’opera prima affascinante e molto raffinata. Di non semplice lettura, il lavoro come detto è spogliato da tutti quegli elementi che caratterizzano le classiche opere che tanto vanno di moda in questi tempi, qui l’heavy metal dalla forte epicità è levigato da una spiccata connotazione folk cantautorale e da tanto Rock; i suoni, mai troppo magniloquenti nelle orchestrazioni, rendono il disco sognante, maturo nel saper trasmettere le atmosfere senza forzare la mano, arrivando all’ascoltatore in modo genuino. Gli Holy Shire sanno anche essere incisivi, infatti chitarre metalliche e ritmiche più heavy sono protagoniste in brani potenti ed epici come l’opener Bewitched, The Revenge of The Shadow e Holy War, mentre il flauto e le tastiere ricamano melodie che si fanno a tratti incantevoli nelle magnifiche Winter Is Coming e Holy Shire. Buone le voci delle vocalist e di spessore le prove dei musicisti, in particolare quella di Ale che coinvolge con il suono del suo flauto, strumento protagonista indiscusso di tutto il lavoro e che, a tratti, riprende sonorità provenienti direttamente dagli anni ’70 (Jethro Tull). È indubbio che l’epic metal ottantiano faccia parte del background della band, così come penso siano ascolti abituali per il gruppo quelli di cantanti folk come Loreena McKennitt, elemento che contribuisce a fornire quel tocco di originalità rendendo quello che poteva essere un “semplice” album metal un lavoro d’autore. Complimenti alla band, quindi, così come alla Bakerteam per aver dato fiducia ad un gruppo dalle sonorità leggermente fuori dagli schemi abituali. Senza ombra di dubbio, buona la prima.

Tracklist:
1. Bewitched (My Words Are Power)
2. Winter Is Coming
3. Gift of Death
4. Overlord of Fire
5. Holy Shire
6. The Revenge of the Shadow
7. Beyond
8. Holy War
9. Midgard

Line-up:
theMaxx – Drums
Reverend Jack – Keyboards
Aeon – Vocals (lead)
Ale – Flute
Andrew Moon – Guitars (lead)
Ed Gibson – Guitars (rhythm)
Piero Chiefa – Bass
Sisiki – Vocals (choirs)

HOLI SHIRE – Facebook

Ancient Bards – A New Dawn Ending

Gli Ancients Bards si confermano come una delle band di riferimento per il symphonic power metal con un album stupefacente.

Magnifico è la parola che più di altre può descrivere un’opera come il terzo album dei nostrani Ancient Bards: i musicisti romagnoli, ormai considerati una delle band di punta del power sinfonico europeo, non deludono fan e addetti ai lavori e se ne escono con un disco che si candida fin da ora come il top nel genere in questo anno di grazia 2014.

Per chi ancora non li conoscesse, gli Ancients Bards sono attivi dal 2006 e hanno all’attivo, prima di questo, due album: l’esordio del 2010 “The Alliance Of The Kings”, che ne faceva intuire le grandi potenzialità, ed il bellissimo “Soulless Child”, del 2012. Il nuovo A New Dawn Ending supera la più rosee aspettative, confermando le qualità della band e regalando al metal una nuova regina: Sara Squadrani. La vocalist, di ritorno dall’esperienza con Anthony Lucassen sul nuovo album del suo progetto Ayreon, sfodera una prova magnifica: il suo contributo in personalità e talento fa di questo lavoro, già di per sè bellissimo, un oggetto che, al di là dei gusti, dovrebbe essere presente sullo scaffale di qualsiasi appassionato di metal. Hanno fatto passare tre anni prima di tornare sul mercato, ma è valsa la pena attendere visti i risultati; infatti, il gruppo torna più che mai consapevole della propria forza e l’ascoltatore così si trova davanti ad un album devastante sotto ogni profilo: una produzione stupefacente, un songwriting grandioso, musicisti al top ed un sound epico, magniloquente e sinfonicamente cinematografico, dove il power metal è spogliato dei soliti clichè rivestendolo di un’eleganza metallica fuori dal comune. Allora va da sè che, dall’intro Before The Storm, verrete investiti da questa travolgente esperienza e i settanta minuti circa di durata vi sembreranno un attimo, presi per mano dalla stupenda voce di Sara che vi accompagnerà in questo sogno fatto di orchestrazioni, accelerazioni, emozionanti atmosfere epiche, bordate di cannoni power scagliate dalle mura del castello del quale la vocalist è magnifica sovrana. A Greater Purpose, l’esaltante Across This Life, In My Arms ,scelta come singolo, The Last Resort, dove appare in qualità di ospite “Re” Fabio Lione, ed i sedici minuti della conclusiva title-track, sono solo alcuni dei passaggi di quest’album che rimarrà nel mio stereo per molto, molto tempo. Mette i brividi pensare all’evoluzione di questi ragazzi in soli tre full-length e se, come leggenda vuole, il terzo album per una band è quello della conferma e della consacrazione, allora siamo senza dubbio davanti ad una delle migliori realtà symphonic metal del pianeta, punto.

Tracklist:
1. Before the Storm
2. A Greater Purpose
3. Flaming Heart
4. Across This Life
5. In My Arms
6. The Last Resort
7. Showdown
8. In the End
9. Spiriti Liberi
10. A New Dawn Ending

Line-up:
Martino Garattoni – Bass
Daniele Mazza – Keyboards
Claudio Pietronik – Guitars
Sara Squadrani – Vocals
Federico Gatti – Drums

ANCIENT BARDS – Facebook

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Temperance – Temperance

Stupefacente esordio omonimo per i Temperance, con un symphonic metal dal grande appeal commerciale.

Saranno famosi? Ascoltato il debutto omonimo si potrebbe scommettere sulla riuscita di questo progetto che vede il talentuoso chitarrista dei Secret Sphere, Marco Pastorino, unirsi ai fratelli Giulio e Sandro Capone e a Liuk Abbott (tutti ex Bejelit) e, reclutata la bellissima e bravissima Chiara Tricarico, sfornare questo stupendo esempio di symphonic power metal moderno.

Temperance è un lavoro incalzante, a tratti addirittura esaltante nel riuscire a legare tali e tante sonorità, tra power, death, atmosfere elettroniche, con l’aggiunta di gustose influenze pop colpevoli di fornire ai brani l’elemento in più capaci di renderli tutti dei potenziali hit.
La perfetta produzione, ad opera di Simone Mularoni DGM, EmpYrios, di fatto ormai una garanzia per le metal band nostrane, esalta ulteriormente il fortissimo appeal commerciale dell’album, anche se i musicisti picchiano sugli strumenti da par loro; il songwriting è di livello superiore, tanto che non sarebbe neanche corretto parlare di band di riferimento per il gruppo, anzi, non mi meraviglierei se un giorno si dovesse parlare dei Temperance come influenza per qualche band emergente.
Chiara Tricarico, che ho avuto modo di apprezzare dal vivo all’Angelo Azzurro di Genova, in occasione del concerto dei Secret Sphere in un duetto con Michele Luppi su “Lie To Me”, conferma la buona impressione lasciata al primo impatto con una prova sopra le righe: una cantante moderna, assolutamente svincolata dai toni operistici di troppe sue colleghe, che sfoggia una freschezza ed un’estensione vocale notevoli e la sua versatilità aiuta non poco la riuscita dei magnifici brani presenti nel disco.
Menzione doverosa ad una sezione ritmica da manuale, con Luca e Giulio che non si risparmiano nelle ritmiche schiacciasassi che caratterizzano il lavoro, ed un inchino al grande Marco Pastorino, artista a 360°, ottimo compositore, chitarrista (ben coadiuvato in questo caso da Sandro) e cantante dal talento mostruoso.
L’album parte a cento all’ora, Tell Me, Hero e Heavens Above deflagrano in tutta la loro potenza, presentando l’album e la band al meglio, in un vortice di musica senza soluzione di continuità e, quando meno te lo aspetti, ecco che The Fourth Season, immensa song dal sapore epico, va a sfidare le band di genere sul loro terreno lasciandoci stupiti da tanta magnificenza.
Ancora Scarred and Alone e la conclusiva Lotus, un altro piccolo passo nel symphonic più lineare, sono gemme di rara bellezza, che confermano la qualità elevatissima di questo splendido album.
Non mi ero ancora ripreso del tutto dal bellissimo disco degli Ancient Bards, che mi ritrovo alle prese con un altro capolavoro, concettualmente diverso ma ugualmente magnifico. Chapeau!

