Hardline – Life

La cover di Who Wants To Live Forever dei Queen come perla incastonata tra la dozzina di tracce che compongono l’album, valorizza, se ce ne fosse bisogno il gran lavoro degli Hardline a conferma dell’ottimo stato di forma dell’hard rock melodico.

Gli Hardline sono sempre stati considerati un supergruppo, fin da quando il debutto Double Eclipse, arrivò sul mercato nel 1992, tempi duri per il classic rock e l’hard rock melodico.

Johnny Gioeli, talentuoso singer con una carriera spumeggiante nel gruppo di Axel Rudi Pell e non solo, continua a capitanare questa congrega di talenti che oggi vede, dopo i contributi nel corso degli anni di musicsti come Deen Castronovo, Neal Schon, Mike Terrana e Rudi Sarzo, una milizia tutta italiana ad accompagnare le gesta dietro al microfono del vocalist statunitense.
Alessandro Del Vecchio (tastiere), Mario Percudani (chitarra), Anna Portalupi (basso) e Marco Di Salvia (batteria) assecondano Gioeli in questo nuovo lavoro, il sesto in studio per la band a tre anni di distanza dal precedente Human Nature, segno di un rinnovato entusiasmo non solo negli Hardline ma in tutto il genere, che il gruppo di Gioeli contribuisce a rappresentare.
Entusiasmo che esce a frotte dai brani di Life, sempre pregni di quell’hard rock melodico e graffiante diventato marchio di fabbrica della band e in cui Gioeli mette la sua firma con un prestazione come sempre sontuosa, carica di feeling, ed ovviamente meno epica che sui lavori degli Axel Rudi Pell.
Il genere rimane ancorato a delle caratteristiche note al pubblico di rockers sparsi per il mondo, quindi non è una novità il trittico di song iniziali, dove la band spara tre hard rock song potenti, melidiche dall’appeal stratosferico, con l’opener Place To Call Home a dare il benvenuto in Life.
Poi la verve si stempera per lasciare spazio a mid tempo e ballads che ci accompagnano sino alla fine mantenendo la solita qualità sopra le righe, sia nel songwritng che nelle prove dei quattro moschettieri tricolori che accompagnano il singer in questa nuova avventuta.
La cover di Who Wants To Live Forever dei Queen come perla incastonata tra la dozzina di tracce che compongono l’album, valorizza, se ce ne fosse bisogno il gran lavoro degli Hardline a conferma dell’ottimo stato di forma dell’hard rock melodico.

1.Place To Call Home
2.Take A Chance
3.Hello’s Sun
4.Page Of Your Life
5.Out Of Time
6.Hold On To Right
7.Handful Of Sand
8.This Love
9.Story Of My Life
10.Who Wants To Live Forever
11.Chameleon
12.My Friend

Johnny Gioeli – Vocals
Alessandro Del Vecchio – Keyboards, Backing Vocals
Mario Percudani – Guitars
Marco Di Salvia – Drums
Anna Poratalupi – Bass

https://www.facebook.com/hardlinerocks/

2019 Hard Rock 8.30

Carnal Tomb – Abhorrent Veneration

I Carnal Tomb danno un seguito all’altezza del buon esordio di tre anni fa e come allora noi di Metaleyes ve ne consigliamo l’ascolto, sempre che i vostri gusti in fatto di death metal siano rivolti alla frangia tradizionale del genere.

Apparsi sulle pagine di Metaleyes nel 2016, all’indomani dell’uscita del debutto sulla lunga distanza intitolato Rotten Remains, tornano i Carnal Tomb realtà death metal devota ai suoni old school.

Il quartetto proveniente da Berlino, ritorna sul luogo del delitto e sforna sette brani racchiusi in Abhorrent Veneration, album che conferma le buone impressioni scaturite dall’ascolto del precedente lavoro.
I Carnal Tomb continuano infatti la loro missione nel panorama underground estremo, il loro sound si nutre di quelle caratteristiche che fecero la storia del death metal nord europeo agli inizi dell’ultimo decennio del secolo scorso.
La mano schiaccia sulle ferite imputridite, l’urlo disumano che ne scaturisce è un growl sofferto e rabbioso su di un sound che come da tradizione alterna ripartenze, mid tempo e brusche frenate doom/death, questa volta più marcate rispetto al passato.
Sette brani medio lunghi, dove impera il death metal classico, duro e marcio come da tradizione, rimembrando opere considerati classici di Entombed, Dismember e compagnia famelica.
Abhorrent Veneration risulta quindi un lavoro convincente, la band sforna una serie di tracce che seguono le regole del genere senza sgarrare di una virgola dando vita ad una tracklist che ha nell’opener Putrid Fumes, nel lento discendere nei meandri dell’inferno delle doom/death Dissonant Incubation e Sepulchral Descent le sue armi più micidiali.
I Carnal Tomb danno un seguito all’altezza del buon esordio di tre anni fa e come allora noi di Metaleyes ve ne consigliamo l’ascolto, sempre che i vostri gusti in fatto di death metal siano rivolti alla frangia tradizionale del genere.

Tracklist
1. Putrid Fumes
2. Abhorrent Veneration
3. Cryptic Nebula
4. Amid the Graves
5. Dissonant Incubation
6. Feeding Mold
7. Sepulchral Descent

Line-up
Corpse Ripper – Bass, Vocals
Goat Eviscerator – Guitars
Cryptic Tormentor – Vocals, Guitars
Vomitchrist – Drums

https://www.facebook.com/CarnalTombDeathMetal

First Signal – Line Of Fire

Line Of Fire è una raccolta di canzoni dove rocciose parti hard rock, si alleano con linee melodiche di rara bellezza, raffinate ed eleganti, sapientemente ruvide ma, allo stesso tempo ruffiane tanto basta per spaccare cuori tra i rockers dai gusti melodici.

Il mondo dell’hard rock melodico è uno scrigno colmo di perle musicali come questo bellissimo lavoro intitolato Line Of Fire, il terzo per la band guidata dal cantante degli Harem Scarem Harry Hess e dal produttore Dennis Ward (Pink Cream ’69, Sunstorm, Place Vendome, tra gli altri).

Dopo i due lavori precedenti (First Signal e One Step Over The Line) e raggiunti dal batterista e produttore Daniel Flores (Mind’s Eye, 7 Days e X Savior), i First Signal tramite la nostrana Frontiers dà vita ad un altro splendido esempio di hard rock melodico di gran classe, scritto da un manipolo di autori fuori categoria come Stan Meissner, Bruce Turgon, Nigel Bailey e Carl Dixon, tra gli altri e valorizzato dal talento melodico del cantante, uno dei migliori singer che l’AOR odierno possa vantare.
Line Of Fire è una raccolta di canzoni dove rocciose parti hard rock, si alleano con linee melodiche di rara bellezza, raffinate ed eleganti, sapientemente ruvide ma, allo stesso tempo ruffiane tanto basta per spaccare cuori tra i rockers dai gusti melodici.
L’album alterna irresistibili brani dove graffianti riff hard rock irrobustiscono e alzano la temperatura di hard rock song a stelle e strisce come l’opener Born To Be A Rebel e A Millions Miles, a classiche ed eleganti melodic song dove Hess da prova di una forma smagliante.
La band segue il singer con una prova senza sbavature e le varie Walk Through The Fire e Never Look Back ribadiscono il valore di questa raccolta di brani che porta i First Signal tra le realtà più quotate dell’hard rock melodico internazionale.

Tracklist
01. Born To Be A Rebel
02. A Million Miles
03. Last Of My Broken Heart
04. Tonigh We Are The Only
05. Walk Through The Fire
06. Never Look Back
07. Line Of Fire
08. Here With You
09. Need You Now
10. Falling
11. End Of The World

Line-up
Harry Hess – Vocals
Michael Palace – Guitars
Johann Niemann – Bass
Daniel Flores – Drums, Keyboards

https://www.facebook.com/firstsignalband/

Deepshade – Soul Divider

I Deepshade esibiscono un sound personale, riescono nella non facile impresa di risultare a loro modo originali, pur lasciando che all’ascolto dell’album le loro ispirazioni facciano capolino dalle pareti del tunnel dai mille colori in cui si entra appena si preme il tasto play.

Psych rock, alternative metal ed hard rock stoner, un mix letale di cui si compone il sound di Soul Divider, nuovo full length dei rockers britannici Deepshade.

Licenziato dalla Wormholedeath, label che è una garanzia di qualità per gli amanti del metal e del rock in tutte le loro molteplici rivisitazioni, l’album è un tunnel di luci caleidoscopiche dove una volta entrati ci si perde, confusi ed ipnotizzati dalla musica che segue un fiume di colori travolgente.
Facile perdersi, ma più difficile tornare in sé, dopo il bombardamento ritmico che il trio ha in serbo per l’ascoltatore rapito da un sound a tratti claustrofobico che ha le sue radici nel rock anni settanta, modernizzato e reso potente da iniezioni di psych/stoner letale come il morso di un velenosissimo rettile.
Soul Divider non dà tregua, parte in sordina ma acquista subito forza, drogato di stoner bruciato dal sole della Sky Valley, mellifluo e lascivo come una bella ragazza in trip, mentre si muove al ritmo fluido ed ipnotico del rock psichedelico (Lonley Man) o tellurico e squassante come il miglior alternative metal anni novanta (Sad Sun, Gangzua).
I Deepshade esibiscono un sound personale, riescono nella non facile impresa di risultare a loro modo originali, pur lasciando che all’ascolto dell’album le loro ispirazioni (Kyuss, Nirvana, Black Sabbath, Queens Of The Stone Age, The Doors) facciano capolino dalle pareti del tunnel dai mille colori in cui si entra appena si preme il tasto play.

Tracklist
1.Airwaves
2.City Burns
3.Burning Up
4.Arches Of Innocence
5.Sad Sun (radio edit)
6.Lonley Man
7.Soul Divider
8.MaryLand
9.Monster
10.Ganzua

Line-up
David Rybka – Vocal, Guitar
Tommy Doherty – Bass
Chris Oldfield – Drums

https://www.facebook.com/deepshadeuk/

https://youtu.be/4zvp0QVJB80

Glasya – Heaven’s Demise

Heaven’s Demise è composto da una decina di brani che nulla aggiungono e nulla tolgono al mondo potente, elegante del symphonic metal, le influenze sono chiare e perfettamente delineate in una struttura che, pur non offrendo spunti clamorosi, riesce a mantenere una buona dinamica, tra arrangiamenti orchestrali, e forza metallica sempre tenuta imbavagliata dalla gradevole interpretazione della vocalist.

Nel vasto panorama offerto dal metal, quello sinfonico continua a mantenere uno zoccolo duro di fans deliziati dalle opere dei gruppi diventati icone del genere e da quelli che, invece, si presentano al pubblico con esordi più o meno riusciti.

Sinfonie metalliche dalle delicate orchestrazioni, animate da riff potenti e da voci suadenti: il symphonic metal di stampo gothic da anni rappresenta una strada sicura per i suoi ascoltatori, magari non più gratificati dai capolavori del passato, ma attratti come sempre da un ottimo livello qualitativo.
Le nuove leve proposte da un underground generoso offrono lavori di buona fattura come questo esordio dei portoghesi Glasya, sestetto di Lisbona capitanato dalla voce classica della brava Eduarda Soeiro, cantante di genere che mette le sue doti canore al servizio di un sound che non disdegna passaggi heavy, solos taglienti e cavalcate di matrice power.
Heaven’s Demise è composto da una decina di brani che nulla aggiungono e nulla tolgono al mondo potente, elegante del symphonic metal: le influenze sono chiare e perfettamente delineate in una struttura che, pur non offrendo spunti clamorosi, riesce a mantenere una buona dinamica, tra arrangiamenti orchestrali e forza metallica sempre tenuta imbavagliata dalla gradevole interpretazione della vocalist.
Dall’inizio alla fine l’album mantiene quello che promette, e i Glasya senza strafare offrono una buona prova ed una manciata di canzoni da ricordare, guadagnandosi un buon giudizio ed un arrivederci al prossimo passo che, sicuramente, porterà ancora più personalità e convinzione in seno al sestetto portoghese.

Tracklist
1.Heaven’s Demise
2.Ignis Sanctus
3.Coronation of a Beggar
4.Glasya
5.Eternal Winter
6.Birth of an Angel
7.The Last Dying Sun
8.Neverland
9.No Exit from Myself
10.A Thought About You

Line-up
Eduarda Soeiro – Vocals
Davon Van Dave – Keyboards, Orchestrations
Manuel Pinto – Bass
Hugo Esteves – Guitars
Bruno Prates – Lead Guitars
Bruno Ramos – Drums

https://www.facebook.com/GlasyaOfficial/

Desecresy – Towards Nebulae

Un album legato alla tradizione classica, ma con un’anima underground che lo posiziona tra le uscite dedicate a chi dal genere cerca un sound davvero ostico, psicotico ed influenzato da band come Grave, Immolation ed Incantation.

Tornano i finlandesi Desecresy, formatisi inizialmente come un duo ma ora, di fatto, diventati una one man band guidata dal solo Tommi Grönqvist.

Il nuovo lavoro, intitolato Towards Nebulae, continua il viaggio dei Desecresy nel death metal dalle atmosfere abissali, dalla produzione sporca e da un impatto che accentua la vena brutale del suo ormai solitario creatore.
Il nuovo album, il sesto in dieci anni di vita del progetto, non cambia di una virgola il sound, salvo il ritornare parzialmente un approccio assolutamente underground alla materia.
Il suono sporco e nebbioso, le ritmiche caotiche che rallentano a tratti fino ai limiti del doom, racchiude un’attitudine old school che ci riporta ai primi anni novanta; i Desecresy, malgrado la loro nazionalità, non sono la classica band scandinava, ma lasciano che le maggiori scuole del genere ispirino questi nuovi undici brani.
Un album legato alla tradizione classica, ma con un’anima underground che lo posiziona tra le uscite dedicate a chi dal genere cerca un sound davvero ostico, psicotico ed influenzato da band come Grave, Immolation ed Incantation.

Tracklist
1.The Gate
2.Trophies of Death
3.Only Mist Drifts
4.Fringes of Existence
5.Endless Swamp
6.Sediments of Blood
7.The Dead Language
8.The Damned Expedition
9.Transfiguration March
10.Unbeknownst to Mortals
11.Forms in Echos

Line-up
Tommi Grönqvist – Guitars, Bass, Drums, Vocals

https://www.facebook.com/Desecresy-244902242257521/

The End Machine – The End Machine

The End Machine mette tutti d’accordo, non pretende di essere più di quello che è, un ottimo lavoro pregno di belle canzoni, incentrate sul rock più sanguigno e viscerale che ha passato indenne quarant’anni della nostra storia.

Quando ci si trova davanti a tre icone dell’hard & heavy classico come i tre Dokken George Linch, Jeff Pilson e Mick Brown non si può che inchinarsi a cotanto talento, anche perchè è praticamente scontato che avremo a che fare con un grande album di rock duro.

Se poi i tre piazzano davanti al microfono l’attuale singer dei Warrant Robert Mason e creano undici brani di hard rock tra sonorità classiche e moderne, spaziando tra anni ottanta, novanta con non pochi riferimenti al rock duro del nuovo millennio, il gioco è fatto.
Non aspettatevi quindi un classico album alla Dokken, i The End Machine non dimenticano il loro passato, ma usano l’enorme esperienza accumulata per regalare una track list inattaccabile sotto tutti i punti di vista, pregna di riff ruvidi, ritmiche che non disdegnano groove e feeling, ed un singer che sembra nato per cantare questi brani.
Leap Of Faith apre le danze, grintosa e con quel tocco mainstream anni novanta che risulta irresistibile, così come il mid tempo Bulletproof, dove echi di blues si fanno largo tra riff possenti e solos decisi di un Linch ispiratissimo.
L’urgenza rock’n’roll di Ride It attacca al muro, mentre le armonie acustiche di Burn The Truth, tornano a far sognare tramonti di frontiera come ai tempi di Bon Jovi e Poison.
E qui è il bello, perchè The End Machine cambia pelle in un attimo, salta tra i decenni con la facilità di un grillo musicale, tra gli Europe odierni, i Kings X (clamorosa Hard Road), e Dokken, lasciando al rock’n’roll la sua parte da protagonista (Life Is Love Is Music).
The End Machine mette tutti d’accordo, non pretende di essere più di quello che è, un ottimo lavoro pregno di belle canzoni, incentrate sul rock più sanguigno e viscerale che ha passato indenne quarant’anni della nostra storia.

1.Leap Of Faith
2.Hold Me Down
3.No Game
4.Bulletproof
5.Ride It
6.Burn The Truth
7.Hard Road
8.Alive Today
9.Line Of Division
10.Sleeping Voices
11.life Is Love Is Music

Robert Mason – Vocals
George Lynch – Guitars
Jeff Pilson – Bass
Mick Brown – Drums

https://www.facebook.com/TheEndMachine/

Chaos Magic – Furyborn

Questa alternanza tra possente metallo, eleganza melanconica e raffinato rock contribuisce alla riuscita di Furyborn nella sua interezza, i brani si susseguono tra esaltanti scorribande heavy/power e ruffiane melodie.

Un album creato per non fare prigionieri tra i fans del metal sinfonico, power e gotico, il nuovo lavoro dei Chaos Magic, band capitanata dalla singer cilena Caterina Nix, singer bella e brava, scoperta da Timo Tolkki qualche anno fa, ospite nel progetto Avalon prima e poi onorata della presenza del chitarrista e produttore finlandese sul primo album licenziato nel 2015.

Ancora con una manciata di ospiti di prestigio a valorizzare quanto fatto dal gruppo e dal nuovo produttore Nasson, alle prese con chitarra e tastiere, vera icona del metal in patria (anche lui proveniente dal paese sudamericano) che ha donato al sound dei Chaos Magic un tocco moderno, potenete e ammiccante quanto basta per prendere al lazo più fans possibili.
La bellezza della cantante, la sua voce assolutamente perfetta e gli ospiti di livello assoluto come Tom Englund degli Evergrey, Ailyn Gimenèz (ex Sirenia), Ronald Romero (nuovo cantante dei Rainbow) ed il tastierista nostrano Giuseppe Iampieri (Mistheria), contribuiscono a rendere Furyborn un lavoro vincente, la band non le manda a dire e picchia da par suo quando le atmosfere gothic/rock, lasciano spazio a sfuriate di potente power metal di matrice nordica.
Questa alternanza tra possente metallo, eleganza melanconica e raffinato rock contribuisce alla riuscita di Furyborn nella sua interezza, i brani si susseguono tra esaltanti scorribande heavy/power e ruffiane melodie, con la voce della Nix a dispensare valanghe di appeal.
Tra i brani presenti quelli più metallici rendono al massimo e alzano non poco il giudizio sull’intero lavoro, con l’opener You Will Breathe Again, la title track e Path Of The Brave che piaceranno anche ai fans dai gusti relativamente più massicci.

1.You Will Breathe Again
2.Furyborn
3.Like Never Before
4.Beware Of hìThe Silent Waters
5.Falling Apart
6.Bravely Beautiful
7.Throw Me To The Wolf
8.I’d Give It All
9.path Of The Brave
10.My Affliction
11.I’m Your Cancer

Caterina Nix – Vocals
Nasson – Guitars, Keyboards
Franco Lama – Keyboards
Hermaunt Folatre – Bass
Carlos Hernandez – Drums

https://www.facebook.com/caterinanix/

Rockin’ Engine – Midnight Road Rage

Midnight Road Rage è un album che si fa ascoltare con piacere e che, in quanto ad attitudine ed impatto, dice sicuramente la sua nell’affollato mondo del rock duro.

Hard & heavy potente e tagliente come un rasoio è quello proposto dal quartetto canadese dei Rockin’ Engine provenienti da Ottawa ed attivi dal 2015.

Il loro debutto autoprodotto si intitola Midnight Road Rage ed è composto da otto esplosive tracce di rock duro che amalgama con buon esito hard rock ed heavy metal old school.
Un grande lavoro chitarristico (Steve O Leff e Ste Vy Leff ) e ritmiche telluriche e pregne di un buon groove (Joel Bilodeau alla batteria e JP Buzzard al basso) sono il leit motiv di Midnight Road Rage, un album classico nel suo approccio (ma ben inserito in questi tempi in cui i suoni classici stanno trovano nuovamente buoni riscontri rispetto a qualche anno fa, merito anche dell’underground e di band come i Rockin’ Engine), che nei suoi quaranta minuti circa di durata non molla la presa grazie ad una ricetta semplice ma assolutamente vincente.
Unj rock duro di origine controllata che tra i solchi di tracce dinamitarde come Let’s Roll The Dice, When Engines Collide e la spettacolare Road Rage Boogie non manca di farci divertire a suon di rock’n’roll potenziato da un’overdose di watt, tra Van Halen, Gotthard e modern hard rock dal groove micidiale.
Midnight Road Rage è un album che si fa ascoltare con piacere e che, in quanto ad attitudine ed impatto, dice sicuramente la sua nell’affollato mondo del rock duro.

Tracklist
1.Shake That Ass
2.Let’s Roll The Dice
3.Livin’ A Lie
4.When Engines Collide
5.Never Surrender
6.The State Of Nature
7.Hiding In Darkness
8.Road Rage Boogie

Line-up
Steve O Leff – Vocals, Guitars
Ste Vy Leff – Guitars
JP Buzzard – Bass
Joel Bilodeau – Drums

https://www.facebook.com/rockinengineofficial

Tomb Mold – Planetary Clairvoyance

L’album si avvale di strutture sonore ispirate da Cannibal Corpse, Blood Incantation e Abhorrence, confermando i Tomb Mold come gruppo assolutamente a suo agio nel panorama estremo underground di matrice death metal.

Nuovo lavoro per i canadesi Tomb Mold, band canadese che iniziò la sua avventura nel mondo del metal estremo come duo e col tempo diventata un quartetto.

Con questo devastante lavoro licenziato dalla 20 Buck Spin, siamo giunti al terzo album, confermando le buone cose fatte sul precedente Manor Of Infinite Forms licenziato lo scorso anno.
Planetary Clairvoyance continua l’opera di annientamento a colpi di death metal classico e brutale, una tempesta di suoni estremi dalla forza di cento asteroidi in picchiata sulla terra.
Sette brani per quaranta minuti scarsi in cui il gruppo canadese non lesina mitragliate death potentissime, alternate ai classici rallentamenti vecchia scuola e a tratti valorizzati da ricami progressivi.
Il growl di ispirazione brutal, si unisce ad un sound feroce e senza compromessi, votato all’impatto pur mantenendo una buona dose di elasticità che fa di Planetary Clairvoyance un muro sonoro indistruttibile.
Niente di originale dunque, solo death metal di origine controllata e che amalgama tradizione statunitense ed europea, in un clima da tregenda che trova attimi di quiete in oscuri ricami chitarristici, tra l’armageddon sonoro di brani feroci come l’opener Beg For Life, Planetary Clairvoyance (They Grow Inside Pt 2) e Heat Death.
L’album si avvale di strutture sonore ispirate da Cannibal Corpse, Blood Incantation e Abhorrence, confermando i Tomb Mold come gruppo assolutamente a suo agio nel panorama estremo underground di matrice death metal.

Tracklist
1. Beg For Life
2. Planetary Clairvoyance (They Grow Inside Pt 2)
3. Phosphorene Ultimate
4. Infinite Resurrection
5. Accelerative Phenomenae
6. Cerulean Salvation
7. Heat Death

Line-up
Derrick vella – Guitars
Max Klebanoff – Vocals
Steve Musgrave – Bass
Payson Power – Guitars

https://www.facebook.com/tombmold

Rival Sons – Feral Roots

Far passare per semplice attitudine vintage, opere e band di questo valore sarebbe peccato mortale, il genere è vivo e vegeto e si rigenera grazie al talento di gruppi come i Rival Sons.

Prima di avvicinarvi al nuovo lavoro firmato dai Rival Sons, sarebbe opportuno chiarire un concetto: l’hard rock di matrice settantiana è tornato con il suo carico di blues, ad incendiare gli impianti stereo dei fans di Led Zeppelin e compagnia con una serie di band e album che davvero poco avrebbero da invidiare alle opere leggendarie uscite nel decennio d’oro del rock duro.

Ma non saranno certo gruppetti di ragazzini costruiti a tavolino dai mercenari del music biz a cambiare la storia di questo clamoroso ritorno, ma una serie di gruppi che dall’America, al Regno Unito, fino alle fredde terre del nord, hanno conquistato i fans, ognuna con una sua personale visione della materia, ognuna con il talento giusto per rimanere nel mercato, senza farsi dimenticare dopo un paio di lavori.
I Rival Sons sono sicuramente tra questi, giunti al sesto lavoro, continuano con il loro personale tributo agli anni settanta e all’hard rock segnato da stigmate blues, dal chiaro ma a volte semplicistico riferimento agli Zep ed alle loro intramontabili opere.
D’altronde dieci anni di album e live hanno portato i Rival Sons ad avere una reputazione più che consolidata e non sarà certo un album come Feral Roots a far perdere punti alla band tra gli amanti del genere.
Con sempre il fido Dave Cobb dietro al mixer, la band sforna undici spettacolari brani dove, se sicuramente non troverete chissà quali soprese compositive, verrete travolti da una cascata di note sanguigne, tra rock e blues, suonate con grinta ed una teatralità a tratti spropositata.
Il quartetto statunitense parte in quarta con il riff mostruoso dell’opener Do You Worst e non si ferma più con la coppia Jay Buchanan (voce) e Scott Holiday (Chiatarra) a dare letteralmente di matto, coadiuvati dalla solita e precisa sezione ritmica composta da Dave Beste al basso e Mike Miley alla batteria.
Basterebbe il blues ferale di Stood By Me per decretare il nuovo Rival Sons come un altro pezzo da novanta tra le opere di genere degli ultimi tempi, ma Back In The Woods, le armonie acustiche della rupestre Look away che cresce di intensità ed esplode nel finale, la splendida e solare Imperial Joy, non mancano di incantare l’ascoltatore rapito dal sound di questi ottimi interpreti dell’hard rock classico del nuovo millennio.
Far passare per semplice attitudine vintage, opere e band di questo valore sarebbe peccato mortale, il genere è vivo e vegeto e si rigenera grazie al talento di gruppi come i Rival Sons.

1.Do You Worst
2.Sugar On The Bone
3.Back In The Woods
4.Look away
5.freal Roots
6.Too Bad
7.Stood By Me
8.Imperial Joy
9.All Directions
10.End Of Forever
11.Shooting Stars

Jay Buchanan – Vocals
Scott Holiday – Guitars
Dave Beste – Bass
Mike Miley – Drums

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Aether – In Embers

In Embers si rivela un album piacevole, di maniera per molti, ma molto interessante per chi ama queste sonorità e le band di riferimento degli Aether.

L’underground metallico è sempre ricco di sorprese e quando meno te lo aspetti riesce ancora a sorprendere con inaspettati doni musicali come questo bellissimo lavoro intitolato In Embers, dei polacchi Aether.

Il giovane gruppo proveniente da Łódź, attivo dal 2015, dà alle stampe il suo primo lavoro su lunga distanza dopo l’ep Tale Of Fire uscito tre anni fa, accolto molto bene dagli addetti ai lavori.
L’album si destreggia tra i cliché di un genere che poco ha da dire in termini di originalità ma che, in mano ad un gruppo come quello polacco riesce ancora a dire la sua, tra ritmiche death/power, tappeti di tastiere a donare un tocco symphonic e tanta metallica epicità.
Con la prima traccia veniamo trasportati nelle fredde lande dell’est, tra venti scandinavi che scendono a diminuire ulteriormente la temperatura, la successiva Wildfire Within risulta la classica power metal song che solo l’uso del growl avvicina al death metal melodico, mentre Tale Of Fire alza l’atmosfera epica, seguita da Valhalla.
L’atmosfera maestosa di Last Battle macchia di sangue il manto nevoso tra non pochi riferimenti ai vari Wintersun, Insomnium, Omnium Gatherum e Stratovarius, con l’aggiunta dei nostri Rhapsody Of Fire a portare fiera la bandiera del symphonic power.
In conclusione In Embers si rivela un album piacevole, di maniera per molti, ma molto interessante per chi ama queste sonorità e le band di riferimento degli Aether.

Tracklist
1.Golden Eyed Fox
2.Wildfire Within
3.Elements
4.Tale of Fire
5.Valhalla
6.Last Battle
7.Forest
8.Insomnia
9.Dream

Line-up
All guitars and vocals by Michał Miluśki
Bass by Michał Górski
Keyboards by Krzysztof Wiedeński

Drums performed by Rolf Pilve (Stratovarius, Wintersun, Solution 0.45)
Guest vocals by Vincent Jackson Jones (Aether Realm)
Choirs/backing clean vocals by Artur Rosa Rosiński (Lux Perpetua)
Orchestrations by Topias Kupiainen (Arion)
Female vocals by Aneta Sikorska

Michał Miluśki – guitars and vocals
Michał Górski – bass
Krzysztof Wiedeński – keyboards
Krzysztof Grochowski – guitars
Maksym Steć – drums

https://www.facebook.com/aethermelodeath/?fref=ts

Pretty Wild – Interstate 13

Il sound di Interstate 13 pulsa di influenze che vanno ricercate tra le band che fecero la storia del genere come i sempre presenti Mötley Crüe oppure Winger, Steelheart e Firehouse, il che tradotto significa zero originalità, tanta attitudine e soprattutto belle canzoni.

Le terre scandinave, da molti considerate a ragione culla del metal estremo e dei suoni power, continuano a sfornare ottime band dai suoni classici in un hard rock ispirato alla scena americana di fine anni ottanta.

Hard rock, sleaze/street e hair metal, sono generi radicati nelle terre del nord da decenni, basti pensare agli Hanoi Rocks, la band di Michael Monroe ed Andy McCoy, fermata sul più bello dal tragico incidente che causò la morte del batterista Razzle una notte di bagordi sul Sunset Boulevard.
Il gruppo svedese dei Pretty Wild, già passato agli onori della cronache rock con il precedente lavoro omonimo uscito nel 2014, torna con un nuovo album a ribadire la bontà delle nuove leve dedite a queste sonorità,.
Il quartetto, come da copertina, lascia la propria terra per avventurarsi nell’assolato deserto americano sulla Interstate 13, viaggiando tra la storia dell’hard rock statunitense, tra hair/sleaze metal ed hard rock classico dando vita ad una raccolta di brani in cui le parole d’ordine sono energia e melodia.
Una tracklist che lascia il segno, composta da un lotto di canzoni dove melodie vocali dall’appeal enorme, riff graffianti e tanta ruffiana attitudine rock riescono a far prigionieri non pochi rockers dal cuore che pulsa di note perse nelle notti di un’America che stava per lasciare le strade illuminate di Los Angeles per quelle bagnate di Seattle.
Le prime sette tracce non lasciano dubbi sulla voglia di Ivan Ivve Höglund e compagni di fare danni, veniamo quindi travolti dall’irresistibile hard classic rock venato di hair metal di Ment For Trouble, Superman, Wild And Free e Stand My Ground, tracce diverse tra loro, tra mid tempo, ritmiche assassine e chorus assassini, con una Shot Me Down che stravince il premio di miglior canzone dell’album.
Il sound di Interstate 13 pulsa di influenze che vanno ricercate tra le band che fecero la storia del genere come i sempre presenti Mötley Crüe oppure Winger, Steelheart e Firehouse, il che tradotto significa zero originalità, tanta attitudine e soprattutto belle canzoni.

Tracklist
01. Let’s Get It Out
02. Meant For Trouble
03. Superman
04. Wild And Free
05. Give It All Tonight
06. Stand My Ground
07. The Way I Am
08. Thanks To You
09. Shot Me Down
10. Walk The Edge
11. I Love It
12. Break Down The Walls

Line-up
Ivan Ivve Höglund – Vocals
Axl Ludwig – Guitars
Kim Chevelle – Bass
Johnny Benson – Drums

https://www.facebook.com/prettywildofficial/

Lyken21 – Cyclical Insight

L’unico difetto che si porta dietro Cyclical Insight potrebbe risultare proprio la sua totale mancanza di coesione compositiva, perché un sound così eterogeneo rischia d’essere un’arma a doppio taglio, specialmente al cospetto degli ascoltatori più conservatori.

Proposta molto interessante quella dei Lyken21, quartetto con molte frecce al proprio arco in un sound crossover che unisce metal moderno ed heavy/thrash tradizionale.

La band del New Jersey ha all’attivo quattro full length, dati alle stampe tra il 2007 ed il 2015, ed ora torna in pista grazie alla Sliptrick Records che licenzia questo buon lavoro intitolato Cyclical Insight.
Prodotto dal chitarrista dei Dillinger Escape Plan Kevin Antreassian con l’aiuto del cantante del gruppo Marton Miklos (Mike Portnoy, The Dillinger Escape Plan, Russell Allen, The Number 12 Looks Like You), l’album regala undici brani che spaziano tra un buon numero di generi ed influenza, con la band aiutata da vari ospiti tra cui Mike Lepond, bassista dei Symphony X.
I Lyken21 quindi non offrono una visione del tutto nitida del loro credo musicale, che rimane legato al metal ma che vive di impulsi e ispirazioni diversi, tra heavy/thrash, prog e modern metal.
A tratti sembra di ascoltare degli Iced Earth dal sound più moderno, altre volte si manifestano sonorità progressive (Symphony X) oppure appaiono passaggi diretti a dall’impatto thrash metal (Metallica/Megadeth).
Ottimi solos classici abbandonano i territori modern metal per poi tornarvi e lasciare il campo ad atmosfere progressive, la buona tecnica di cui si possono vantare il musicisti fa il resto e le varie Assassin, Starlight ed American Zombie risultano brani lontani tra loro, ma convincenti.
L’unico difetto che si porta dietro Cyclical Insight potrebbe risultare proprio la sua totale mancanza di coesione compositiva, perché un sound così eterogeneo rischia d’essere un’arma a doppio taglio, specialmente al cospetto degli ascoltatori più conservatori.

Tracklist
1.Assassin
2.Shadows
3. Sanctified
4. Good Can Be Good
5. Revelation Reality
6. Hell’s 4 Children
7. Starlight
8. Doomsday Deception (German)
9. Lost In My Head
10. American Zombie
11. Ebb Of Humanity

Line-up
Marton Miklos – Vocals/Keyboards
Oleg Lipovchenko – Guitars
Andres Nuiver – Bass
Joe Billy III – Drums

https://www.facebook.com/Lyken21

Havamal – Tales From Yggdrasil

Un buon lavoro che sicuramente troverà spazio nei cuori degli amanti del death metal melodico epico e battagliero e che ha negli Amon Amarth la fonte di ispirazione indiscussa.

Giunge fino a noi la parola di Odino (il monicker Havamal è ispirato proprio dal poema che secondo la tradizione nordica fu composta da Odino in persona) con il primo lavoro sulla lunga distanza degli Havamal intitolato Tales from Yggdrasil.

Niente di nuovo quello portato dai venti gelidi che si rinforzano in terra scandinava, il sound del quintetto poggia su un melodic death metal epico e di matrice viking.
In breve gli Hamaval accentuano la componente melodica in un sound debitore nei confronti degli Amon Amarth et similia, strutturato sulla presenza fissa delle tastiere a fare da tappeto epico ad un melodic death dai solos ispirati all’heavy classico. Nella sua semplicità Tales From Yggdrasil si ascolta che è un piacere, composto da una raccolta di brani, talvolta infiorettati da arrangiamenti orchestrali, mentre la chitarra come un’infallibile ascia squarcia il cielo illuminato dalle saette, come avviene nella potente Berserker, nel mid tempo mid tempo power epico di Death Of Balder e nell’inno Hail Havamal.
Un buon lavoro che sicuramente troverà spazio nei cuori degli amanti del death metal melodico epico e battagliero e che ha negli Amon Amarth la fonte di ispirazione indiscussa.

Tracklist
1.Harken the Shadows
2.Draugers March
3.Berserker
4.Dawn of the Frost Giants
5.Blood Oath
6.Net of Rain
7.Death of Balder
8.Hail Havamal
9.Ginnungagap

Line-up
Björn – Vocals
Lennie – Guitar
Kjell – Guitar
Sandra – Bass
Andreas – Drums

https://www.facebook.com/Havamalofficial

Royal Republic – Club Majesty

I quattro musicisti di Malmö, look da balera ed attitudine sfrontata come pochi, arrivano al quarto album intitolato Club Majesty continuando con la loro rivisitazione in chiave rock della musica dance di quarant’anni fa, un’irresistibile quanto appagante tuffo nella musica tutta luci e lustrini.

I Royal Republic sono un’entità a sé nel panorama musicale odierno, fanno rock ma lo maltrattano con schiaffoni dance, pop funky e soul in un’orgia di suoni ed umori che passano agevolmente dal glam, al rock’n’roll , per poi finire sulla pista da ballo di locali dove si balla musica che non supera l’anno di grazia 1978.

I quattro musicisti di Malmö, look da balera ed attitudine sfrontata come pochi, arrivano al quarto album intitolato Club Majesty continuando con la loro rivisitazione in chiave rock della musica dance di quarant’anni fa, un’irresistibile quanto appagante tuffo nella musica tutta luci e lustrini.
La Febbre del Sabato Sera è servita, mentre con l’opener Fireman & Dancer scendiamo sulla pista da ballo e ci scateniamo tra rock’n’roll e dance di alto livello; Can’t Fight The Disco non permette ai nostri arti di fermarsi mentre li muoviamo incontrollati al ritmo della spettacolare Blunt ForceTrauma.
Questo revival glam/dance che sta acquisendo sempre più spazio sul mercato discografico, trova nei Royal Republic la band di riferimento: Adam Grahn e compagni sanno come far divertire, mantenendo più di un piede nel rock, (la conclusiva Bulldog è un rock’n’roll micidiale), ma lasciando che l’atmosfera danzereccia non perda mai appeal nei confronti di chi ascolta.
Mezz’ora abbondante da spararsi a volume illegale, magari dopo aver organizzato un party con tanto di girandole di luci colorate, brillantini e tanto rock’n’roll.

Tracklist
1.Fireman & Dancer
2.Can’t Fight the Disco
3.Boomerang
4.Under Cover
5.Like a Lover
6.Blunt Force Trauma
7.Fortune Favors
8.Flower Power Madness
9.Stop Movin’
10.Anna-Leigh
11.Bulldog

Line-up
Adam Grahn – vocals
Hannes Irengård – guitars
Jonas Almén – bass
Per Andreasson – drums

http:www.facebook.com/royalrepublic

Lord Dying – Mysterium Tremendum

Il tema della morte ed il mistero della vita accentuano la sensazione di essere al cospetto di un album particolare, un gioiello che dà la possibilità ai Lord Dying di entrare nelle play list di fine anno a colpi di possente ed imperdibile metallo d’autore.

Bellissimo, affascinante e suggestivo, il terzo album dei Lord Dying incorona la band di Portland come una tre le massime espressioni odierne per quanto riguarda lo sludge/doom metal, anche se alla luce di quanto ascoltato su Mysterium Tremendum imprigionare la musica del combo in un solo genere diventa alquanto difficile.

Metal di non facile classificazione dunque, anche se la matrice è assolutamente sludge, le atmosfere passano in attimi veloci come battiti di ciglia tra sfumature vicine al post rock, sferzate metalliche e lente marce di musica del destino, venate da un’anima progressive ed heavy classiche.
Il gruppo statunitense, attivo dal 2010 e con due full length alle spalle, arriva al suo capolavoro grazie ad un indovinato attingere alle sue ispirazioni, lontano da facili strutture e carico di attitudine ed impatto, tellurico nei passaggi pesanti come macigni, splendido in quelli in cui le armonie rock prendono il sopravvento sulla forza bruta.
La band non sbaglia un passaggio, perfetta in ogni dettaglio a cominciare dall’opener Envy The End e i picchi qualitativi che fanno di questo lavoro un’opera d’arte come Nearing the End of the Curling Worm, la magnifica Severed Forever e Split from a World Within, Devoid of Dreams Death, The Final Loneliness.
Il tema della morte ed il mistero della vita accentuano la sensazione di essere al cospetto di un album particolare, un gioiello che dà la possibilità ai Lord Dying di entrare nelle play list di fine anno a colpi di possente ed imperdibile metallo d’autore.

Tracklist
1. Envy the End
2. Tearing at the Fabric of Consciousness
3. Nearing the End of the Curling Worm
4. The End of Experience
5. Exploring Inward (An Unwelcome Passenger)
6. Severed Forever
7. Even the Darkness Went Away
8. Freed from the Pressures of Time
9. Lacerated Psyche
10. Split from a World Within, Devoid of Dreams Death, The Final Loneliness
11. Saying Goodbye to Physical Form

Line-up

Erik Olson-guitar/vocals
Chris Evans-guitar
Matt Price-bass
Chase Manhattan-drums

https://www.facebook.com/LordDying

Sad Iron – Chapter II: The Deal

Ritmiche scagliate a velocità della luce, solos taglienti come rasoi, e refrain da pogo infernale sotto qualunque palco in giro per locale e festivals, niente di più e niente di meno, una garanzia la track list di questo lavoro per i fans di queste sonorità.

Heavy, speed, thrash metal old school, una corsa a tutta velocità nel sound che ha fatto storia, questo è il terzo album in uscita per Wormholedeath dei Sad Iron, una macchina da guerra metallica fieramente old school.

Il gruppo olandese risulta attivo dai primi anni ottanta, con il primo album, intitolato Total damnatio targato 1983, quindi siamo al cospetto di gente che ha scritto un pezzo di storia l’ha scritta nell’underground metallico europeo.
Un lungo silenzio interrotto tre anni fa con la pubblicazione di The Antichrist ed ora questo nuovo album intitolato Chapter II: The Deal, composto da una decina di canzoni veloci come il vento, dirette e tradizionalmente old school, che ci catapultano in quelle atmosfere ottantiane mai dimenticate, soprattutto se si hanno un bel po’ di capelli bianchi sulla ormai rada chioma.
Ritmiche scagliate a velocità della luce, solos taglienti come rasoi, e refrain da pogo infernale sotto qualunque palco in giro per locale e festivals, niente di più e niente di meno, una garanzia la tracklist di questo lavoro per i fans di queste sonorità.
Suonate dai Sad Iron, le varie The Deal (The Story Of Miss Betty), Revolution e la magnifica Fighting For Revenge si rivelano esplosioni di metal adrenalinico vecchia scuola e Chapter II: The Deal, nella sua interezza, un lavoro heavy/speed/thrash metal convincente su tutta la linea.

Tracklist
1.The Deal (The Story of Miss Betty)
2.Revolution
3.Raise Hell
4.Warmonger
5.Now It’s Dark
6.Fighting for Revenge
7.F.O.B
8.Murder of Crows
9.Weaponized
10.We Play to Kill

Line-up
Marc van den Bos – Guitar, vocals
Bernard Rive – Guitar
Bjorn Hylkema – Bass, backing vocals
Marco Prij – Drums

https://www.facebook.com/sadironmetal/

Ares Kingdom – By the Light of Their Destruction

Grezzi, indiavolati e cattivissimi gli Ares Kingdom non tradiscono, continuano il loro discendere negli abissi paludosi del death metal fregandosene altamente di quello che la tecnologia ha regalato in tutti questi anni, confezionando un album malvagio, brutale e rivolto agli appassionati più incalliti.

Il sound degli Ares Kingdom è un death/thrash metal old school, devastante e senza compromessi, legato a doppia mandata alla scuola estrema a cavallo tra gli anni ottanta (thrash) ed il decennio successivo (death).

La band nasce a metà anni novanta, la sua discografia vanta tre full length e numerosi ep, arrivando a questo nuovo quarto lavoro su lunga distanza dopo che tra il 2018 e quest’anno ha rilasciato la bellezza di quattro ep.
Death/thrash old school, dove anche la produzione segue il sound nel ricordare i pionieri del metal estremo, tra Slayer, Possessed e primi Obituary.
By the Light of Their Destruction è composto da otto brani che non trovano sbocchi se non nei gusti degli affezionati, di quei fans duri e puri che disprezzano tutto quello che viene prodotto oggigiorno, a meno che non risultino tributi alla scena metallica estrema di trent’anni fa, tra Slayer, Possessed e primi Obituary.
Grezzi, indiavolati e cattivissimi gli Ares Kingdom non tradiscono, continuano il loro discendere negli abissi paludosi del death metal fregandosene altamente di quello che la tecnologia ha regalato in tutti questi anni, confezionando un album malvagio, brutale e rivolto agli appassionati più incalliti.
Tracklist
01. The Hydra Void
02. Burn, Antares (Scorpius Diadem)
03. Dark Waters Eridanus
04. Eighteen Degrees Beneath
05. Allegory
06. The Bones Of All Men
07. Iconologia
08. Talis Chimera Est

Line-up
Alex Blume – Vocals/Bass
Chuck Keller – Lead Guitar
Mike Miller – Drums

https://www.facebook.com/Ares-Kingdom-97935152280/

https://youtu.be/NBbT6LJtwhs

Trench Warfare – Hatred Prayer

Il suono grezzo e senza compromessi pone i Trench Warfare come realtà di matrice old school e senza ombra di dubbio imprigionata nella melma infernale dell’underground più estremo e violento. L’attitudine evil fa il resto e l’album, composto da una dozzina di esplosioni metalliche si carica di atmosfere di morte, guerra e perversione.

La Transcending Obscurity è ormai da anni un punto di riferimento per gli amanti del metal estremo in tutte le sue oscure anime.

Dall’Asia agli stati Uniti, passando per l’Europa, i suoi tentacoli sono arrivati fino ai più neri abissi dell’underground mondiale con sempre più band ed artisti a valorizzare un roster impressionante.
I Trench Warfare per esempio sono un gruppo texano che licenzia il primo album su lunga distanza intitolato Hatred Prayer, una mezz’ora circa di violentissimo death metal pregno di attitudine black.
Il suono grezzo e senza compromessi pone i Trench Warfare come realtà di matrice old school e senza ombra di dubbio imprigionata nella melma infernale dell’underground più estremo e violento.
L’attitudine fa il resto e l’album, composto da una dozzina di esplosioni metalliche, si carica di atmosfere di morte, guerra e perversione.
Rallentamenti doom/death creano un alone morboso vecchia scuola, così che brani pachidermici come Astral Projection o New Lord risultano vere e proprie colate di lava proveniente dall’inferno.
Accelerazioni al limite del brutal, attitudine black metal e potenza death sono il mortale mix proposto dai Trench Warfare, consigliato agli amanti dei vari Morbid Angel, Deicide e Sarcofago.

Tracklist
1. Decimate Legions
2. Spare No Wrath
3. Axioms of Prevarication
4. Barbarous Temperment
5. Astral Projection into the Shapeless Abysmal Void
6. Evil Shall Triumph
7. Behead Muhammad
8. Young Lord (Poison Idea cover)
9. The New Lord
10. Blood Cleaning
11. Sate Thy Lust
12. Hatred Prayer

Line-up
Tony Goyang Jr – Guitars, Bass
Jay Gorania – Vocals
Lee Fisher – Drums

https://www.facebook.com/trenchwarfaretexas/