Blackhour – Sins Remain

Il 2016 inizia come meglio non potrebbe per la Transcending Obscurity, label asiatica mai avara nel proporci ottime realtà metalliche provenienti da quei lontani paesi.

Il 2016 inizia come meglio non potrebbe per la Transcending Obscurity, label asiatica mai avara nel proporci ottime realtà metalliche provenienti da quei lontani paesi.

Già ascoltati sulla compilation che la label ha messo a disposizione dei fans , per questo Natale appena trascorso, arriva il secondo lavoro dei Blackhour, band giunta a noi dal Pakistan che propone il suo prorompente sound, figlio della vergine di ferro ma con più di un piede nel moderno hard & heavy.
Nato ad Islamabad, quasi una decina di anni fa, il quintetto pakistano ha debuttato con il primo full length nel 2011 (Age of War), quindi sono passati cinque anni prima di tornare sul mercato e far esplodere questo ottimo Sins Remains.
Come ormai ci hanno piacevolmente abituato le realtà proposte dall’etichetta, anche i Blackhour si distinguono per la bravura strumentale, unita a soluzioni fuori dalle mode occidentali, così che l’album, oltre ad essere suonato e cantato molto bene ( bellissima e personale la voce del singer Tayyab Rehman), vive di vita propria, per nulla vintage, anche se l’influenza maideniana è ben presente, così come qualche impennata estrema di estrazione scandinava ed un leggero tocco alternativo che rende il tutto molto personale.
Gran lavoro delle due asce (Mubbashir Sheikh Mashoo e Hashim Mehmood) che passano con disinvoltura da crescendo maideniani (Wind of Change) a ritmiche che si irrobustiscono, sfornando estremi riff dal mood death, oscuro e drammatico (Life Brings Death, Love Brings Misery) aiutati da una sezione ritmica compatta (Salman Afzal al basso e Daim Mehmood alle pelli).
Ne esce un dischetto davvero piacevole, con brani (cinque) che a tratti esaltano ( Battle Cry ), non avendo paura di confrontarsi con le proprie influenze, calando il jolly Rehman, bravissimo ad alternare toni da vero singer metallico, e ruggiti dove i suoi compari tirano fuori le unghie e graffiano con potenti zampate.
La title track conclude il lavoro con un classico brano maideniano, una ballad che con il passare dei minuti si trasforma in un crescendo metallico, stracolma di riff di scuola Smith/Murray molto suggestiva e dal piglio epico.
Ottimo lavoro dunque, ed altra band da seguire nel panorama metallico, ulteriore conferma dell’enorme potenzialità della scena asiatica.

TRACKLIST
1. Losing Life
2. Wind of Change
3. Life Brings Death, Love Brings Misery
4. Battle Cry
5. Sins Remain

LINE-UP
Salman Afzal – Bass
Daim Mehmood – Drums
Mubbashir Sheikh Mashoo – Guitars
Hashim Mehmood – Guitars
Tayyab Rehman – Vocals

BLACKHOUR – Facebook

Ancestors Blood – Hyperborea

Un bellissimo album da godersi nel suo insieme, un affresco magniloquente e solenne espressione di una cultura musicale nordica che continua ad affascinare.

Chi è in spasmodica attesa del nuovo album dei Moonsorrow può, intanto, parzialmente saziarsi con questo succulento antipasto di black epico e sinfonico offerto dai finlandesi Ancestors Blood, al loro terzo full-length proposto nel corso di una carriera ultracedennale.

L’accostamento ai più noti connazionali deriva essenzialmente dall’approccio che fa dell’emotività, inserita in un mood solenne, il proprio modus operandi, anche se la band proveniente da Laitila si fa maggiormente attrarre da pulsioni heavy metal che trovano il loro sfogo in frequenti ed azzeccati assoli di chitarra, mentre la componente folk viene tutto sommato accantonata.
Infatti, le tastiere forniscono un alone sinfonico che enfatizza il tutto senza renderlo affatto plastificato: in tal modo l’album scorre via intenso ma fruibile, rivelandosi una delle migliori interpretazioni possibili del genere, tutto sommato non assimilabile al black bombastico di scuola Dimmu Borgir ma, semmai, accostabile in certi passaggi agli Arcturus epoca Aspera Hyems Symfonia (anche per le fondamentali incursioni di chitarra solista, benché nei seminali norvegesi tale aspetto attingesse maggiormente al progressive).
Gli oltre 50 minuti di Hyperborea non presentano cedimenti, anche nella sua seconda parte quando i suoni si fanno via via più oscuri: gli Ancestors Blood sono bravi nel diversificare il sound, passando da brani magnifici nel loro trasudare sentori epici e melodici come The Way Of Spirits, Autumn ed Elegies, ad altri più aspri e per certi versi aderenti agli stilemi del black più tradizionale, come avviene in Rite of Passage e Funeral Rite.
Ma, oggettivamente, questo bellissimo album è da godersi nel suo insieme quale affresco magniloquente e solenne, espressione di una cultura musicale nordica che continua ad affascinare, nonostante sia approdata ormai da oltre un ventennio nei nostri lettori cd.

Tracklist
1. Descension
2. The Way of the Spirits
3. Autumn (Metsäpirtti part II)
4. Elegies
5. Hyperborea
6. Rite of Passage
7. Funeral Rite
8. Ascension

Line-up:
A.T.H. – Vocals, Guitars
E. Heinonen – Keyboards
K.S. – Drums
A.L.H. – Bass

ANCESTORS BLOOD – Facebook

Dead Behind The Scenes – White EP

Con i Dead Behind The Scenes tutto è il contrario di tutto, ma alla fine perfettamente al suo posto, così da regalare rock per chi, ogni tanto, ama vagare per lo spartito senza una guida sicura godendo delle molte sorprese che riserva un album come questo The White ep.

Una ventina di minuti di musica rock fuori dai soliti schemi, pazza e alternativa nel senso più puro del termine, pregna di sonorità che riportano alla mente gruppi che hanno fatto del proprio songwriting, un modo per distinguersi dalle solite rock band, eppure così originale e personale, da sembrare tutt’altro che un combo al debutto.

