Zaum – Divination

Incredibile come questo gruppo riesca a costruire meravigliosi paesaggi sonori senza le chitarre, che vengono sostituite da un’impalcatura sonora fuori dal comune.

La presunta era tecnologica nella quale stiamo vivendo è l’ultimo tratto di un percorso illuminato e positivista della storia umana, che dopo millenni e secoli di buio ha finalmente scelto la luce della scienza, della ragione e del progresso tecnologico.

Ma prima cosa era l’uomo? Cosa faceva, cosa credeva, quale era il suo rapporto con la natura e con le altre dimensioni? E’ tutto qui nel nuovo disco degli Zaum, un gruppo che rende la musica un’espressione che va ben oltre il suono, per arrivare ad aprirci il terzo occhio e permetterci di vedere oltre. Dell’immensa storia umana pre-antropocene è rimasto bene poco, ma qui si possono recuperare sensazioni e visioni che pensavamo perse. Doom, esplosioni sludge, suoni da epoche lontane, il tutto in tre pezzi di lunga durata per un gruppo che continua a stupire disco dopo disco. I canadesi Zaum stanno percorrendo un cammino musicale notevole e personale, facendo incontrare situazioni e codici musicali molto diversi fra loro. Se si dovesse indicare un’influenza si potrebbero citare gli Zu, soprattutto per l’andamento mai regolare delle canzoni, ma la poetica è diversa. Gli Zaum questa volta ci portano nell’antica Burma, dove la natura incontra le tenebre e dove antichi dei giacciono vicino agli uomini. La loro musica è un concetto avanzato di musica pesante, in cui Kyle Alexander McDonald alla voce e al basso, e Christopher Lewis alla batteria e percussioni, sono coadiuvati dalla splendida e misteriosa egiziano canadese Nawal Doucette, che è un grande valore aggiunto al tutto.
Incredibile come questo gruppo riesca a costruire meravigliosi paesaggi sonori senza le chitarre, che vengono sostituite da un’impalcatura sonora fuori dal comune. L’effetto è straniante, tutto è potente e visionario, Divination è il loro disco più compiuto e di alta qualità, non perchè gli altri non fossero buoni, ma questo ha qualcosa in più. Analizzando bene il suono degli Zaum, oltre ad una fortissima impronta di musica tribale, si può definire il tutto come psichedelia altra, sia per l’andamento della musica che per le visioni che provoca. Non è da tutti intraprendere un nuovo percorso sonoro interessante e d originale riuscendo a essere immediatamente riconoscibili dall’ascoltatore. Un disco che è un viaggio ma anche uno sguardo molto accurato su cosa sia davvero l’uomo.

Tracklist
1 Relic
2 Pantheon
3 Procession

Line-up
Kyle Alexander McDonald – vocals, bass, textures
Christopher Lewis – drums, percussion
Nawal Doucette – visual performance art, ambiance

ZAUM – Facebook

ONSETCOLD

Il video di “Let Me Die” (Wormholedeath).

Il video di “Let Me Die” (Wormholedeath).

Experimental metal act Onsetcold is proud to release their 5th single “Let Me Die” via Wormholedeath.

Nuovo Singolo e Video per gli Onsetcold!

Gli Onsetcold sono orgogliosi di annunciare l’uscita del nuovo singolo e video “Let Me Die”.

“Let Me Die”
“In this life we have one promise and that promise is death. Enjoy it until the end.”

Totalitarian – Bloodlands

Non c’è un momento di resa, di pausa o di stanca, il sangue scende copioso come un fiume e non possiamo fare a meno di continuare a guardare il massacro, incalzati da un qualcosa che ci fa spingere oltre.

Sei pezzi brutali e sanguinari per descrivere campi di sangue che cola e i gemiti di chi sta morendo dopo la battaglia, o dopo qualche sterminio.

Il secondo disco degli italiani Totalitarian è una sequela di esplosioni del black metal più selvaggio e senza compromessi, rifacendosi alla tradizione con uno stile originale e per certi versi innovativo. Il gruppo romano continua ciò che aveva cominciato con il debutto del 2017 De Arte Tragoediae Divinae, un disco già notevole, ma che viene surclassato da questo sterminio musicale. Il black dei Totalitarian è una massa fisica di notevole dimensioni, che vuole portare dentro il male, sviscerandolo e rendendolo presente e doloroso. Chi ascolta black metal sa che il genere può avere infinite declinazioni, ma ci sono pochi gruppi che lo rendono qualcosa di tangibile, ed i Totalitarian sono fra questi. Il disco ci porta sui campi di battaglia della seconda guerra mondiale, nel ghetto di Varsavia o nei campi dei massacri di Babij Jar in Ucraina, ovunque l’uomo stermina i suoi simili in un immenso sacrificio. Il suono e l’epica dei Totalitarian potrebbe essere definito war metal, ma è qualcosa di più profondo, perché il loro black è di un altro livello rispetto alla media dei dischi di war metal, e anche i testi hanno una profondità notevole. Bloodlands non è un disco fatto per scioccare, ma è un affresco del male, sul male e fatto attraverso il male. Nell’album si sentono vari sottogeneri di black metal, da quello più ortodosso a cose più vicine al death: non c’è un momento di resa, di pausa o di stanca, il sangue scende copioso come un fiume e non possiamo fare a meno di continuare a guardare il massacro, incalzati da un qualcosa che ci fa spingere oltre. Arricchisce notevolmente il disco una sorta di coro tragico greco, ovvero un elemento narrativo che compare a rafforzare alcuni passaggi della narrazione musicale attraverso voci che sono celestiali e letali. Un disco che vuole far male e ci riesce in pieno.

