Spirit Adrift – Divided By Darkness

Gli Spirit Adrift hanno scritto un album molto ispirato e convincente, un passo avanti deciso per conquistare i cuori degli appassionati.

Se il precedente lavoro (Curse Of Conception), uscito un paio d’anni fa aveva lasciato buone sensazioni, nonostante non fossero ancora del tutto sfruttate le potenzialità in mano al gruppo Dell’Arizona, questo nuovo album registra un notevole passo avanti compiuto dagli Spirit Adrift.

Giunto al terzo album, la band statunitense mette in campo tutta la sua forza d’urto e Divided By Darkness può sicuramente rivelarsi un’ottima sorpresa per gli amanti dell’heavy doom di matrice sabbathiana.
Oltra alla leggendaria band di Birmingham, il gruppo mette in campo tutte le sue maggiori influenze creando un sound roccioso e imprreziosito da uno stato di grazia compositivo che fa brillare queste otto nuove tracce.
Anche Iron Maiden, Cathedral, Pentagram e Trouble confluiscono nel sound di Nathan Garrett e soci in quello che è sicuramente il picco qualitativo da quando ha avuto inizio la parabola degli Spirit Adrift.
Brani potenti, con cascate di riff e solos che portano l’acciaio a temperature altissime, mid tempo e cavalcate si alternano ad atmosferiche parti rallentate (bellissima Angel & Abyss), con un’epicità di fondo sempre presente, collocando Divided By Darkness tra le opere più interessanti degli ultimi tempi in ambito underground nel genere, grazie a bordate metalliche come l’opener We Will Not Die, Tortured By Time e la conclusiva The Way Of Return.
Gli Spirit Adrift hanno scritto un album molto ispirato e convincente, un passo avanti deciso per conquistare i cuori degli appassionati.

Tracklist
1.We Will Not Die
2.Divided by Darkness
3.Born into Fire
4.Angel and Abyss
5.Tortured by Time
6.Hear Her
7.Living Light
8.The Way of Return

Line-up
Divided By Darkness Recording Credits:
Nathan Garrett – Lead and Harmony Vocals / Guitar / Bass
Marcus Bryant – Drums
Synth & Wurlitzer – Preston Bryant
Choral Vocals on ‘Living Light’ – Kayla Dixon

SPIRIT ADRIFT – Facebook

Albez Duz – Enigmatic Rites

Decisamente consigliato agli amanti del doom, l’album allontana gli Albez Duz dalla scena puramente gotica, anche se non mancano al suo interno dettagli ed atmosfere che richiamano uno dei generi più popolari nella scena underground tedesca.

Abbandonate in parte le atmosfere puramente gotiche per abbracciare un heavy doom che a tratti si rifà alla tradizione settantiana, i tedeschi Albez Duz sfornano un lavoro decisamente convincente.

La storia del gruppo, iniziata nel 2006 come progetto solista del batterista Impurus (Eugen Herbst), conta quattro full length compreso questo Enigmatic Rites, mixato e masterizzato da V. Santura (Triptykon) nei Woodshed Studios.
Il disco offre un heavy doom che molto deve alla tradizione, anche se il gruppo è riuscito a trovare un giusto compromesso con la parte gotica del sound che li ha visti protagonisti nei lavori precedenti.
Ne esce un album vario, ben suonato e cantato da Alfonso Brito Lopez, teatrale e profondo quanto basta per valorizzare tanto le monolitiche parti rallentate che i passaggi più heavy.
Enigmatic Rites è composto da sei brani (nella versione in cd troviamo la bonus track, Only Lies) in cui il piglio drammatico di Participation Mystique Totalitaire e l’approccio heavy metal della conclusiva Emperor Is Blind riassumono perfettamente le due anime che vivono nel sound del gruppo berlinese.
Decisamente consigliato agli amanti del doom, l’album allontana gli Albez Duz dalla scena puramente gotica, anche se non mancano al suo interno dettagli ed atmosfere che richiamano uno dei generi più popolari nella scena underground tedesca.

Tracklist
01. Rites of hidden souls
02. Wandering soul
03. Participation mystique totalitaire
04. When the bird fledges
05. Surrender
06. Emperor is blind

Exclusive CD Bonus track:
07. Only lies

Line-up
Julian Müsseler – Vocals (backing), Guitars
David P. – Bass
Eugen Herbst – Drums, Vocals (backing)
Alfonso Brito – Vocals, Guitars

https://www.facebook.com/albezduz

Swamp Witch – Dead Rituals

Dead Rituals è la summa dello sludge migliore, quello che abbatte tutto e riesce anche ad aprire la via per le melodie migliori.

Gli Swamp Witch vengono da Oakland e fanno, come da loro stessa definizione, del cosmic sludge, ovvero dello sludge con connotazioni psych.

Il loro suono è molto ben strutturato e granitico, contiene tutti gli elementi del migliore sludge. Non ci sono fraintendimenti ascoltando questo disco, è un concentrato di emozioni date da una musica pesante che come lava cerca il percorso migliore, e dove passa distrugge tutto ciò che incontra. Questo è il loro secondo disco e perfeziona il discorso iniziato con il primo lavoro. Il suono non è velocissimo, la pesantezza fa parte della loro poetica, dato che trascina l’ascoltatore con sé, portandolo in un abisso di nera disperazione, dove numerosi demoni tormentano senza tregua. Le costruzioni delle canzoni sono fatte in maniera che integra molto bene la voce con il resto del gruppo, arrivando ad un risultato chiaro e fruibile. Lo sludge ultimamente è un genere meno frequentato rispetto al passato e rimangono le band migliori, quelle che hanno più idee, come mostrano gli Swamp Witch. Nel loro suono si può anche cogliere un qualcosa che assomiglia alla psichedelia anni 70, soprattutto nei passaggi di tono e nelle costruzione maggiormente acide. Le tracce sono quattro, tutte abbastanza lunghe, perché come un serpente la musica si snoda sinuosa, ed un qualcosa di più breve sarebbe stato meno adeguato: d’altro canto il gruppo di Oakland non si perde in elucubrazioni che non porterebbero a nulla, infatti la concretezza è una dello loro armi maggiori. Dead Rituals è la summa dello sludge migliore, quello che abbatte tutto e riesce anche ad aprire la via per le melodie migliori.