Bene ha fatto l’Atomic Stuff a prendere nel proprio roster i milanesi Dead Behind The Scenes, rock band di Milano che, con talento, amalgama rock alternativo e punk & roll, licenziando White Ep, primo lavoro di cinque brani che si spera li possa portare verso un potenziale full lenght esplosivo.
Il gruppo, attivo dal 2010 come The Scream, ha in Dave Bosetti (voce e chitarra), Marco Tedeschi (chitarra) e Lorenzo Di Blasi (tastiere) lo zoccolo duro della band, ai quali nel tempo si sono aggiunti il bassista Valerio Romano ed il batterista Chris Lusetti, a formare la line up che firma questo ep in cui il rock non ha barriere né confini, così da inglobare nel proprio sound le pazzie alternative dei Primus, sonorità reggae-folk e rock & roll.
Molta importanza nel sound dei nostri i tasti d’avorio, così come la voce particolare del Bosetti, tra Les Claypool e Maynard James Keenan in versione punk, che segue i binari di musica trasformandosi ad ogni passaggio, così come ogni canzone è diversa dall’altra, ora più rock alternative come in I Love Matt, ora improntata su un reggae-soul come nella successiva Bulletproof Soulmate, per diventare intimista nella semiballad No Name Song.
L’hammond prende per mano il sound di Sex Rock & Rock’N’Roll una traccia hard rock dai rimandi settantiani, con quel tono vocale che tanto sa di punk rock, mentre gli anni sessanta e un’aura surf sono i protagonisti della conclusiva e solare Sometimes You Just Have To…
Con i Dead Behind The Scenes tutto è il contrario di tutto, ma alla fine perfettamente al suo posto, così da regalare rock per chi, ogni tanto, ama vagare per lo spartito senza una guida sicura godendo delle molte sorprese che riserva un album come questo White Ep.
Con tutto questo potenziale li aspettiamo con fiducia alla prova del full length, ci sarà da divertirsi.

TRACKLIST
1. I Love Matt
2. Bulletproof Soulmate
3. No Name Song
4. Sex Rock & Rock ‘n’ Roll
5. Sometimes You Just Have To…

LINE-UP
Dave Bosetti- lead vocals, guitar
Marco Tedeschi- guitar
Lorenzo Di Blasi, keyboards- piano
Valerio Romano- bass
Chris Lusetti- drums, backing vocals

DEAD BEHIND THE SCENES – Facebook

Seriously Mentally Damaged – Enlightened By Obscurity Ep

I Seriously Mentally Damaged possono andare oltre, perchè hanno orizzonti metal molto vasti.

Dei ragazzi seppur non professionisti possono fare ottime cose, e i genovesi Seriously Mentally Damaged ne sono la dimostrazione.

Ciò che colpisce di più ascoltando questo ep è la rabbia pura, l’incazzatura distillata in note precise, violente ed incombenti, che sono metal ma ne vengono dalle calche umane dell’hardcore. Loro fanno un death molto tecnico, che cangia a seconda del momento, ora death, ora quasi vicino al nu metal in certi momenti, soprattutto per il cantato, arrivando a lambire territori post metal, anche se per una breve durata.
Questo è il loro terzo ep e sono uno dei più gruppi più interessanti che abbia ascoltato ultimamente. La doppia voce mi fa ricordare, anche per la rabbia espressa, un gruppo che era meno metal ma molto simile, i Raging Speedhorn che tante gioie mi hanno regalato, ma i Seriously Mentally Damaged possono andare oltre, perché hanno orizzonti metal molto vasti. Rabbia, velocità, precisione aumentati dall’ottima produzione di Fabio Palombi al Blackwave Studio.
Devastazione sonica ed è subito amore.

TRACKLIST
1. Kill The King
2.The Plague of Unreason
3.Strength To Fight Back

LINE-UP
Betsy – Vocals
Bory – Guitar, Bass and Drum Programming
Bruce – Vocals
Ste – Vocal

SERIOUSLY MENTALLY DAMAGED – Facebook

Raze – Mankind’s Heritage

L’album letteralmente vi rivolterà come calzini, una centrifuga thrash metal di una lavatrice impazzita, cavalcate metalliche alla velocità della luce, riff, chorus e solos che entrano in testa al primo colpo

Ecco che, come un fulmine a ciel sereno, arriva in zona Cesarini ( modo di dire preso in prestito dal mondo pallonaro) in questi ultimi scampi del tanto dannato 2015, l’album thrash che ti fa saltare sulla sedia come in preda ad un attacco di formiche rosse, un perfetto e devastante esempio di metal made in bay area, esaltante, come solo il vecchio thrash sa essere, quando è suonato così bene e composto da brani trascinanti ed in your face, come quelli composti dagli spagnoli Raze e che vanno a formare il loro debutto Mankind’s Heritage.

Il quartetto di thrashers provenienti dalla terra dei tori, nasce nel 2007 ed all’attivo ha un solo ep, uscito nel 2011, la Suspiria Records lo ha preso per le corna, così che Mankind’s Heritage esce sotto la sua ala.
L’album letteralmente vi rivolterà come calzini, una centrifuga thrash metal di una lavatrice impazzita, cavalcate metalliche alla velocità della luce, riff, chorus e solos che entrano in testa al primo colpo, non una ritmica che non abbia un appeal esagerato e vocals che sono prese dai dieci comandamenti del come si suona il genere, specialmente se ci si rivolge agli States e alla scena classica.
Bad News è un pugno a tradimento in pieno stomaco, il respiro si blocca, gli occhi lacrimano e non ci si riprende, anche perché arriva come un bolide L.O.B. a darci il colpo di grazia.
Questi quattro ragazzi fanno male, le due asce spingono a tavoletta ( Marcos e David ) e la sezione ritmica è un treno che corre irrefrenabile su binari metallici che prendono fuoco al passaggio del gruppo (Macaco al basso protagonista di una prova da urlo al microfono e Sebas alle pelli).
Raze The Earth e The Church Is On Fire sono spettacolari songs da cantare a squarciagola sotto il palco, presi per le palle da questi quattro indiavolati sacerdoti del thrash metal, che lasciano alla conclusiva Streets Of Wickedness il compito di darci il colpo di grazia, sette minuti di metallo old school che esplode nelle teste ormai sanguinanti .
Volete dei nomi? Death Angel, Annihilator e primi Testament, vi basta?

