Ecnephias – Ecnephias

Qualunque sia lo stile predominante di un loro disco o di un singolo brano, gli Ecnephias sono riconoscibili fin dalla prima nota, non la sola ma sicuramente una delle principali tra le caratteristiche che rendono una band di livello superiore alla media

Parlare del nuovo album di una band che si conosce molto bene e nei confronti della quale si nutrono inevitabilmente aspettative elevate non è mai facile.

Non fa eccezione sicuramente questo disco auto-intitolato degli Ecnephias, provenienti da due grandi prove quali “Inferno” e “Necrogod”; anche in questo caso, come accaduto in occasione del precedente lavoro, l’impatto non è stato dei più semplici, vista un’iniziale difficoltà ad entrare in sintonia con la nuova creazione della band lucana.
Infatti, così come “Necrogod” differiva sensibilmente da “Inferno”, lo stesso si può dire di Ecnephias rispetto al suo predecessore: in entrambi i casi gli album hanno svelato il loro valore in maniera graduale, dopo diversi ascolti, una caratteristica che di norma è sinonimo di una certa profondità delle composizioni.

Mi sono chiesto come mai ciò non mi fosse capitato a suo tempo anche con “Inferno” che, al contrario, mi aveva folgorato fin dai primi ascolti, ma credo che la risposta risieda soprattutto nella collocazione dei brani in scaletta: infatti, se un anthem come “A Satana” spalancava subito all’ascoltatore le porte dell’album, “Necrogod” riservava i suoi momenti migliori nella propria parte discendente con le magnifiche “Kali Ma” e “Voodoo”.

La stessa cosa, tutto sommato, avviene qui, con i due brani più immediati e trascinanti, Nyctophilia e Vipra Negra, che arrivano dopo oltre tre quarti d’ora di musica che necessita d’essere lavorata con una certa pazienza. Tutto questo è paradossale, in fondo, se pensiamo che lo stesso Mancan ha dichiarato che questo lavoro sarebbe stato molto più melodico rispetto ai precedenti, a dimostrazione del fatto che ammorbidire il sound non significa automaticamente rendere la musica più immediata e meno profonda.

È innegabile che le sfuriate di “Necrogod” oggi vengano stemperate in una veste più vicina al gothic dark che al metal, andando a rivangare, di volta in volta, le forme più suadenti di band come Moonspell o Type 0 Negative, fermo restando il tratto originale che il gruppo potentino ha sempre esibito, sia pure mostrando le sue diverse anime.
Infatti, qualunque sia lo stile predominante di un loro disco o di un singolo brano, gli Ecnephias sono riconoscibili fin dalla prima nota, non la sola ma sicuramente una delle principali tra le caratteristiche che rendono una band di livello superiore alla media; il loro quinto album (il quarto a partire dal 2010) può e deve essere quello della definitiva consacrazione, in grado di rompere le catene che imprigionano nel nostro paese, tranne rarissime eccezioni, chiunque provi a proporre musica dalle radici ben piantate nel metal.

A un disco come questo, infatti, non manca davvero nulla, in quanto possiede sia la giusta dose di orecchiabilità capace di far breccia anche in chi è meno avvezzo a sonorità più robuste, sia un compatto scheletro metallico in grado di far oscillare spesso il capoccione durante l’ascolto, sia infine quel peculiare gusto melodico mediterraneo che oggi propende più verso i Moospell che non ai Rotting Christ, le due band che costituiscono le estremità del territorio in cui gli Ecnephias si sono mossi in tutti questi anni. La scelta stessa di non intitolare il lavoro è il segno di quanto questo sia considerato dai suoi autori la summa di una già brillante carriera; un punto d’arrivo, per un verso, e nel contempo una base dalla quale muoversi per cercare di ampliare ulteriormente la propria notorietà fuori e dentro i confini nazionali.

Si è detto di una seconda metà dell’album probabilmente superiore a quella iniziale, ma sottovalutare l’intensità di brani quali The Firewalker, A Field of Flowers e Chimera sarebbe delittuoso; certo è che, a partire dalla a tratti pacata Tonight, con il suo splendido lavoro chitarristico, il disco subisce un’ulteriore impennata, prima con Lord Of The Stars, dove riappaiono parzialmente le evocative liriche in italiano, assenti in “Necrogod”, che ben si sposano con le melodie che vengono tessute dalla chitarra di Nikko e dalle tastiere di Sicarius, poi con la vera canzone killer del lavoro, Nyctophilia, il classico capolavoro che da solo varrebbe  un intero disco, grazie al suo refrain indimenticabile, ma che in questo caso è fortunatamente accompagnata da una serie di tracce degne del suo valore.

Detto di Vipra Negra, altro episodio simbolo che, volendo esemplificare al massimo, si può definire, almeno a livello di struttura musicale, la “A Satana” di Ecnephias, ho voluto lasciare per ultimo il brano che spicca sugli altri per la sua diversità, Nia Nia Nia, esperimento assolutamente riuscito nel suo intento di conferire al sound oscuro della band quegli elementi folk esaltati dall’utilizzo del dialetto lucano.

Ho già citato il pregevole lavoro di Nikko alla chitarra e di Sicarius alle tastiere, ma non va dimenticato il sobrio e preciso operato della coppia ritmica Miguel Josè Mastrizzi (basso) e Demil (Batteria), anche se, come è ovvio, i fari sono puntati su quello che degli Encephias è il leader storico, Mancan: il musicista potentino è indubbiamente uno dei vocalist più caratteristici dell’intero panorama metal, non solo tricolore, e continua a progredire in tal senso ad ogni album; le sue clean vocals sono ormai ben più che all’altezza di quelli che per timbrica e genere sono i suoi modelli di riferimento, e parlo di Fernando Ribeiro e del (mai abbastanza) compianto Peter Steele, mentre il suo growl è sempre corrosivo e di rara efficacia anche se, alla luce del mood meno estremo del disco, in alcuni passaggi il ricorso a questo stile vocale non appare più così necessario.

Gli Ecnephias del 2015 sono senza alcuna ombra di dubbio una di quelle band che all’estero ci invidiano e che da noi non trovano invece lo spazio che meriterebbero, un po’ per la difficoltà di chi si muove in questi ambiti nel divulgare la propria arte ad una cerchia più ampia di persone, ma soprattutto a causa del provincialismo che attanaglia l’intero movimento.

Sta agli appassionati (quelli veri) andare oltre questi limiti atavici per apprezzare, prima, e diffondere, poi, un altro grandissimo disco concepito e partorito all’interno della nostra feconda quanto contraddittoria penisola.

Tracklist:
1. Here Begins the Chaos
2. The Firewalker
3. A Field of Flowers
4. Born to Kill and Suffer
5. Chimera
6. The Criminal
7. Tonight
8. Lord of the Stars
9. Wind of Doom
10. Nyctophilia
11. Nia Nia Nia
12. Vipra Negra
13. Satiriasi

Line-up:
Mancan – Vocals, Guitars, Programming
Sicarius – Keyboards, Piano
Demil – Drums
Nikko – Guitars
Miguel José Mastrizzi – Bass

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