Tracklist:
1. Tell Me
2. Hero
3. Heavens Above
4. Breathe
5. To Be with You
6. Scared & Alone
7. The Fourth Season
8. Relentlessly
9. Dejavu
10. Stronger
11. Lotus

Line-up:
Giulio Capone – Drums, Keyboards
Marco Pastorino – Guitars (lead), Vocals (backing)
Sandro Capone – Guitars
Chiara Tricarico – Vocals
Liuk Abbott – Bass

TEMPERANCE – Facebook

Eternal Silence – Raw Poetry

Ottimo esordio per gli Eternal Silence, band che va a rimpolpare il già nutrito gruppo delle ottime realtà del nostro paese in materia di symphonic gothic metal.

Il symphonic gothic metal sta attraversando un momento di stanca in questo periodo: le top band, chi più chi meno, non hanno confermato negli ultimi lavori le aspettative che fan e addetti ai lavori avevano nei confronti di chi aveva portato ad una buon successo di pubblico e critica il genere nei primi anni del nuovo millennio.

Un po’ per defezioni clamorose, vedi la separazione Turunen vs. Nightwish che ha portato la band finlandese, dopo la parentesi Annette Olzon, a chiedere prestiti importanti ad altre band (Floor Jansen) per continuare l’attività live, un po’ perché i nuovi album, pur essendo buoni lavori, risentono di un calo fisiologico del songwriting, sta di fatto che non si riescono più a raggiungere le vette qualitative del recente passato. Tutta un’altra storia però, se volgiamo sguardo e udito all’underground dove, specialmente nella nostra penisola, negli ultimi mesi sono usciti album davvero interessanti da parte di band che, oltre alle doti tecniche, aggiungono buone idee e una freschezza compositiva che ha del miracoloso, tanto che cominciare a parlare di scena non penso possa essere considerata un’eresia. Ne fanno sicuramente parte i varesini Eternal Silence, all’esordio sotto l’ala della Underground Symphony e con al’attivo un demo del 2012 (“Darkness and Regret”) che già faceva intravedere indubbie potenzialità. In occasione del loro esordio su lunga distanza i nostri hanno fatto le cose in grande: confezione in digipack, produzione ottima che avvolgono idealmente un album affascinante, dotato com’è di strutture eleganti che si alternano a brani dal forte impatto, rendendolo l’alternativa perfetta all’ordinarietà delle uscite marchiate dalle band più famose. La massiccia componente power presente nelle ritmiche alza il tiro dei brani e si passa agevolmente da cavalcate sinfoniche che possono ricordare i primi Nightwish a song dove il piano e la bellissima voce della musa Marika “Ophelia” Vanni ci trasportano in sognanti territori gothic. Da apprezzare anche il lavoro del chitarrista Alberto Cassina, protagonista di solos vari e dall’impronta hard rock, così come la sezione ritmica, metallica laddove vengono richiesti muscoli e velocità, e le orchestrazioni e gli interventi tasti eristici, pomposi sicuramente ma eleganti, con una lode particolare alle bellissime melodie pianistiche. Nella tracklist spiccano Lord of the Darkest Night, Braving My Destiny, Death and the Maiden (dove vocals maschili dal sapore alternative si alternano con la voce di Marika per un effetto originale e riuscitissimo, oltre ad essere impreziosita da ottimi solos) e la conclusiva Vigdis, nella quale la band dà il via ai fuochi d’artificio concludendo nella maniera migliore un altro ottimo album da parte di un gruppo, ancora una volta, tutto italiano.

Tracklist:
1. Musa
2. The Day of Regret
3. Braving My Destiny
4. Incubus
5. Forlorn Farewell
6. Run in Search of Flame
7. Lord of the Darkest Night
8. Beneath This Storm
9. Braided Fates
10. December Demise
11. Death and the Maiden
12. Vigdis

Line-up:
Marika “Ophelia” Vanni – Vocals
Alberto Cassina – Guitars, Vocals
Davide Rigamonti – Guitars
Matteo “Bulldozer” Rostirolla – Keyboards
Alessio Sessa – Bass
Davide “Tapato” Massironi – Drums

ETERNAL SILENCE

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Tenebrae – Il Fuoco Segreto

Da sentire, risentire e sentire ancora, finchè la musica composta dai Tenebrae a supporto della storia tragica, ma illuminante, del protagonista Johann Georg, riuscirà a rapire la vostra anima senza che possiate opporre la minima resistenza.

Siete convinti di vivere in una nazione nella quale tutto va catastroficamente alla rovescia ? Pensate che ci deve essere qualche grosso equivoco alla base di una realtà che vede milioni di persone perbene faticare per sbarcare il lunario mentre le camere della repubblica sono affollate da pregiudicati e da plurindagati? Ebbene, l’ascolto di un disco come Il Fuoco Segreto  rafforzerà ulteriormente la vostra convinzione riguardo all’andamento delle cose in questo splendido quanto contraddittorio frammento di pianeta.

Non che i Tenebrae  si occupino di questioni sociali, intendiamoci, anzi, le tematiche trattate dalla band genovese si ispirano all’opera di un gigante della letteratura dello scorso millennio quale fu Goethe; il motivo che mi ha spinto ad introdurre in questa maniera il disco è l’amara constatazione di quanto la meritocrazia da queste parti si riveli, in qualsiasi campo, una pura utopia: al termine dell’ascolto di Il Fuoco Segreto  buona parte di voi, in particolare quelli che non conoscevano i Tenebrae, non potranno fare a meno di chiedersi come gli autori di un’espressione artistica di tale livello abbiano faticato persino a trovare una label desiderosa di promuoverli, prima del recente accordo raggiunto con la House Of Ashes.
Se non altro il buon Marco Arizzi, anima e unico superstite della formazione originaria, non si è mai perso d’animo in tutti questi anni, fatti di line-up rivoluzionate e mille altri problemi che avrebbero fatto desistere chiunque non fosse stato mosso dalla ferma convinzione d’avere ancora molto da dire (e da fare) in una scena musicale spesso afflitta da un’inspiegabile cecità.
Per certi versi, i Tenebrae sono probabilmente vittime della difficoltà di catalogarli in un genere ben definito (e non è un caso se lo stesso leader ama definirne lo stile “art rock”), essendo alla fine molto più spostati verso un ambito progressive nonostante i musicisti che ne fanno parte abbiano fondamentalmente un background metal; per quanto mi riguarda non ci sono dubbi di alcun tipo: Il Fuoco Segreto è un album progressive in tutto e per tutto, in grado di rivaleggiare dal punto di vista qualitativo con un altra perla partorita lo scorso anno dalla Superba, ovvero “Le Porte Del Domani” de La Maschera Di Cera.
Attenzione, però, pur partendo da posizioni contigue, le due band esplorano differenti versanti musicali proprio alla luce della diversa estrazione di ciascuno: se gli uni, quindi, rivolgono il loro sguardo principalmente verso l’epopea settantiana del prog italiano, andando addirittura a proporre un sequel di “Felona e Sorona”, gli altri vanno ad attingere al migliore rock nostrano (Litfiba, Timoria) senza omettere di conferire al tutto un’aura oscura attraverso frequenti incursioni nell’heavy metal, con tanto di voce in growl a rimarcare l’asprezza di tali momenti.
Le chiavi della riuscita del lavoro sono sostanzialmente due: l’indubbio talento compositivo di Marco Arizzi e la voce di Pablo Ferrarese, un cantante conosciuto in ambito locale anche per le sue performance vocali in una tribute band di Ozzy Osbourne, un ruolo per certi versi riduttivo se rapportato alla voce del “Madman” (sia detto con il dovuto rispetto), alla luce della versatilità esibita nell’interpretare, con la giusta dose di enfasi e teatralità, i profondi testi, rigorosamente in italiano e liberamente adattati dal “Faust” da Antonella Bruzzone.
Dopo essere stato folgorato dalla loro esibizione di supporto ai Secret Sphere lo scorso 29 marzo, Il Fuoco Segreto è entrato definitivamente in loop nel mio lettore e, anche grazie alla sua lunghezza non eccessiva, è possibile goderne ogni intenso attimo, a partire dalla intro Faust sino all’ultima nota di Limite, in un ininterrotto susseguirsi di emozioni in grado di toccare vette altissime nel capolavoro Margarete, un brano che, pur sapendo di attirarmi le ire o gli sberleffi di qualche purista del prog, mi azzardo a definire la “750.000 anni fa l’amore” del nuovo millennio, tale è la capacità di portare alla commozione l’ascoltatore grazie al perfetto connubio tra le dolenti note del pianoforte e la magnifica interpretazione di Ferrarese.
La verità è che non si ravvisa un solo momento di stanca in un disco per il quale, tutto sommato, la durata limitata si traduce nella sintesi perfetta grazie alla quale nessuna nota viene sprecata per diluire inutilmente un contenuto musicale che rasenta la perfezione.
Rock, prog e metal per una volta vanno a braccetto come pochi sono riusciti a fare nel recente passato, e i Tenebrae lo fanno per di più attingendo meritoriamente alla nostra tradizione musicale che rimane, questa sì, uno degli aspetti del paese di cui andare fieri.
Da sentire, risentire e sentire ancora, finchè la musica composta a supporto della storia tragica, ma illuminante, del protagonista Johann Georg, riuscirà a rapire la vostra anima senza che possiate opporre la minima resistenza.

