DRUDKH – A Few Lines in Archaic Ukrainian

I Drudkh di certo non necessitano di troppe presentazioni.

Mainstream della scena Black Metal europea, gli ucraini di Kharkiv hanno all’attivo ben 11 full-length, più alcuni ep e tre split (il più famoso quello con gli storici blackster norvegesi Hades Almighty del 2016, uscito per Dark Essence) ed un paio di compilation, Eastern Frontier in Flames del 2014 e, appunto, questa nuovissima A Few Lines In Archaic Ukranian, entrambe uscite con titolo in cirillico (come del resto accade per tutta la loro produzione) per la Season of Mist Underground Activists (la sorella minore della major francese). La scelta per queste due compilation, ad onor del vero è stata azzeccatissima. Invece che produrre il solito Best Of, che potrebbe anche annoiare il fan che già possiede tutta la loro discografia, si è deciso, per la prima, di includere oltre che alle due bonus tracks presenti sulla versione in edizione limitata di Microcosmos del 2009, anche 5 cover (tra cui l’immortale Indiánská píseň hrůzy dei cechi Master’s Hammer, del 1995), mentre, per l’oggetto della nostra recensione, ci è stata data la possibilità di apprezzare tutte le canzoni presenti nei tre split, per la felicità di chi, a quel tempo, non riuscì ad accaparrarseli. Partiamo quindi per gradi, proprio dalla prima traccia, Golden Horse (tratta appunto dallo split con gli Hades Almighty); tiratissimo Black, che racchiude nei suoi quasi nove minuti, tutta l’essenza della brutalità e dell’aggressività che i Nostri sono capaci di esprimere, sempre e comunque in bilico tra una violenza inaudita ma ordinata, e una gestione quasi perfetta degli intervalli mid, che si intrecciano amabilmente con la loro epica cadenza , armoniosamente ordita su una base di keyboards che donano al loro sound una melodia mai scontata, pacchianamente commerciale e ruffiana. Così come in Fiery Serpent (il secondo brano presente sempre nel famoso split e, come per Golden Horse, ispirato allo scrittore ucraino Volodymyr Svidzins’kyi, perseguitato ed ucciso dal regime di Stalin, nel 1941), epica traccia che rimanda ad antiche guerre, potente ed imperiosa, che sublima i nostri padiglioni auricolari, grazie a remote melodie (favoloso anche l’arpeggio a metà traccia) che, in un crescendo multicolore di policromatiche sfumature sonore, rendono il brano una vera e propria cavalcata (la parte centrale strumentale è da capogiro) fastosa, inarrestabile, di un imponenza solenne, quasi maiestatica. Il tutto termina con un altro meraviglioso arpeggio che ci assopisce leggermente; ma, immersi ancora in fantasticherie cavalleresche, veniamo brutalmente riportati alla realtà con l’ingresso di His Twenty-Fourth Spring (dallo split con i Grift svedesi, brano dedicato al famoso poeta ucraino Bohdan-Ihor Antonych, deceduto prematuramente all’età di soli 28 anni). Una partenza impressionante, scream, drumming e chitarre si rincorrono a perdifiato, per poi interrompersi dopo i primi 2 minuti, momento in cui la traccia si spezza in due. Subentra l’atmosferica melodia dei Nostri, marziale e solenne, e la canzone si apre, in un favoloso caleidoscopio di sonorità che sanno molto di classico Heavy Metal, e profumano tanto di Viking scandinavo. Sempre dal medesimo split, Autumn in Sepia (per il filosofo tedesco-lituano Mike Johansen, che per anni ha combattuto contro la tirannia sovietica, e ne è diventato vittima nel 1937), zanzaroso intramontabile Black Metal, abbastanza classico, piacevolissimo per gli insert di keyboards che aggiungono un pizzico di morbidezza ad un brano ruvido (ma non grezzo), feroce (ma non caotico), tipico (ma non scontato).
All Shades of Silence (estrapolata dallo split con la one-man band svizzera di Ambient Black, Paysage d’Hiver e fortemente legata al pensiero di Yevhen Pluzhnyk, deceduto in un gulag nel 1936) di ombre (shades) ne ha molte, tale è l’oscurità che trasuda da ogni singola nota, ma è il silenzio che a metà canzone la fa da padrone, interrompendo la traccia, separandola nettamente in due, quasi a creare una canzone nella canzone, grazie ad un tenebroso synth dungeon che preannuncia un maestoso strumentale momento che ci conduce al termine del brano, evidenziando che la mostruosa tecnica di questi non più proprio ragazzini, in quasi 17 anni, è cresciuta costantemente, inequivocabilmente, divenendo inarrestabile, soprattutto se comparata ai grezzi esordi di Forgotten Legends (2003).
L’ultimo brano The Night Walks Towards Her Throne, e seconda traccia dello split con lo svizzero, arricchisce ulteriormente la compilation grazie alle melodie di una keyboard a sei mani (sì perché, eccezion fatta per Roman Saenko, chitarra e basso, tutti gli altri componenti suonano come secondo strumento le tastiere) e al suo Black Metal decisamente scandinavo che, se è vero che nulla aggiunge a quanto sopra detto, nulla toglie ad una uscita che, come raccolta, vale il prezzo pagato per acquistare uno qualsiasi tra i loro full-length.

Tracklist:
1. Золотий кінь (Golden Horse)
2. Вогняний змій (Fiery Serpent)
3. Його двадцять четверта весна (His Twenty-Fourth Spring)
4. Осінь в сепії (Autumn in Sepia)
5. Всі відтінки тиші (All Shades of Silence)
6. Ніч крокує до свого трону (The Night Walks Towards Her Throne)

Line-up:
Roman Saenko – Guitars, Bass
Thurios – Vocals, Keyboards
Krechet – Bass, Keyboards
Vlad – Drums, Keyboards

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