Tracklist
1.1933
2.On The Wings Of The Great Terror
3.Defeated, Destroyed And Divided
4.Liberators
5.Of Bullets And Gas
6.Deathcult Eternal

TOTALITARIAN – Facebook

STRIKE AVENUE

Il video di “Unholy Prelude”.

Il video di “Unholy Prelude”.

“Unholy Prelude” by Strike Avenue and Blackrain Media. Produced, recorded, mixed and mastered at Blackrain Media (Cosenza, Italy – 2019). Drum, reamping guitars and vocals recording at Francesco Borrelli ‘s studio.
Artwork, video production and postproduction by Blackrain Media.

https://www.facebook.com/STRIKEAVENUE
https://www.instagram.com/strikeavenue/

De Lirium’s Order – Singularity

La parte progressiva risulta importantissima nell’economia di questo lavoro, i brani si susseguono in tempeste di note mai fini a sè stesse, accumunando death metal melodico, progressive, technical death e power metal.

Attivo dall’alba del nuovo millennio questo combo finlandese licenzia il quarto lavoro su lunga distanza dal titolo Singularity.

La line up attuale vede schierati membri di Abbath e Whispered (il batterista Ukri Suvilehto) ed Omnium Gatherum (il bassista Erkki Silvennoinen), mentre la musica proposta è un technical death metal progressivo e melodico, brutale ma allo stesso tempo pervaso da un’aura tradizionale, specialmente nelle atmosfere neoclassiche di cui è pregno.
La grande tecnica è al servizio di un metal estremo che, oltre agli amanti del genere, non mancherà di soddisfare gli appassionati di shred e di chi ha fatto la storia del virtuosismo chitarristico.
Il growl è profondo, il songwriting vario e l’ascolto ne trae giovamento, mettendo in luce la bravura dei musicisti senza perdere il filo di composizioni a tratti molto ben orchestrate tra fughe chitarristiche, momenti atmosferici e sfumature che vanno da note classiche, a bellissimi refrain che vedono protagonista la voce pulita (Ayatollah).
La parte progressiva risulta importantissima nell’economia di questo lavoro, i brani si susseguono in tempeste di note mai fini a sé stesse, accomunando death metal melodico, progressive, technical death e power metal.
The Billion Year Contract, Orion’s Cry e la conclusiva The End Of Time sembrano uscite da una jam che vede impegnati Barren Earth, Omnium Gatherum e Malmsteen, tra grande tecnica ed emozionanti passaggi in cui la musica scorre come un fiume in piena travolgendo senza freni l’ascoltatore: Singularity si rivela quindi un ottimo lavoro, sopra la media sia per quanto riguarda la tecnica che il songwriting.

Tracklist
1.I Have Awakened (Intro)
2.Ayatollah
3.Singularity
4.Surfaced
5.The Billion Year Contract
6.Acoustic Medley
7.Orion’s Cry
8.Piazzola.
9.The End Of Time

Line-up
Kari Olli – Vocals
Juha Kupiainen – Guitars
Vesa Nupponen – Guitars
Erkki Silvennoinen – Bass
Ukri Suvilehto – Drums (guest member)

DE LIRIUM’S ORDER – Facebook

Noemi Terrasi – Black Seagull

Black Seagull è un lavoro molto suggestivo e pervaso da un’attenzione particolare per le melodie: un ottimo biglietto da visita per Noemi Terrasi ed un ascolto consigliato agli amanti del progressive metal e delle opere strumentali.

Progressive rock/metal strumentale dall’ottima tecnica, ideale colonna sonora di un concept ispirato ad una catastrofe ambientale, è quanto si trova in Black Seagull, primo lavoro della chitarrista siciliana Noemi Terrasi.

