Scommetto che, se foste dei tifosi del Barcellona, quando Leo Messi segna in una partita meno di due goal o, comunque, non si esibisce in una di quelle azioni in cui dribbla tutti gli avversari (e già che c’è anche qualche omino delle bibite), uscireste dallo stadio velatamente delusi.
Quando mi trovo a che fare con Déhà e Daniel Neagoe mi sento più o meno come i sostenitori blaugrana nei confronti della “Pulga” argentina, e così la pubblicazione di un nuovo album che li vede entrambi protagonisti rischia di scontentarmi relativamente pur risultando vincente.
Il secondo disco a nome Deos, il progetto funeral che vede i due corresponsabili ciascuno al 50% dello sforzo compositivo, è appunto una dimostrazione ineccepibile di come si debba interpretare il genere, ma non è il capolavoro che mi sarei atteso.
Questo perché, dei quattro brani che vanno a formare la tracklist di … To Depart, solo due sono le perle che possono scaturire da poche altre menti oltre a quelle del geniale duo, mentre sia la traccia di apertura (The Vigil), sia quella di chiusura (The Emptiness) non si rivelano all’altezza di cotanto splendore.
Ovviamente questi due brani farebbero la fortuna di molte band, che li utilizzerebbero ben volentieri per edificarvi attorno un intero album, ma rispetto al precedente disco sia il ricorso molto più frequente delle clean vocals, sia una rarefazione che rende più interlocutorio il sound, indeboliscono parzialmente l’impatto emotivo del lavoro.
In fondo le caratteristiche citate sono presenti anche in The Last Journey e The Silence, ma ciò avviene in maniera più organica in alternanza ai momenti ricchi di pathos provocati dall’irrobustimento del sound, associato al mortifero growl di Daniel: il titolo della prima delle due tracce calza davvero ad un andamento capace di evocare sensazioni dolorose difficili da descrivere a parole (per aiutarvi provate a pensare ai migliori Ea, ma molto più bravi tecnicamente ed ulteriormente rallentati), mentre la seconda è, se possibile, ancor più drammatica nel suo incedere ma viene stemperata da aperture melodiche con clean vocals che, qui, sono molto più funzionali alla causa rispetto ad altri frangenti.
Se vogliamo, si può trovare un certo parallelismo tra le accoppiate Fortitude, Pain, Suffering – … To Depart e Gaia – IV Mythologiae degli Slow, progetto solista di Déhà, nel senso che in entrambi i casi l’album più recente vede una parziale attenuazione delle ruvidezze ed un incremento contestuale delle parti ambient e di quelle cantate con voce pulita. In tutto ciò, poi, finiscono inevitabilmente e giustamente per confluire anche le altre esperienze musicali dei due, a partire dai Clouds, dai quali vengono attinti certi passaggi pianistici di stampo intimista, che del resto ritroviamo anche negli stessi Eye Of Solitude.
In buona sostanza … To Depart è, come detto in fase introduttiva, un bellissimo lavoro, anche se il suo predecessore mi aveva offerto sensazioni ancor più dolorosamente lancinanti; non posso escludere a priori che dietro a tutto ciò possa esserci una sorta di pregiudizio affettivo, visto che fu proprio grazie a Fortitude, Pain, Suffering che scoprii l’esistenza di Déhà e Daniel, due tra i musicisti che più stimo al giorno d’oggi, e forse “accontentarsi” di un album come … To Depart è la cosa migliore da fare: non stupisca, quindi, un voto piuttosto elevato, visto che corrisponde in toto al valore oggettivo di quanto ascoltato.
Da citare, infine, e non solo per dovere di cronaca, il prezioso contributo alla resa finale del disco del chitarrista rumeno Alex Cozaciuc dei Descend Into Despair.
Tracklist:
1.I The Vigil
2.II The Last Journey
3.III The Silence
4.IV The Emptiness
Line-up:
Daniel N. – All instruments, Vocals
Déhà – All instruments, Vocals
Alex Cozaciuc – Guitars