Le doom band, salvo rare eccezioni, hanno dei tempi compositivi lenti e diluiti che corrispondono in fondo ai ritmi del genere suonato.
L’ultimo full length degli Evadne risale ormai al 2012, quando con The Shortest Way si segnalarono come una delle migliori band in circolazione dedite al death doom melodico; il successivo ep Dethroned Of Light, uscito due anni dopo, pareva essere propedeutico ad un’imminente replica di quel lavoro, mentre invece abbiamo dovuto attendere fino ad oggi prima di tornare a godere di nuova musica composta dal gruppo spagnolo.
Per fortuna, come molto spesso accade, la lunga attesa è stata ampiamente ripagata dal livello stupefacente di un album come A Mother Named Death, che non è solo una conferma bensì la vera e propria consacrazione degli Evadne ai vertici della scena.
In poco più di un’ora il gruppo valenciano regala brividi senza soluzione di continuità, mantenendo lo stesso elevato livello di tensione dalla prima all’ultima nota, lasciandolo scemare solo per dare il tempo all’ascoltatore di riprendere il controllo delle proprie emozioni con il breve strumentale 88.6, prima di rituffarsi senza possibilità di riemergere dalle acque plumbee che, metaforicamente, giacciono nel fondo del nostro animo.
La voce di Albert ci scaraventa in abissi di disperazione che solo la bellezza delle melodie riesce a stemperare, assieme a clean vocals, talvolta accompagnate da voci femminili, che paiono offrire un’illusoria ancora di salvezza prima che sia nuovamente l’incedere tragico dei brani a riprendere il sopravvento.
Già detto della traccia strumentale, una leggiadra pennellata di atmosferica malinconia, l’album consta di altre sette autentiche gemme sonore, capaci di sconvolgere emotivamente le menti più sensibili, tra le quali si fatica non poco a scegliere quali ergere ad emblemi dell’opera, anche se Abode Of Distress, Heirs Of Sorrow e Colossal riescono a stupirmi e commuovermi ogni volta, più dei restanti e ugualmente magnifici episodi; in particolare, la seconda delle due beneficia di un afflato melodico che eleva all’ennesima potenza la percezione del valore dell’album, mentre la terza già la si conosceva, trattandosi dell’opener di Dethroned Of Light, eppure in tale contesto il suo cristallino splendore finisce ancor più per risplendere.
In definitiva, qui ci si trova al cospetto di una delle espressioni più alte del death doom melodico, collocabile alla pari delle migliori produzioni di Saturnus e Swallow The Sun.
E proprio a questi ultimi pare ricondurre più di una volta il sound degli Evadne, che già in passato avevano dimostrato di prendere come ideale punto di riferimento, per poi sviluppare una cifra stilistica propria, una delle pietre miliari del genere quale è The Morning Never Came.
Detto questo, a chi avesse da obiettare sull’originalità dell’operato della band iberica, rispondo solo che l’appassionato di doom è diverso da tutti gli altri, in quanto necessita di vedere gratificata la propria sensibilità da una forma d’arte che narri il male di vivere, più o meno latente, presente in ogni essere umano, trovando requie, infine, nel suo smisurato potenziale catartico e lasciando ad altri l’eterna (e per lo più vana) ricerca della pietra filosofale costituita da un qualcosa di totalmente innovativo.
Quindi, il fatto di rinvenire collegamenti più o meno espliciti con la produzione passata di Raivio e soci appare semmai un valore aggiunto (raggiungere quelle stesse vette evocative non può che essere un merito) piuttosto che un aspetto in grado di offuscare il valore di un lavoro che, salvo auspicabili sorprese, difficilmente a fine anno non si troverà sul podio della mia personale classifica.
Per una volta faccio mia una frase contenuta nelle note di presentazione dell’album a cura della Solitude Productions: “l’ascolto di A Mother Named Death vi costringe ogni volta a mostrare le vostre emozioni” e, aggiungo io, non abbiate paura di commuovervi fino alle lacrime, compenetrati dalla musica degli Evadne.
Tracklist:
1. Abode Of Distress
2. Scars That Bleed Again
3. Morningstar Song
4. Heirs Of Sorrow
5. Colossal
6. 88.6
7. Black Womb Of Light
8. The Mourn Of The Oceans
Line up:
Albert Conejero – vocals
Josan Martin – guitars
Jose Quilis – bass
Juan Esmel – drums, vocals
Marc Chulia – guitars