Tracklist:
1. Faust
2. Luce nera
3. Mephisto
4. Perdizione
5. Fuoco segreto
6. Margarete
7. Occhi spezzati
8. Schegge di specchio
9. Limite

Line-up :
Marco “May” Arizzi – Chitarre
Francesco Mancuso – Tastiere
Alessandro Fanelli – Batteria
Pablo Ferrarese – Voce e Cori
Fabrizio Bisignano – Basso

TENEBRAE – Facebook

Spellblast – Nineteen

Gli Spellblast confezionano un grande album di power metal dalle atmosfere western, amalgamando la nostra musica preferita con le colonne sonore di Ennio Morricone.

L’ho ascoltato e riascoltato quest’album perché ancora stento a credere che una band di tale portata non abbia un’etichetta alle spalle e che, quindi, un disco di tale levatura debba uscire autoprodotto.

Non ne conosco i motivi (anzi, diciamo che un’idea me la sono fatta) ma cominciano ad essere davvero troppe le band meritevoli prive dell’appoggio, a mio avviso fondamentale, di qualcuno che creda nelle loro potenzialità e che possa occuparsi di tutti gli aspetti organizzativi e promozionali lasciando ai componenti delle band il compito essenziale di suonare e comporre musica. Gli Spellblast provengono da Bergamo e sono attivi dal 1999 ma, dopo un demo nel 2004, l’esordio su lunga distanza avviene con “Horns Of Silence” solo nel 2007, mentre il secondo album “Battlecry” risale al 2010, impreziosito dalla partecipazione di Fabio Lione. In questa sua ultima bellissima uscita il combo lombardo abbandona il folk metal dei dischi precedenti per regalarci un power metal dalle originalissime atmosfere western, che aiutano la band a raccontare le vicende tratte dalla “The Dark Tower Saga”, monolite cartaceo ad opera di Stephen King. Ora, se siete incuriositi dalla parola western, chiarisco subito che Nineteen è un gran bel pezzo di metallo, duro, oscuro, dove le orchestrazioni e le atmosfere da cavalli e polvere sono magistralmente inserite nel contesto, rendendo la musica epicissima senza per una volta scomodare Tolkien, draghi e folletti. Daniele Scavoni, singer dalla voce possente, protagonista di una prova maiuscola per tutta la durata dell’album, ricorda a tratti il miglior Zachary Stevens, assecondato da un songwriting eccelso e da compagni di viaggio altrettanto bravi, che formano una banda degna di Butch Cassidy e Billy the Kid. Accontenterà un pò tutti i fan del power questo disco, sia chi preferisce un approccio più diretto, si gli amanti del sound orchestrale; le song non mancano di picchiare duro e lo fanno praticamente sempre, mentre laddove la frontiera prende il sopravvento, lo fa tenendo ben alta la tensione con atmosfere perennemente da duello allo scoccare del mezzogiorno. Non si può non chiamare in causa il Maestro Ennio Morricone e le sue straordinarie colonne sonore, ciliegina sulla torta dei film di Sergio Leone e della saga di Ringo con il compianto Giuliano Gemma, e gli Spellblast assorbono il meglio del compositore romano e lo usano al servizio del loro metal per un risultato entusiasmante. In materia di power metal siamo al cospetto di un grande album, il migliore di quiest’anno finora insieme all’ultimo Persuader: A World That Has Moved On, Into Demon’s Nest, Shattered Mind, We Ride, The Calling sono solo alcuni stupendi esempi del livello altissimo del lavoro di questa grande band nostrana.

Tracklist:
1. Banished
2. Eyes in the Void
3. Highway to Lud
4. A World That Has Moved On
5. The Reaping
6. Into Demon’s Nest
7. Blind Rage
8. Shattered Mind
9. Until the End
10. We Ride
11. Programmed to Serve
12. Endless Journey
13. The Calling

Line-up:
Daniele Scavoni – Voce
Luca Arzuffi – Chitarra
Aldo Turini – Chitarra
Xavier Rota – Basso
Michele Olmi – Batteria

SPELLBLAST – Facebook

Stamina – Perseverance

Gran salto di qualità quindi per gli Stamina che, con questo album molto ambizioso, dove tutto è professionalmente ineccepibile, raggiungono le vette conquistate dai maestri, meritandosi la doverosa attenzione anche fuori dai patri confini.

Gli Stamina, combo tutto italiano proveniente da Salerno, dopo due full length, “Permanent Damage” del 2008 e “Two Of A Kind” del 2010, firmano per la My Kingdom Music e rilasciano questo autentico gioiellino dal titolo Perseverance, nel quale il prog metal sposa l’Aor, sulla scia dei danesi Royal Hunt di “Moving Target” (1996).

Il fatto di aver suonato di supporto durante il tour europeo della band di Andrè Andersen ha giovato e non poco al gruppo campano, che sfodera una prova sontuosa sia tecnicamente sia a livello di songwriting, aiutati da diversi ospiti, quali Maria McTurk, storica corista della band danese, Goran Edman, singer che ha all’attivo collaborazioni con Malmsteen e John Norum, e Nils Molin, vocalist degli svedesi Dynazty.
Higher, scelta come primo singolo, ci catapulta nel mondo Stamina, fatto di chitarrismo hard rock, tastiere prog metal, cori e controcanti che rendono la musica della band ariosa e piacevolmente melodica.
Breaking Another String, cantata da Edman, è una riuscita amalgama fra i Royal Hunt e i Dream Theater, con intro e stacco sinfonico da applausi, finché il basso di Lorenzo Zarone non ruba la scena, sostenuto da un Luca Sellitto in forma smagliante alla sei corde.
La prova di Giorgio Adamo dietro al microfono impreziosisce la aor song I’m Alive, mentre Just Before The Dawn, nuovamente con Edman alla voce, è una ballad nella quale la chitarra di Sellitto ci inchioda con un assolo clamoroso.
La title-track corre su strade già percorse da “Moving Target” e lo fa con classe, grazie all’interpretazione di Nils Molin e all’ennesimo grande assolo di Sellitto; hard rock scandinavo per Naked Eye, mentre in Umbreakable il sound si indurisce e si modernizza quel tanto che basta per farne la song più originale del lotto, cantata alla grande ancora una volta da Giorgio Adamo.
Jacopo Di Domenico prende il microfono nella conclusiva Winner For A Day, ottima prova di quello che è, di fatto, l’attuale singer della band, su una canzone dagli stupendi cori, dove le coordinate stilistiche tornano ad essere quelle dell’intero lavoro.
Gran salto di qualità quindi per gli Stamina che, con questo album molto ambizioso, dove tutto è professionalmente ineccepibile, raggiungono le vette conquistate dai maestri, meritandosi la doverosa attenzione anche fuori dai patri confini e regalando al metal nazionale un altra grande band della quale andare orgogliosi.