Il gabbiano fatica a prendere il volo, il suo ambiente ancora una volta è messo a dura prova dall’uomo e da quel petrolio, portatore di ricchezza e sofferenza: una storia della quale nostro malgrado siamo stati fin troppe volte testimoni, che raccontata dalla chitarra della giovane musicista e compositrice, davvero brava nel tenere a bada inutili virtuosismi e a puntare sull’emozionalità della propria musica.
Black Seagull è composto da quattro brani per quasi mezz’ora di musica strumentale che passa agilmente da atmosfere prog metal a più pacate sfumature ambient rock, piacevole nel suo andamento drammatico e di denuncia, ma con un’aura di speranza che avvolge in particolare la seconda parte di Ice Wind e la conclusiva The Way Home.
Il crescendo di tensione della title track apre la mente al quadro drammatico della storia, e la Terrasi fa iniziare una sorta di countdown prima che la sua chitarra esploda in trame progressive e metalliche, sempre alternate a sfumature pacate disegnando melodie vincenti di scuola Dream Theater.
Black Seagull è un lavoro molto suggestivo e pervaso da un’attenzione particolare per le melodie: un ottimo biglietto da visita per Noemi Terrasi ed un ascolto consigliato agli amanti del progressive metal e delle opere strumentali.

Tracklist
1.Black Seagull
2.Steel Eyes
3.Ice Wind
4.The Way Home
Line-up
Noemi Terrasi

NOEMI TERRASI – Facebook

Funereal Presence – Achatius

Nei Funereal Presence, Bestial Devotion compone ogni singola nota, si occupa di ogni strumento e ci propone un’opera assolutamente personale, votata all’esaltazione di un black metal feroce, viscerale, contorto, sempre dalla forte componente raw.

Seconda prova, a distanza di cinque anni dall’esordio “The archer takes aim”, di Funereal Presence, abominio black metal di Bestial Devotion, one man band, normalmente al drum kit nei Negative Plane, multiforme creatura americana ferma discograficamente dal 2011 con Stained Glass Revelations.

Nei Funereal Presence, Bestial Devotion compone ogni singola nota, si occupa di ogni strumento e ci propone un’opera assolutamente personale, votata all’esaltazione di un black metal feroce, viscerale, contorto, sempre dalla forte componente raw; in passato dichiarò di “suonare musica che nessuno fa più” e devo dire che l’ascolto di queste quattro lunghe tracce, sopra i dieci minuti, ci immerge in un mondo parallelo, dove non vi è spazio per nessun suono post o moderno. Brani infiniti, condotti da una chitarra “insaziabile”, capace di cavalcate inafferabili, articolate, sgraziate anche, ma dal fascino impareggiabile… ci si mmerge in un mondo cavernoso dove una bestia arcaica libera la sua furia iconoclasta, facendoci assaggiare immonde e dissonanti melodie. Una produzione adeguata, assolutamente non moderna, ma funzionale completano un platter che non colpisce immediatamente e, che come ogni opera di valore, si apre dedicandoci il giusto tempo e attenzione, circondati quotidianamente da grandi quantità di materiale estremo, in questo caso è necessario riportare il nostro pensiero alle origini del suono black incompromissorio, con la giusta attitudine, oscuro e “pericoloso”. Sembra di tornare ai primi anni ’90 per la ferocia e la competenza che Bestial Devotion mette in ogni brano dove si alternano parti furiose e parti cadenzate; i brani sono tutti di buon livello e mantengono alta l’attenzione, a patto che ci si ponga con la giusta attitudine, non ricercando suoni che all’artista non interessano.

Tracklist
1. Wherein Achatius Is Awakened and Called Upon
2. Wherein a Messenger of the Devil Appears
3. Wherein Seven Celestial Beasts Are Revealed to Him
4. Wherein Achatius Is Flogged to the Hills of Violation

Line-up
Bestial Devotion – Everything

FUNEREAL PRESENCE – Facebook

Shana Cleveland -Night of the Worm Moon

Night of the Worm Moon è sedersi in cima ad una collina californiana e guardare in cielo strane luci che corrono veloci e che giocano con la nostra immaginazione, ma anche guardare con interesse carcasse di insetto e asfalto che cucina sangue nottetempo.

Debutto solista per la cantante chitarrista del gruppo surf La Luz, Shana Cleveland.