TRACKLIST
1. Bad News
2. L.O.B.
3. Evil Waits
4. The Siege
5. Raze the Earth
6. The Church Is on Fire
7. Do You Wanna Die?
8. Streets of Wickedness

LINE-UP
Macaco – Bass, Vocals
Sebas – Drums
Marcos – Guitars
David – Guitars

RAZE – Facebook

With The Dead – With The Dead

Album trascinante e ossessivo, un ascolto obbligato per chi si ritiene un fan del doom.

Torna a due anni di distanza dallo split dei Cathedral il messianico sacerdote del doom anni novanta Lee Dorrian, personaggio avvolto da un’aura di carisma tale da far risplendere di luce propria ogni uscita discografica dove mette lo zampino.

Per la sua etichetta (la Rise Above Records), specializzata ( e non poteva essere altrimenti) nei suoni doom/stoner, esce il primo lavoro omonimo del progetto With The Dead, dove il grande vocalist britannico è accompagnato da Tim Bagshaw (Chitarra, Basso) e Mark Greening (Batteria, Organo Hammond), musicisti provenienti da due band seminali del genere, gli Electric Wizard e i Ramesses.
With The Dead non gode al suo interno di grosse novità stilistiche, il sound marcissimo e sporco, accompagnato da suoni ribassati e da atmosfere catacombali, è una via di mezzo tra i suoni della cattedrale e le band di provenienza dei due musicisti che accompagnano il prelato del doom, perfettamente a suo agio in questa cascata di lava dai rimandi classici e stravolta da iniezioni di stoner metal, che nei primi anni novanta lui più di altri ha portato all’attenzione dei fans con album magnifici.
Suoni lenti e brutali, una produzione sporca che dona ai brani sfumature catacombali, fuzz e riverberi a palla, su cui la talentuosa e storica voce di Dorrian, gioca con il genere, lasciando, a chi si confronta con lei, solo la parte dei chierichetti, tanto sprizza carisma e personalità, confermandosi come il punto più alto dell’espressione vocale nel genere suonato, fanno di questo lavoro un must per gli amanti dei suoni messianici e sabbatici, una lunga discesa nelle catacombe dove ad aspettarci ci sono tre sacerdoti pazzi, dimenticati dal tempo negli antri e nei cunicoli dove resti umani, rettili e fiumi di lava bollente sono gli spiacevoli incontri, prima di lasciare ogni speranza di ritorno alla luce.
Ed è così che questi tre musicisti ci regalano otto bordate messianiche, dall’andamento cadenzato, ossianiche e orrorifiche, colme di distorsioni e watt al limite dell’umano, una brutale dimostrazione di forza e potenza, aggressive e ritmate (The Cross), evocative e sabbathiane (Nephthys), ipnotizzanti, destabilizzanti e acide (Living With The Dead), spettacolarmente lentissime ed ossessive, tornando a scuotere fondamenta sotto i colpi di un’inesorabile bombardamento cupo e magmatico con la conclusiva Screams From My Own Grave, apice del disco, dove Dorrian dà prova di non aver perso un briciolo della disperata e ossessiva magniloquenza che lo ha reso il miglior interprete del doom/stoner degli ultimi trent’anni.
Album trascinante e ossessivo, un ascolto obbligato per chi si ritiene un fan del genere, e altro grande album firmato Rise Above.

TRACKLIST
01. Crown of Burning Stars
02. The Cross
03. Nephthys
04. Living With the Dead
05. I Am Your Virus
06. Screams From My Own Grave

LINE-UP
Lee Dorrian – Voce
Tim Bagshaw – Chitarra, Basso
Mark Greening – Batteria, Organo Hammond

WITH THE DEAD – Facebook

Hell In The Club – Shadow Of The Monster

il nuovo album continua a fare la voce grossa nella scena hard rock, confermando il respiro internazionale che gli Hell In The Club hanno raggiunto in così poco tempo

Letteralmente irresistibile, pura dinamite hard, street rock’n’roll fatta esplodere in questo inizio 2016 dalla nostrana Scarlet che, a distanza di poco più di un anno dal precedente e folgorante Devil On My Shoulder, torna a dar fuoco alle polveri con il nuovo album di questa banda di fenomenali rockers, al secolo Hell In The Club.

Come ben saprete il gruppo nostrano è composto da un nugolo di musicisti della scena nazionale che, con le loro band di origine( Elvenking, Secret Sphere e Death SS) hanno regalato perle metalliche di assoluto valore nobilitando la scena tricolore, poi unitisi in questo combo arrivando al terzo album facendo filotto, con un tre su tre, davvero entusiasmante.
Tre album a distanza di appena cinque anni, uno più bello dell’altro, partendo dal debutto Let The Games Begin, esordio del 2011, passando per Devil On My Shoulder, magnifico parto uscito sul finire del 2014 ed arrivando a questo mostruoso (è il caso di dirlo) Shadow Of The Monster.
Registrato, mixato e masterizzato ai Domination Studios da Simone Mularoni, il nuovo album continua a fare la voce grossa nella scena hard rock, confermando il respiro internazionale che gli Hell In The Club hanno raggiunto in così poco tempo: difficile, infatti, trovare un sound così perfetto come quello creato dal gruppo italiano, un mix di street, hard rock che guarda al passato ma mantiene un taglio moderno, portando il rock’n’roll esplosivo delle grandi band degli anni ottanta/novanta nel nuovo millennio ed aggiungendo valanghe di melodie dall’appeal enorme.
Forse, ancora più che in passato, il sound di questo lavoro guarda oltreoceano, facendo di Shadow Of The Monster l’opera più americana del gruppo, un mix riuscito tra i Guns’n’Roses di Slash ed i Jon Bon Jovi, che escono prepotentemente quando l’elettricità si fa leggermente meno ruvida e viene accompagnata da linee melodiche scritte per mano di talenti smisurati.
Il burattinaio in copertina, sempre diabolico ma ispiratore di un sound che vi farà innamorare al primo ascolto di questo straordinario pezzo di musica rock, domina menti e corpi e ci fa sbattere teste, scalciare come cavalli impazziti, letteralmente drogati dall’adrenalina che scorre all’ascolto di Dance!, opener dell’album e dall’inno Hell Sweet Hell.
Impossibile non cantare il refrain della title track,bonjoviana fino al midollo, così come una moderna ballatona da arena rock si rivela The Life & Death of Mr. Nobody.
Appetite for destruction? No solo Appetite, ma l’effetto è lo stesso, hard rock irrefrenabile, ruvido, che aggredisce con schiaffoni street metal, senza perdere un’oncia in melodia.
Anche questo album rimane su di un livello altissimo in tutta la sua durata, regalando ancora due spettacolari hard rock song, Le Cirque des Horreurs e l’irresistibile Try Me, Hate Me, canzone che in sede live sarà la colpevole di poghi irrefrenabili, ammucchiate paurose, malattie mentali e croniche ubriacature, insomma rock’n’roll all’ennesima potenza.
Hell In The Club, in un mondo ideale, sarebbe il nome più gettonato tra i rockers, ancora troppi legati a dinosauri estinti o ridotti a cover band di se stessi, non mi rimane quindi che ribadire l’assoluto valore di questo album e lasciarvi con una citazione…….CI SCAPPA DEL ROCK CICCIO !!!! Approfittatene.

