Il progetto solista di Pierre Laube arriva al terzo album in due anni e conferma la parabola ascendente che caratterizza l’operato del musicista tedesco fin dall’inizio di questa sua avventura.
Attestatosi ormai stabilmente bel prestigioso roster della Solitude, Pierre non tradisce le coordinate di base che hanno caratterizzato il suo death-doom sia nell’esordio “The Ancient Path” sia nel successivo “My Own Abyss” ma, in quest’occasione, il sound si concede in diverse occasioni aperture melodiche capaci di attenuare l’effetto claustrofobico che fino a ieri ne era contemporaneamente trademark e parziale limite.
La chitarra infatti si lascia andare a passaggi capaci di segnare i singoli brani, proprio ciò che veniva meno nei lavori precedenti dove invece veniva privilegiato un impatto di matrice death, senza dubbio efficace ma alla lunga privo del necessario cambio di marcia.
Non che i Doomed siano diventati di punto in bianco dei discepoli dei Saturnus, intendiamoci, il doom della one-man band teutonica è sempre piuttosto corrosivo e scevro di soluzioni di facile presa, ma la rabbiosa aggressività del recente passato lascia maggiormente spazio a una chitarra che trasmette più amarezza che malinconia, in ogni caso.
La scelta di aprire il disco ospitando alla voce uno dei cantanti simbolo del death-doom melodico europeo, ovvero Pim Blankenstein degli Officium Triste, denota anche a livello di intenti un maggiore ammorbidimento del sound, aspetto che a mio avviso permette ai Doomed di compiere un decisivo salto di qualità.
When Hope Disappears è infatti forse il brano migliore scritto da Pierre in questo biennio, non solo grazie al contributo vocale dell’ospite (del resto il musicista tedesco dispone egli stesso di un growl ben più che adeguato) ma, soprattutto, per la presenza di una chitarra capace di disegnare melodie sufficientemente dolenti; lo stesso accade anche in fondo anche in The Last Meal, dove in questo caso l’ospite è il meno noto Andreas Kaufmann, e nella conclusiva What Remains, per un trittico di brani che mostra il lato più melodico dei Doomed.
Il resto di Our Ruin Silhouettes si assesta sui livelli e sulle coordinate dei precedenti lavori, ma è indubbia la percezione di un lavoro di scrittura più definito e in qualche modo più aperto e non è da escludere che, essendo divenuti i Doomed, almeno dal vivo, una band a tutti gli effetti, Pierre ne abbia risentito positivamente anche in fase di composizione.
Ancora una volta, quindi, non si può che accogliere con soddisfazione una nuova uscita del musicista tedesco che, senza fare troppi proclami, prosegue con teutonica regolarità la sua marcia d’avvicinamento ai vertici del death-doom.
Tracklist:
1. When Hope Disappears
2. In My Own Abyss
3. A Reccurent Dream
4. The Last Meal
5. My Hand in Yours
6. Revolt
7. What Remains
Line-up:
Pierre Laube – All Instruments, Vocals