Shana ci propone un folk nella tradizione americana, minimalista, con una voce che narra più che cantare e che si rifà a dei modelli inusuali per questo genere. Il titolo Night of the Worm Moon riporta all’analogo Night Of The Purple Moon di Sun Ra, una delle fonti di ispirazione di Shana. Infatti in questo debutto convergono diverse forme di vita artistiche, dalla fantascienza al folk pastorale americano, e qualche eco diverso come un risuonare lontano di musica distorta che abbia trovato la pace in un deserto. Il disco è stato registrato in un’occasione speciale, l’eclissi di luna del 2017, e ne porta su in sé i segni, con il femmineo ad imperare. La musica è un folk minimale, con chitarra, batteria e pochissimo altro, e il risultato è molto forte e tipicamente americano, anche se la forza del disco sta nel dare un gusto diverso al folk. Shana con il suo gruppo La Luz è sempre stata innovatrice e molto avanti, e anche questo suo debutto solista risponde all’esigenza di fare qualcosa di nuovo in un genere preesistente. Tutto è molto calmo e guarda alle stelle più che alle vicende terrene, e non è il disco medio di folk americano, ma va oltre. Il mondo di Shana è molto composito e speciale, fortemente influenzato dalla fantascienza. Dieci canzoni molto weird, che si vanno ad inserire in quel filone della fantascienza che sta recentemente dando ottimi frutti oltreoceano. Night of the Worm Moon è sedersi in cima ad una collina californiana e guardare in cielo strane luci che corrono veloci e che giocano con la nostra immaginazione, ma anche guardare con interesse carcasse di insetto e asfalto che cucina sangue nottetempo. Un disco che è la narrazione dell’inaspettato e del fuori dal comune, ma che è quello che vorremmo vedere, oltre alle miserie che vediamo quotidianamente. Un debutto diverso ed incisivo.

Tracklist
1 Don’t Let Me Sleep
2 Face of the Sun
3 In Another Realm
4 Castle Milk
5 Night of the Worm Moon
6 Invisible When the Sun Leaves
7 The Fireball
8 Solar Creep
9 A New Song
10 I’ll Never Know

SHANA CLEVELAND – Facebook

I Pazzi Del Riformatorio – About Life (In The Rubbish)

About Life (In The Rubbish) è un lavoro vario e formato da generi diversi, perciò entrare in sintonia con il sound del gruppo non è facilissimo, ma una volta trovatane la chiave di lettura si scoprirà un mondo di note liberate da confini e barriere.

I Pazzi Del Riformatorio sono un gruppo progressive/alternative metal siciliano nato nel 2011 e questo lavoro venne pubblicato la prima volta tre anni dopo.

La band, dopo qualche anno di pausa, ritorna con una line up rivoluzionata e di fatto a tre, con i due membri fondatori, Marco Blandini (voce e chitarra) e Lorenzo Giannì (chitarra e voci) raggiunti da Francesco Zanotti (batteria).
Il primo passo dei “nuovi” I Pazzi Del Riformatorio è la riedizione dell’album d’esordio con l’aggiunta di due brani inediti (Centro Nichilista, Inri) e da uno in versione live (Atracrar).
About Life (In The Rubbish) è un lavoro originale che amalgama in modo sorprendente, progressive rock, alternative metal, indie ed attitudine punk rock: la band si supera in quei momenti dove il tutto è perfettamente inglobato in brani che non lasciano letture precise sulla strada intrapresa ma giocano a sorprendere chi ascolta.
La cosa buona è che il tutto riesce in brani e attimi in cui il progressive metal di scuola Dream Theater viene violentato da scariche alternative/indie per poi tornare a trame progressive addirittura di stampo settantiano.
In tutto questo ben di dio musicale il metal è il collante che tiene i generi ben saldi tra loro nell’economia di brani come God Is A Woman, la suite Democracy’s Slave e la thrash/punk Escape The Grave.
About Life (In The Rubbish) è un lavoro vario e formato da generi diversi, perciò entrare in sintonia con il sound del gruppo non è facilissimo, ma una volta trovatane la chiave di lettura si scoprirà un mondo di note liberate da confini e barriere.

Tracklist
1.Frankenstein
2.God Is Woman
3.I Pazzi Del Riformatorio
4.Democracy’s Slave
5.Last Chance
6.Green
7.Unforgivable
8.Escape The Game
9.Centro Nichilista (Bonus Track 2019)
10.Inri (Bonus Track 2019)
11.Atracar (Bonus Track 2019 – Live)

Line-up
Marco Blandini – Voci, Chitarre
Lorenzo Giannì – Chitarre, Basso, Tastiere, Voci
Francesco Zanotti – Batteria

Line-up 2014:
Marco Blandini – Voci, Chitarre
Lorenzo Giannì – Chitarre, Voci
Salvo Ilacqua – Basso
Vincenzo Fiorilla – Tastiere
Francesco Zanotti – Batteria

Line-up 2012:
Marco Blandini – Voci, Chitarre
Lorenzo Giannì – Chitarre, Voci
Elena Giudice – Basso
Francesco Zanotti – Batteria
Roberto Ferrara – Tastiere

I PAZZI DEL RIFORMATORIO – Facebook

Temple Koludra – Seven! Sirens! To a Lost Archetype

Un’ora di discesa negli antri più bui, dove il metal estremo di matrice black si impregna di misticismo indiano nel suo discendere negli oscuri antri di un tempio dimenticato in cui leggende e storie si tramandano da millenni.

Duo dedito ad un ferale black metal che non disdegna atmosfere ambient, i Temple Koludra esordiscono sulla lunga distanza con Seven! Sirens! To a Lost Archetype, lavoro che arriva dopo un paio di ep distanti sei anni uno dall’altro.

