L’ascolto di dischi di questa portata, composti da gruppi semi sconosciuti, non è solo una bella sorpresa ma costituisce, semmai, uno dei tanti buoni motivi per continuare tentare di scrivere di musica, visto che in caso contrario ben difficilmente avrei potuto imbattermici.
Qualcuno potrà obiettare con ragione che i Lotus Thief sono stati autori di un buonissimo album prima di Gramarye e che, per questo motivo, è strano che fino ad oggi io ne ignorassi l’esistenza, ma non ho alcuna remora ad ammetterlo e faccio, anzi, i complimenti più sinceri a chi li aveva già intercettati in occasione di Rervm; del resto, ciò che importa è quanto contenuto all’interno del disco oggetto della recensione, e parlare del passato di una band (facilmente reperibile in rete anche se ignota fino a quel momento) per lo più rappresenta un modo facile e indolore per allungare il brodo, quando gli argomenti da trattare scarseggiano.
Non è questo il caso, ovviamente, pertanto veniamo al dunque: Gramarye è la manifestazione definitiva del talento musicale cristallino esibito dai californiani Otrebor e Bezaelith, duo rodato ed integrato in quest’occasione dall’apporto di una Iva Toric che arricchisce ancor più i contenuti del lavoro, ridefinendo ancora un volta i confini del metal, un galassia in costante movimento ed espansione alla faccia dei detrattori e dei media italiani più importanti, i quali continuano a contrabbandarlo come una sorta di sub cultura appannaggio di drogati e disadattati.
Se costoro avessero orecchie per sentire forse cambierebbero radicalmente idea nello scoprire la bellezza e la profondità che i Lotus Thief riversano nel loro ultimo disco: Gramarye è un termine che in inglese arcaico stava ad indicare una forma di conoscenza occulta, ed infatti i cinque brani si ricollegano ad altrettante opere letterarie intrise di questa materia, in un viaggio millenario che parte dal Libro dei Morti dell’Antico Egitto per giungere fino all’era contemporanea, con The Book Of Lies di Aleister Crowley.
Un percorso magico ed affascinante, nel corso del quale la musa Bezaelith, sostenuta in più di un passaggio dal controcanto della Toric, ci guida supportata da un tappeto sonoro di inestimabile bellezza, per il quale è decisivo il contributo ritmico e compositivo offerto dal drummer Otrebor. Post black metal, space rock, ambient, dark, molte sono le etichette e le sfumature che si è tentati di affibbiare a queste sonorità: la verità è che nessuna di queste vi aderisce in maniera perfetta: se The Book Of Dead appare l’episodio più robusto e metallico, quindi definibile con più di una buona ragione post black, la più rarefatta Circe (qui il libro in questione è ovviamente l’Odissea) cambia il volto e l’umore del lavoro, mantenendo ugualmente elevata la tensione emotiva e lo spessore melodico.
Non viene meno tutto ciò neppure nelle successive The Book Of Lies, in una più ambientale Salem, dotata di una fase iniziale che crea la giusta attesa nei confronti di apertura graduale, ma sempre in qualche modo trattenuta, fino a giungere alla meravigliosa Idisi, brano memorabile per forza evocativa che, di fatto, arriva a finalizzare quanto preparato dalla canzone precedente.
Gramarye, seppure sia collocabile nello stesso segmento stilistico con una certa approssimazione, rischia seriamente di oscurare per valore un altro bellissimo lavoro come Kodama degli Alcest, anch’essi facenti parte di quella fabbrica inesauribile di tesori musicali meglio conosciuta come Prophecy Productions.
Tracklist:
1.The Book Of The Dead
2.Circe
3.The Book Of Lies
4.Salem
5.Idisi
Line-up:
Bezaelith – bass, synth, guitar, vox
Iva Toric – synth, backing vox
Otrebor – drums