TRACKLIST
01. DANCE!
02. Enjoy the Ride
03. Hell Sweet Hell
04. Shadow of the Monster
05. The Life & Death of Mr. Nobody
06. Appetite
07. Naked
08. Le Cirque des Horreurs
09. Try Me, Hate Me
10. Money Changes Everything

LINE-UP
Andrea “Andy” Buratto – Bass
Federico “Fede” Pennazzato – Drums
Andrea “Picco” Piccardi – Guitars (lead)
Davide “Dave” Moras – Vocals

HELL IN THE CLUB – facebook

Dalkhu – Descend … Into Nothingness

Un disco che non può lasciare indifferenti, davvero ricco di molti spunti positivi e con una grande forza.

Dalla fertile Slovenia, che pur essendo una nazione di soli tre milioni di abitanti riesce sempre ad esprimere ottimi gruppi metal, ecco i Dalkhu alla seconda opera, dopo Imperator del 2010.

I Dalkhu fanno un death metal con forti dosi di black, soprattutto nella ritmica delle canzoni, che sono ben strutturate e mai solo bieca potenza, ma hanno una struttura ben definita. La melodia c’è e si sente, anche grazie ad una produzione molto accurata e soprattutto funzionale allo scopo. In questi ultimi tempi vi sono molti gruppi che fanno death tinto di nero, ma pochi escono dalla media, mentre i Dalkhu si distaccano nettamente, anche perché in un genere non molto originale riescono ad avere un timbro personale e ben preciso. Infatti qui si realizza ciò che si proclamava nel titolo, ovvero una discesa nel nulla, attraverso gli scalini della sofferenza e della presa di coscienza della tragica condizione umana. Un disco che non può lasciare indifferenti, davvero ricco di molti spunti positivi e con una grande forza.

TRACKLIST
1. Pitch Black Cave
2. The Fireborn
3. In The Woods
4. Distant Cry
5. Accepting The Burried Signs
6. Soulkeepers
7. E.N.N.F.

LINE-UP
J.G. – guitar, bass, music.
P.Ž. – vocals

DALKHU – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Monolithe – Epsilon Aurigae

Epsilon Aurigae  è ricco di momenti dall’elevato tasso emozionale, racchiusi in un contesto sonoro maturo e nel contempo peculiare e, in definitiva,  è l’ennesimo grande album di una band che, assieme  a poche altro in ambito doom, è capace di esibire una cifra stilistica pressoché unica.

Il quinto album dei francesi Monolithe  mostra il suo elemento di novità  già dal titolo, che va ad interrompere la sequenza numerica che si protraeva fin dall’esordio risalente al 2003.

Inoltre,  anche in questo caso per la prima volta, abbiamo tre brani  di un quarto d’ora ciascuno al posto della canonica ed interminabile traccia unica, ma anche dal punto di vista prettamente musicale le novità sono significative, per quanto meno evidenti.
L’evoluzione iniziata con Monolithe III ha progressivamente allontanato la band parigina dal funeral più ortodosso, rendendo il sound man mano più peculiare ed aumentando in maniera esponenziale quella componente cosmica che, in precedenza, era rinvenibile più a livello concettuale che non nella sostanza.
La musica dei Monolithe possiede oggi un incedere solenne, che istintivamente riconduce all’immensità dell’universo piuttosto che al male di vivere, come le coordinate del genere vorrebbero, ma certo non viene meno il senso di caducità dell’esistenza, rappresentato dallo sgomento  dell’uomo di fronte a dimensioni spazio temporali che all’intelletto di un insignificante essere mortale è impedito immaginare.
Come sempre, la voce di Richard Loudin interviene  in maniera efficace  senza mai debordare, lasciando che sia soprattutto la musica ad avere il sopravvento sulle parole.
Epsilon Aurigae  è ricco di momenti dall’elevato tasso emozionale, racchiusi in un contesto sonoro maturo e nel contempo peculiare e, in definitiva,  è l’ennesimo grande album di una band che, assieme  a poche altro in ambito doom, è capace di esibire una cifra stilistica pressoché unica.

Tracklist
1.Synoecist
2.TMA-0
3.Everlasting Sentry

Line-up:
Benoît Blin – Guitars
Richard Loudin – Vocals
Sylvain Bégot – Guitars
Olivier Defives – Bass
Thibault Faucher – Drums

MONOLITHE – Facebook

Chronos Zero – Hollowlands ( The Tears Path Chapter One)

Settanta minuti di metallo drammatico e regale, figlio legittimo del sound dei maestri Symphony X, ma talmente ben eseguito da risultare un’opera per la quale certe similitudini finiscono solo per sminuire il talento dei musicisti coinvolti.

Tornano con il secondo lavoro i nostrani Chronos Zero, band che aveva entusiasmato nel 2013 con il debutto A Prelude Into Emptiness:The Tears Path Chapter Alpha, opera metallica che risplendeva di furore power/prog, uno spettacoloso vulcano di note che portava la band sul podio dei gruppi dediti a queste sonorità.