Tracklist
1.Petrified in Sewage
2.Serpent Drug Cult Mythology
3.Catacomb Saint
4.Dead Rituals

Line-up
Jimmy – Vocals
Phil – Guitar
Zack – Guitar
Jacob – Bass
Zak – Drums

https://www.facebook.com/CosmicSludge/

Saint Vitus – Saint Vitus

Il Saint Vitus bis è un album che non offusca affatto il mito ma semmai lo rafforza senza far rimpiangere più di tanto i fasti del secolo scorso.

Tra le tante band storiche decise a marcare nuovamente il territorio con un disco di inediti in questo periodo troviamo anche i Saint Vitus, nome che sta di diritto sul podio all time in ambito classic doom.

Autointitolare il disco, soprattutto se lo si è già fatto all’esordio trentacinque anni fa, può voler dire molte cose, come la chiusura del cerchio e quindi di un lungo percorso artistico oppure il simboleggiare un nuovo inizio, considerando che oltre a Dave Chandler qui alla voce possiamo nuovamente ascoltare l’altro membro fondatore Scott Reagers.
Personalmente questa è la configurazione che ho sempre preferito nei Saint Vitus, più ancora di quella comunque inattaccabile con Wino al microfono, e non è un caso che il mio album preferito sia alla fine Die Healing.
Questo ovviamente predispone ad un ascolto con occhi meno critici e molto più benevolo, ma del resto a questi arzilli sessantenni c’è ben poco da rimproverare visto che la loro interpretazione del genere è impeccabile, nonostante in più di un caso si provi ad uscire da schemi predefiniti, e il blues che sgorga da Hour Glass e il furioso punk hardcore della conclusiva Useless ne sono la più concreta testimonianza.
Chandler continua a proporre riff micidiali anche quando i brani prendono una strada più lisergica (A prelude…) e in generale l’album non delude in virtù anche di cavalcate che possono apparire scontate solo a chi conosce il doom in maniera superficiale.
Il Saint Vitus bis è quindi un album che non offusca affatto il mito ma semmai lo rafforza senza far rimpiangere più di tanto i fasti del secolo scorso.

Tracklist:
1. Remains
2. A Prelude to…
3. Bloodshed
4. 12 Years in the Tomb
6. Hour Glass
7. City Park
8. Last Breath
9. Useless

Line-up:
Dave Chandler Guitars
Scott Reagers Vocals
Henry Vasquez Drums
Pat Bruders Bass

https://www.facebook.com/saintvitusofficial

Abrahma – In Time for the Last Rays of Light

Illustrato da una copertina che rievoca atmosfere bibliche, l’album si snoda in otto brani medio lunghi, ma non prolissi: la band riempie lo spazio di musica colta, usando tutte le armi in possesso per trasformare l’ascolto in un’esperienza pregna di sacrali sfumature epico evocative.

Licenziano il loro terzo lavoro sulla lunga i parigini Abrahma, quintetto dal sound personale che molto bene aveva fatto in passato, specialmente con il precedente album uscito ormai quattro anni fa (Reflections In The Bowels Of A Bird).

La musica del combo non segnala grossi cambiamenti rispetto al passato, anche questa nuova opera, intitolata In Time for the Last Rays of Light si muove su coordinate stoner/doom, dalle sfumature evocative e a tratti vivacizzate da spartiti rock ed alternative metal.
Sempre illustrato da una copertina che rievoca atmosfere bibliche, l’album si snoda in otto brani medio lunghi, ma non prolissi: la band riempie lo spazio di musica colta, usando tutte le armi in possesso per trasformare l’ascolto in un’esperienza pregna di sacrali sfumature epico evocative.
L’opener Lost Forever risulta il brano più diretto, usato non a caso come singolo e video, poi da Lucidly Adrift in poi veniamo catapultati in un’atmosfera in cui i vari generi esposti formano un altare musicale dal quale gli Abrahma decantano il loro verbo.
Band dal sound personale, il quintetto transalpino mostra i muscoli in brani come Last Epistle, dove si concentrano le anime più alternative in seno al gruppo, tra The God Machine ed Alice In Chains, mentre lo sludge/doom della monolitica Wander In Sedation riporta l’album in territori desertici.
Se non conoscete ancora la band francese, immaginate una lunga jam composta da Orange Goblin, Yob, Monster Magnet e gli altri nomi precedemente citati, ed avrete un’idea di quello che ascolterete in questo affascinante lavoro.

Tracklist
1.Lost Forever
2.Lucidly Adrift
3.Eclipse of the Sane Pt.1: Isolation Ghosts
4.Dusk Contemplation…
5….Last Epistle
6.Wander in Sedation
7.Eclipse of the Sane Pt. 2: Fiddler of the Bottle
8.There Bears the fruit of Deceit

Line-up
Sébastien Bismuth – Vocals, Guitars
Florian Leguillon – Guitars, Vocals
Benoit Carel – Guitars, Synths & Effects
Romain Hauduc – Bass, Vocals
Baptiste Keriel – Drums, Vocals

ABRAHMA – Facebook

Age Of The Wolf – Ouroboric Trances

Un debutto di tutto rispetto per gli Age Of The Wolf, band consigliata ai fans di Baroness, Dopelord, Altar of Betelgeuze e Sumoken

Dal Costa Rica arriva questo fiume di lava stoner/sludge/doom dal titolo Ouroboric Trances, primo lavoro sulla lunga distanza degli Age Of The Wolf.

La band tramite Aural Music licenzia questo monolitico esempio di un genere che ad oggi sta regalando grandi soddisfazioni ai suoi fans e le otto tracce di cui è composto confermano questo picco qualitativo che, partendo dall’underground, coinvolge le scene più svariate in tutto il mondo.
Il quartetto, fin dall’opener Herald Of Abyssos, alza spessi muri di fuzz, i tempi si mantengono lenti, l’atmosfera lavica e le melodie si fanno largo con fatica tra riff potentissimi.
Le armonie iniziali di Goliath si trasformano in una marcia monolitica verso la cima del vulcano che, di lì a poco, vomiterà morte in The Crimson Penitence e troverà strade più tradizionalmente stonerizzate in Goddess Of The Hunt e Bloodrage.
Il lungo incedere di Molten Earth conclude un debutto di tutto rispetto per gli Age Of The Wolf, band consigliata ai fans di Baroness, Dopelord, Altar of Betelgeuze e Sumoken.

