Godwatt – L’ultimo Sole

Una cascata di riff pesantissimi, una marmorea statua innalzata per glorificare le sonorità doom, il tutto originalmente cantato in Italiano, questa è la clamorosa proposta dei laziali Godwatt, tornati sul mercato con questo monolitico L’Ultimo Sole, licenziato dalla Jolly Roger Records.

Sono sincero, non conoscevo il terzetto nostrano, da dieci anni in attività, prima con il monicker Godwatt Redemption, ridotto successivamente in Godwatt, non prima di aver dato alle stampe due full length autoprodotti, The Hard Ride of Mr. Slumber nel 2008 e The Rough Sessions del 2012.
Tre anni fa, la riduzione del monicker e la scelta di cantare in lingua madre portano il gruppo a Senza Redenzione, nuovo lavoro seguito dall’ep Catrame e dall’ultimo full length MMXVXMM, licenziato all’inizio dello scorso anno e sempre autoprodotto.
L’ultimo periodo è contraddistinto dalla firma per la label nostrana e da questo nuovo lavoro che racchiude sette brani ri-registrati dal precedente album, più due da Senza Redenzione (Scheletro e Venus, ma solo nella versione cd).
Una band dalla personalità debordante, valorizzata da esperienze live accanto a gruppi come Ufomammut, Necrodeath, Doomraiser, Zippo, Karma To Burn, un sound di una pesantezza inumana che risulta molto più legato alla musica del destino che allo stoner, e la scelta, fuori dagli schemi del genere, di cantare in italiano testi di lucida decadenza, sono gi elementi che impreziosiscono queste nove incudini di metallo pesantemente lento e cadenzato, composto da una serie di riff che riducono in cenere.
Moris Fosco (chitarra e voce), Mauro Passeri (basso) e Andrea Vozza alle pelli, giustamente fanno spallucce al suono desertico, tanto di moda di questi tempi (e che io adoro, non fraintendetemi) per tornare al doom classico, messianico, oscuro e monolitico, come la discesa inesorabile di lava che cade dopo l’esplosione del vulcano attivo che risulta questo lavoro, pescando a piene mani dai gruppi della scena di primi anni novanta come i Cathedral del reverendo Dorrian e in parte dalle band d’oltreoceano come Saint Vitus ed i Revelation, e aggiungendo pochi ma azzeccati elementi settantiani che danno quel giusto tocco vintage.
Lo stoner è comunque presente, in qualche passaggio più acido, ma nel disco regna sua maestà il doom, lento, a tratti claustrofobico, inesorabile nella sua marcia cadenzata che accelera leggermente per stenderci al tappeto con frustate heavy rock, che strappano le carni, torturate nel sabba ossianico a cui i Godwatt ci invitano, vittime inconsapevoli di questa cerimonia di decadente e ruvido metallo.
Memoria, Cenere, la title track, il basso di Nessuno Mai, che pulsa come un cuore strappato ed in mano ad un sacerdote pazzoide, sono le songs che strappano applausi, ma è il lavoro nella sua interezza che non lascia scampo, con le due chicche finali tratte dal disco del 2013 (Scheletro e Veleno) che confermano il valore assoluto del combo laziale con un’heavy rock che letteralmente stende.
I Godwatt sono l’ennesimo esempio di come nel nostro paese si fa musica come e, molto spesso, meglio dei paesi con molta più tradizione e credito, è giunta l’ora di supportare e far uscire allo scoperto le nostre realtà.

TRACKLIST
1. Catene
2. Condannata
3. Memoria
4. Cenere
5. Nostro Veleno
6. Nessuno Mai
7. L’ultimo Sole
8. Scheletro (Cd Bonus)
9. Venus (Cd Bonus)

LINE-UP
Moris Fosco-Guitars, vocals
Mauro Passeri-Bass
Andrea Vozza-Drums

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