Un debutto clamoroso e tanti complimenti da fans e addetti ai lavori devono aver portato non poche pressioni al gruppo cesenate, positive direi, visto di che pasta è fatto il nuovo lavoro che risulta un’altra esplosione di suoni power e progressivi, dalla forza sovraumana e dalla tecnica invidiabile.
Tragico ed oscuro, emozionale e devastante, bombastico e pregno di fierezza metallica, Hollowlands conferma la band come una delle migliori uscite dallo stivale negli ultimi anni, almeno per quanto riguarda il genere.
Con qualche piccolo aggiustamento nella line up ed album affidato al sempre geniale Simone Mularoni, protagonista di un lavoro perfetto in fase di produzione, mix e mastering, Hollowlands vede lo stesso chitarrista dei DGM come ospite insieme a Matt Marinelli (Borealis) e Jan Manenti (Love.Might.Kill.) contributi che vanno ad impreziosire questi settanta minuti di metallo drammatico e regale, figlio legittimo del sound dei maestri Symphony X, ma talmente ben eseguito da risultare un’opera per la quale certe similitudini finiscono solo per sminuire il talento dei musicisti coinvolti.
The Compression Of Time apre l’album con l’irruenza classica a cui i Chronos Zero ci hanno abituati, ritmiche velocissime ed intricate, chitarre che sputano fuoco metallico, tastiere ed orchestrazioni che riempiono e nobilitano il sound e la spettacolare alternanza delle voci, perfetta nello scambiarsi il centro del palcoscenico, in un rincorrersi tra le fitte ragnatele di note orchestrate dai musicisti.
L’entrata in pianta stabile di una voce femminile (Margherita Leardini), molto più presente che sul primo lavoro, non inficia la devastante aggressività che il gruppo riversa nel sound, i momenti di quiete, sono solo bellissime affreschi, attimi suggestivi, che fanno calare un poco, l’altissima tensione che si respira a più riprese, mentre la vocalist è protagonista di una prova gagliarda, soprattutto quando, si erge sulle tracce drammatiche e rabbiose e dal mood orchestrale, molto più sinfonico che sul disco precedente.
Si, perché l’album, diversamente dal primo, è molto più sinfonico, le fughe progressive sono accompagnate da un suono bombastico, dando ad Hollowlands un tocco quasi cinematografico che valorizza ancora di più il sound, così che non si può non rimanere folgorati da questa raccolta di gemme metalliche che hanno in Fracture, nella ballad On Tears Path, Phalanx Of Madness, nelle tre parti di Oblivion, cuore del lavoro ed assoluto capolavoro del gruppo, gli episodi migliori di un lavoro decisamente sopra le righe.
I Chronos Zero si apprestano a raggiungere i cuori degli appassionati del genere, forti di un disco bellissimo, anche se a mio parere il sound del gruppo potrebbe piacere anche a chi si nutre di metal estremo, proprio per la sua disumana potenza e l’uso in molte occasioni del growl.
Grande ritorno e gradita conferma.

TRACKLIST
1. The Compression of Time
2. Fracture
3. Shattered
4. On the Tears of Path
5. Who Are You? (A Shape of Nothingness)
6. Who Am I? (Overcame by Blackwater Rain)
7. Ruins of the Memories of Fear
8. Phalanx of Madness
9. Oblivion Pt. 1 – The Underworld
10. Oblivion Pt. 2 – The Trial of Maat
11. Oblivion Pt. 3 – The Harp
12. The Fall of the Balance
13. Near the Nightmare
14. From Chaos to Chaos

LINE-UP
Federico Dapporto – Bass
Enrico Zavatta – Guitars, Piano, Keyboards
Davide Gennari – Drums, Percussion
Jan Manenti – Vocals
Giuseppe Rinaldi – Keyboards
Manuel Guerrieri – Vocals
Margherita Leardini – Vocals

CHRONOS ZERO – Facebook

Harm – Devil

Gli Harm ci fanno compiere una cavalcata devastatrice, dandoci divertimento ma anche quella carica e quell’intrattenimento tipici del migliore thrash metal

Questa è più di una ristampa per questo lavoro del 2006, essendo a tutti gli effetti una riedizione in doppio cd, poiché contiene un artwork differente e anche delle canzoni in più.

Gli Harm sono un gruppo norvegese di thrash con forti inserti death, ma cosa più importante non lasciano mai tregua, e questo disco è un autentico massacro, fa ondeggiare la testa avanti ed indietro in maniera compulsiva. Il loro suono è trash che va oltre i canoni del genere, poiché l’impasto sonoro degli Harm, oltre che essere molto curato, è ben più potente della media dei gruppi thrash. Ascoltando Devil si può facilmente capire quale sia stato il motivo della riedizione, poichè nel suo piccolo è un capolavoro di questo genere. Gli Harm ci fanno compiere una cavalcata devastatrice, dandoci divertimento ma anche quella carica e quell’intrattenimento tipici del migliore thrash metal, che è un genere difficile da fare bene e gli Harm lo sanno decisamente fare.

TRACKLIST
1. Aggression
2. Backfire
3. Kvalt
4. Devil
5. Harm Unleashed
6. Burn
7. Reflection
8. Planet God
9. Rolling the Dice
10. Instinctive, Reflex, Revenge
11. Intense Replication of Me (previously unreleased version)

Disc 2
1. Planet God
2. Harm Unleashed
3. Piercing Screams
4. Intense Replication of Me
5. Reflection
6. Twisted Metal Coffin
7. Rolling the Dice
8. Electric Hatred
9. Falling Star (previously unreleased)
10. Misery Fields (previously unreleased)

LINE-UP
Steffan Schulze – Bass/Vocals/Guitar.
Nicolay Johnsen – Lead Guitar.
Kevin Kvaale – Drums

HARM – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=VtcsoHa2aAM

Enthrallment – Eugenic Wombs

Eugenic Wombs non molla un attimo, l’assalto brutale del gruppo bulgaro è di quelli che attaccano al muro per più di mezzora di death feroce

Eugenic Wombs è un bombardamento a tappeto di death metal brutale che a tratti sfocia nel grindcore, l’arma letale colpevole di questa carneficina si chiama Enthrallment, band di Pleven, città della Bulgaria.