Tracklist
1. Herald of Abyssos
2. Unholy
3. Goliath
4. The Crimson Penitence
5. Goddess of the Hunt
6. Witches’ Gallows
7. Bloodrage
8. Molten Earth

Line-up
Christopher de Haan – Vocals, Guitars
Beto Ramirez – Vocals, Guitars
Jorge Camacho – Vocals, Bass
Gabriel Ortiz – Drums

AGE OF THE WOLF – Facebook

In Aevum Agere – Canto III

Con Canto III, gli Aevum Agere si confermano, per personalità e talento, una delle massime espressioni per quanto riguarda il classic doom.

Per gli amanti dell’epic doom metal di stampo classico, il ritorno dei nostrani In Aevum Agere è un appuntamento immancabile grazie ad una reputazione che col tempo si è consolidata, non solo per il valore dei lavori precedenti, ma anche per l’ottima qualità delle opere che vedono protagonista il suo leader Bruno Masulli, dai Annihilationmancer, ai Power Beyond, passando per i Miti Eterni.

Un artista senza dubbio di spessore, con un debole per la storia e la cultura dei popoli che hanno vissuto nel corso dei secoli sul suolo italico e che hanno trovato in lui uno dei cantori più accreditati nel mondo del metal underground.
Gli In Aevum Agere sono attivi da ormai quindici anni e oggi, con Piersabato Gambino al basso e Claudio del Monaco alla batteria, sono un trio potentissimo, dal sound classico che amalgama alla perfezione mid tempo doom metal e sferzate hard & heavy di matrice old school.
Il nuovo album dal titolo Canto III, ispirato ovviamente al poema dantesco, è composto da sette brani più tre intermezzi recitati, per tre quarti d’ora in compagnia di quelle sonorità che hanno fatto la storia del doom metal classico.
Il sound poggia le sue basi sulla tradizione, e da lì si muove, inesorabile, verso la montagna sacra del genere dove ci si imbatte nella nobiltà di un genere immortale come il doom epico.
La voce evocativa di Masulli interpreta e racconta le vicende del leggendario cantico con la personalità dei grandi, la chitarra sfodera riff mastodontici, splendidamente classici e fortemente heavy; il viaggio prende avvio con il doom debordante di L’Uom S’Etterna, seguita dalla tellurica No Hope Of Death, una coppia di pachidermiche tracce che traccia le linee guida di un album suggestivo e affascinante, che non cade nel tranello della prolissità e mantiene alta l’attenzione di chi ascolta grazie ad un songwriting di altissimo livello.
Nello spartito di The Great Refusal (Ignavus), Anti-Inferno/Limbus Animae e Voices Of My Solitude, si trovano non pochi riferimenti al sound di Candlemass, Solitude Aeturnus e Solstice, con il valore aggiunto di una personalità ed un talento che fanno degli In Aevum Agere una delle massime espressioni per quanto riguarda il classic doom.

Tracklist
1. L’uom s’etterna
2. No Hope of Death
3. Intro I
4. The Great Refusal (Ignavus)
5. Intro II
6. Minòs
7. Anti-Inferno / Limbus Animae
8. Epigrafe
9. Canto III
10. Voices of My Solitude

Line-up
Bruno Masulli – Guitars/ vocals
Piersabato Gambino – Bass
Claudio Del Monaco – Drums

IN AEVUM AEGERE – Facebook

Mörmo – Siluetas

I Mörmo sono autori di un buonissimo stoner doom, sporco, efficace, ancorato alla tradizione, fangoso il giusto e con una dose opportuna di psichedelia ad infiorettare il tutto.

L’etichetta ucraina Loneravn Record si è specializzata nel recuperare realtà sepolte nel più profondo sottobosco dell’undeground metallico, per lo più andando a recuperare uscite in formato demo e fornendo loro una nuova possibilità  di giungere alle orecchie degli appassionati più attenti.

In questo caso viene riproposto Siluetas, lavoro d’esordio degli argentini Mörmo, uscito appunto come demo lo scorso anno; il trio di La Plata è autore di un buonissimo stoner doom, sporco, efficace, ancorato alla tradizione, fangoso il giusto e con una dose opportuna di psichedelia ad infiorettare il tutto.
A parte la title track, che dei cinque brani offerti è quello forse più orientato ad una forma canzone canonica, le altre tracce mettono in mostra una gamma di soluzioni piuttosto interessanti e sempre abbastanza ficcanti, sia quando il sound rallenta sia quando invece si fa più aspro e al contempo lisergico.
Soprattutto Catabasis e El principio del fin, a mio avviso, sono lo specchio delle buone doti di questi tre ragazzi, la prima con il suo incipit in quota post metal e la seconda sviluppata come una sorta di psichedelica jam con tanto di pregevoli parti di chitarra solista prodotte da Gonzalo Soria.
Il cantato in lingua madre offerto da quest’ultimo magari non è il punto di forza della proposta, ma tutto sommato resta tranquillamente all’interno del range di accettabilità del genere, e comunque non è quasi mai questo l’aspetto preponderante quando lo stile musicale è lo stoner doom.
Fa piacere constatare, grazie a questa valida opera prima dei Mörmo, l’emergere di qualche nuova band di prospettiva da un paese grande come l’Argentina che, per quanto riguarda il metal sudamericano , attualmente non regge il confronto non solo con la scena brasiliana ma neppure con quella cilena.

Tracklist:
1. Siluetas
2. Puerta negra
3. Catabasis
4. Sacrificio
5. El principio del fin

Line-up:
Nicolás Reggiardo – Bass
Rodrigo Carlos – Drums
Gonzalo Soria – Guitars, Vocals

MÖRMO – Facebook

Burial In The Woods – Church of Dagon

Burial In The Woods diviene, grazie a questo primo passo discografico, un altro dei nomi da tenere sotto stretta osservazione in ambito doom, stante l’incedere strisciante, disturbante ma al contempo ricco di oscuro fascino.

Burial In The Woods è il nome del nuovo progetto di Gerileme, musicista tedesco noto anche per la sua attività solista con l’altro monicker Asche der Welten.

