È tempo di riedizioni per le creature musicali di Anders Eek, uno dei protagonisti principali della scena doom norvegese.
I Fallen erano una band parallela dei più noti Funeral (dei quali parleremo appunto nei prossimi giorni trattando la ristampa del loro secondo album) e, nel corso della loro breve esistenza artistica, hanno lasciato una sola testimonianza su lunga distanza, A Tragedy’s Bitter End, un lavoro uscito nel 2004 che ottenne buoni riscontri a livello di critica.
Purtroppo, la prematura morte del chitarrista Christian Loos decretò l’interruzione dell’attività per i Fallen, con Eek che passò a dedicarsi a tempo pieno al suo principale progetto.
La Solitude offre oggi questa riedizione, che viene definita impropriamente una compilation, visto che si tratta di fatto della riproposizione dell’unico album con l’aggiunta di due brani registrati prima della scomparsa di Loos.
Musicalmente, A Tragedy’s Bitter End contiene una forma di funeral piuttosto scarna ma indubbiamente coinvolgente anche se non sempre del tutto a fuoco; la possibilità di parlare di questo vecchio album mi fornisce lo spunto per chiarire un personalissimo punto di vista sulla materia trattata: per quanto mi riguarda, l’unica forma vocale possibile per un disco funeral è il growl, punto, e “tutto il resto è noia” (nel vero senso della parola), come qualcuno cantava molti anni fa …
Il tono profondo e forzato di Kjetil Ottersen è piuttosto simile a quello utilizzato da Kostas Panagiotu nei Pantheist, il che tende sicuramente a fornire al sound un’aura più decadente (oltre all’indubbio vantaggio di poter cogliere il contenuto lirico senza l’ausilio di un testo scritto), ma con lo sgradevole effetto collaterale di dover ascoltare una sorta di Andrew Eldritch afflitto da adenoidi.
Per contro, l’attitudine e la competenza nel trattare il genere da parte di Eek e compagni è al di sopra di ogni sospetto, e si percepisce chiaramente quanto il tragico e ineluttabile sentore di morte che aleggia costantemente lungo ogni singola nota dell’album non sia frutto di un’esibizione manieristica.
Un brano splendido come Now that I Die, con i suoi diciassette minuti ed oltre di dolore che si fa musica, è emblematico della bontà intrinseca di un lavoro che è giustamente rimasto ben impresso nella memoria degli appassionati più incalliti.
Le due composizioni che vanno ad integrare la scaletta di A Tragedy’s Bitter End sono Drink Deep My Wounds, che si muove sulla falsariga dei brani precedenti pur rivelandosi in certi frangenti più arioso, e la cover di Persephone dei Dead Can Dance, piuttosto stravolta rispetto all’originale ma non per questo meno efficace (anche grazie al ricorso ad un timbro vocale meglio tarato da parte di Ottersen).
I motivi per far propria questa uscita quindi non mancano, inclusa la possibilità di avere per le mani un album che, all’epoca, venne stampato in un numero limitato di copie e che, oggi, viene oltretutto riproposto con una nuova e più soddisfacente veste grafica.
Tracklist:
1. Gravdans
2. Weary and Wretched
3. To the Fallen
4. Morphia
5. Now that I Die
6. The Funeral
7. Drink Deep My Wounds
8. Persephone – A Gathering of Flowers (Dead Can Dance cover)
Line-up:
Anders Eek – Drums
Christian Loos – Guitars
Kjetil Ottersen – Vocals, Keyboards, Guitars, Bass