M:W, polistrumentista, e I.H. alla voce sono i sacerdoti di questo rituale estremo, oscuro e terrificante che trova la sua forza nelle ispirazioni di matrice scandinava nella parte più metallica della propria musica, soggiogata e manipolata in favore di un’aura atmosferica che valorizza gran parte dell’album.
Un’ora di discesa negli antri più bui, dove il metal estremo di matrice black si impregna di misticismo indiano nel suo discendere negli oscuri antri di un tempio dimenticato in cui leggende e storie si tramandano da millenni.
Il sound ha nelle parti atmosferiche il suo punto di forza, ma non manca di cavalcate dal crescendo di maligna brutalità: Vanja, Namarupa e la conclusiva White I Trance sono le tracce che lasciano il segno in questa ora di musica estrema che trova nel black metal mistico ed oscuro la sua massima espressione.

Tracklist
1.Trimurti
2.Vajra
3.Grey Apparition
4.Namapura
5.This Diadem Will Last
6.Vertigo
7.White I Trance

Line-up
M:W – All instruments
I.H. – Vocals

TEMPLE KOLUDRA – Facebook

Nirnaeth – From Shadow to Flesh

I Nirnaeth con From Shadow To Flesh confermano l’ottima salute della scena estrema francese e regalano un album convincente, a tratti devastante, oscuro e melodico, perfettamente in grado di tenere botta in tutta la sua durata.

Come spesso accade all’ascolto del metal estremo proveniente dalla terra dei cugini francesi siamo al cospetto di un buon lavoro, indubbiamente legato ai cliché del death/black metal, di matrice Behemoth in primis, ma comunque ben orchestrato e dalle maligne atmosfere.

Stiamo parlando di From Shadow To Flesh, ultimo e quarto lavoro dei Nirnaeth; la band di Lille conferma dunque quanto di buono aveva dato in pasto agli amanti del metal estremo in passato e sforna nove inni oscuri, licenziati dalla Malpermesita Records, nove potenti bordate death/black che si fanno apprezzare per impatto, buone melodie incastonate tra la tempesta di ritmiche veloci, mid tempo ed atmosfere di nero colorate.
Non solo i maestri Behemoth, signori incontrastati del genere, fanno capolino tra il diabolico spartito dei Nirnaeth, ma anche la scuola scandinava è ben rappresentata da melodie che ricordano i Dissection (in molti suoni di chitarra) ed i Naglfar.
Ottimo il cantato, maligno, cattivo ed interpretativo il giusto per non apparire come un lungo monologo in scream, suggestivo quanto basta per aprire squarci infernali tra le note delle efferate The Crater, In Nomine Ego e Once A Shadow.
I Nirnaeth con From Shadow To Flesh confermano l’ottima salute della scena estrema francese e regalano un album convincente, a tratti devastante, oscuro e melodico, perfettamente in grado di tenere botta in tutta la sua durata.

Tracklist
1. Dying of the Day
2. Been thereBefore
3. The Crater
4. Cursed
5. In Nomine Ego
6. Nihil in Me
7. Once a Shadow
8. Posession
9. Forgotten and Chaines

Line-up
Zigouille – Vocals
Mutill – Guitars
Vagorn – Drums
Marbas – Guitars
Malaria – Bass

NIRNAETH – Facebook

Enio Nicolini And The Otron – Cyberstorm

Progressivo nelle ritmiche mai banali, assolutamente fuori da schemi prestabiliti ed a suo modo originale, Cyberstorm è la dimostrazione di come si possa suonare metal prendendo le distanze dai soliti cliché, rimanendo legati al genere grazie ad una miriade di dettagli

Lo storico bassista e compositore Enio Nicolini torna con un lavoro che porta il suo nome, accompagnato dai The Otron (Ben Spinazzola alle voci, Sergio Ciccoli alla batteria e Former Lee Warner ai suoni elettronici).

Il musicista abruzzese, già protagonista in band di culto come Unreal Terror, The Black, Akron e altre come Sloe Gin, UT e Respiro di Cane, ci immerge in questo caso in un futuro dominato dalle macchine, con la musica che segue il concept futurista del progetto, intitolato Cyberstorm.
Enio Nicolini And The Otron danno vita ad un’opera interessantissima, rinunciando alle chitarre e rendendo omaggio alle storie dai temi sci-fi raccontati nei vari brani con un sound pregno di suoni elettronici accompagnati da solo basso e batteria a rappresentare la strumentazione canonica.
Progressivo nelle ritmiche mai banali, assolutamente fuori da schemi prestabiliti ed a suo modo originale, Cyberstorm è la dimostrazione di come si possa suonare metal prendendo le distanze dai soliti cliché, rimanendo legati al genere grazie ad una miriade di dettagli
Fin dalle prime battute della title track, Nicolini manipola i generi suonati per una vita caricandoli su una macchina del tempo e trasportandoli centinaia di anni in avanti: da tutto ciò nascono quindi una serie di tracce che all’interno di trame dalla base elettronica, sono ricche di sfumature heavy, doom, dark e progressive, partendo da Ramses W45, Warp Machine e Night Of The Hunt, in un caleidoscopio di suoni che ricordano a tratti i Voivod di Angel Rat, i Killing Joke e gli Young Gods, il tutto inserito in un’atmosfera di tensione metallica ed oscura.
Cyberstorm è un album riuscito e, come detto, a suo modo originale, che va ad aggiungersi alle tante opere di spessore che hanno visto ergersi a protagonista il talento di Enio Nicolini.