Se in quel caso il genere proposto gravita in ambito black/ambient, con Church Of Dagon il nostro esplora le tematiche lovecratftiane con il genere d’elezione che il doom metal.
Questo lavoro presenta più di un motivo di interesse visti i diversi elementi che vanno alimentare la struttura di un sound che, volendo esemplificare al massimo, rappresenta una sorta di ideale punto di confluenza fra i Doomed del connazionale Pieere Laube, i Monolithe e tutte le altre band che, nel genere, utilizzano l’organo quale strumento portante, partendo dagli imprescindibili Skepticism, passando per i Profetus e sfiorando in più di un passaggio anche gli Abysmal Grief.
Forbidden Pages apre l’album in maniera arcigna, lasciando ad un lavoro chitarristico dai tratti vagamente orientaleggianti il compito di delineare un sound che si fa ben più avvolgente grazie al dominio dell’organo nella splendida e prevalentemente strumentale Ecclesia Dagoni.
Growing Shadows appare una sorta di sintesi tra i brani precedenti, con i due strumenti chiave che si alternano nel condurre un brano che, come gli altri possiede, una forte connotazione orrorifico/liturgica, in ossequio al titolo dell’album.
La conclusiva traccia, Gölgeler Alemi, dura da sola quanto le tre precedenti messe assieme, ovvero circa 25 minuti, e rappresenta la rielaborazione di un brano che lo stesso Gerileme pubblicò nel 2008 in occasione dell’unico album dei Negatum, Suizid – Der Gedanken Schattenspiele: si tratta di un’interminabile quanto notevole litania, con un breve testo in turco che si sposa alla perfezione con il resto del lavoro, a dimostrazione del buon talento compositivo che esibito nell’intera opera.
Burial In The Woods diviene,  così, grazie a questo primo passo discografico, un altro dei nomi da tenere sotto stretta osservazione in ambito doom, stante l’incedere strisciante, disturnìbante, ma al contempo ricco di oscuro fascino che dovrebbe attecchire agevolmente nei confronti degli appassionati che apprezzano le band citate nel orso dell’articolo.

Tracklist:

1. Forbidden Pages
2. Ecclesia Dagoni
3. Growing Shadows
4. Gölgeler Alemi

Line-up:
Gerileme

Green Oracle – Green Oracle

I brani sono tre viaggi che fanno parte di un disegno più grande che ognuno coglierà in maniera diversa, perché qui si va a toccare il subconscio profondo di ognuno

I Green Oracle sono uno di quei gruppi che appartengono alla schiera degli sciamani musicali, iniziati che mettono in musica riti per accedere a dimensioni diverse dalla nostra.

Il disco omonimo è il loro debutto, esce per Argonauta Records e le tre canzoni sono già un proclama fin dai titoli, Please, Do, Hallucinogens. E infatti la loro musica è molto forte ed evocativa, con lunghe jam che sono canali di chiamata per spiriti interdimensionali ma che, alla fine, hanno lo scopo ultimo di cambiarci e di non lasciarci come prima. Musicalmente non ci sono frontiere ma solo limiti da superare, la musica è totale e avviluppa ogni cosa con potenza e dolcezza. Di fondo si potrebbe definirli degli Zu maggiormente rituali e profondi, ad esempio i giochi che fanno con le voci sono profondamente sciamanici, un esempio di qualcosa di molto antico che giace ancora dentro di noi se lo si vuole guardare. Le litanie musicali di Green Oracle sono vicine alla tradizioni ritual doom, ma vanno oltre. Le canzoni qui diventano altro, mutando a seconda delle intenzioni plasmatrici del creatore, offrendo una visione della musica rituale a trecentosessanta gradi. Sono presenti in maniera molto interessante e feconda dei sintetizzatori, che sono dei mezzi molto adeguati per indurre una trance. Incredibili anche le sezioni delle canzoni in cui le chitarre in drone si uniscono con le percussioni. La produzione è primitiva e raccoglie tutto il furore e l’urgenza di composizioni che vanno oltre la forma canzone. I tempi si dilatano e il sangue scorre meno velocemente, mentre il nostro cervello acquista potere ed una superficie psichica maggiore. Sono tre viaggi che fanno parte di un disegno più grande che ognuno coglierà in maniera diversa, perché qui si va a toccare il subconscio profondo di ognuno. Una bella congiunzione fra musica rituale e musica pesante, operata da un collettivo che ha ottime idee.

Tracklist
1. Please
2. Do
3. Hallucinogens

Line-up
Thomas Santarsiero
Matteo Anguillesi
Vanni Anguillesi
Giulia Mannocci

GREEN ORACLE – Facebook

Krypts – Cadaver Circulation

Titolo appropriato per un’opera di death doom fangosa, gelida e putrescente.I Krypts, al loro terzo album, si dimostrano ispirati e dannatamente angoscianti.

Il metallo della morte e la Dark Descent proseguono il loro insano rapporto per portare ai nostri padiglioni auricolari quanto di meglio il panorama death mondiale possa proporre; avvicinarsi al catalogo della label americana per un cultore dell’estremo significa rimanere estasiati e sconvolti dalla bontà delle proposte e io non ricordo una solo opera che non mi abbia soddisfatto appieno.

Anche stavolta il piatto proposto è cucinato con ingredienti di alta qualità e i finlandesi Krypts, già dal 2013 attivi per questa etichetta con Unending Degradation, ci riportano in territori death costantemente affogati in putrescenze doom; nessun lato melodico classicamente inteso, qui la materia è carnale,viscerale , la morte si stacca letteralmente da ogni nota e ci fa sentire il suo fetore. Il quartetto finlandese, da sempre guidato dal vocalist e bassista Antti Kotiranta, ci ha sempre nutrito con questa malsana miscela sonora dove la pesantezza e la soffocante lentezza rendono l’aria irrespirabile e priva di luce e anche questa volta ci offrono un trip similare, in cui sono amalgamati ed equliibrati al meglio tutti gli ingredienti usati. Rispetto al precedente e notevolissimo Remnants of Expansion del 2016, forse, ma si tratta di minuzie, la direzione sonora è appena più ragionata, non mancano momenti più classicamente death come l’inizio di Sinking Transient Waters ma la matrice sonora rimane sempre quella sinistra e terrificante del death doom, le cui decelerazioni fangose e glaciali fanno accapponare la pelle e raggelare il sangue.Un brano come Echoes Emanate Forms, con il suo lento e inesorabile incedere, tramortisce ogni resistenza. Questa è musica che ha il compito di aprire portali dove orrori soprannaturali attendono di poter passare; la band conosce molto bene la materia, è sempre ispiratissima e in scarsi quaranta minuti colpisce senza fare prigionieri. Siamo in terre battute in passato da acts quali Incantation e dai greci Dead Congregation nei loro momenti più lenti e riflessivi, il tutto condito da melodie malsane, paludose e ferali come solo in Finlandia riescono a creare (ricordiamoci di Hooded Menace e Swallowed). Sei brani di media lunghezza con punte notevoli in Vanishing, immane allucinazione, e Circling the Between, glaciale e misteriosa nel suo sviluppo. Altra grande conferma per questi artisti finlandesi: bisognerà ricordarsi anche di loro nelle classifiche di fine anno.