Ancora dall’est europeo arrivano le avvisaglie di una guerra musicale senza esclusione di colpi, portata avanti dalle ottime realtà che si aggirano come mostri famelici tra le città dei paesi che fanno da confine con il continente asiatico, altro nido di serpi metalliche, pronte a mordere ed a lasciare dentro di noi il loro mortale veleno.
Gruppo attivo da una quindicina d’anni, questo devastante quintetto annovera nella propria discografia un buon numero di full length, di cui Eugenic Wombs è il quinto e segue The Voice of Human Perversity, uscito lo scorso anno.
Una buona continuità, mantenuta in questi anni, aggiungendo un’altra manciata di lavori minori, che accompagnano le opere sulla lunga distanza, segno che la band c’è, risultando una garanzia per i fans del metal estremo.
Eugenic Wombs non molla un attimo, l’assalto brutale del gruppo bulgaro è di quelli che attaccano al muro per più di mezzora di death feroce, tecnicamente ineccepibile e violentissimo, con soluzioni ritmiche entusiasmanti, un gran lavoro delle sei corde ed intuizioni nel sound che avvicinano la band alle frange più tecniche del genere.
Trombe d’aria si abbattono sull’ascoltatore, vortici di musica estrema dirompente, blast beat a manetta, solos e mitragliate ritmiche che non fanno prigionieri, in questa battaglia dove, a rendere il tutto ancora più brutale ci pensa un growl cavernoso e cattivissimo.
Quindici anni a far danni non sono pochi, ed infatti la band risulta compatta, bravissimi tecnicamente, il gruppo bulgaro non ha punti deboli, non mostrando il fianco nell’enorme lavoro della sezione ritmica, (Ivo Ivanov è straordinario alle pelli) ne nella tempesta di riff e solos creati dalle due asce, a tratti spettacolari ( Andrey Gegov e Vasil Furnigov).
Completano la formazione Rumen Pavlov al basso e Plamen Bakardzhiev dietro al microfono, così che Last Judgment Waltz, Inspired Lunatic e la conclusiva Enslaved by Your Own Seed (un piccolo capolavoro brutal death) possano esplodere come bombe scagliate da uno stormo di caccia sui cieli europei.
Se siete amanti del genere Eugenic Wombs non può mancare nella vostra discografia, supportate gli Enthrallment.

TRACKLIST
1. Deserved Fears
2. Few Are Those Who Find It
3. Last Judgment Waltz
4. Totally Dismembered
5. Defame the Incarnation
6. Inspired Lunatic
7. Path to Silence
8. Nature Dose Not Allow Doubling
9. Enslaved by Your Own Seed

LINE-UP
Ivo Ivanov- Drums
Plamen Bakardzhiev- Vocals
Vasil Furnigov- Guitars
Andrey Gegov- Guitars
Rumen Pavlov- Bass

ENTHRALLMENT – Facebook

Arche – Undercurrents

Splendide progressioni ammantate di pathos si alternano a passaggi più rarefatti o a repentine aperture melodiche, poste quasi a simboleggiare un’effimera quanto illusoria attenuazione del dolore che pervade l’intero lavoro.

Che la Finlandia sia la patria del funeral non ci sono dubbi, visto che i Thergothon prima e gli Skepticism poi hanno di fatto inventato e codificato questo meraviglioso sotto genere del doom metal.

Nel corso degli anni altre band provenienti dalla terra dei mille laghi hanno fornito prove indimenticabili, citiamo solo Shape of Despair, Colosseum e Profetus tra le più note; proprio da questi ultimi proviene Eppu Kuismin, che ha formato da poco questa nuova band denominata Arche e il cui esordio si rivela una nuova dolorosa perla.
Il musicista finnico di fatto si mette in proprio, componendo, suonando la chitarra ed occupandosi anche delle parti vocali, coadiuvato da Panu Raatikainen a basso e chitarra e Ville Raittila alla batteria: il sound proposto dagli Arche non ricalca però più di tanto quello della band madre ma, semmai, si avvicina maggiormente a quanto fatto dai Colosseum.
In qualche modo questa nuova creatura, infatti, va a comare il vuoto creato dall’inevitabile split dovuto alla prematura dipartita di Juhani Palomäki, ripercorrendone le orme con una scrittura contraddistinta da una costante tensione emotiva, optando per un gravoso incedere guidato da riff diluiti e distorti sui quali si vanno ad appoggiare arpeggi che disegnano melodie struggenti, come accade in particolare nel finale della magnifica Plains Of Lethe.
Ma nel sound del trio di Tampere confluiscono, alla fine, anche influenze provenienti sia dal centro Eyropa (Worship, per certi passaggi dalla lentezza soffocante), sia dall’emisfero australe (Mournful Congregation, per un certo gusto nell’utilizzo delle soluzioni acustiche), a denotare una conoscenza della materia da primo della classe da parte di Kuismin.
Funereal Folds è la seconda delle due lunghe tracce che vanno a comporre questa mezz’ora di funeral doom ai suoi massimi livelli: anche qui le splendide progressioni ammantate di pathos si alternano a passaggi più rarefatti o a repentine aperture melodiche, poste quasi a simboleggiare un’effimera quanto illusoria attenuazione del dolore che pervade l’intero lavoro.
Undercurrents è nutrimento fondamentale per chi nella musica cerca emozioni durature e non canzoncine da fischiettare sotto la doccia …

Tracklist
1. Plains of Lethe
2. Funereal Folds

Line-up:
Eppu Kuismin – Guitars, Vocals
Panu Raatikainen – Guitars, Bass
Ville Raittila – Drums

ARCHE – Facebook

https://vimeo.com/131759482

Supreme Carnage – Sentenced By The Cross

Un altro ottimo album che riprende le storiche sonorità dei primi anni novanta, tornate a far sanguinare orecchie negli ultimi anni

Tedeschi, ma musicalmente devoti al death metal old school di matrice scandinava, tornano con un nuovo lavoro i devastanti Supreme Carnage, nati da una covata malefica in quel di Monaco nel 2010, ed al terzo lavoro, dopo aver incendiato impianti stereo a go go, con il debutto A Masterpiece of Execution, ep del 2012 ed il primo full length licenziato due anni fa, Quartering the Doomed.