Tracklist
1.Cyberstorm
2.Ramses W45
3.Planet X
4.5th Dimension
5.Warp Machine
6.Iss Armada
7.Anthios
8.Nanoids in my Head
9.Night of the Hunt
10.Timeless Love

Line-up
Enio Nicolini – Bass
Ben Spinazzola – Vocals
Sergio Ciccoli – Drums
Former Lee Warner – Electronic Sound

ENIO NICOLINI – Facebook

ANCIENT OAK CONSORT

Il video di Men Fighting for Men, dall’album Hate War Love (Revalve Records).

Il video di Men Fighting for Men, dall’album Hate War Love (Revalve Records).

Ancient Oak Consort presents the videoclip for their brand new single Men Fighting for Men taken from the last album Hate War Love.

Listen full album: http://player.believe.fr/v2/3615931290320
https://www.revalverecords.com/ancientoakconsort.html

Ancient Oak Consort was born in 1995, founded by Andrea Vaccarella (composer/guitarist). The 1th album Ancient Oak, released in 1997; the 2th album The Acoustic Resonance of Soul, released in 2006.Ancient Oak Consort is a Rock-Progressive-Metal band with Chamber Music and Mediterranean Folk influences.Ancient Oak Consort is a project composed of 3 fixed members and special guests. Why Consort? Because in Renaissance music Consort means that some musicians play music with the founding musicians. The important thing is the use of classic guitar and the compositions of chamber music inspired by great composers like Ennio Morricone, Nino Rota.

Arckanum – Första Trulen

Första Trulen non riveste solo una valore puramente storico per i cultori e collezionisti del black metal delle origini, perché da un punto di vista musicale possiede un notevole fascino ancestrale che va necessariamente colto, al netto di una registrazione che sembra davvero provenire da un vecchio mangianastri con le testine usurate dal tempo.

Första Trulen non è esattamente l’ennesima riedizione del demo Trulen degli Arckanum uscito nel 1994, bensì contiene la prima registrazione che poi Johan Lahger (Shamaatae per gli annali musicali) scartò non essendo soddisfatto della sua resa; si tratta comunque un documento decisamente interessante in quanto esemplificativo dell’evoluzione del black metal dai primi anni 90 fino ad oggi.

Ovviamente siamo al cospetto di un lavoro che, per sua natura, non solo conserva ma acuisce le stimmate del demo e per questo sarà possibile rinvenirvi il genere nella sua forma più pura ed incontaminata, nel bene (attitudine e spontaneità) e nel male (resa sonora a dir poco approssimativa).
Prendiamo quindi i lavori di punta offerti dal musicista svedese nel nuovo secolo (su tutti l’imprescindibile ÞÞÞÞÞÞÞÞÞÞÞ) e ammantiamoli di una robusta coltre di polvere e detriti a renderne meno limpidi i prodromi di quelle irresistibili progressioni che hanno reso importante il nome Arckanum: questo è quanto si rinviene in tale percorso a ritroso che ci porta agli antipodi dell’ultimo lavoro in ordine tempo (nonché probabile canto del cigno del progetto) Den Förstfödde, album in cui Shamaatae ha raggiunto probabilmente l’apice della sua maturità compositiva.
Första Trulen non riveste, quindi, solo una valore puramente storico per i cultori e collezionisti del black metal delle origini, perché da un punto di vista musicale possiede un notevole fascino ancestrale che va necessariamente colto, al netto di una registrazione che sembra davvero provenire da un vecchio mangianastri con le testine usurate dal tempo.

Tracklist:
1. Pan’s lughn (different version, without voices)
2. Hvila pa tronan min
3. Yvir min diupe marder
4. Et sorghe tog
5. Gava fran trulen
6. Bærghet
7. Ængin oforhærra
8. Svinna
9. Kolin Væruld
10. Ener stilla sior af droten min (different version)

Line-up:
Shamaatae

ARCKANUM – Facebook

Invictus – Burst The Curse

Il quintetto bavarese è protagonista di un ottimo heavy metal dalle ritmiche speed/power strutturato su cavalcate velocissime, melodie dal buon appeal e pregno di ispirazioni ottantiane.