Tracklist
1. Sinking Transient Waters
2. The Reek of Loss
3. Echoes Emanate Forms
4. Mycelium
5. Vanishing
6. Circling the Between

Line-up
Jukka Aho – Guitars
Otso Ukkonen – Drums
Ville Snicker – Guitars
Antti Kotiranta – Vocals, Bass

KRYPTS – Facebook

Mirror Of Deception – The Estuary

The Estuary si rivela un valido strumento attraverso il quale il doom può giungere anche ad orecchie non specializzate, il che è già per sé già un grande merito per i Mirror Of Deception, oltre a quello riconosciuto di continuare imperterriti a proporre con grande coerenza, dopo una carriera così lunga, musica sempre di ottima qualità.

I Mirror Of Deception sono probabilmente la più nota tra le band tedesche dedite al doom metal nella sua forma più tradizionali.

Del resto, l’inizio della loro storia risale alla prima metà degli anni novanta anche se tutto i loro full length sono stati pubblicati nel nuovo millennio.
Questo ultimo The Estuary arriva dopo una pausa piuttosto lunga rispetto al precedente A Smouldering Fire, uscito nel 2010, ma a giudicare dall’esito le doti e le competenze precipue dei Mirror Of Deception sono rimaste intatte.
The Estuary è infatti un bellissimo lavoro che esalta l’abilità nella band di nel mettere sempre al primo posto la firma canzone, conferendo and ogni brano una connotazione melodica ben delineata senza snaturare in alcun modo la natura del sound.
Brani come To Drown a King, To Dust e Divine sono del tutto esemplificativi delle caratteristiche dell’album, con una maggiore focalizzazione su chorus dalla notevole presa. The Estuary si rivela così un valido strumento attraverso il quale il doom può giungere anche ad orecchie non specializzate, il che è già per sé già un grande merito per i Mirror Of Deception, oltre a quello riconosciuto di continuare imperterriti a proporre con grande coerenza, dopo una carriera così lunga, musica sempre di ottima qualità.

Tracklist:
1.Splinters
2.Orphans
3.At My Shore
4.Magnets
5.To Drown a King
6.To Dust
7.Divine
8.Immortal

Line-up:
Jochen Fopp – Guitars
Michael Siffermann – Guitars, Vocals (lead)
Hans Schwager – Bass, Vocals
Rainer Pflanz – Drums, Vocals

MIRROR OF DECEPTION – Facebook

Dawn – Dawn

Di non facile presa, questi tre brani sono sicuramente rivolti agli amanti del genere, formando un prodotto decisamente di nicchia ma tremendamente affascinante.

La BloodRock Records ristampa in cd il primo ep delle Dawn, band australiana composta da quattro streghe in attesa del passaggio dei viandanti al limitare del bosco, luogo di antichi riti ed oscuri rituali.

Originariamente uscito tre anni fa , l’omonimo ep del gruppo proveniente da Sydney è composto da tre tracce, una ventina di minuti scarsi di doom, dai rimandi ambient/stoner, in cui l’atmosfera rimane tesa nel suo lento incedere e la chitarra si riempie di energia solo a tratti, per poi seguire il lento e fluido scorrere delle note.
L’opener The Sun ci accoglie con un riff che si spegne per lasciare spazio ad atmosfere cantilenanti, a tratti sembra riprendere forza, ma la lunga discesa nei meandri della musica delle quattro sacerdotesse porta a Wanting, il brano più vario nel suo andamento, pur se inserito nell’ambito di un ambient/doom dalle sfumature stoner e dai rimandi occult rock.
Zombies, brano conclusivo di questo primo ep, lascia che sia lo stoner a prendere in mano il comando del sound, sempre in un’atmosfera messianica ed un andamento ipnotico che non lascia scampo all’ascoltatore in balia dell’incantesimo musicale procurato dalle Dawn.
Di non facile presa, questi tre brani sono sicuramente rivolti agli amanti del genere, formando un prodotto decisamente di nicchia ma tremendamente affascinante.

Tracklist
1.The Sun
2.Wanting
3.Zombies

Line-up
Emily – Vocals, Guitars
Dharma – Guitars, Vocals
Camilla – Bass, Vocals
Kat – Drums, Vocals

DAWN – Facebook

VV.AA. – Doomed & Stoned In Australia

Da qualche anno i ragazzi di Doomed And Stoned, che fanno pure un bellissimo podcast su Mixcloud, mettono sul loro bandcamp in download libero bellissime raccolte divise per luoghi, con dentro una miriade di gruppi notevoli.

Incredibile raccolta in download libero dal bandcamp di Doomed And Stoned, un sito di divulgazione scientifica su tutto ciò che è musica pesante, e che è anche fra i promotori e curatori delle mitiche doom charts che trovate qui doomcharts.com/ e che, ogni mese, fanno conoscere al mondo dischi fantastici di musica dai tanti decibel.

Da qualche anno i ragazzi di Doomed And Stoned, che fanno pure un bellissimo podcast su Mixcloud, mettono sul loro bandcamp in download libero bellissime raccolte divise per luoghi, con dentro una miriade di gruppi notevoli. Questo gruppo di amanti della musica raccoglie con passione e anche grande intuito tracce di band o singoli musicisti di una determinata zona per poi riunirli in una raccolta e lanciarli nell’atmosfera. In questo specifico episodio, che è il penultimo, i ragazzi sono andati in Australia e ne sono tornati con 65 canzoni, che sembrano un’infinità ma del resto l’Australia è molto grande. La raccolta è stata assemblata da Clint Willis, curatore della radio australiana Hand Of Doom che vi consigliamo caldamente, e che dal nome avete già capito di che si tratta. Incredibile la varietà di stili e di musiche che possiamo trovare nella ex colonia britannica. Tutto lo spettro della musica pesante e pensante è contemplato, e non è davvero possibile nominare nemmeno un pugno di gruppi che spiccano fra gli altri, perché la qualità è sorprendente. L’Australia è sempre stata un luogo dove la musica pesante è stata presente e di qualità, e Clint Willis nomina questi gruppi fra quelli storici : Christbait, Clagg, Dern Rutlidge, Budd, Thumlock, Pod People, Peeping Tom, Pillow, Ahkmed, Warped, Blood Duster, Stiff Meat e Rollerball, quindi cercateli. Queste raccolte sono fatte anche per invogliare l’ascoltatore a cercare i dischi di queste band, ed equivalgono ad un enorme ed esaustivo catalogo, con il quale partire dal vostro computer per fare dei bei viaggi. Raccolta fantastica per una terra che regala sempre gioie in campo musicale, il tutto in download libero. In questi giorni è uscito il capitolo dedicato al Perù, ma questa è un’altra storia.