Tracklist:
1. Higher
2. Breaking Another String
3. I’m Alive
4. Just Before the Dawn
5. Perseverance
6. Naked Eye
7. Unbreakble
8. Wake Up the Gods
9. Winner for a Day

Line-up:
Luca Sellitto-Guitars
Andrea barone-Keyboards
Lorenzo Zarone-Bass
Jacopo Di Domenico-Vocals

Special Guests:
Vocals : Goran Edman, Giorgio Adamo, Nils Molin, Maria McTurk
Drums: Alessandro Beccati, Mirkko De Maio

STAMINA – Facebook

Gabriels – Prophecy

Bravissimo il musicista siciliano ad ideare e portare a termine un lavoro così riuscito, dimostrando ancora una volta su quanti immensi talenti può contare il nostro paese.

Dopo poco tempo dall’uscita di “Thunderproject” da parte del polistrumentista Riccardo Scaramelli, la Indipendence licenzia questa ennesima e molto ben riuscita opera rock composta da un altro talento nostrano, al secolo Gabriels il quale, avvalendosi di un manipolo di ospiti illustri della scena Italiana ed europea, dà vita a questo lavoro di hard rock melodico e orchestrale.

Studioso dell’arte musicale in tutte le sue componenti, il musicista siciliano è già apparso sul mercato discografico con alcune release, che vanno dall’elettroacustica di “The Enchanted Wood”, al rock di “Call Me”, alla prima rock opera, “The Legend Of A Prince”, per passare dal power metal dell’album “Seven Stars” e al prog metal, (“Beyond The Nightfall”), cimentandosi pure nella musica leggera con “Non Dirmi Addio” insieme ad Alex. Come detto, in questo lavoro, incentrato sui fatti dell’11 settembre, sono stati chiamati ospiti di spessore come Mark Boals, vocalist con precedenti illustri, avendo fatto parte della band di Malmsteen, con il quale ha registrato il capolavoro “Trilogy”, oltre ai più recenti “Alchemy” e “War To End All Wars” ed prestato la sua ugola a Royal Hunt e Ring Of Fire. Sul versante italiano troviamo, tra gli altri, Dario Grillo (Thy Majestie), Dario Beretta (Drakkar, Crimson Dawn), Davide Perruzza dei Metaphysics, con il quale il nostro realizzò l’album “Seven Stars”, Simone Fiorletta (Rezophonic) e Andrea “Tower” Torricini (Vision Divine), qui impegnato al basso e alla chitarra. Prodotto in modo impeccabile e suonato benissimo da tutti i musicisti impegnati, l’opera si sviluppa su coordinate stilistiche molto vicine ai Royal Hunt, senza abbandonarsi ai virtuosismi tastieristici cari al buon Andrè Andersen ma lasciando che sia il songwriting ad essere protagonista, il tutto in funzione dell’opera, che risulta fluida, con brani orecchiabili, infarciti di melodie accattivanti, dallo spirito aor. Gabriels, impegnato oltre alla voce su tutti gli strumenti dai tasti d’avorio, rilascia una prova sontuosa, veramente elegante e dal gusto raffinato, regalando emozioni sia nei brani più diretti, sia nelle piacevoli ballad dalle atmosfere drammatiche, in linea con l’argomento trattato. Il lavoro si apre con September 11, strumentale dal mood dolente, con orchestrazioni da colonna sonora che fanno di questo brano un piccolo gioiello; con Omen si viaggia su sentieri cari ai Royal Hunt, mentre il piano introduce Pray To End All Wars, semi-ballad dove chitarre e tastiere si rubano il palcoscenico, segue Falling Stars, dall’incedere cadenzato, impreziosito da suoni tastieristici che ricordano le opere di Ayreon, con aperture ariose, marchio di fabbrica di Lucassen. Go To Fight, richiama a metà del suo cammino un altro maestro, Jon Lord; la voce di Ana Maria Barajas è l’incantevole protagonista della ballad I Can’t Live Forever, mentre si viaggia su sentieri Royal Hunt, tornando all’hard rock tastieristico di scuola nordeuropea, con la band danese a fare da madrina e con i vocalist che si scambiano il microfono negli altri brani in scaletta, protagonisti di performance sempre ad altissimo livello. Bravissimo il musicista siciliano ad ideare e portare a termine un lavoro così riuscito, dimostrando ancora una volta su quanti immensi talenti può contare il nostro paese.

Tracklist:
1. September 11
2. Omen
3. Pray to End All Wars
4. Falling Stars
5. The Crack
6. Shadows
7. Things of the World
8. We Need Peace
9. Roar for the Peace
10. Go to Fight
11. I Can’t Live Forever

Line-up:
Gabriels – keyboards, piano, synth, hammond, vocals
Mark Boals – vocals
Dario Grillo – vocals
Iliour Griften – vocals
Ana Maria Barajas – vocals
Dario Beretta – guitars
Antonio Pantano – guitars
Salvatore Torre – bass
Antonio Maucieri – bass
Giovanni Maucieri – drums
Davide Perruzza- lead guitars
Simone Fiorletta – lead guitars
Andrea “Tower”Torricini – bass, guitars

Demon Eye – Leave The Light

Un album che nei suoi quarantasei minuti di durata racchiude il meglio degli anni settanta/ottanta in materia doom classico.

La Soulseller Records, dopo il bellissimo disco dei Bloody Hammers, entrato di diritto nella mia top ten del 2013, rilascia nei primi giorni dell’anno nuovo il debut album dei Demon Eye, band del North Carolina, con all’attivo un Ep dello scorso anno dal titolo “Shades Of Black” ,autrice di un album che nei suoi quarantasei minuti di durata racchiude il meglio degli anni settanta/ottanta in materia doom classico.

Il disco, infarcito di suoni vintage, raccoglie infatti quello che i grandi maestri del suono del destino (Black Sabbath, Pentagram, Saint Vitus, Trouble, Obsessed, Sleep) hanno lasciato in eredità, : qui troverete di che dissetarvi alla fonte del doom, con accenni all’occulto a livello lirico, come il verbo sabbathiano insegna. A rendere il lavoro piacevole magari a chi non è un amante dei suoni pieni e ovattati, classici di questo genere, è la produzione che restituisce un suono pulito, dando risalto al lato hard rock del combo che, nei brani più dinamici, risulta oltremodo convincente. Da Hecate, che apre la danza sabbatica, in poi è un susseguirsi di ottime song, dove i suoni più duri degli anni settanta sono interpretati dalla band con ottimo piglio, non cadendo mai nel tranello stoner, ma mantenendo una linea guida per tutta la sua durata. Shades Of Black,Song, dall’incedere ritmato, con la chitarra di Larry Burlison, protagonista di un riff trascinante, lascia spazio alla bellissima Secret Sect, dove compaiono accenni all’heavy metal, chiaramente old school; Edge a Knife, altro gran brano, torna su atmosfere più doom, mentre Witch’s Blood, aperta da un riff hard rock, è un classico brano alla Pentagram. Ancora la band di Joe Hasselvander fornisce il suo marchio in Fires Of Abalam, vero manifesto di genere, dove il plauso va al vocalist Erik Sugg, cantore messianico del combo americano. C’è ancora tempo per The Banishing, altro brano che entusiasma per melodie e ritmiche, prima che From Beyond e Silent One chiudano un album davvero molto bello, aiutato da un songwriting elevatissimo, per un ascolto mai noioso, dal buon tiro, suonato da una band preparata.

