Pensare di recensire (inteso nel senso meno nobile di fargli le pulci) un disco dei King Crimson, a pensarci bene, rischia di sembrare un atto di presunzione: chi siamo noi (direbbe qualcuno) per poter giudicare uno dei più grandi musicisti che abbiano solcato il pianeta negli ultimi cinquant’anni ? Nessuno, appunto, però allo stesso modo si ha il diritto di discuterne l’operato, sotto forma di scelte commerciali, un terreno scivoloso dove l’arte lascia spazio al marketing.
Uno dei pregi della creatura inventata alla fine degli anni ’60 da Robert Fripp è sempre stata quella di non cedere in maniera spudorata alla tentazione del revival, cioè alla tanto vituperata trasformazione in cover band di sé stessi, badando a mettere in moto la macchina live per lo più solo dopo aver dato alle stampe un album di inediti, e spesso ignorando perfidamente in tale sede i brani di più vecchia data, i cosiddetti classici.
La tendenza pare esser cambiata negli ultimi anni, visto che Fripp ha messo in piedi questa strana formazione a sette, dotata di ben 3 batteristi (!), con la quale alla soglia delle sue settanta primavere se ne sta andando da un po’ in giro per il mondo a riportare il verbo crimsoniano.
La band di culto per eccellenza del progressive toccherà anche il suolo italico (il biglietto per il concerto del 5 novembre a Milano è già stato accaparrato …) e sarà l’occasione per chi, come me, nonostante la non più verde età, è riuscito a vederla una sola volta in concerto, a Genova nel 2003.
In quell’occasione il repertorio più datato si spingeva indietro per lo più fino ai dischi degli anni ’80, gli stessi che sono stati letteralmente “banditi” nella scelta della scaletta per questo triplo cd intitolato Radical Action (To Unseat The Hold of Monkey Mind); non è difficile immaginare che il tutto possa essere dovuto all’assenza nella line-up di Adrian Belew, estromesso da Fripp in questa sua ennesima incarnazione del re cremisi.
Non so neppure se possano esserci anche aspetti legati ai diritti dei brani composti in compartecipazione con il cantante-chitarrista americano, fatto sta che in questa uscita si passa a piè pari dalla storica produzione settantiana a quella degli anni novanta, bypassando un capolavoro come Discipline a favore di album ben più opachi.
Va detto anche che la voce “lakeiana” di Jakko Jakszyk mal si sarebbe prestata all’interpretazione di Elephant Talk piuttosto che di Frame By Frame o Thela Hun Ginjeet, pertanto prendiamoci quanto di buono (ed è molto) ha da offrire questo live, suddiviso come detto in 3 cd denominati, rispettivamente, Mainly Metal, Easy Money Shots e Crimson Classics.
Nel primo cd, che si apre e si chiude con le (magnifiche) due parti di Larks’ Tongues In Aspic, sono proposti alcuni dei brani composti dall’attuale formazione e mai confluiti su alcun disco, benché siano stati presentati più volte dal vivo: va detto che alcune di queste sono tracce davvero interessanti e di gran lunga superiori a quelle che facevano parte di A Scarcity Of Miracles, ultimo lavoro in studio attribuibile di fatto ai King Crimson, pur se uscito a nome di Jakszyk, Fripp e Collins.
Il secondo cd, come da manifestazione d’intenti, vede Easy Money quale suo fulcro, assieme ad estratti da In The Wake Of Poseidon (Peace e Pictures Of A City) ed Islands (The Letters e Sailor’s Tale) mentre il terzo è, alla fine, quello che farà maggiormente la gioia dei fan di vecchia data, contenendo, al netto dell’assolo di batteria di Devil Dogs Of Tessellation Row, solo pietre miliari della produzione crimsoniana quali Red, One More Red Nightmare, Epitaph, Starless, The Court Of The Crimson King e 21st Century Schizoid Man.
Fatto l’appello e constatato che, almeno, per quanto riguarda gli anni ’70, a prima vista non si segnalerebbero particolari errori od omissioni nella compilazione della scaletta se non si scoprisse, a posteriori, che anche un disco “discreto” come Starless And Bible Black è scomparso dai radar, veniamo al modus operandi, ovvero come tali brani sono stati reinterpretati da questa formazione.