Tracklist
1.Religious Observance – Utter Discomfort
2.SUMERU – Summon Destroyer
3.Summonus – Wormhole
4.DROID – Thunder Mountain Wizard
5.Motherslug – Cave of the Last God
6.Pod People – Back To Reality
7.SORE – Her Last Gasp in the Gallows Part I
8.BØG – Warm Smell Of The Dredge
9.OLMEG – Outer Space
10.Mountains of Madness – Unleash The Beast
11.Indica – Clocking Satellites Disparity 441
12.Pigs of the Roman Empire – Johnny The Boy
13.Holy Serpent – Sativan Harvest
14.Judd Madden – Obliterate
15.Comacozer – Axis Mundi
16.Dark Temple – Black Planet
17.Riff Fist – King Tide
18.Potion – Women of the Wand
19.Acid Wolf – Marisol
20.Borrachero – The Ocean
21.Merchant – Guile as a Vice
22.Cement Pig – Badschool Jazz
23.Creep Diets – EYEHATEYOURGUTS
24.DAWN – The Sun
25.Frown – Witches Coven (live)
26.Arrowhead – Hell Fire
27.Dr. Colossus – Holy Driver
28.Golden Bats – Exsanguination
29.Hawkmoth – Charnel Grounds
30.King Zog – Season in Hell
31.Rituals – Wake of a Dead God’s Robe
32.El Colosso – Cannonball
33.Lamassu – Under The Watch Of A Crow
34.Hobo Magic – Sonic Sword
35.The Ruiner – The Bull
36.Powder for Pigeons – Get It Right
37.BAYOU – Magick Swamp Green
38.Wicked City – Circulating Fire
39.Giant Dwarf – Black Thumb
40.Apollo80 – Apollo
41.Kitchen Witch – Third Eye
42.Chaingun – Mesemerised
43.Hotel Wrecking City Traders – Passage to Agartha
44.The High Drifters – Observer
45.Turtle Skull – Eden
46.WitchCliff – Serpents
47.Planet of the 8s – Nowhere Is Right For Now
48.Khan – Control 09:10
49.Lizzard Wizzard – Chaaaaarles
50.OHM RUNE – ETHER
51.Fumarole – Timelord
52.MONARCHUS – Kaleidoscope
53.Stone Lotus – Swamp Coven
54.Spawn – Forgotten Mountain
55.Fly Agaric – Meteora
56.Vessel – Pyramids
57.Moto – Jolo
58.Dirt – Nightmare From The Sea
59.Sloven – Autogenocide
60.Yanomamo – Neither Man Nor Beast
61.ZONG – Giant Floating Head
62.Lucifungus – 411
63.Jack Harlon & The Dead Crows – Witchcraft
64.Pseudo Mind Hive – Red Earth
65.MONOCEROS – Space Dungeon

DOOMED AND STONED – Facebook

Malauriu / Fordomth – Twin Serpent Dawn

Twin Serpent Dawn è un riuscito tentativo con il quale le due band confluiscono verso uno stesso punto d’arrivo, rappresentato da un black metal sulfureo e comunque poco ammiccante.

Ritroviamo Malauriu e Fordomth, due band siciliane delle quali avevamo già avuto modo di parlare poco tempo fa, unite in questo split album la cui pubblicazione è prevista tra qualche giorno in formato mini-cdr a cura della Masked Dead Records, mentre in seguito vedrà la luce anche in vinile 7” per mano della Black Mourning Productions.

Questo lavoro, seppure breve, si rivela quanto mai interessante poiché i due brani offerti mostrano qualche scostamento rispetto alle più recenti uscite dei due gruppi.
Per quanto riguarda i Malauriu, per esempio, trovo che il black metal qui esibito sia decisamente più corposo e ben focalizzato rispetto a quello proposto nel recente split con Vultur, Inféren e A Répit, senza che nel contempo ne venga smarrita la carica abrasiva; ciò avviene in parte grazie ad una migliore produzione ma non solo: infatti, Ancient Spirits è una canzone che gode di un certo tiro al quale vengono coniugati interessanti rallentamenti volti a stemperare l’aggressività del sound. Se questo è un indizio della strada che i Malauriu intendono perseguire in futuro non si può che esprimere una certa soddisfazione.
Se la band di Sciacca rallenta l’andatura, i catanesi Fordomth, al contrario, accelerano non poco i ritmi esibiti nel full length d’esordio I.N.D.N.S.L.E. grazie ad un brano che nella sua prima metà si dipana all’insegna di un feroce black metal, lasciando solo uno sporadico spazio al doom metal che rappresentava in toto la linea guida stilistica della band in quell’occasione; se, in effetti, in prima battuta c’era da chiedersi come avrebbero convissuto in uno split album due realtà simili per attitudine ma diverse per l’approccio alla materia estrema, ecco che una traccia come The Chanting Void fornisce la risposta, con le sue sonorità decisamente più sbilanciate verso il black metal.
Di fatto, Twin Serpent Dawn rappresenta un riuscito tentativo con il quale le due band confluiscono verso uno stesso punto d’arrivo, rappresentato da note sulfuree e comunque poco ammiccanti; vedremo se poi questo resterà un caso isolato oppure se, come probabile, sia indicativo di sviluppi futuri, quel che è certo è che questo split album offre a chi vuole sostenere tangibilmente queste due realtà provenienti dall’antica Trinacria la possibilità di godere di una decina di minuti di valido metal estremo.