Tracklist:
1. Hecate
2. Shades of Black
3. Secret Sect
4. Adversary
5. Edge of a Knife
6. Witch’s Blood
7. Fires of Abalam
8. Devil Knows the Truth
9. The Banishing
10. From Beyond
11. Silent One

Line-up
Paul Waltz – bass
Bill Eagen – drums, vocals
Larry Burlison – guitars
Erik Sugg – guitars, vocals

DEMON EYE – Facebook

Deathless Legacy – Rise From The Grave

Un bellissimo lavoro, complimenti al gruppo, che dal vivo immagino grandissimo, e disco consigliato non solo ai fans dei Death SS.

Questa recensione mi permette di spendere due parole sul più grande gruppo metal nato nella nostra penisola, riconosciuto in tutto il mondo, guidato da un leader che è una delle nostre poche icone, dotato di carisma e personalità e vero artista a 360°: sto parlando ovviamente dei Death SS e naturalmente di Steve Sylvester.

Questo grande gruppo ha rilasciato dei dischi fondamentali, prima negli anni 80′ basati su un Metal più classico, e diventando poi un’entità a parte e inventando, di fatto, un genere come l’horror Metal. Impossibile quindi non essersi imbattuti in almeno uno dei loro numerosi capolavori, da “In Death Of Steve Sylvester” a “Black Mass”, da Heavy Demons alla svolta semi-industrial di “Do What Thou Wilt” e “Panic”, fino ad arrivare all’ultimo “Resurrection”,datato 2013: una grande band che ha rilasciato lavori bellissimi e sempre con quell’integrità e coerenza (dicendola alla Pino Scotto, altra icona del nostro metal) che l’hanno resa un mito
I toscani Deathless Legacy nascono come tribute band dei Death SS e, dopo innumerevoli apparizioni dal vivo, arrivano al debutto discografico con un album di horror metal scritto come Steve Sylvester insegna, e non poteva essere altrimenti.
Anche loro, come i maestri, hanno optato per travestimenti e pseudonimi, la copertina con le mani di zombie che escono dal terreno è rigorosamente in stile horror ma, fortunatamente, in questo disco c’è anche tanta buona musica.
Intanto i brani sono cantato da una vocalist, al secolo Steva La Cinghiala, protagonista di una prova magistrale (non è così facile cantare su di un disco del genere e risultare perfetta); le somiglianze, inevitabili, con i Death SS si riscontrano nei suoni delle tastiere, poi però l’album ha una sua vita ( anche in questo caso sarebbe meglio dire morte … ) propria, i brani sono belli, tra song dall’impatto più moderno e altri intrisi di atmosfere più classiche.
Apre il sabba Will-O’-The Wisp, e si entra subito al centro del Grand Guignol dove è protagonista una band che sfodera tutte le proprie virtù musicali, con brani dal forte impatto e dalla immediata presa.
Queen Of Necrophilia, Octopus,la sparata Killergeist, fanno da antipasto al picco dell’album, quella Flamenco De La Muerte, dove il Metal del combo accompagna una chitarra spagnola in una song geniale.
Ancora ottimi brani sono Spiders e Devil’s Thane, prima di arrivare ad un altro brano top, Death Challenge, dove Steva inasprisce la voce e si accentuano i suoni moderni, per un brano dal sapore nu metal.
Step Into The Mist conclude un bellissimo lavoro, complimenti al gruppo che dal vivo immagino grandissimo e disco consigliato, non solo ai fans dei Death SS.

Tracklist:
01 – Will-O’-The Wisp
02 – Queen Of Necrophilia
03 – Bow To The Porcellan Altar
04 – Octopus
05 – Killergeist
06 – Flamenco De La Muerte
07 – Spiders
08 – Devil’s Thane
09 – Death Challenge
10 – Step Into The Mist

Line-up
Steva La Cinghiala – Vocals and Performances
Frater Orion (The Beast) – Drums and Scenographies
El “Calàver” – Guitar
C-AG1318 (The Cyborg) – Bass and Vocals
Pater Blaurot – Keyboard
The Red Witch – Performances

DEATHLESS LEGACY – Facebook

6th Counted Murder – 6th Counted Murder

Un lavoro che non potrà non piacere sia agli amanti del metal classico sia ai fan del death melodico.

Dura la vita del recensore: la fortuna di poter scrivere di musica è bilanciata, almeno per chi questo “hobby/mestiere” cerca di farlo in modo scrupoloso, con il timore di non essere entrato in sintonia con l’album e di conseguenza con gli artisti che l’hanno creato perchè, alla fine, lo scritto rimane così come la musica delle band.

Questo vale, sopratutto quando ci si imbatte in lavori di qualità come l’esordio dei milanesi 6th Counted Murder, dove la passione e la professionalità degli artisti è pari alla bellezza dell’album. I cinque “assassini” ci hanno lavorato più di un anno nel loro quartier generale (The Basement Studios), se lo sono prodotto e registrato, insomma sacrifici, sudore e lacrime, ma ne è valsa la pena alla luce dell’eccellente risultato. Metallo pesantissimo, tecnico, una creatura che si nutre del sangue della vergine di ferro e assorbe linfa dall’albero del death metal scandinavo, quello dei primi lavori di In Flames e Dark Tranquillity. Le due asce, al secolo, Andrea P. Moretti e Marzio Corona, ricamano riff maideniani con facilità disarmante, assecondati da una sezione ritmica di tutto rispetto composta dall’ex Drakkar Alessandro Ferraris al basso e Gianluca D’Andria dietro alle pelli. Il cantore di questi crimini, Luca Luppolo, gestisce alla perfezione il suo growl, il quale non risulta mai forzato, sorta di lama di quell’ascia che cadrà sulle vostre teste appena schiaccerete il tasto play del vostro lettore. Dark Room dà il via alla mattanza, l’assassino si presenta con un riff dalle dissonanze doom, con sugli scudi la sezione ritmica protagonista di stupendi cambi di tempo; Heaven Kills e Grave sono meravigliosi esempi di come nel metal quello che conta veramente non è l’essere originali a tutti i costi, ma le cose che continuano a fare la differenza sono un songwriting di valore e la padronanza assoluta degli strumenti. Accenni moderni li troviamo nella bellissima Dead Man Talkin, spaccata in due da quaranta secondi di assoli d’alta scuola, Evil Mode non avrebbe sfigurato nella tracklist di “The Jester Race” degli In Flames, prima di essere sopraffatti da pruriti nu metal. Un‘intro acustica annuncia Remember Your Story, mentre ritmi thrash contraddistinguono le dirette Sleepless Night e Rejection; Road To Nowhere è una cavalcata classic metal che risulta, forse, la più ottantiana del lotto, con quella ritmica che mi ha fatto ronzare per la testa altri due grossi nomi del mondo metal: Saxon e i primi Testament. Siamo alla fine, Memories conclude un lavoro che non potrà non piacere sia agli amanti del metal classico sia ai fans del death melodico; suonato divinamente, con un gran lavoro in fase di produzione e curato nei minimi dettagli: insomma, professionalmente ineccepibile.

Tracklist:
1.Dark Room
2.Heaven Kills
3.Grave
4.Dead Man Talkin
5.Evil Mode
6.Remember Your Story
7.Sleepless Night
8.Rejection
9.Road To Nowhere 10.Memories

Line-up:
Luca Luppolo – vocals
Andrea P. Moretti – guitars
Marzio Corona – Guitars
Alessandro Ferraris – bass
Gianluca D’Andria – drums

6TH COUNTED MURDER – Facebook

Almah – Unfold

Quarto album e centro pieno per Edu Falaschi ed i suoi Almah.