Dato per certo che in sede live i King Crimson, per indole del loro creatore, non sono mai stata band da riproposizione in fotocopia dei brani rispetto alle versioni in studio, la presenza di Mel Collins in qualche modo condiziona la scelta degli arrangiamenti perché, è evidente, se hai un fior di sassofonista/flautista sul palco bisogna pure sfruttarlo. E’ per questo probabilmente che un brano metal ante litteram come Red viene appesantito da un sax che centra come i cavoli a merenda, e lo stesso succede anche in The Talking Drum; al contrario il flauto in The Court Of The Crimson King ed il sax in Starless sono elementi fondanti dei brani anche nella loro stesura originale e quindi la loro presenza si rivela essenziale per la resa finale.
Altri dubbi permangono sull’utilità del triplo batterista, all’apparenza più una bizzarria frippiana che non un’effettiva necessità, tanto più che i brani in cui tale soluzione avrebbe trovato la sua massima esaltazione sono proprio quelli dei King Crimson ottantiani; infine, l’interpretazione vocale di Jakszyk non brilla per personalità, né nei brani cantati originariamente dal suo modello Greg Lake, né soprattutto in quelli che venivano contraddistinti dalla voce ben più calda di John Wetton.
Insomma, Radical Action (To Unseat The Hold of Monkey Mind) è un comunque gradito “malloppone” in cui alle molte luci si alternano diverse ombre, ovviamente il tutto riferito non all’impeccabile esecuzione di musicisti inattaccabili su ogni fronte, ma a scelte talvolta non condivisibili, inclusa quella di incidere un live cancellando di fatto la presenza del pubblico.
A tale proposito, rispetto alla versione audio, dovrebbe risultare senza’altro più accattivante ed appetibile quella in DVD, dove invece il pubblico (forse perché si vede ..) non è stato ammutolito.
Detto questo, non vedo l’ora di ascoltare dal vivo per la prima (e presumibilmente anche l’ultima) volta, una serie di canzoni che hanno segnato indelebilmente la mia adolescenza (se i ragazzini oggi sentono Andiamo a Comandare con l’i-pod ed io quarant’anni fa avevo Starless nel mangianastri, sarà il caso di chiedersi se il progresso culturale sia andato di pari passo con quello tecnologico); mi recherò al concerto con la coscienza a posto di chi spende il giusto per andare a vedere a teatro i cosiddetti “dinosauri”, senza dimenticare (mai) di supportare, spesso assieme a pochi intimi, le esibizioni di ottime band contemporanee che il 90% di quelli che saranno assisi agli Arcimboldi, invece, continueranno bellamente ad ignorare per partito preso. C’est la vie …
Tracklist:
DISC 1 – Mainly Metal:
01. Larks’ Tongues In Aspic Part One
02. Radical Action (to Unseat The Hold Of Monkey Mind)
03. Meltdown
04. Radical Action II
05. Level Five
06. The Light Of Day
07. The Hell Hounds Of Krim
08. The ConstruKction Of Light
09. The Talking Drum
10. Larks’ Tongues In Aspic Part Two
DISC 2 – Easy Money Shots:
01. Peace
02. Pictures Of A City
03. Banshee Legs Bell Hassle
04. Easy Money
05. VROOOM
06. Suitable Grounds For The Blues
07. Interlude
08. The Letters
09. Sailor’s Tale
10. A Scarcity Of Miracles
DISC 3 – Crimson Classics:
01. Red
02. One More Red Nightmare
03. Epitaph
04. Starless
05. Devil Dogs Of Tessellation Row
06. The Court Of The Crimson King
07. 21st Century Schizoid Man
Line-up:
Mel Collins sax, flauto
Robert Fripp chitarra, tastiere
Gavin Harrison batteria
Jakko Jakszyk – chitarra, voce
Tony Levin – basso, stick
Pat Mastelotto – batteria
Bill Rieflin – batteria, tastiere