Eye Of Solitude – Slaves To Solitude

Slaves To Solitude si va a collocare a metà strada tra i due lavori che l’hanno preceduto, recuperando, anche grazie agli arrangiamenti, il senso drammatico di Canto III ma conservando l’incedere più controllato di Cenotaph.

Gli Eye Of Solitude sono stati i protagonisti indiscussi del funeral death doom di questo decennio, non solo per la loro prolificità, inusuale per chi si cimenta con il genere (basti pensare ai tempi biblici che sono intercorsi tra un lavoro e l’altro per band seminali come Mournful Congregation o Skepticism, oppure da quanto tempo siamo in attesa di nuove opere da parte di Evoken, Esoteric o Worship), ma soprattutto per la qualità che accomuna ogni singola uscita, partendo dai cinque full length per arrivare ai vari split album ed ep.

Slaves To Solitude arriva due anni dopo Cenotaph, che rappresentò un momento molto delicato per gli Eye Of Solitude proprio perché, a sua volta, veniva dopo Canto III, il capolavoro che ne fece letteralmente deflagrare il potenziale, e allo splendido ep Dear Insanity; in quell’occasione Daniel Neagoe, con una band rinnovata rispetto a quella che, come Caronte, ci traghettò nelle sonorità aspre e disperate dell’inferno dantesco, optò per l’approdo a sonorità più rarefatte, che riconducevano in parte a quanto fatto dal musicista rumeno con l’altro suo splendido progetto Clouds, senza smarrire comunque i tratti peculiari di un sound che ai fruitori più esperti palesa tutta la sua unicità.
Slaves To Solitude, fin dalle dichiarazioni d’intenti di Daniel, si va a collocare a metà strada tra i due lavori che l’hanno preceduto, recuperando anche grazie agli arrangiamenti il senso drammatico di Canto III ma conservando l’incedere più controllato di Cenotaph: il risultato è l’ennesimo grande disco che offre oltre cinquanta minuti di musica oscillante tra il funeral ed il death doom melodico, sempre avvolta da un’aura tra il tragico ed il maestoso, che l’ineguagliabile growl del vocalist, ogni qualvolta sale al proscenio, fa piombare in una plumbea oscurità.
Gli Eye Of Solitude erano nati nel 2010 come progetto solista di Neagoe ma, dopo l’esordio The Ghost, da Sui Caedere in poi avevano assunto una struttura di band a tutti gli effetti, anche in sede di registrazione: in Slaves To Solitude, invece, ad accompagnare il leader troviamo il solo connazionale Xander, musicista che conosciamo per la sua militanza negli ottimi Descend Into Despair, oltre che nei Deos e oggi anche nei Clouds, nelle vesti di chitarrista ritmico in sede live.
Questo ovviamente non va a detrimento della riuscita dell’album, non scalfendo minimamente l’eccellenza qualitativa associata ad ogni uscita degli Eye Of Solitude: Slaves To Solitude, il cui magnifico artwork è curato da Gogo Melone, inizia con un brano come The Blind Earth che, dopo una lunga introduzione fatta di voci sussurrate, esplode nel consueto drammatico connubio tra il growl e le atmosfere da tregenda tessuta da un mirabile sfondo tastieristico. E questo è, in fondo, il trademark dell’album, fatto di sospensioni punteggiate da passaggi pianistici (in questo almeno si riscontra anche a livello compositivo una corrispondenza con i Clouds) per poi esplodere in quel drammatico parossismo che è l’elemento peculiare degli Eye Of Solitude, capaci di esprimere in maniera unica la devastazione psichica e morale che assale l’uomo “pensante” allorché realizza la propria insignificanza di fronte all’immensità dello spazio e del tempo, ed il senso di caducità che ne deriva.
Ogni uscita di questo prolifico musicista non può essere mai banale, perché il il suo impulso compositivo non è frutto di un manierismo calligrafico ma trae linfa da una sensibilità superiore, e se gli scostamenti possono apparire minimi, se si prendono superficialmente in esame le varie uscite, questo deriva essenzialmente dalla natura stessa del sound offerto e dalle sue finalità.
Tra i cinque brani, dovendo sceglierne forzatamente uno opterei per The Cold Grip Of Time, ma farei torto ad ogni singola nota di un’altro lavoro magnifico: Canto III rimarrà probabilmente un capolavoro ineguagliabile in questo decennio, questo non solo per gli Eye Of Solitude, ma ogni uscita della creatura di Daniel Neagoe si rivela un appuntamento sempre imperdibile per chiunque voglia trovare un’ideale valvola di sfogo per l’angoscia e la tristezza che sono compagne fedeli della nostra esistenza, anche se si cerca sempre di dissimularne la presenza relegandole in un angolino della nostra mente.

Tracklist:
1. The Blind Earth
2. Still Descending
3. Confinement
4. The Cold Grip Of Time
5. Boundless Silence

Line-up:
Daniel Neagoe
Xander

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