Lasciati definitivamente gli Angra nel 2012, il cantante brasiliano, libero di concentrarsi sulla sua creatura, pesca dal cilindro un grande album che definire solo power metal sarebbe riduttivo.

Questo lavoro e’ Metal e basta, come deve esserlo un disco classico nel 2013: basso pulsante, pieno, in certi frangenti oserei dire quasi di matrice stoner, chitarre superlative nelle ritmiche, i tasti d’avorio del leader che non tolgono un briciolo di energia ai pezzi ma, anzi, riescono a donare classicità sopraffina.
La prova di Falaschi dietro al microfono e’convincente, lasciati per sempre i panni del vice-Matos, canta con la giusta aggressività ed in certi momenti del disco ci regala vocalizzi al limite del thrash.
Cosi’ il disco e’ un susseguirsi di hit travolgenti, che spaziano dalle atmosfere più moderne di In My Sleep e Beware The Stroke, al thrash di The Hostage, al power metal melodico della bellissima Raise Of The Sun, fino ad arrivare a Treasure Of The Gods, la canzone più avvicinabile agli Angra del lotto, nonchè brano fantastico.
Non solo il leader ma tutta la band sugli scudi per un lavoro da top ten di fine anno.

Tracklist:
1.In my sleep
2.Beware the stroke
3.The hostage
4.Warm wind
5.Raise the sun
6.Cannibal in suits
7.Wings of revolution
8.Believer
9.I do
10.You gotta stand
11.Treasure of the gods
12.Farewell

Line-up:
Edu Falaschi – vocals,guitars,keyboards
Marcelo Barbosa – guitars
Marcelo Moreira – drums
Raphael Dafras – bass
Gustavo Di Padua – guitars

ALMAH – Facebook

Dragonhammer – The X Experiment

I Dragonhammer optano per la via del concept che, sembra, si svilupperà anche nei prossimi dischi, e la scelta si conferma azzeccata in virtù di un ottimo lavoro che farà sicuramente acquisire nuovi fans al combo italico.

I Dragonhammer optano per la via del concept che, sembra, si svilupperà anche nei prossimi dischi, e la scelta si conferma azzeccata in virtù di un ottimo lavoro che farà sicuramente acquisire nuovi fans al combo italico.

La storia e’ ambientata in un mondo post nucleare e il power prog metal del gruppo si integra perfettamente con la storia narrata favorendo la riuscita del disco con diversi ospiti illustri della scena italiana (Roberto Tiranti, Titta Tani, David Folchitto). Dopo l’immancabile intro, The End Of The World è già un pezzo da novanta con il suo power melodico e le voci di Tiranti e Max Aguzzi si intrecciano con la giusta dose di melodia e classe. In Seek In The Ice sono protagoniste le tastiere di Giulio Cattivera e si arriva alla title-track, apice del disco che mi ha ricordato anche per il timbro vocale del singer, i Circle II Circle del sottovalutato ma grandissimo Zachary Stevens; My Destiny, con le vocals di Titta Tani a duettare con Aguzzi, è un brano cadenzato dove le parti cantate sono ovviamente il punto forte del pezzo. Il disco scivola via tra The Others, in linea con i brani dell’album, e la ballad Follow Your Star, per arrivare a Last Solution, ultimo pezzo di questo gioiellino, nel quale non ci sono intoppi né incertezze, autentica prova di maturità per una band ormai sicura dei propri mezzi e che ci regalerà altri grandi album in futuro.

Tracklist:
1.It’s beginning
2.The end of the world
3.Seek in the ice
4.The x experiment
5.Escape
6.My destiny
7.The others
8.Follow your star
9.Last solution

Line-up:
Max Aguzzi – vocals,guitars
Gae Amodio – Bass
Giulio Cattivera – keyboards
Giuseppe De Paolo – guitars

Guests:
Roberto Tiranti – vocals
Titta Tani – vocals
David Folchitto – drums
Francesco Fareri – guitars

DRAGONHAMMER – Facebook

Root – Viginti Quinque Annis In Scaena

“Viginti Quinque Annis In Scaena” contiene un’ora di musica ruspante , messa su cd così come è stata suonata senza ricorrere a trucchi da studio.

Il nome di Jiri Valter dalle nostre parti dice poco o nulla e, probabilmente, lo stesso vale per il nome d’arte con il quale è conosciuto in ambitoo musicale, Big Boss.

In realtà il personagio del quale stiamo parlando è una sorta di istituzione del metal nell’est europeo, in particolare in Repubblica Ceca dove è nato e svolge la propria attività. Superati da poco i 60 anni , etò sempre inusuale per chi si dedica al metal estremo, il nostro è stato anche il fondatore del ramo della Church Of Satan in Cecoslovacchia, poco prima che la nazione sparisse per dar vita ai due paesi indipendenti che conosciamo oggi. Dopo aver preso le distanze in un secondo tempo dall’organizzazione di Anton LaVey, Big Boss non ha certo rinnegato il satanismo, continuando coerentemente a condurre una vita, artistica e non, all’insegna del “do what thou wilt”
Questa introduzione si rende necessaria dato che nella recensione si parlerà del live celebrativo della band fondata proprio da Big Boss, i Root, che mossero i primi passi ben venticinque anni fa: il combo ceco viene immortalato (oltre alla versione audio esiste anche un dvd con altre immagini live e diversi contenuti extra) nel corso di un concerto tenuto nel 2011 a Brno, fornendo la possibilità di ascoltare i brani migliori di una carriera lunga e prolifica, con ben nove album incisi oltre a demo, split, compilation, live e quant’altro .
La collocazione teorica dei Root all’interno del black metal non deve trarre in inganno: qui non si ascolta nulla di avvicinabile al sound delle band nordiche bensì un heavy metal che prende le mosse da quanto fatto qualche anno prima dai Venom, anche se , con il senno di poi, il satanismo che ne permea i testi appare decisamente più sincero e meno di facciata rispetto a quello di Cronos e soci.
Viginti Quinque Annis In Scaena contiene un’ora di musica ruspante , messa su cd così come è stata suonata senza ricorrere a trucchi da studio, mantenendo intatti gli effetti dell’interazione di Big Boss con i fan, anche se purtroppo, il ricorso alla lingua madre ci impedisce di capire ciò che dice, con ogni probabilità piuttosto divertente a giudicare dalle reazioni del pubblico …
Hrbitov, In Nomine Satanas, Lucifer sono alcuni degli anthem eseguiti dai Root nel corso di un’esibizione di circa un’ora, che sicuramente non annoia pur senza rappresentare qualcosa di epocale.
Piuttosto, quello che abbiamo tra le mani è un documento interessante, che fotografa un evento al quale, chi avesse avuto l’opportunità di parteciparvi si sarebbe divertito un mondo ma che, ridotto ad un semplice supporto sonoro, perde gran parte del suo potenziale fascino; il metal dei Root infatti si rivela alquanto essenziale e l’impressione è che trovi proprio nella già citata interazione tra pubblico e musicisti la propria sublimazione. Meglio quindi, per chi volesse approfondire la conoscenza della storica band ceca, optare per la versione in dvd.

Tracklist:
1. Talking Bones
2. Sonata of the Choosen Ones
3. Hrbitov
4. The Endowment
5. In Nomine Satanas
6. The Festival of Destruction
7. And They Are Silent
8. Lucifer
9. The Aposiopesis
10. The Old Ones
11. Písen Pro Satana
12. 666

Line-up :
Big Boss – Vocals
Ashok – Guitars
Igor Hubík – Bass
Pavel Kubát – Drums
Jan Konečný – Guitars

ROOT – Facebook

Attractha – Engraved

“Engraved” mette in evidenza una band dalle notevoli potenzialità e dalla sufficiente personalità in grado di regalare soddisfazioni a chi apprezza il metal nella sua veste più classica.