Arrivano all’esordio con questo mini cd di tre brani i tedeschi Invictus.

Il quintetto bavarese è protagonista di un ottimo heavy metal dalle ritmiche speed/power strutturato su cavalcate velocissime, melodie dal buon appeal e pregno di ispirazioni ottantiane.
Se dovessi trovare un esempio di metal old school in grado di non sfigurare con le produzioni odierne, direi che senz’altro gli Invictus sono sulla strada giusta per uscire dall’anonimato e farsi conoscere nell’affollato panorama del metal classico underground.
Burst The Curse è composto da un paio di brani rocciosi, melodici e veloci come bolidi, più la classica ballatona che spezza la carica metallica tra la title track e Someone Out There, le due devastanti esplosioni power/speed metal.
Un buon lavoro strumentale, chorus epici e ritmiche mozzafiato sono valorizzate in questo ep da una buona produzione presentando al meglio la band ai metal defenders.
Primi Helloween e Blind Guardian con un tocco di new wave of british heavy metal e via verso la gloria metallica, questa è la strada intrapresa dagli Invictus, gruppo decisamente da seguire.

Tracklist
1.Burst the Curse
2.Gaia
3.Someone Out There

Line-up
Nico – Vocals
Fabio – Guitar
Andi – Guitar
Fabi – Bass
Dave – Drums

INVICTUS – Facebook

Sangue – Culś

Culś è un mostro malvagio e millenario che fagocita terrore e lo rigetta sotto forma di metal estremo, la sua forza si rigenera nelle atmosfere soffocanti e morbose di luoghi dimenticati dal tempo: il sound che ne deriva è maligno e pesante, opprimente e soffocante come la polvere delle catacombe.

Debuttano sulla lunga distanza i romani Sangue con Culś, full length che mette ancora in evidenza l’ottima scena estrema capitolina.

Il quintetto, dopo un primo ep uscito un paio d’anni fa, torna dunque sul mercato con questo terrificante e devastante lavoro sulla lunga distanza a base di un death metal old school immerso nell’antica Etruria che dà vita ad una miscela esplosiva di metal estremo.
Con una produzione in linea con il sound catacombale, sfumature black si trascinano tra i corpi lasciati a marcire da millenni tra maledizioni e sacrifici, atmosfere soffocanti che avvolgono un impatto che non dà tregua, mentre a tratti mid tempo pesantissimi e dall’attitudine doom/black lasciano poco spazio alla luce (They Do Not Rest, Her Cold Breath).
Culś è un mostro malvagio e millenario che fagocita terrore e lo rigetta sotto forma di metal estremo, la sua forza si rigenera nelle atmosfere soffocanti e morbose di luoghi dimenticati dal tempo: il sound che ne deriva è maligno e pesante, opprimente e soffocante come la polvere delle catacombe.
Un debutto affascinante ed assolutamente fuori dai soliti cliché, anche se rivolto soprattutto agli amanti delle sonorità old school.

Tracklist
1.In the Church
2.They Do Not Rest (Clock of the Giants)
3.Eerie Murmuring / Infinity Abysmal
4.Interlude / Call of the Gorgon
5.Shifting into Necrocosmos
6.Her Cold Breath
7.Interlude / Tuchulcha
8.The Rite of Cosmic Void
9.When the Magus Whispers to the Skies

Line-up
Valerio Scissor – Guitars
Welt – Guitars
MeTa – Bass
Rector Stench – Drums
Mirko “Offender” Scarpa – Vocals

DIESEL PARK WEST

Il video di Living In The UK, dall’album Let it Melt di prossima uscita (Palo Santo Records),

Il video di Living In The UK, dall’album Let it Melt di prossima uscita (Palo Santo Records),