Giunge dunque, in questo ultimo rigurgito del 2015, questo nuovo album, accompagnato da una bellissima copertina e da undici brani di massacrante, terribile ed epico death metal vecchia scuola, intitolato Sentenced By The Cross, goduria irrefrenabile per gli amanti del buon vecchio metal estremo, suonato tanti anni fa nelle fredde lande del nord Europa.
Il quintetto cala sul tavolo un poker di sonorità che ormai hanno raggiunto lo status di leggenda, portando nel nuovo millennio, con buoni risultati gli insegnamenti delle band madri del movimento estremo dei primi anni novanta.
E allora, fuori grinta e cattiveria e via, all’assalto, con questi cinquanta minuti scarsi di death metal, suonato alla grande, prodotto come si faceva una volta, dall’impatto disumano e dai cliché, magari abusati ma sempre affascinati.
Accelerazioni, doppia cassa a manetta, rallentamenti doom/death ed un growl uscito da una putrida caverna, dove i demoni, nascono e si moltiplicano sono le virtù principali di Sentenced By The Cross.
La band senza strafare sa giocare con la materia, ed usa tutti i mezzi per piacere a chi, nella sua libreria, ha ancora in bella mostra i cd di Dismember, Grave, primi Entombed e Unleashed.
Death metal old school senza compromessi, dunque, ma ben fatto, molto coinvolgente e compatto, un monolito di musica estrema che travolge, forte di una sezione ritmica terremotante, un vocalist in continua possessione demoniaca e asce che torturano, seviziano e urlano dolore.
Non c’è una song che prevale sulle altre, l’album parte a mille e non si ferma finché l’ultimo giro del dischetto viene letto dal laser ottico, a meno che, distrutti da cotanta potenza non siate voi a fermare il massacro, violentati dal genere estremo per eccellenza.
Buon lavoro, un altro ottimo album che riprende le storiche sonorità dei primi anni novanta, tornate a far sanguinare orecchie negli ultimi anni, specialmente nell’underground, per i fans consigliato senza riserve.

TRACKLIST
1. Intro
2. Sentenced by the Cross
3. Skin Turns Black
4. The Sewerage of God
5. One Pound of Iron
6. Compurgation
7. Right of Sanctuary
8. Sodomized
9. Cup of Wrath
10. Burn for Me
11. Fire

LINE-UP
Svensson – Bass
Acker – Guitars
Dragoncolmont – Vocals
Mirko – Drums
Nova – Guitars

SUPREME CARNAGE – Facebook

War Atrocities – Necromantical Legions Ep

Questo disco è molto divertente, ci porta in un incrocio e si sa, gli incroci sono luoghi satanici dove si incontrano punk, metal e trash, con una spruzzata di black metal

Il bello del metal, oltre ad essere metal, è che può essere declinato in molti modi, essere suonato da gruppi o anche da singoli.

Il metal suonato da una sola persona è praticamente un genere a sé stante e vi sono molti ottimi esempi di ciò. In questo caso troviamo la creatura del croato di Spalato Wastelander, War Atrocities, un coagulo di black, trash e scorie radioattive di Venom, Hellhammer, Celtic Frost e di velocità ed attitudine metalpunk. Ma ciò che ricorda maggiormente sono i Bathory dei primi dischi, anche se il croato è più veloce e punk. Il risultato è un disco incalzante e debitore di più di una bevuta a quel signore che è appena venuto a mancare, Lemmy, che con i suoi Motorhead ha anfetaminizzato il rock, spingendolo in territori metal. Infatti l’ultima canzone è il rifacimento di Armageddon dei Bathory, tratto dall’omonimo album del 1984. Questo disco è molto divertente, ci porta in un incrocio e si sa, gli incroci sono luoghi satanici dove si incontrano punk, metal e trash, con una spruzzata di black metal, anche perchè il black deriva da quei generi di cui sopra.
Necromantical Legions raggiunge in pieno lo scopo di dare nero piacere metallico, portandoci fra schiere di demoni che schizzano veloci verso i loro supplizi. Qui si può trovare quello spirito che animò il giovane Quorthon per cambiare le carte in tavola, più dei Venom e di tanti altri gruppi. Un disco notevole per pura e semplice devastazione.

TRACKLIST
1.Screams From The Pits
2.Destruktor of Eternal
3.Mayhem Mongers
4.Cryptic Calls
5.Storm of The Tyrants
6.Ripper Lust
7.Armageddon (Bathory)

LINE-UP
Wastelander : Everything.

WAR ATROCITIES – Facebook

Cauldron – In Ruin

Una band onesta, un sound che è storia del nostro genere preferito, ed un lotto di buone canzoni, fanno di In Ruin un album consigliato agli amanti dell’heavy metal tradizionale di scuola ottantiana.

In questo periodo di ritorno dei suoni vintage e classici, anche l’heavy metal trova i suoi adepti, che tornano al sound di metà anni ottanta con ritrovata verve ed un pizzico di attitudine nostalgica.

A label come la tedesca Pure Steel, ormai punto di riferimento per il metal/rock dai suoni classici, si aggiungono piccole etichette che, con ritrovato entusiasmo, ci regalano lavori dallo spirito vintage, ma di per se molto affascinanti, un viaggio sulla macchina del tempo musicale e fermata nel Regno Unito, intorno al 1982 o giù di li.
La High Roller Records distribuisce in Europa, l’ultimo lavoro dei canadesi Cauldron, trio di Toronto con in testa l’heavy metal old school e la scena britannica, conosciuta come new wave of british heavy metal.
In Ruin è il quarto full length di un’avventura iniziata nel 2006 con l’esordio Live 7 e continuata tra ep, split e tre album, Chained to the Nite del 2009, Burning Fortune del 2011 e Tomorrow’s Lost dell’anno dopo e che ha visto la band calcare i palchi insieme a gruppi di notevole spessore come Nevermore, gli storici Diamond Head, i thrashers Death Angel e le leggende Metallica.
Non male direte voi, beh i Cauldron ci sanno fare, il loro sound così devoto al genere storico per antonomasia di tutto il panorama metallico, non lascia niente all’originalità, ma in quanto ad attitudine sembra davvero di essere al cospetto di un album ed una band uscita tra i vicoli di una Manchester o Londra di primi anni ottanta.
Tutto è perfetto nel suo spirito nostalgico, ritmiche e cavalcate elettriche, cori, refrain e riff che non risparmiano melodie, un tono vocale perfetto per il melodic heavy metal e canzoni sufficientemente buone per tenere l’ascoltatore con le cuffie ed il volume al massimo, dall’opener No Return / In Ruin, giù per Hold Your Fire, Santa Mira, fino alla bellissima semiballad dai rimandi sassoni Delusive Serenade, che avvicina alla conclusione questo buon esempio di heavy metal vecchia scuola, non prima di averci fatto sbattere le capocce con Outrance, che mette la parola fine sul nuovo album dei Cauldron.
Una band onesta, un sound che è storia del nostro genere preferito, ed un lotto di buone songs, fanno di In Ruin un album consigliato agli amanti dell’heavy metal tradizionale di scuola ottantiana.
Da ascoltare stando attenti alle lacrimucce, effetto collaterale per i vecchi true metallers.