Tracklist:
1. Malauriu – Ancient Spirits
2. Fordomth – The Chanting Void

MALAURIU – Facebook

FORDOMTH – Facebook

Stellar Master Elite – Hologram Temple

Hologram Temple è una prova matura e al contempo ricca degli slanci compositivi necessari per portare le sonorità estreme su un piano differente e più elevato, senza snaturarne l’abrasiva essenza

Gli Stellar Master Elite sono un band tedesca che, in questo decennio, si è messa in luce grazie ad una davvero interessante trilogia basata su un black doom di elevata qualità.

Hologram Temple è quindi il quarto full length che alza ulteriormente l’asticella qualitativa per questo gruppo che ha ben tre elementi in comune con un’altra intrigante realtà del black metal germanico come i Der Rote Milan.
Fin dalle prime note si intuisce che qui il tutto viene trattato in maniera tutt’altro che manieristica o derivativa, perché gli Stellar Master Elite riescono a creare un black doom/death nell’accezione più autentica del termine, nel senso che i generi vengono perfettamente amalgamati per un risultato finale che soddisfa il palato sia in senso melodico che per intensità.
Il gruppo di Trier (città che in Italia conosciamo meglio come Treviri) vi aggiunge poi anche un pizzico di avanguardia ed un ricorso sapiente a sampler o spunti ambient atmosferici senza far scemare mai la tensione.
L’aspetto che maggiormente colpisce è che, nonostante le premesse ed una profondità compositiva rilevante, gran parte dei brani godono di un andamento tutt’altro che ostico all’ascolto, testimonia ampiamente una traccia formidabile quale l’opener Null, senza dimenticare che i nostri sanno anche toccare corde più profonde come in Ad Infinitum oppure spingersi verso territori più avanguardistici senza perdere in incisività come in Black Hole Dementia.
Hologram Temple è una prova matura e al contempo ricca degli slanci compositivi necessari per portare le sonorità estreme su un piano differente e più elevato, senza snaturarne l’abrasiva essenza; nonostante questi musicisti, per forza di cose, attingano ad un background ben definito non ci sono mai momenti in cui si palesa in maniera fragorosa ed evidente l’influenza di una specifica band. Tutto ciò depone a favore di un sound personale, ricco e in costante evoluzione senza sconfinare in un arido sperimentalismo, come neppure avviene nel quarto d’ora ambient di Tetragon, minaccioso episodio opportunamente collocato in conclusione del lavoro e sorta di appendice volta a rinsaldare ancor più il forte legame tra il concept fantascientifico ed il contenuto musicale.

Tracklist:
1. Null
2. Freewheel Decrypted
3. Apocalypsis
4. Ad Infinitum
5. The Beast We Have Created
6. Agitation – Consent – War
7. Black Hole Dementia
8. The Secret of Neverending Chaos
9. Tetragon

Line-up:
M.S. – Drums, Vocals
D.F. – Guitars, Bass, Programming
T.N. – Bass
E.K. – Vocals
S.K. – Vocals

STELLAR MASTER ELITE – Facebook

Son Of The Morning – Son Of The Morning

Son Of The Morning scorre lento, solo ravvivato da mid tempo che lasciano spazio a parti atmosferiche dark , in cui la band viene ispirata dall’occult rock che ricorda anche la scena italiana.

Uscito originariamente lo scorso anno in vinile per la DHU Records, Son Of The Morning è il debutto dell’omonima band statunitense guidato dalla magica ed eterea voce di Lady Helena.

La band, oltre alla sacerdotessa dietro al microfono è composta da Lee Allen al basso, H.W. Applewhite alla batteria e Levi Mendes alla sei corde, macchina macina riff sabbathiani, in un contesto stoner e psichedelico.
La nostrana BloodRock Records ha curato la versione cd di questo bellissimo debutto, composto da otto brani ispirati dall’occult rock di matrice settantiana, in cui riti pagani, atmosfere messianiche e culti antichi creano un’affascinate esempio di musica del destino.
Desertiche visioni si fanno spazio nella nostra mente, mentre le ritmiche monolitiche iniziano a dettare tempi drogati di magia; la chitarra produce riff pesantissimi e il canto etereo ed ipnotico di Lady Helena attira verso la collina dove i muri della vecchia casa parlano di sacrifici e riti fuori dal tempo.
Adoranti lasciamo che lentamente la musica ci accompagni in questo sabba, tra le note venate di una psichedelia lasciva incastonata nei rituali della varie The Rule Of Three, The Wild Hunt e Left Hand Path.
Son Of The Morning scorre lento, solo ravvivato da mid tempo che lasciano spazio a parti atmosferiche dark , in cui la band viene ispirata dall’occult rock che ricorda anche la scena italiana, creando un sound che accoglie tra il suo spartito, i vari generi descritti che si manifestano come antichi spiriti evocati dal gruppo tra le trame dell’album.

Tracklist
1.Introduction
2.The Rule of Three
3.The Midwife
4.The Wild Hunt
5.Release
6.Left Hand Path
7.House of our Enemy
8.Eyes Sewn Closed

Line-up
Lady Helena – Vocals, Organ
Lee Allen – Electric Bass Guitar
H.W. Applewhite – Trap Kit
Levi Mendes – Electric Guitar

SON OF THE MORNING – Facebook

Dun Ringill – Welcome

Un disco frutto di passione e di amicizia, e di un livello musicale molto alto per un progetto davvero interessante.

Gran bel disco di stoner doom da parte di veterani della scena underground svedese di Gothenburg.

La sezione ritmica degli Order Of Israfel, ottimo gruppo con suoni simili, il bassista Patrik Andersson Winberg e il batterista Hans Lilja, decide di radunare un po’ di amici per suonare, durante l’anno sabbatico che si è preso il gruppo. Nasce così questa avventura, nella quale il primo ad essere chiamato è il cantante dalla possente voce Tomas Eriksson, militante negli Intoxicate ed ex membro dei Grotesque. A seguire arrivano i tre chitarristi, perché i Dun Ringill hanno tre chitarre che gli danno un suono unico, Tommy Stegemann dei Silverhorse, Jens Florén dei Lommi e un passato da chitarrista dal vivo per i Dark Tranquillity, e Patric Grammann, SFT, Neon Leon. Il risultato è un disco con un groove bellissimo ed avvolgente, una dimostrazione molto valida di come si possa fare musica pesante con gusto ed eleganza, creando qualcosa di nuovo in generi e sottogeneri molto inflazionati, ma Welcome è un piccolo gioiello. Molto forte nella musica, ma soprattutto nell’immaginario della tradizione folkloristica svedese, ma dimenticate i vichinghi perché qui siamo dal 1600 in giù, tra fate, folletti e foreste. Anche l’horror ha la sua importanza ed il tutto concorre a creare un disco che si fa ascoltare molto volentieri, con un importante peso specifico, in bilico fra doom, stoner e metal. La musica dei Dun Ringill è insieme affascinante, eterea e fisica, composta e suonata da musicisti appassionati e di alta levatura tecnica. Le tre chitarre fanno la loro parte, creando un suono davvero incredibile, e tutto il gruppo è più che all’altezza. Le canzoni hanno un ritmo che fondendosi con la metrica delle parole ottiene un ritmo che non ti fa scappare. Anche la produzione è notevole (Julien Fabré ha fatto un ottimo lavoro) e a curare l’artwork troviamo il loro amico Niklas Sundin, autore davvero di un ottimo lavoro. Un disco frutto di passione e di amicizia, e di un livello musicale molto alto per un progetto davvero interessante.

