A circa un anno e mezzo dalla pubblicazione di un lavoro magnifico come “Inferno”, gli Ecnephias si ripresentano con un nuovo disco per il quale le aspettative erano piuttosto elevate: lo stesso Mancan, nel presentare il nuovo lavoro, come è suo costume non si è certo nascosto dietro dichiarazioni di facciata, proclamando con convinzione che Necrogod sarebbe stato il miglior album mai inciso dalla sua band.
Se è vero che affermazioni di questo tenore sono all’ordine del giorno in occasione di nuove uscite in campo discografico, va detto subito che quanto affermato dal musicista lucano corrisponde in tutto e per tutto alla realtà.
Per gli Ecnephias, sulla spinta degli ottimi riscontri ricevuti nel recente passato, sarebbe stato facile riproporre una sorta di “Inferno 2” ma è sufficiente conoscere la loro storia per escludere subito questa possibilità: qui si parla di una band che, partita dal black dai tratti comunque evocativi degli esordi, si è evoluta nel corso degli anni verso una forma di heavy metal oscuro e malinconico, dalle ampie sfumature dark, in maniera analoga a quanto fatto, sia pure in un arco temporale più ampio, dai Moonspell (che, assieme a Rotting Christ e Septic Flesh, sono sempre stati per Mancan degli espliciti punti di riferimento).
Sarebbe un grave errore, però, attendersi una versione fedele ma sbiadita della band portoghese: gli Ecnephias rielaborano le svariate influenze musicali (dichiarate e non) assimilate nel corso degli anni dal proprio leader (nonché dal suo storico sodale Sicarius) dando vita a un prodotto che possiede, in tutto e per tutto, un marchio di fabbrica inconfutabilmente e immediatamente riconoscibile.
Se, in Inferno, il retaggio estremo faceva ancora capolino a tratti all’interno dei singoli brani, in Necrogod tutto ciò lascia posto a una forma di heavy metal dalle tinte fosche per atmosfere e attitudine, mentre ogni residua pulsione riconducibile al black sembra essere stata interamente convogliata da Mancan nel suo rinato progetto Abbas Taeter.
Dopo premesse di questo genere, sarebbe lecito attendersi un lavoro orecchiabile o di facile presa e, invece, dopo i primi ascolti accade esattamente l’opposto : Necrogod gode infatti di una profondità inattesa e, per questo motivo, potrebbe risultare ingannevole per chi inconsciamente vi si avvicinasse attendendosi episodi più immediati, sulla falsariga di “A Satana” o “Chiesa Nera”.
E’ possibile che la rinuncia totale all’uso dell’italiano abbia avuto un suo peso nel rendere maggiormente complessa l’assimilazione dei brani, ma non c’è dubbio che la caratteristica di schiudersi lentamente, di concedersi all’ascoltatore solo dopo diversi passaggi nel lettore, sia una peculiarità dei grandi dischi.
Chi riuscirà a non affrontare Necrogod in maniera superficiale, otterrà in cambio la possibilità di godersi un affascinante viaggio musicale incentrato, a livello lirico, sulle divinità conosciute ed adorate in epoca pre- cristiana: così, nei quasi cinquanta minuti di durata del disco, Mancan ci guida in un percorso storico-religioso che include le antiche divinità mediorientali (Baal, Ishtar, Inanna), il serpente piumato dei Maya (Kukulkan), la mitologia greco-egizia (Ade, Osiride, Anubi, Horus), la terribile dea indiana Kali, il mostruoso Leviatano di biblica memoria e la magica ritualità del Voodoo.
Ma passiamo ad eseminare in maniera più approfondita l’aspetto che più ci preme, ovvero la musica: il disco è inaugurato da una breve traccia strumentale che fa già presagire il nuovo corso degli Ecnephias: atmosfere sempre più evocative arricchite da elementi etnici e tribali, in ossequio alle tematiche trattate,
In occasione del primo impatto con Necrogod i due brani che sicuramente colpiscono di più sono The Temple of Baal-Seth, in possesso di un ritmo trascinante ed un chorus in portoghese condotto da Mancan in maniera esemplare, e Voodoo, dove l’evidente citazione dei Rotting Christ è in realtà volta ad omaggiare l’ospite Sakis, che presta la sua voce inconfondibile a una traccia entusiasmante, all’interno della quale la chitarra assume in certi frangenti accenti maideniani.
La title-track e Leviathan mostrano il volto più violento degli Ecnephias, anche se la componente melodica non viene certo messa in secondo piano, ma è evidente che il proprio meglio la band potentina lo offre negli episodi maggiormente coinvolgenti sul piano emotivo, quando la ritualità delle invocazioni alle divinità si amalgama naturalmente a fughe chitarristiche di grande intensità ad opera di Nikko, il tutto punteggiato dall’elegante lavoro alle tastiere di Sicarius e dalla possente e precisa base ritmica a cura di Miguel José Mastrizzi e Demil. Così, se Ishtar assume diverse sembianze musicali nel corso del suo dipanarsi, in ossequio alla mutevolezza di colei che per i sumero-babilonesi era allo stesso tempo dea del cielo, della terra e degli inferi, Kukulkan e Anubis si svelano progressivamente mostrando tutta la capacità di Mancan e soci nell’ideare canzoni dove il growl e i riff di matrice estrema si sposano naturalmente con clean vocals profonde e poggiate su melodie apparentemente suadenti, ma costantemente avvolte da un velo di oscurità.
L’esempio migliore di quanto appena affermato è Kali Ma, un brano che esplode in tutta la sua sfolgorante bellezza solo dopo diversi ascolti, quasi che la temibile divinità in esso rappresentata avesse voluto celare il più a lungo possibile il proprio conturbante fascino.
Winds Of Horus è un’altra traccia strumentale, posta in chiusura, sulla quale scorrono idealmente i titoli di coda di un lavoro che merita di essere riascoltato più volte per assaporarne appieno le fragranze più nascoste.
Necrogod non solo raggiunge ma supera il livello già altissimo raggiunto dagli Ecnephias con “Inferno”; sicuramente per la band lucana questo si può considerare il lavoro della definitiva maturità e rappresenta il raggiungimento di uno status che non va considerato, però, un punto d’arrivo, bensì una base consolidata dalla quale proseguire la costante progressione stilistica e compositiva.
Non è blasfemo affermare che, per il valore dei suoi ultimi due lavori, il combo lucano può collocarsi attualmente all’altezza della più volte citata triade ellenico-lusitana; la vera sfida ora, per Mancan, sarà piuttosto quella di eguagliarne o, quantomeno, avvicinarne la longevità artistica.
Tracklist :
1. Syrian Desert
2. The Temple of Baal-Seth
3. Kukulkan
4. Necrogod
5. Ishtar – Al-‘Uzza
6. Anubis – The Incense of Twilight
7. Kali Ma – The Mother of the Black Face
8. Leviathan – Seas of Fate
9. Voodoo – Daughter of Idols
10. Winds of Horus
Line-up :
Mancan – Guitars, Vocals, Programming
Sicarius – Keys and Piano
Demil – Drums
Nikko – Guitars
Miguel José Mastrizzi – Bass