https://www.youtube.com/watch?time_continue=4&v=bhM6rngRA1k

“I’ve seen it before/I can tell/If you want to help…/Let it melt”
There are bands that go the distance. And then there is Diesel Park West. In a tale of Homeric proportions, the group from Leicester, England have kept faith throughout a career that stretches back, unbroken, to the era of major label deals, MTV and music industry excess.
Now, 30 years after their first album Shakespeare Alabama, a new chapter begins with the release of Let it Melt, an album of savvy, street-survivor, sign-of-the-times rock & roll that only a band with their immense experience, resilience and know-how could have written and recorded.
“We’ve never lost the spark,” says singer, songwriter and guitarist John Butler. “We’ve never stopped writing, recording and gigging. We’ve never let the setbacks encroach on our creativity. We’ve only ever judged ourselves by the standard to which we are performing. And we’ve pushed on through.”
The band now comprises three members from the 1980s line-up – Butler, Rich Barton (guitar/vocals) and Geoff Beavan (bass) – together with new boy Rob Morris (drums), who joined 15 years ago.
Let it Melt is their debut album on Palo Santo, a hip, independent label located in Dallas, Texas and although it is actually the ninth studio album by Diesel Park West, it feels like a debut in another sense as well. On the first day of recording, Butler asked Morris what kind of album he thought the band should make. “One that we like,” the drummer shot back.
“Out of the mouths of babes and drummers comes the truth,” Butler says. “We spent a lot of time in the old days being pressured by our paymasters on the major labels to do this, don’t do that. This album is simply made up of new songs that we like to play and more to the point, that we like to listen to. It’s almost as if we had to do nine albums to get to this starting point. And I’m not saying that in a flippant way. There’s a deep seam of truth in that
statement.”
With a title that cleaves an appropriate passage between classics by the Beatles (Let it Be) and the Stones (Let it Bleed), Let it Melt is a masterclass of wry, observational lyric writing and wiry, anglo-americana riffing. Songs such as Living in the UK, Bombs Away, Across This Land and Let it Melt chronicle the state of the modern world with a louche swagger and an incisive wit.
“When you’re 19 or 25 or even 35, you can’t really write from the standpoint of someone who’s been around for a long time,” Butler says. “It’s only now that I’ve got the experience to write a song like The Golden Mile – a metaphor for finding yourself on the last stretch. It doesn’t have to be a dark, grey, end-of-the-line hurtling towards the final curtain situation. It’s actually a blast to get this far.”
How have they done it? Diesel Park West were born in the era of music business plenty. Signed initially to the small, independent Food Records, they were acquired by EMI, who signed the Food label, simply to get their hands on Diesel Park West. The band’s epic first album, Shakespeare Alabama, produced by Chris Kimsey, received glowing reviews,
established a solid fan base and made a promising dent in the UK album chart at No.55. They subsequently placed no less than six singles in the UK chart, but the breakthrough to a level of commercial success commensurate with the band’s talent and potential, remained elusive.
As the 1980s drew to a close, the baggy scene in Manchester was sweeping all before it, and then as the 1990s got underway Britpop took over. But Diesel Park West never hitched themselves to any passing bandwagons.
“There was so much money sloshing around in the record company coffers,” Butler says. “From CD sales of Dark Side of the Moon, from the Beatles, from Queen, it was coming in from all sides, and they became imperious about it. We were the beneficiaries of some big advances, but there was a dark side to it. It made lateral thinking and innovation virtually impossible. There was a flabbiness in the thinking. And some of the excesses we encountered
were mindblowing.”
Shifting their affairs back to the more grounded world of indie labels, the band released their genius third album Diesel Park West Versus the Corporate Waltz on Demon. A commentary on their experience of major label madness, with songs including Good Times Liberation Blues and The Cat’s Still Scratching, this was an early period masterwork which, ironically, given the subject matter, languished in the margins for want of a large scale promotional
budget.
As the 1990s wore on and the industry underwent seismic changes, Diesel Park West scaled down their operations but maintained a full touring schedule and a consistent output of great new albums – FreakGene [1995], HIPReplacement [1998], Thought for Food [2000]. Butler also found time to launch a solo career with his debut album The Loyal Serpent [1997], an enduring cult favourite which has just been reissued, also by Palo Santo, as a special vinyl
edition.
The band carried on into the new millennium, ploughing through the MySpace era and into the brave new world of Spotify, smartphones and social media. “We’ve done a lot of hard labour since the days when EMI paid all the bills,” Butler says, without a trace of bitterness.
“We’ve been breaking rocks since then. But we’ve stayed with it.” In the latest twist to the story, a deal was signed with Palo Santo to release the new album, Let it Melt. “They got in touch, out of the blue,” Butler says, “I sent them some early monitor mixes of the new tracks and they wanted to get involved. They came over and we met up at a
show in Brighton. They are genuine people, and very smart. It’s been great dealing with them.”
Given the rootsy, riff-driven sound and freewheeling, outlaw energy of the new music, it makes perfect sense that a label in Texas should have snapped up the album which, in keeping with the hands-across-the-ocean spirit of the project, was recorded in D Line Studios, Leicester and mixed in Pleasantry Lane, Dallas by Palo Santo co-founder Salim Nourallah.
“The vocals are all live,” Butler says. “We kept the vocal tracks that went down with the drums, so they retain that energy. It’s better than having some producer making you sing it with the headphones on for the 23rd time. Somewhere around take eight you’re going to be losing it.”
Rough, real, full of hard-earned wisdom and a broad streak of black humour, Let it Melt is a late-blooming masterpiece by a band that has walked the walk like no other.
“I don’t think we’d have been able to make a record like this at any other time in the band’s history,” Butler says. “There’s something about it that is definitive of where we are now. Really it’s the truest album we’ve ever made.”
Diesel Park West’s Let it Melt will be released later this year.

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