Premessa: un disco come questo dovrebbe raccogliere consensi unanimi ma non è difficile presagire che qualcuno possa trovarlo eccessivamente derivativo; in effetti, se da una parte non si può negare che i Dark End traggano abbondante ispirazione dalle migliori produzioni dei maestri del genere quali Dimmu Borgir o Cradle Of Filth, dall’altra è innegabile che il black metal sinfonico proposto dal gruppo reggiano riesca ad annientare l’insieme delle uscite plastificate e ricche di forma, quanto prive di sostanza, sfornate nell’ultimo decennio non solo dai numerosi epigoni, ma anche dalle stesse band appena citate.
I nostri giungono così al terzo full-length in sei anni e, nonostante il buon valore che accomunava le precedenti uscite, la loro popolarità è sempre rimasta confinata a livello underground; Grand Guignol – Book I potrebbe e dovrebbe risultare decisivo per cambiare questo stato di cose.
Nonostante sia stato pubblicato senza il supporto di un’etichetta vera e propria, questo lavoro è stato curato dai suoi autori fin nei minimi dettagli, ivi compresi il lato grafico e quello lirico: citando la band, il disco “è la prima parte di un complesso concept filosofico riguardante le comuni radici di occultismo, spiritualismo, martirio e rituali di magia bianca e nera”
Non ritenendomi sufficientemente preparato ad affrontare in maniera approfondita tali tematiche, mi astengo dal fare del mero copia-incolla e mi limito a osservare che testi così impegnativi, pur se di non facile interpretazione, costituiscono qualcosa in più di un semplice valore aggiunto all’aspetto che più ci interessa, cioè quello musicale.
In questo senso ci troviamo davanti a un disco dalla qualità inusuale che, nonostante una durata superiore all’ora, è del tutto privo di momenti morti o di tracce semplicemente interlocutorie. Ogni brano vive di luce propria in una pirotecnica alternanza di atmosfere, ora di stampo sinfonico, ora ritmate e aggressive, in ogni caso accomunate da un gusto melodico fuori dal comune e da un contributo vocale e strumentale privo di sbavature.
A differenza di quanto accade nella stragrande maggioranza dei casi in uscite di stampo analogo, le tastiere non finiscono per saturare il disco con la loro onnipresenza, ma si rivelano una componente perfettamente amalgamata al resto della strumentazione.
Come ho già avuto occasione di affermare in altri frangenti, partendo dall’assunto che resta ben poco da inventare in ambito musicale, un’opera come quella dei Dark End colpisce per freschezza, creatività e perizia compositiva e chi la snobberà considerandola alla stregua di una stantia operazione di riciclo commetterà un grave errore di valutazione.
Quindi non si vede perchè, chi nelle nostre lande contribuisce ancora oggi a decretare il successo degli ormai inoffensivi Dimmu Borgir o degli altalenanti Cradle Of Filth, non debba concedersi la possibilità di volgere lo sguardo nei pressi per ascoltare del black sinfonico suonato con tutti i crismi e ancora in grado, nonostante tutto, di stupire.
Tracklist :
1. Descent/Ascent (II Movement)
2. Æinsoph: Flashforward to Obscurity
3. Doom: And Then Death Scythed
4. Spiritism: The Transmigration Passage
5. Bereavement: A Multitude In Martyrized Flesh
6. Grief: Along Our Divine Pathway
7. Bleakness: Of Secrecy, Haste and Shattered Crystals
8. Pest: Fierce Massive Slaying Grandeur
9. Decrepitude: One Last Laugh Beside Your Agonies
10. Dawn: Black Sun Rises
Line-up :
Valentz – Drums
Antarktica – Keyboards
Animæ – Vocals
Specter – Bass
Ashes – Guitars
Nothingness – Guitars