Tracklist
1. Welcome To The Fun Fair Horror Time Machine
(feat. Emil Rolof on Piano + Björn Johansson on Flute)
2. Black Eyed Kids (feat. Emil Rolof on Mellotron)
3. Open Your Eyes (And See The Happiness And Truth)
4. The Door
5. Snow Of Ashes
6. The Demon Within (feat. Per Wiberg on Hammond + Matilda Winberg on Intro Vocals)

Line-up
Thomas Eriksson – Vocals
Hans Lilja – Drums
Patrik Andersson Winberg – Bass
Jens Florén – Guitar
Tommy Stegemann – Guitar
Patric Grammann – Guitar

DUN RINGILL – Facebook

Altar Of Oblivion – The Seven Spirits

L’unione tra heavy metal old school, doom classico ed epic metal è la ricetta usata dagli Altar Of Oblivion, in apparenza semplice ma non così facile da mettere in pratica.

Per gli amanti della musica del destino di stampo classico, il ritorno dei danesi Altar Of Oblivion non può che essere un appuntamento imperdibile in questa prima metà dell’anno.

Gruppo di culto nella scena epic doom, il quintetto torna sul mercato tramite la Shadow Kingdom Records (label che di sonorità classiche se ne intende) a distanza di tre anni dall’ep Barren Grounds e a sette dall’ultimo lavoro su lunga distanza, Grand Gesture of Defiance.
Con il suo heavy doom metal dal piglio epico, anche questo nuovo The Seven Spirits non delude le aspettative grazie a sette capitoli che, come da tradizione, si rivelano impregnate della pesante atmosfera del doom ed esaltate da sfumature epiche.
L’ottima prova del singer Mik Mentor, teatrale ed ispirato dai cantanti che hanno fatto la storia del genere, è assecondata da un buon songwriting che permette a brani come Solemn Messiah, Gathering At The Wake e Grand Gesture Of Defiance di farsi ricordare positivamente dall’ascoltatore.
L’unione tra heavy metal old school, doom classico ed epic metal è la ricetta usata dagli Altar Of Oblivion, in apparenza semplice ma non così facile da mettere in pratica: la band danese riesce nell’intento di regalare agli amanti del genere un album piacevole e senza sbavature, portando nel nuovo millennio le sonorità dei vari Candlemass, Count Raven, Atlantean Codex e Solitude Aeturnus.

Tracklist
1.Created in the Fires of Holiness
2.No One Left
3.Gathering at the Wake
4.The Seven Spirits
5.Language of the Dead
6.Solemn Messiah
7.Grand Gesture of Defiance

Line-up
Mik Mentor – Lead & backing Vocals
Martin Meyer Sparvath – Guitars, backing Vocals & additional Keyboards
Jeppe Campradt – Guitars and Keyboards
Cristian Nørgaard – Bass
Danny Woe – Drums

ALTAR OF OBLIVION – Facebook

Thronehammer – Usurper of the Oaken Throne

L’album riesce ad incorporare nelle stesse trame, in modo assolutamente convincente, ispirazioni che vanno dai Bathory, ai Count Raven, dai Celtic Frost ai Saint Vitus, dai Candlemass ai Cathedral, in una sorta di versione sludge dell’epic doom tradizionale.

Un’opera straordinariamente epica ed evocativa, un lungo incedere doom/sludge che non conosce pause ma continua imperterrito nella sua marcia in direzione dell’Olimpo, mentre l’esercito avanza inesorabilmente verso la vittoria o la sconfitta e le note di questo monumentale lavoro accompagnano il passo cadenzato dei guerrieri.

I Thronehammer sono un trio che unisce musicisti provenienti da Germania e Regno Unito e dopo un demo ed uno split, insieme ai Lord Of Solitude, licenziano tramite The Church Within questo monolitico e pesantissimo primo album, intitolato Usurper of the Oaken Throne.
Sette brani per quasi ottanta minuti di musica del destino, davvero suggestiva, pesantissima ed epica al punto di sbaragliare qualsiasi gruppetto tutto scudi e spadoni.
In questo lavoro la parte evocativa ed epica del sound si amalgama perfettamente ad un potentissimo doom/sludge, spesso reso ancora più solenne da tastiere debordanti: la potenza della parte ritmica entra in contatto con un cantato evocativo che accentua l’aspetto epico/guerresco del sound in brani che per lo più superano abbondantemente i dieci minuti.
I diciassette minuti (appunto) dell’opener Behind The Wall Of Frost ci calano in un’atmosfera in cui predomina la forza evocativa di una musica che riesce ad incorporare nelle stesse trame, in modo assolutamente convincente, ispirazioni che vanno dai Bathory, ai Count Raven, dai Celtic Frost ai Saint Vitus, dai Candlemass ai Cathedral, in una sorta di versione sludge dell’epic doom tradizionale.
Il risultato è un lavoro pesantissimo, da affrontare con la dovuta pazienza, cercando di entrare nel mondo creato da Kat Shevil Gillham, Stuart Bootsy West e Tim Schmidt senza perdere nemmeno una nota del loro notevole lavoro.

Tracklist
1.Behind the Wall of Frost
2.Conquered and Erased
3.Warhorn
4.Svarte Skyer
5.Thronehammer
6.Usurper of the Oaken Throne

Line-up
Stuart Bootsy West – Guitars, Synthesizer
Tim Schmidt – Bass, Drums
Kat Shevil Gillham – Vocals

THRONEHAMMER – Facebook