I brasiliani Attractha appartengono all’affollata categoria di band che, a causa di varie vicissitudini legate all’instabilità della line-up, riescono solo dopo diversi anni di attività a presentare al pubblico il frutto del proprio impegno.

In questo caso, il quartetto paulista , con l’Ep intitolato Engraved, fornisce un assaggio di quello che dovrebbe essere il full-length d’esordio programmato entro la fine di quest’anno.
La musica prodotta dai nostri è un heavy metal ricco di diverse sfumature che vanno dall’hard rock al prog-metal, passando per il grunge e l’heavy classico, facendo sì che le quattro tracce proposte possiedano una certa immediatezza che rende davvero piacevole l’ascolto.
Darkness, scelta come singolo per il lancio dell’Ep, mette subito in evidenza sia le ottime doti tecniche del quartetto sia la buona prestazione vocale di Marcos De Canha, ma ancora meglio è la successiva The Choice, dotata di una splendida linea melodica.
Più ordinarie per quanto valide la semi-ballad Blessed Life, impreziosita comunque da un bellissimo assolo di Ricardo Oliveira, e la conclusiva Beginning, dagli evidenti rimandi novantiani.
Engraved mette in evidenza una band dalle notevoli potenzialità e dalla sufficiente personalità in grado di regalare soddisfazioni a chi apprezza il metal nella sua veste più classica.

Tracklist :
01. Darkness
02. The Choice
03. Blessed Life
04. Beginning

Line-up :
Marcos da Canha – Vocals
Ricardo Oliveira – Guitars & vocals
Guilherme Momesso – Bass
Humberto Zambrin – Drums & vocals

ATTRACTHA – Facebook

Soundcloud – The Choice

Kaledon – Altor: The King’s Blacksmith

I Kaledon dimostrano come sia possibile, anche dopo anni di attività, continuare a progredire e a migliorarsi quando la passione rende l’incisione di un nuovo disco la finalizzazione di un processo creativo e non la periodica timbratura di un cartellino.

I Kaledon sono sulle scene ormai da diversi anni proponendo un power sinfonico dalle forti sfumature epiche; Altor: The King’s Blacksmith è già il loro settimo full-length ma è il primo dopo la conclusione della saga strutturata sui sei capitoli che hanno contrassegnato la passata produzione, anche se rimane collegato alle tematiche passate visto che il concept è incentrato sul fabbro del re, uno dei personaggi (pur se minori) presenti nella loro “Legend Of The Forgotten Reign”.

Al di là dell’aspetto concettuale, ciò che preme evidenziare è la notevole caratura di quest’ultimo lavoro, che appare come un riuscitissimo tributo ad un genere che, troppo spesso invece, è afflitto da un’asfittica ridondanza; a detta della stessa band, l’essere stati in tour per gran parte del periodo successivo alla pubblicazione di “Chapter VI”, ha portato ad una naturale evoluzione sia dal punto di vista tecnico sia da quello compositivo. Dopo una canonica intro, Childhood apre alla grande grazie a uno splendido incipit chitarristico in grado di restare impresso a lungo nella memoria; la successiva Between The Hammer And The Anvil è un classico brano power che unisce con buon equilibrio ritmo e melodia. My Personal Hero è un altro brano dal buon impatto mentre Lilibeth è una ballad invero un pò zuccherosa; A New Beginning apre la parte finale del disco che d’ora in poi mostra il volto migliore dei Kaledon: questo è un altro brano davvero riuscito nel quale va evidenziato l’ottimo lavoro delle tastiere. Kephren è un esempio calzante di come il songwriting si sia attestato su livelli ragguardevoli, mentre Screams In The Wound possiede una certa drammaticità di fondo che lo rende l’ideale antipasto del botto finale costituito da A Dark Prison, autentico gioiello impreziosito dalla presenza di un nome che non ha bisogno di presentazioni come quello di Fabio Lione. Un evidente progresso rispetto al precedente full-length, unito al ritorno a sonorità più dirette e maggiormente votate ad un più classico power melodico, fa di Altor: The King’s Blacksmith un lavoro che, pur non essendo epocale, rappresenta la migliore risposta a chi pensa che questo genere abbia ormai poco o nulla da dire. I Kaledon, al contrario, dimostrano come sia possibile, anche dopo anni di attività, continuare a progredire e a migliorarsi quando la passione rende l’incisione di un nuovo disco la finalizzazione di un processo creativo e non la periodica timbratura di un cartellino.

Tracklist:
1. Innocence
2. Childhood
3. Between the Hammer and the Anvil
4. My Personal Hero
5. Lilibeth
6. A New Beginning
7. Kephren
8. Screams in the Wind
9. A Dark Prison

Line-Up:
Paolo Lezziroli – Bass, Vocals
Alex Mele – Guitars (lead)
Tommaso Nemesio – Guitars (rhythm)
Daniel Fuligni – Keyboards
Marco Palazzi – Vocals
Luca Marini – Drums

KALEDON – Facebook

Secret Sphere – Portrait of a Dying Heart

I Secret Sphere, con Portrait Of A Dying Heart, giungono al disco che, qualora non li porti alla meritata consacrazione, sarà giusto allora che la nefasta profezia dei Maya si avveri facendo piazza pulita di questa piccola porzione di universo …

Con una storia ultradecennale alle spalle e ben sei full length pubblicati in precedenza, gli alessandrini Secret Sphere, con Portrait Of A Dying Heart, giungono al disco che, qualora non li porti alla meritata consacrazione, sarà giusto allora che la nefasta profezia dei Maya si avveri facendo piazza pulita di questa piccola porzione di universo …

Dopo un buon album come “Alchemist”, rimpiazzare lo storico cantante della band, Roberto Messina, poteva costituire un problema non da poco, brillantemente superato reclutando quella che forse è la migliore voce in circolazione sul suolo italico. Infatti, senza voler nulla togliere a chi l’ha preceduto, Michele Luppi costituisce un valore aggiunto per qualsiasi band e in qualsiasi genere si cimenti. Nonostante egli stesso si consideri un vocalist più orientato verso un hard rock di stampo classico, a mio avviso invece è proprio quando la sua timbrica si intreccia con partiture più robuste, come in questo caso o nel recente passato con i Vision Divine, che il cantante emiliano offre il meglio di se stesso. Se a tutto questo aggiungiamo una band fatta di musicisti dalla tecnica ineccepibile, in grado di passare con disinvoltura da uno strumentale come la title track posta in apertura, degna dei Dream Theater più ispirati, a un brano dalle melodie sognanti come Eternity, che chiude l’album in maniera superlativa, ecco spiegati i motivi della perfetta riuscita dell’album. Ma anche tutto ciò che è racchiuso tra queste due tracce si pone allo stesso livello, a partire da X, che appare quasi un prolungamento del brano precedente prima di evolversi in un power prog vario e trascinante e con un Luppi autore di un crescendo vocale impressionante o The Kill, una vera mazzata nella quale la melodia però resta sempre e comunque un punto di riferimento imprescindibile. Healing possiede armonie irresistibili e sembra essere il classico brano sul quale costruire un video mentre Lie To Me è breve ma dalla grande intensità, che va ulteriormente a crescere nelle conclusive The Rising Of Love ed Eternity, brano quest’ultimo, nel quale tutta la band si esprime ancora una volta a un livello stellare assecondando una prestazione vocale di Luppi da brividi. Dopo anni di impegno contraddistinti da ottima musica, rimasta purtroppo un po’ lontana dai riflettori, si può tranquillamente affermare che Aldo Lonobile e Andrea Buratto hanno trovato la quadratura del cerchio per la band che hanno contribuito a far nascere: questo disco ancor prima della sua uscita ha già raccolto consensi unanimi, non solo in Italia, e questo non può che rallegrarci. Poi, sicuramente ci sarà ancora, come sempre accade e sempre accadrà, qualcuno che non ascolterà neppure una nota di questo disco salvo precipitarsi a fare proprio l’ultimo lavoro di una delle tante band di grido che, ormai da anni, non fanno altro che replicare se stesse, timbrando il cartellino con la stessa puntualità ed entusiasmo dell’ultimo dei “travet” … Un errore nel quale non cadrà, invece, chi nella musica ricerca autentiche emozioni e non una mera esibizione di tecnica fine a se stessa.