TRACKLIST
1. No Return / In Ruin
2. Empress
3. Burning at Both Ends
4. Hold Your Fire
5. Come Not Here
6. Santa Mira
7. Corridors of Dust
8. Delusive Serenade
9. Outrance

LINE-UP
Jason Decay – bass/ vocals
Ian Chains – guitar
Myles Deck – drums

CAULDRON – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=LNibgkOIXEw

Excruciation – Twenty Four Hours

Ep che sembra segnare una svolta dark per gli esperti elvetici Excruciation, in attesa di verificarne l’impatto con l’album di prossima uscita.

Twenty Four Hours è un breve ep che segna, almeno in apparenza, una svolta importante nel sound di un band dalla storia ormai trentennale come gli svizzeri Excruciation.

Nati come fautori di un thrash piuttosto canonico proposto nella prima parte della loro carriera (dal 1985 al 1991), dopo una lunga pausa durata quasi tre lustri gli elvetici si sono ripresentati spostandosi in maniera decisa verso il death doom piuttosto plumbeo che ha contraddistinto i tre full length finora incisi (“Angels to Some, Demons to Others”, “[t]horns” e “[g]host”); quest’ultima uscita, invece, farebbe presupporre un ulteriore cambio di direzione stilistica facendoli approdare su lidi più dark, con sconfinamenti frequenti in un gothic/post punk reso robusto dal persistente scheletro metallico.
Non a caso, l’ep prende il titolo dal singolo omonimo pubblicato poco prima che altro non è se non la cover del capolavoro targato Joy Division. Ovviamente, riuscire a trasmettere lo stesso senso di dolente alienazione provocato dalla voce di Ian Curtis era impensabile, per cui i nostri, avvalendosi invece del gotico vocalismo di Eugenio Meccariello, irrobustiscono non poco le trame fornendo una versione decisamente condivisibile di un brano-monumento della storia della musica (almeno per quanto mi concerne).
Le altre due tracce ci mostrano gli Excruciation alle prese con questa commistione di doom e darkwave abbastanza convincente: il sound è decadente e, come accadeva alla band ottantiane, bada molto di più alla sostanza che non alla forma: quello che ne scaturisce ha così sembianze meno artefatte, consentendo al gruppo zurighese di sfuggire al rischio di apparire eccessivamente fuori tempo massimo.
L’attesa è quindi per la prossima prova su lunga distanza, che ha già un titolo (“[c]rust”) ed una label pronta a pubblicarlo (la nostrana WormHoleDeath), con la curiosità di osservare se questa variazione rappresenti solo un fatto occasionale legato alla coverizzazione dei Joy Division oppure, al contrario, costituisca la nuova via maestra seguita dagli Excruciation.

Tracklist
1.Twenty Four Hours
2.Olympus Mons
3.Borderline (extended)

Line-up:
Eugenio Meccariello – vocals
HNS Reitze – guitars
Marcel Bosshart – guitars
D.D. Lowinger – bass
Andy Renggli – drums

EXCRUCIATION – Facebook

Xpus – Sanctus Dominus Deus Sabaoth

Gli Xpus non scherzano e le varie Desecration of the Image of God, The Cherub’s Throne, Primordial Evil Essence non lasciano spazio all’ascolto distratto di ascoltatori che non siano amanti del genere.

Esordio sulla lunga distanza per gli Xpus, band italiana nati dalle ceneri degli Unholy Land, black metal band nata a Bergamo nel 1998 e con all’attivo due album tra il 2003 ed il 2008 ( The Fall of the Chosen Star, Dethrone the Light).

Il gruppo tricolore è protagonista di un oscuro e devastante black metal d’ispirazione satanica, dove non mancano accenni al death, specialmente nel growl, il resto del sound è totalmente devoto all’oscuro signore, malatissimo e putrido metal estremo, dove non mancano parti cadenzate pesanti come macigni, cori ecclesiastici e furiose sfuriate evil.
Quaranta minuti scarsi di delirio black/death, blasfemo e senza compromessi, una via di mezzo tra la tradizione polacca ed il black metal oltranzista della scena nordica, il tutto circondato da un’aura satanica difficile da riscontrare nelle band di ultima generazione.
Impatto, attitudine anti cristiana ed una buona dose di violenza, fanno di Sanctus Deus Sabaoth il classico album must per i true black metal fans, un inno di glorificazione alla morte, alla distruzione del genere umano ed al satanismo davvero notevole.
Gli Xpus non scherzano e le varie Desecration of the Image of God, The Cherub’s Throne, Primordial Evil Essence non lasciano spazio all’ascolto distratto di ascoltatori che non siano amanti del genere.
Il trio composto da questi sacerdoti del male vede Aren al basso e a vomitare blasfemie con un growl demoniaco, mentre la sei corde di Normak sputa riff black direttamente dall’inferno, accompagnata dalla batteria di L.(Luca Mazzucconi), per una tempesta di note estreme, malvagie, disturbanti e brutali.
Album affascinante e pregno di vero male in musica, una vera opera oscura.

TRACKLIST
01. Intro
02. Desecration of the Image of God
03. Die as a Sinner
04. The Cherub’s Throne
05. LHP
06. Wirlwind of Fire
07. The Great Worm of the Third Circle
08. Primordial Evil Essence
09. Eternal Flame
10. Outro

LINE-UP
Aren – Vocals, Bass
Mornak- Guitars
“L”- Drums

XPUS – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO