Ho amato da subito la musica degli HellLight, fin da quel “Funeral Doom” (titolo programmatico anche se per certi versi fuorviante), secondo full-length nel quale, pur tra diverse imperfezioni, la band paulista mostrava un potenziale melodico ed evocativo in grado di esplodere da un momento all’altro.
Il successivo “…And Then, The Light Of Consciousness Became Hell…” aveva confermato quelle impressioni, rafforzate da un evidente progresso dal punto di vista della tecnica strumentale e della produzione. Tutto ciò faceva pensare che il quarto album sarebbe potuto essere quello della definitiva consacrazione ma, pur essendo stato compiuto un ulteriore passo avanti, non è andata proprio così, perché quei piccoli difetti strutturali che gli HellLight si trascinano dietro fin dagli esordi non sono ancora del tutto scomparsi. Intendiamoci, No God Above, No Devil Below, è un bellissimo disco, straconsigliato a chi apprezza il doom nella sua versione più melodica, malinconica ed accessibile, ma l’impressione che resta, al termine di questi quasi 80 minuti di musica, è quella di una band che non è ancora riuscita a compiere il passo decisivo per raggiungere un livello prossimo a quello dei Saturnus, tanto per restare nel medesimo ambito stilistico, anche se mi rendo conto che non stiamo parlando di un qualcosa alla portata di tutti. Pregi e difetti della band guidata dal chitarrista e cantante Fabio De Paula sono essenzialmente racchiusi negli oltre venti minuti complessivi della title-track e della successiva Shades Of Black: uno spiccato senso melodico al servizio di meste partiture tastieristiche, l’alternanza tra un profondo growl ed una stentorea voce pulita, ritmiche pachidermiche e assoli di chitarra di stampo classico nonché di eccellente gusto e fattura. Sfido chiunque sia dotato di un minimo di sensibilità a non commuoversi ascoltando l’incipit di Shades Of Black, il tipico brano che da solo vale un intero disco, peccato che la scelta di un suono di batteria troppo secco (tale da sembrare quasi una drum-machine) e, soprattutto, il ciclico ricorso a una voce pulita che è rimasta quella stridula e un po’ incerta già esibita ai tempi di “Funeral Doom”, costringano la band paulista a restare un gradino al di sotto dell’eccellenza assoluta. Perché, diciamocela tutta, ogni volta che Fabio De Paula decide di prodursi nelle sue evoluzioni chitarristiche riesce a regalare momenti realmente indimenticabili, e questo è sicuramente un significativo punto di contatto con i Saturnus; ma, mentre in questi ultimi Thomas Jensen si limita saggiamente ad esibire, oltre al proprio profondo growl, soltanto alcune parti recitate, negli HellLight l’uso delle clean vocals appare forzato se non addirittura superfluo, visto che già la sola struttura compositiva dei brani contribuisce a creare emozioni in abbondanza. Il resto dell’album segue di norma uno schema consolidato, con brani contraddistinti da una lunga e più pacata parte introduttiva che sfocia in un finale nel quale si erge a protagonista la sei corde del leader , fatta eccezione per Path Of Sorrow, con la sua struttura di stampo autenticamente funeral; tutto ciò rischia talvolta di appesantire l’ascolto di No God Above, No Devil Below, anche se per chi apprezza il genere la cosa si rivelerà un piacevole sacrificio. Forse sono stato eccessivamente critico nei confronti degli HellLight, e ciò che mi ha trasmesso davvero questo loro ultimo lavoro lo mostra chiaramente il voto piuttosto elevato assegnatogli; purtroppo, però, in un’ottica di ricerca del meglio, non si può sorvolare su quei particolari che, per ora, impediscono il definitivo decollo ad una band capace di creare con una simile naturalezza melodie talmente coinvolgenti. Ma, si sa, a volte il troppo amore rende le persone particolarmente esigenti …
Tracklist :
1. Intro
2. No God Above, No Devil Below
3. Shades of Black
4. Unsacred
5. Legacy of Soul
6. Path of Sorrow
7. Beneath the Lies
8. The Ordinary Eyes
Line-up :
Fabio De Paula – Guitars, Vocals, Keyboards
Alexandre Vida – Bass
Rafael Sade – Keyboards
Phill Motta – Drums