Tracklist :
1. Portrait of a Dying Heart
2. X
3. Wish & Steadiness
4. Union
5. The Fall
6. Healing
7. Lie to Me
8. Secrets Fear
9. The Rising of Love
10. Eternity

Line-up :
Andrea Buratto – Bass
Aldo Lonobile – Guitars (lead)
Federico Pennazzato – Drums
Marco Pastorino – Guitars
Gabriele Ciaccia – Keyboards
Michele Luppi – Vocals

SECRET SPHERE – Facebook

Aeternal Seprium – Against Oblivion’s Shade

Una formazione che, mettendosi in gioco e lavorando intensamente dal vivo in tutti questi anni, ha raggiunto una cifra stilistica di livello ragguardevole ma non per questo priva di ulteriori margini di miglioramento

Dopo la mazzata impartita con i Black Propaganda, la Nadir ci propone una nuova interessante realtà nostrana.

Questa volta però, con gli Aeternal Seprium, ci allontaniamo dai lidi più estremi per prendere in esame sonorità decisamente prossime al metal classico.
Il monicker della band è un omaggio alle proprie radici che attingono appunto al  Seprio, una delle aree a maggiore densità di testimonianze storico-artistiche del territorio varesino.
Nati sotto il nome di Black Shadows nel 1999, i nostri nei primi anni di vita si affacciano sulle scene come cover band proponendo brani dei gruppi appartenenti alla NWOBHM, ma a metà dello scorso decennio si trovano ad un bivio : continuare a riproporre all’infinito gli stessi brani negli anni a venire, garantendosi l’attenzione di promoter e gestori di locali poco propensi al rischio, oppure provare a percorrere una strada meno sicura ma più stimolante come quella di comporre e proporre musica propria ?
E’ meritoriamente la seconda opzione a prevalere e gli Aeternal Seprium nel 2007 sono pronti per pubblicare il loro primo demo, “A Whisper From Shadows”, che viene accolto favorevolmente dagli addetti ai lavori.
Nel 2010 esce un nuovo demo, “The Divine Breath Of Our Land”, che come il precedente ottiene unanimi consensi e mostra una band già pronta per pubblicare il primo full-length.
Ed eccoci arrivati ad oggi, con Against Oblivion’s Shade , che costituisce una summa di quanto prodotto dai varesini negli ultimi 4 anni , riprendendo tutti i brani già presenti nei demo con l’aggiunta di 3 inediti.
Pur mantenendo il proprio background influenzato da Iron Maiden e Manowar, la band ha sviluppato uno stile personale che può richiamare alla mente certo heavy metal epico in stile Warlord, senza dimenticare quanto già fatto sul suolo italico dai Domine (in particolare per la voce di Stefano che ricorda molto da vicino quella di Morby) e dai Doomsword, quando i nostri passano a brani dai ritmi più compassati.
Dal punto di vista lirico risulta invece apprezzabile la volontà di non omologarsi a tematiche fantasy o legate alla mitologia nordica, scegliendo di raccontare le vicende legate alla propria terra e le gesta di personaggi che hanno caratterizzato la storia delle popolazioni del nord Italia.
Sotto l’aspetto musicale il disco mantiene un’apprezzabile omogeneità stilistica nonostante i brani più datati (quelli del 2007) possano risultare in certi passaggi un po’ slegati con gli altri e meno originali rispetto al contesto.
Le composizioni più recenti peraltro dimostrano un freschezza ed una varietà eccellente come per esempio l’iniziale The Man Among Two Worlds, con il suo intro epicheggiante che fa da subito intuire il trademark stilistico della band, o In The Sign Of Brenno, che con il suo riff cadenzato e doomeggiante, risulterà essere uno dei picchi qualitativi dell’album.
A differenza di quanto accade in molte occasioni, quando i musicisti sparano le migliori cartucce all’inizio provocando con il resto del lavoro un inevitabile calo di attenzione nell’ascoltatore, gli Aeternal Seprium ci riservano nel finale due brani piacevolmente sorprendenti : L’Eresiarca , il brano più lento del lotto, cantato interamente in italiano, con una pregevole prestazione di Stefano, il quale dimostra di possedere una voce versatile ed evocativa che riesce a valorizzare al massimo quando non si fa prendere da tentazioni “kiskeiane”, e The Oak And The Cross che, anche grazie all’apporto di tre componenti dei Furor Gallico, acquisisce un flavour folkeggiante che apre un altro fronte molto interessante per la band.
Il disco si chiude con l’anthem Under The Flag Of Seprium che ci lascia l’impressione di una formazione che, mettendosi in gioco e lavorando intensamente dal vivo in tutti questi anni, ha raggiunto una cifra stilistica di livello ragguardevole ma non per questo priva di ulteriori margini di miglioramento, soprattutto alla luce della maturata consapevolezza di avere alle spalle un’etichetta in grado di fornire il giusto supporto.

Tracklist:
1. The Man Among Two Worlds
2. Vainglory
3. Sailing Like the Gods of the Sea
4. Soliloquy of the Sentenced
5. In Sign of Brenno
6. Victimula’s Stone
7. Solstice of Burning Souls
8. L’eresiarca
9. The Oak and the Cross
10. Under Flag of Seprium

Line-up:
Santino Talarico – Bass
Matteo Tommasini- Drums
Adriano Colombo- Guitars
Leonardo “UNTO” Filace – Guitars
Stefano Silvestrini- Vocals

Drakkar – When Lightning Strikes

Tornano i Drakkar con un concept album di epico power metal.

Tornano i Drakkar con un concept album di epico power metal.

Nati nel 1995, i Drakkar hanno fatto uscire l’ultimo lp con la Dragonheart Records nell’ormai lontano 2002, per poi farsi risentire dai fan nel 2007 con l’ep “Classified”. I Drakkar tornano oggi alla grande, con un album di power metal melodico e potente, che coglie nel segno. Il songwriting è al servizio della storia che racconta di Hal Gardner, un pilota di caccia mandato a combattere gli alieni sbarcati nel centro di New York (mi vengono in mente i Kree e gli Skrull dell’universo Marvel) che, colpito da un raggio alieno, comincia a ricordare le sue reincarnazioni… Non vi voglio rovinare la sorpresa e il gusto di scoprire una storia epica: in questo disco è mirabilmente raccolto tutto ciò che ci si deve aspettare da un disco di power metal sopra alla media, ovvero potenza, melodia ed epicità. A volte il power metal è il miglior mezzo per far scoprire storie che richiedono un battito del cuore più forte del normale. Usando l’espediente delle reincarnazioni di Hal Gardner, il chitarrista Dario Beretta imbastisce un volo su vari momenti storici, che sono anche stati d’animo. Un ottimo ritorno per una delle band più importanti della scena power metal italiana e non solo: grazie a loro ho riscoperto qualcosa nel genere che non sentivo più da tempo.

Tracklist:
1. Hyperspace – The Arrival
2. Day of the Gods
3. The Armageddon Machine
4. In the Belly of the Beast
5. Revenge Is Done
6. When Lightning Strikes
7. Winter Soldiers
8. Salvation
9. At the Flaming Shores of Heaven
10. We Ride
11. The Awakening
12. My Endless Flight
13. Aftermath – The Departure
14. Engage!
15. New Frontier

Line-up: Dario Beretta – Guitars
Simone Cappato – Bass
Davide Dell’Orto – Vocals
Corrado Solarino – Keyboards

DRAKKAR – Facebook